NEWSLETTER GREEN PASS E MENSE AZIENDALI


IL PARERE DELLA REGIONE PIEMONTE.
Negli ultimi giorni, con l’operatività della certificazione Covid-19 a partire dal 6 agosto 2021 per l’accesso ad una serie di attività e locali, è esplosa la questione relativa all’obbligatorietà del Green Pass anche per le mense aziendali.
Non è necessario il Green Pass per la mensa aziendale: questa è stata la conclusione raggiunta dalla Regione Piemonte il 12 agosto scorso, poco dopo la proclamazione dello sciopero da parte della Fim-Cisl alla Hanon System per protestare contro la richiesta, da parte della ditta, di esibire il certificato verde in mensa.
Si sosteneva, infatti, che “L’articolo 9 bis, comma del Decreto legge numero 105 prescrive l’obbligo del possesso del Green Pass per l’accesso “ai servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio di cui all’articolo 4, per il consumo al tavolo, al chiuso”. Dal richiamato articolo 4 risultano escluse le mense aziendali e i servizi di catering su base contrattuale”. Sussisterebbero – secondo la Regione Piemonte – “sostanziali differenze” tra i servizi offerti dalle mense rispetto alla ristorazione commerciale: mentre quest’ultima è rivolta ai clienti che scelgono liberamente il luogo ove recarsi, la ristorazione aziendale sarebbe destinata ad una comunità chiusa ed individuata, si svolgerebbe esclusivamente durante l’orario lavorativo e sarebbe disciplinata da regole contrattuali che obbligano l’appaltatore a fornire la prestazione solo ai dipendenti dell’azienda appaltante. Secondo la ricostruzione della normativa vigente il DPCM del 2.03.2021, ancora in vigore, stabilisce che le attività di mense e di catering continuativo su base contrattuale possono proseguire nell’attività purché rispetto dei Protocolli e delle linee guida. La Regione Piemonte prosegue: “Tale esclusione è stata confermata dalla circolare del ministero dell’Interno dello scorso 24 aprile, con il richiamo al rispetto dei protocolli o delle linee guida dirette a prevenire o contenere il contagio”. Dunque “Le attività connesse con la fruizione del vitto sono consentite a tutto il personale, fermo restando il rispetto dei protocolli o delle linee guida dirette a prevenire o contenere il contagio”.
Anche sul fronte privacy la questione ha fatto molto discutere, rilevandosi che il datore di lavoro non dovrebbe conoscere la situazione sanitaria del dipendente, ma nel caso di mensa sita nei locali aziendali ciò sarebbe quasi inevitabile.
La posizione della Regione Piemonte, tuttavia, risulta essere stata superata da una FAQ pubblicata sul sito del governo.

LA NUOVA FAQ PUBBLICATA DAL GOVERNO.
Il Governo ha predisposto una pagina web con tutti i chiarimenti riguardanti il Green Pass, che certifica l’avvenuta vaccinazione, la negatività ad un test molecolare o antigenico o la guarigione recente dal Covid-19, obbligatorio dal 6 agosto 2021 per accedere ad alcuni eventi pubblici e diversi luoghi al chiuso.
L’ultimo chiarimento è arrivato con riferimento alle mense aziendali, specificando che anche in questo caso la certificazione è necessaria.
È, infatti, stata inserita una nuova FAQ: “Per la consumazione al tavolo nelle mense aziendali o in tutti i locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti pubblici e privati è necessario esibire la certificazione verde COVID-19?”
La risposta del Governo mette ordine sulla questione ristorazione sul posto di lavoro: “Sì, per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde COVID-19, analogamente a quanto avviene nei ristoranti. A tal fine, i gestori dei predetti servizi sono tenuti a verificare le certificazioni verdi COVID-19 con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021”.

RIFIUTO VACCINO E SOSPENSIONE DAL LAVORO E DALLA RETRIBUZIONE

Il Tribunale di Roma, con pronuncia del 28.07.2021 si è espresso in merito ad una dipendente che ha ricevuto, a causa del rifiuto di vaccinarsi, un giudizio di idoneità con limitazione. In particolare, il Tribunale ha dichiarato la legittimità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione disposta dal datore nei confronti del dipendente.

La particolarità del caso è data dal fatto che la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione è stata disposta dal datore di lavoro nei confronti di personale per il quale non è stato introdotto dal legislatore l’obbligo di vaccinazione anti Covid-19.

Nello specifico, la dipendente era risultata non idonea alle prestazioni lavorative in seguito alla visita d’idoneità del medico competente, il quale aveva dichiarato la lavoratrice “idonea con limitazioni” e, stante il rifiuto di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19, impossibilitata a stare in contatto con la clientela.

Conseguentemente, il datore di lavoro, dopo il giudizio del medico competente e previa verifica della possibilità per la dipendente di svolgere altre mansioni nella sua attività, appurata la mancanza di un diverso impiego da assegnarle, ha deciso di sospendere la lavoratrice, privandola della retribuzione, fino a eventuale giudizio di revisione di idoneità o alla cessazione delle limitazioni per pandemia.

In primo luogo, il Tribunale chiarisce che la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione non costituisce un provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione, bensì un doveroso provvedimento di sospensione adottato stante la parziale inidoneità alle mansioni della lavoratrice. Del resto, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione non poteva essere evitata in quanto, dall’organigramma prodotto dal datore di lavoro, “non risultano posizioni lavorative confacenti alla professionalità della ricorrente […] e quindi la possibilità di reimpiegare diversamente la ricorrente”.

Il Tribunale richiama quanto previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, all’art. 20: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”, nonché la recentissima ordinanza del Tribunale di Modena del 19.05.2021, per cui “il prestatore di lavoro è tenuto (non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche) a osservare precisi doversi di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto […] La protezione e la salvaguardia della salute dell’utenza rientra nell’oggetto della prestazione esigibile. Tutela […] che non può che attuarsi (anche) mediante la sottoposizione al trattamento sanitario del vaccino contro il virus Sars CoV-2. Con la conseguenza per cui un ingiustificato contegno astensivo rende la prestazione (ove tramontata la possibilità di ricollocamento aliunde) inutile, irricevibile da parte del datore di lavoro”.

Con riferimento alla retribuzione della dipendente, il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza che, concordemente, ritiene: “se le prestazioni lavorative vengono vietate dalle prescrizioni del medico competente con conseguente legittimità del rifiuto del datore di lavoro di ricevere, lo stesso datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione”.

NEWSLETTER N. 8/2021 NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

MINISTERO DEL LAVORO: DECRETO N. 143 DEL 25.06.2021.

Con decreto del 25.06.2021, il Ministero del Lavoro ha definito un sistema di verifica della congruità dell’incidenza della manodopera impiegata nella realizzazione di lavori edili.

Ambito di applicazione.

Il decreto si applica ai lavori pubblici, a quelli privati (solo sopra i 70mila Euro), ai subappalti ed anche in caso di lavoratori autonomi coinvolti nell’esecuzione e riguarda tutte le attività “direttamente e funzionalmente connesse all’attività resa dall’impresa affidataria dei lavori, per le quali trova applicazione la contrattazione collettiva edile”.

Efficacia.

Le disposizioni ministeriali saranno efficaci a partire dai lavori denunciati dal 1.11.2021.

Si tratta di un provvedimento anticipato da diversi atti: il D.L. n. 76 del 2020 e l’accordo collettivo del 10.09.2020, sottoscritto dalle organizzazioni più rappresentative per il settore edile, che individua le percentuali di incidenza minima della manodopera sul valore dell’opera in relazione a diverse categorie di lavori edili (c.d. indici di congruità).

Obiettivi.

L’obiettivo del nuovo “DURC di congruità” è doppio: contrasto al lavoro nero ed ai fenomeni di dumping contrattuale.

Procedura e conseguenze.

Ai fini della verifica sul raggiungimento della percentuale minima di incidenza della manodopera fissata dal decreto faranno fede i dati comunicati alla Cassa edile sul valore complessivo dell’opera e sul valore dei lavori edili previsti. Prima del saldo finale dei lavori, l’impresa dovrà richiedere proprio alla Cassa edile l’attestazione di congruità della manodopera. Qualora non sia possibile rilasciarla, le difformità riscontrate saranno comunicate in maniera analitica all’impresa, con l’invito a regolarizzare la sua posizione entro quindici giorni. Scaduto questo termine, scatterà l’iscrizione nella Banca dati delle imprese irregolari.

Gli effetti di un eventuale esito negativo saranno rilevanti: il decreto, infatti, stabilisce che esso inciderà “dalla data di emissione, sulle successive verifiche di regolarità contributiva finalizzate al rilascio per l’impresa affidataria del Durc online”.

Pertanto, senza congruità non verrà rilasciato nemmeno l’ordinario DURC, con il rischio per l’impresa di venire, di fatto, esclusa dalla partecipazione alle gare d’appalto nel proprio settore.

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

INDENNITÀ FERIE NON GODUTE.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 16.06.2021, chiarisce che il diritto all’indennità per ferie non godute va riconosciuto anche quando il lavoratore abbia funzioni direttive apicali, se il datore di lavoro non l’abbia incentivato a fruirne e non abbia segnalato le conseguenze del mancato godimento.

Rigettando l’opposizione formulata dalla società al decreto ingiuntivo notificato da un ex dipendente per indennità di ferie e permessi non goduti, il Tribunale afferma che, anche laddove il dipendente ricopra una posizione di apicalità e sia autonomo nella gestione delle ferie, il datore di lavoro ha l’onere di metterlo nelle condizioni di fruirne e, comunque, di segnalargli le conseguenze del mancato godimento (cioè la perdita della relativa indennità). Nel caso in oggetto, il Tribunale ha ritenuto non assolto tale onere né provata, da parte della società, l’autonomia nella gestione dell’orario di lavoro del dipendente il quale, pur inquadrato come impiegato, svolgeva le funzioni di direttore generale ed era perciò stato qualificato dal datore di lavoro, nell’ambito del contenzioso, come dirigente. N

SICUREZZA.

La Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 24915 del 1.07.2021, si pronuncia in materia di responsabilità del coordinatore dell’esecuzione dei lavori.

La Corte chiarisce che in materia di sicurezza, il coordinatore dell’esecuzione dei lavori non è tenuto a un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative.

Per l’infortunio mortale di un operaio/imprenditore edile, occorso mentre questi stava compiendo un’operazione non prevista e non autorizzata dal progetto e dal Comune, era stato condannato dai giudici di merito il coordinatore dell’esecuzione dei lavori per non aver monitorato l’evoluzione dei lavori e le modalità tecniche adottate.

La Corte cassa la sentenza, affermando che il coordinatore dell’esecuzione dei lavori, oltre a intervenire sui piani di sicurezza, ha una funzione di alta vigilanza con riguardo alla generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale e non anche di puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, compito spettante ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto).

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 17336 del 17.06.2021, si pronuncia in materia di infortuni sul lavoro.

La Corte precisa che costituisce infortunio in occasione di lavoro anche quello occorso durante la deambulazione all’interno dell’azienda.

L’impiegata di una procura si era infortunata cadendo mentre dalla propria postazione di lavoro si era alzata per prelevare alcuni fascicoli situati su un altro tavolo. Mentre l’INAIL aveva negato l’indennizzo, la Corte ricorda l’ampiezza che ha assunto nell’interpretazione giurisprudenziale la nozione di “occasione di lavoro”, che determina l’indennizzo ove l’infortunio si sia in essa verificato e che si estende anche al caso esaminato in giudizio di caduta durante lo spostamento in ufficio da un tavolo all’altro per ragioni di lavoro.

SUCESSIONE DI CONTRATTI DI APPALTO ILLECITI.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 27.05.2021, precisa che in caso di successione di più contratti di appalto ritenuti illeciti, il termine di decadenza per affermare la titolarità del rapporto di lavoro in capo al committente decorre dalla cessazione del rapporto con l’effettivo utilizzatore.

Il Tribunale conferma la pronuncia resa in fase sommaria, affermando come la decadenza prevista dall’art. 32, comma 4, lett. d), l. n. 183 del 2010 per contestare la titolarità del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore, in caso di contratti di appalto succedutisi senza soluzione di continuità, decorra dal momento in cui cessa il rapporto di lavoro con tale soggetto, con l’estromissione del lavoratore dal contesto organizzativo al quale pretende di imputare il rapporto. La proposizione tempestiva dell’impugnazione è idonea ad impedire qualsiasi prescrizione che imponga di circoscrivere temporalmente l’accertamento del diritto alla costituzione ex tunc del rapporto di lavoro. Il Tribunale conferma l’illiceità dei contratti di appalto impugnati, ribadendo come in presenza dello svolgimento della prestazione in un dato ambito riconducibile al Convenuto (preteso) committente, incombe su questo l’onere di provare la riconducibilità del lavoro ad un genuino contratto di appalto.

TRASFERIMENTO RAMO D’AZIENDA.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18948 del 5.07.2021, chiarisce che costituisce trasferimento di ramo d’azienda la traslazione da un’impresa ad un’altra di una preesistente articolazione funzionalmente autonoma dell’azienda.

Il principio enunciato consente alla Corte di escludere il trasferimento di ramo d’azienda in un caso in cui era stato accertato che alcuni uffici e servizi della struttura denominata Back office non erano stati trasferiti, che la stessa denominazione di Back office non individuava esattamente gli uffici trasferiti e che, infine, erano rimasti di proprietà della cedente i software applicativi necessari per svolgere l’attività e quindi fatti oggetto di due contratti di appalto tra le parti. La Corte ribadisce, pertanto, che, indipendentemente dalla qualificazione data dalle parti, l’autonomia funzionale del ramo ceduto postula la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali e produttivi, transitando quindi nella sua integrità al cessionario, senza necessità di apporti da parte del cedente o di terzi.

TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 19143 del 6.07.2021, ribadisce che è illegittimo il trasferimento del lavoratore se le ragioni che lo sostengono possono essere soddisfatte in altro modo equivalente.

La Corte, pur ribadendo l’insindacabilità, nel merito, delle ragioni tecniche, organizzative e produttive poste a base del trasferimento, ricorda che, in osservanza delle regole di correttezza e buona fede, il datore di lavoro non può legittimamente ricorrere al trasferimento se esistono modi equivalenti per soddisfare le medesime ragioni.

CONTRATTO A PROGETTO E PROVA DELLA SUBORDINAZIONE.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16720 del 14.06.2021, si pronuncia in materia di rapporto a progetto e prova della subordinazione.

La Corte precisa che per provare la subordinazione in un rapporto di lavoro a progetto non è sufficiente dedurre lo svolgimento di mansioni in parte diverse dal progetto.

La Corte d’appello aveva dichiarato subordinato un rapporto di lavoro costituito come a progetto, in ragione del fatto che in giudizio era risultato che il lavoratore, durante il rapporto, aveva svolto anche un lavoro diverso da quello convenuto nel progetto, osservando altresì un preciso orario di lavoro. La Cassazione cassa la decisione, affermando che i dati indicati non sono sufficienti per accertare la subordinazione, essendo viceversa necessaria la prova, a carico del lavoratore, che il rapporto si è svolto secondo il complesso di caratteristiche da tempo individuate dalla giurisprudenza.

CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 28.05.2021, si pronuncia in un caso di licenziamento illegittimo e contratto a tutele crescenti.

In un caso di licenziamento illegittimo per violazione dei criteri di scelta nelle riduzioni del personale in regime del Jobs Act, il Giudice disapplica l’art. 1 D.Lgs. n. 23 del 2015, per contrasto col diritto europeo, nella parte in cui prevede che le disposizioni sul contratto a tutele crescenti si applichino non solo ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, ma anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del decreto, di contratti a termine sorti in precedenza. È, dunque, riconosciuto il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.

La Corte di giustizia UE con la sentenza del 17.03.2021, emanata sulla base del rinvio operato dal Giudice milanese (di cui all’ordinanza dell’11.7.2019), aveva demandato al giudice nazionale il compito di verificare se la differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo indeterminato assunti prima del 7 marzo 2015 e quelli a termine – anch’essi assunti prima ma convertiti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina – con applicazione della nuova disciplina sanzionatoria meno favorevole, sia giustificata da una ragione oggettiva e quindi compatibile con la Direttiva europea che tutela i lavoratori a termine. Il Tribunale di Milano sottopone a verifica la ragionevolezza della disposizione del Jobs Act in relazione all’obiettivo di promozione dell’occupazione avuto presente dal legislatore, rilevando come la regola adottata sia inidonea a realizzare gli obiettivi di legge e concludendo per il dovere di disapplicarla per contrasto col diritto europeo. Inoltre, il Tribunale enuncia la necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1 del d.lgs. n. 23 del 2015 (c.d. Jobs Act), nella parte che equipara alle nuove assunzioni i contratti a termine convertiti in contratti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto, ritenendo che tale ipotesi non si verifichi nel caso di una conversione volontaria priva di effetti novativi del contratto. Ritenuto illegittimo nel merito il licenziamento subito dalla ricorrente nell’ambito di un licenziamento collettivo, il Tribunale le applica dunque la disciplina precedente all’entrata in vigore del Jobs Act, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 Stat. lav.

CONTRATTO A TERMINE.

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza n. 177 del 29.06.2021, chiarisce che il mutamento del lavoratore sostituito, indicato al momento della proroga di un contratto a termine, determina in realtà l’insorgere di un nuovo rapporto a termine, con necessità di rispetto della disciplina sugli intervalli tra più contratti.

La Corte ha accertato che in caso di modifica del lavoratore da sostituire, indicato nella causale del contratto a termine per ragioni sostitutive al momento di un’ennesima proroga, si verifica il sorgere di un nuovo contratto per novazione della ragione giustificatrice e non già una proroga del precedente: ne deriva la necessità di rispettare l’intervallo minimo tra un contratto a termine e l’altro prescritto dall’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2015 (c.d. “stop & go”). Non avendo il datore di lavoro rispettato tale termine, essendosi limitato a comunicare al centro per l’impiego la proroga del contratto, con causale identica ma nominativo del lavoratore da sostituire differente, la Corte conferma la sentenza di primo grado che ha dichiarato la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

MODIFICHE AL CONTRATTO DI LAVORO.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 31.03.2021, precisa che la modifica della disciplina legale, che ha esteso la possibilità di lavorare a tutte le domeniche dell’anno, non legittima l’imposizione unilaterale di tale modifica a lavoratrici assunte a tempo parziale con riferimento a una regola che consentiva un numero minore di domeniche lavorative.

Il Giudice accoglie il ricorso di alcune lavoratrici che erano state assunte con contratto part-time per il venerdì e sabato, con possibilità di lavoro domenicale per un massimo di tredici domeniche secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 114 del 1998 allora vigente (decreto Bersani). A seguito della liberalizzazione del quadro legale portata dal D.Lgs. n. 201 del 2011 l’impresa aveva imposto il lavoro in tutte le domeniche dell’anno, salvo le festività.

Il Tribunale ritiene che tale imposizione comporti una modifica essenziale del contratto, idonea ad alterarne l’equilibrio e ad incidere sulla vita personale del lavoratore, che non poteva avvenire automaticamente per il solo mutare della legge, ma necessitava di un ulteriore accordo tra le parti. Viene, così, riconosciuto alle lavoratrici il risarcimento del danno non patrimoniale di natura esistenziale, liquidato in via equitativa.

Il Tribunale respinge altresì l’eccezione di prescrizione formulata dal datore di lavoro, condividendo l’orientamento per il quale il termine di prescrizione non decorre, alla luce della modifica dell’art. 18 Stat. lav. operata dalla L. n. 92 del 2012.

PROCEDURA DI SELEZIONE.

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 158 del 23.06.2021, precisa che il Direttore generale dell’azienda sanitaria deve motivare analiticamente la nomina del direttore di struttura complessa, quando scelga quello che non ha ottenuto il punteggio maggiore nella procedura di selezione.

La Corte d’appello marchigiana dichiara illegittimo il decreto di nomina di un direttore di struttura complessa ospedaliera, individuato dal Direttore generale in un candidato che non aveva ottenuto il migliore punteggio nella graduatoria stilata dalla commissione di selezione. Pur ribadendo la natura discrezionale di tale atto, il collegio afferma che per soddisfare la disciplina della L. n. 189 del 2012 (c.d. “Riforma Balduzzi”), il DG deve motivare la scelta differente rispetto a quella tecnica emersa nella selezione, ripercorrendo i parametri valutati dalla Commissione ed individuando puntualmente gli ulteriori criteri ritenuti decisivi per giustificare tale scelta differente. Nel caso di specie ciò non è avvenuto e la Corte, non ritenendo possibile una pronuncia di modifica della nomina, condanna l’azienda ospedaliera al risarcimento del danno da perdita di chance subito dal candidato che aveva ottenuto il punteggio migliore.

CONDOTTA ANTISINDACALE.

Il Tribunale di Bologna, con pronuncia del 30.06.2021, ritiene antisindacale la condotta di Deliveroo che pretendeva di imporre ai propri rider l’accettazione del contratto collettivo stipulato con UGL a settembre 2020, come condizione per proseguire nella collaborazione e nega ad UGL-Rider la natura di soggetto comparativamente più rappresentativo nel settore.

Un altro episodio nella saga della vicenda rider-Deliveroo ed, in particolare, del contenzioso promosso da Filcams-Cgil, Filt-Cgil e Nidil-Cgil contro l’accordo raggiunto da Assodelivery e UGL nel settembre 2020 sulle condizioni di collaborazione dei rider, che Deliveroo come altre piattaforme ha preteso di imporre ai propri fattorini per la prosecuzione del rapporto di collaborazione.

Il Tribunale bolognese dissente dalla recente decisione del Tribunale di Firenze, presa nel medesimo contenzioso, che aveva escluso l’utilizzabilità dell’azione ex art. 28 Stat. Lav. per conflitti che si sviluppano al di fuori dell’area del lavoro subordinato.

La pronuncia ritiene che anche nella fase sommaria del procedimento per condotta antisindacale possa porsi la questione pregiudiziale della natura giuridica dei rapporti di lavoro e, nel caso, la risolve ritenendo che i rapporti dei rider di Deliveroo avessero natura di collaborazioni etero-organizzate ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015 e che l’estensione ad esse della disciplina del lavoro subordinato possa includere anche l’applicazione dell’art. 28, che è norma insieme sostanziale e processuale. Nel merito, il giudice emiliano esclude che UGL-Rider fosse soggetto rappresentativo legittimato alla stipulazione di un accordo di esenzione dall’applicazione di quanto previsto dal 1° comma del citato art. 2.

Il Tribunale di Asti, con sentenza del 4.06.2021, si pronuncia in un caso di recesso del datore di lavoro dal CCNL.

Il principio per cui non è legittimo (ed è antisindacale) il recesso del datore di lavoro dal CCNL prima della sua scadenza, con applicazione di un diverso contratto nazionale, va applicato anche al CCNL scaduto ma dotato di clausola di ultrattività fino al rinnovo, dovendosi ritenere tale clausola come fissazione di un nuovo termine di scadenza.

Pronuncia innovativa del Tribunale astigiano, fondata sul richiamo dei precedenti della Corte di Cassazione, che afferma l’illegittimità della condotta del datore di lavoro che pretende di disapplicare un CCNL prima della sua scadenza e di imporre un diverso CCNL (nel caso la sostituzione del CCNL del terziario con un CCNL dei servizi stipulato da associazioni minori).

Nel caso di specie il CCNL terziario era in realtà scaduto ed in attesa di rinnovo, ma il Giudice analizzando il tenore della clausola di ultrattività del contratto ritiene che la stessa fosse sostitutiva dell’originario con un nuovo termine, individuato nella sottoscrizione di un nuovo CCNL. Ritenuta l’antisindacalità della condotta datoriale anche per violazione degli obblighi di informazione previsti dal CCNL.

PRIVACY.

Il Garante per la protezione dei dati personali, con ordinanza di ingiunzione n. 234 del 10.06.2021, si è pronunciato in merito al trattamento dei dati dei rider tramite l’utilizzo di una piattaforma digitale.

La società Foodinho S.r.l., controllata da GlovoApp23, dovrà modificare il trattamento dei dati dei propri rider – effettuato tramite l’utilizzo di una piattaforma digitale – e verificare che gli algoritmi di prenotazione e assegnazione degli ordini di cibo e prodotti non producano forme di discriminazione. In aggiunta, dovrà pagare una sanzione di Euro 2,6 milioni. È la decisione del Garante per la privacy, la prima riguardante i rider, all’esito di un primo ciclo ispettivo sulle modalità di gestione dei lavoratori di alcune delle principali società di food delivery che operano in Italia.