NEWSLETTER 11/2024

Novita’ normative

L. n. 143 del 7 ottobre 2024, di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 113 del 9 agosto 2024.

Indennità al lavoratore dipendente: il c.d. bonus Natale.

In sede di conversione del D.L. n. 113/2024 (c.d. decreto Omnibus), la L. n. 143/2024 introduce, sperimentalmente per il solo anno 2024, una indennità una tantum del valore di Euro 100 netti, da erogarsi congiuntamente alla tredicesima mensilità e da riproporzionare in funzione della durata del rapporto di lavoro, a favore dei lavoratori dipendenti che soddisfano specifici requisiti.

In concreto, sono destinatari del c.d. bonus Natale i lavoratori subordinati (compresi i lavoratori domestici e a domicilio) indipendentemente dalla tipologia contrattuale del rapporto di lavoro instaurato (a tempo determinato o indeterminato, a tempo pieno o a tempo parziale) e dalla qualifica assunta, che soddisfano tutti i seguenti requisiti:

  1. titolarità, nell’anno d’imposta 2024, di un reddito complessivo non superiore ad Euro 28 mila;
  2. imposta lorda determinata sui redditi di lavoro dipendente di importo superiore a quello della detrazione da lavoro spettante (ex art. 13, comma 1, TUIR);
  3. presenza di coniuge non legalmente ed effettivamente separato e di almeno un figlio, anche se nato fuori del matrimonio, riconosciuto, adottivo o affidato, entrambi (coniuge e figlio) fiscalmente a carico (ex art. 12, comma 2, TUIR), o in alternativa almeno un figlio fiscalmente a carico nel caso di nucleo familiare monogenitoriale.

L’indennità una tantum va riconosciuta dal datore di lavoro previa richiesta del lavoratore, il quale deve attestare per iscritto di avervi diritto.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interpello n. 4 del 30 settembre 2024.

Chiarimenti sul ruolo del preposto negli appalti.

Con l’interpello n. 4/2024 il Ministero del Lavoro è intervenuto in merito alla corretta interpretazione della modifica all’art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008, introdotta dalla L. n. 215/2021 (di conversione del D.L. n. 146/2021).

L’interpello chiarisce che, in considerazione dell’importanza del ruolo del preposto, è da considerarsi sempre obbligatorio che i datori di lavoro, appaltatori o subappaltatori, indichino al datore committente il personale che svolge detta funzione.

Inoltre, la Commissione sottolinea come la scelta del preposto debba ricadere solo su personale che possa effettivamente adempiere alle funzioni ed agli obblighi ad esso attribuiti, condizione quest’ultima che non sembra potersi rivenire se non quando il responsabile di commessa si reca presso il luogo dove si svolgono le attività.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 7020 del 25 settembre 2024.

L’INL ha fornito indicazioni operative in ordine al rilascio di provvedimenti autorizzativi per l’impiego di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo (art. 4, comma 1, L. n. 300/1970).

L’INL rileva che solo il datore di lavoro può richiedere l’autorizzazione all’installazione di sistemi di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Per tale motivo, non è possibile autorizzare l’installazione e l’utilizzo di strumenti qualora l’istante sia soggetto diverso dal datore di lavoro, ancorché titolare di rapporto di natura commerciale con quest’ultimo, al fine di evitare che vengano disattese le finalità per le quali la installazione di tali impianti può essere autorizzata.

In ogni caso tali sistemi di controllo, per essere autorizzati, devono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro ovvero per la tutela del patrimonio aziendale.

Novita’ GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, ordinanza 15 ottobre 2024, n. 26770.

Arrivare con un ritardo di 40 minuti sul luogo di espletamento del servizio di vigilanza comporta il licenziamento.

Il ritardo nel prendere servizio, considerata la natura del lavoro ed i rischi legati alla mancanza di vigilanza di una banca, costituisce una violazione grave: è, quindi, legittimo il licenziamento per grave negligenza e recidiva dell’addetto alla vigilanza con un ritardo 40 minuti nella presa di servizio.

La Corte di Cassazione con questa sentenza, nel confermare la legittimità del licenziamento, ha considerato la particolarità del servizio di vigilanza e ha rilevato che la disattenzione del lavoratore nella lettura della comunicazione delle variazioni di turno integrava un inadempimento di significativa gravità, lasciando l’istituto di credito committente privo del servizio di vigilanza.

Nel caso specifico, sulla sanzione comminata ha inciso anche la recidiva del lavoratore.

Corte di Cassazione, sentenza 14 ottobre 2024, n. 26634.

È legittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto durante il blocco dei licenziamenti Covid.

La vicenda riguarda una lavoratrice che aveva impugnato il proprio licenziamento, irrogato per superamento del periodo di comporto, in quanto intimato nel periodo di blocco dei licenziamenti per l’emergenza Covid. La Cassazione, confermando il rigetto delle sue domande, rileva che: (i) la legge del “blocco” riguarda esplicitamente, oltre i licenziamenti collettivi, solo quelli per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 della L. n. 300/70, tra i quali non rientra il superamento del periodo di comporto, specificatamente disciplinato dall’art. 2110 c.c., senza che ne sia possibile una inclusione nella legge sul “blocco” per analogia, data la specialità biunivoca delle norme citate; (ii) la possibilità di licenziamento per superamento del comporto anche nel periodo interessato dal blocco si ricava, d’altro canto, dalla previsione di non computabilità, ai suoi fini, del periodo trascorso in quarantena domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva.

Corte di Cassazione, ordinanza 10 ottobre 2024, n. 26446.

Licenziamento per offese al datore di lavoro su Facebook.

Una dipendente, dopo aver denunciato più volte la contaminazione del luogo di lavoro per la fuoriuscita di sostanze nocive ed a seguito di un infortunio per intossicazione che aveva coinvolto il marito, aveva pubblicato su Facebook commenti denigratori nei confronti della Società datrice di lavoro e del suo amministratore delegato. L’azienda, pertanto, licenziava immediatamente per insubordinazione e diffamazione la lavoratrice, che impugnò il provvedimento, portando il caso fino alla Suprema Corte.

La Corte di Cassazione, nell’accogliere le ragioni della dipendente, ha affermato che le offese pubblicate sui social network, se inserite in un contesto di reazione emotiva ad un fatto ingiusto, non costituiscono in automatico un reato o, come nel caso di specie, una giusta causa di licenziamento. Infatti, i giudici, pur riconoscendo come offensivo il comportamento della lavoratrice, hanno riconosciuto che fosse riconducibile ad uno sfogo e che non si potesse parlare di delitto né di insubordinazione in senso stretto. Le frasi denigratorie, secondo la Corte, non erano collegate all’inosservanza di direttive o ad un rifiuto di eseguire ordini, ma derivavano da una situazione di stress causata da un evento che la lavoratrice riteneva responsabilità del datore di lavoro.

Corte di Cassazione, ordinanza 10 ottobre 2024, n. 26440.

Legittimo il licenziamento del dipendente sgarbato e volgare.

Il caso ha avuto origine dal licenziamento disciplinare di un dipendente addetto al banco macelleria di un supermercato, accusato di aver utilizzato toni aggressivi e volgari verso un cliente. In primo grado, il Tribunale aveva accolto il ricorso del lavoratore contro il licenziamento, ma la Corte d’Appello di Cagliari, riformando tale decisione, ha confermato la legittimità del provvedimento.

La Cassazione, respingendo il ricorso del lavoratore avverso la sentenza di secondo grado, ha sottolineato che la giusta causa rappresenta una clausola generale, il cui contenuto viene definito dal giudice attraverso la considerazione di fattori esterni e principi sottesi. Il controllo effettuato dal giudice, in sede di legittimità, è limitato al giudizio di coerenza con gli standard dell’ordinamento e della realtà sociale. In questo caso, il ricorso del dipendente è stato respinto perché si limitava a contestare genericamente il giudizio della Corte territoriale, senza specificare quali fossero i parametri della clausola generale che sarebbero stati violati.

Corte di Cassazione, ordinanza 26 settembre 2024 n. 25724.

Legittimo il licenziamento del dipendente alla guida del mezzo aziendale senza patente.

La Corte di Cassazione ha giudicato legittimo il licenziamento disciplinare di un lavoratore per aver circolato con il mezzo aziendale senza patente valida e con il casco non allacciato.

Il dipendente, con mansioni di postino a mezzo di un ciclomotore, aveva sostenuto che il suo comportamento fosse colposo e non doloso, contestando la legittimità del licenziamento e la proporzionalità della sanzione.

Tuttavia, i giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso: è stata confermata la condotta dolosa del dipendente che non aveva comunicato la sospensione della patente, elemento che rappresentava un forte pregiudizio, anche potenziale, per l’azienda.

Corte di Cassazione, sentenza 16 ottobre 2024, n. 26881.

Contratti di lavoro atipici nella grande distribuzionee responsabilità solidale.

Due lavoratrici agivano in giudizio, deducendo di avere lavorato alle dipendenze di una società come commesse dei reparti di pescheria siti all’interno di due supermercati di altra società e chiedendo la condanna di quest’ultima al pagamento delle differenze retributive loro spettanti, a titolo di responsabilità solidale ex art. 29 D.Lgs. n. 276/2003.

La Suprema Corte ha riformato la sentenza di secondo grado, che aveva respinto le domande delle due lavoratrici, sul presupposto che, nel caso di specie, non sussistendo un contratto di appalto né di cessione di ramo di azienda ma essendo un contratto atipico, nato dalla prassi commerciale della grande distribuzione, non fosse applicabile l’art. 29 del D.Lgs n. 276/2003 che menziona esclusivamente l’appalto.

Pertanto, la Cassazione ha accolto il ricorso delle dipendenti e ha specificato che, in casi come quello di specie, è necessario verificare se vi sia stato un meccanismo che possa giustificare una applicazione della garanzia di cui all’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003.

Sulla base di tali presupposti il Collegio ha enunciato il principio di diritto secondo cui, in ipotesi di contratto atipico, a causa mista, adottato nella prassi della grande distribuzione commerciale, in cui la titolare dell’impresa ceda la gestione di un autonomo reparto, non preesistente, ad altra azienda, va verificato, analizzando gli elementi del contratto, l’interesse economico concreto della operazione, al fine di accertare se si verta in una ipotesi di decentramento e di dissociazione tra la titolarità del contratto di lavoro e l’utilizzazione della prestazione lavorativa che giustifichi la responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003.

Corte di Cassazione, ordinanza 10 ottobre 2024 n. 26417.

Modalità di fruizione dei permessi per assistere un familiare disabile.

La vicenda ha coinvolto una lavoratrice dipendente, licenziataper giusta causa per l’utilizzo indebito dei permessi per assistere il padre gravemente disabile, fruiti in cinque giornate lavorative. Secondo l’accusa la lavoratrice avrebbe dedicato all’assistenza familiare soltanto parte della giornata, mentre per il resto si sarebbe dedicata ad attività personali. Tuttavia, in giudizio era emerso che anche le attività apparentemente estranee (quali spesa, posta, farmacia, medico) erano, invece, riconducibili all’assistenza effettuata a favore del genitore. La Cassazione, nel rigettare il ricorso della società contro la sentenza di appello, riassume i seguenti principi: (i) elemento essenziale della fattispecie è l’esistenza di un diretto nesso causale tra la fruizione del permesso e l’assistenza del disabile; (ii) il permesso in questione è un diritto del lavoratore, non subordinato all’assenso o a condizionamenti da parte del datore di lavoro; (iii) la sua fruizione deve essere comunicata ex ante, per consentire al datore di organizzare di conseguenza l’attività di impresa; (iv) il dipendente non può conoscere a priori quali saranno le concrete esigenze di assistenza del disabile nel giorno indicato, pertanto la richiesta è riferita all’intera giornata e non ad ore predeterminate, fermo restando che l’assistenza potrà essere distribuita nell’arco della giornata secondo le variabili concrete esigenze del disabile.

Corte di Cassazione, ordinanza 4 ottobre 2024, n. 26071.

Dovuto il TFR anche ai soci lavoratori di cooperativa.

Confermando la decisione della Corte d’Appello, che aveva riconosciuto il diritto al TFR di un lavoratore socio di una cooperativa, la Cassazione osserva che: (i) la L. n. 142/01 riconosce al socio lavoratore di cooperativa le garanzie comuni previste dall’ordinamento a tutela del lavoro in generale, purché compatibili con la posizione di socio lavoratore dipendente come delineata dalla medesima legge; (ii) relativamente al diritto al TFR, nella L. n. 142/01 non vi è alcuna previsione che lo escluda; (iii) lo stesso Ministero del Lavoro, con risposta a interpello del 19 agosto 2008, n. 34, ha affermato che “per i soci lavoratori con rapporto di lavoro di tipo subordinato sussiste l’obbligo di applicazione di istituti normativi che la legge disciplina per la generalità dei lavoratori, tra i quali il trattamento di fine rapporto”.

Corte di Cassazione, ordinanza 27 settembre 2024, n. 25840.

Diritto alla retribuzione ordinaria e ticket mensa anche durante le ferie.

La Cassazione, nel confermare la pronuncia di merito, rileva che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, per come interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, comprende qualsiasi importo pecuniario collegabile all’esecuzione delle mansioni ed è correlato allo status personale e professionale del lavoratore. In ragione di ciò, la Corte ha affermato il principio secondo cui i buoni pasto regolarmente forniti durante il periodo lavorativo, trattandosi di un beneficio economico e costituendo una componente della retribuzione, non possono essere esclusi dalla retribuzione spettante al lavoratore durante le ferie.

Invero, secondo i giudici, una diminuzione della retribuzione ordinaria durante i periodi feriali potrebbe dissuadere il lavoratore dall’esercitare il proprio diritto al godimento delle ferie.

Ciò, secondo la Corte, è incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il diritto ad un riposo effettivo, anche a garanzia della tutela della salute e sicurezza.

Corte di Cassazione, ordinanza 12 settembre 2024, n. 24473.

Non è sciopero l’astensione dal lavoro che non è preceduta da una deliberazione collettiva.

La Corte d’Appello aveva dichiarato la legittimità della sanzione disciplinare applicata a cinque lavoratori per essersi astenuti dall’attività lavorativa in due diverse giornate, ritenendo che, in assenza di una deliberazione collettiva che attribuisse il carattere di sciopero al comportamento adottato dai lavoratori, questo fosse da qualificarsi come astensione ingiustificata dal lavoro assunta da singoli. La Cassazione, nel confermare la decisione dei giudici di merito, osserva che: (i) gli elementi che qualificano l’astensione dal lavoro come sciopero legittimo sono la natura dell’interesse collettivo da tutelare e la decisione concordata e preventiva circa l’adozione del comportamento di astensione dal lavoro; (ii) ove la decisione dell’astensione e delle modalità di esecuzione di essa siano lasciate totalmente ai singoli interessati, senza una loro predeterminazione collettiva, il datore di lavoro potrebbe essere esposto alla seria impossibilità di prevenire eventuali rischi per la salute di tutti i lavoratori ovvero rischi sulla produttività aziendale.

Corte di Cassazione, ordinanza 27 agosto 2024, n. 23176.

Patto di non concorrenza: corrispettivo solo dopo la documentazione.

La Corte di Cassazione ha affermato la legittimità della clausola inserita nel patto di non concorrenza che prevedeva che il compenso dovesse essere erogato alla fine di ogni trimestre, partendo dal trimestre successivo alla data di cessazione, sempre che il lavoratore presentasse la documentazione utile alla verifica del rispetto del patto.

Secondo la Corte, come condizione indispensabile per percepire il corrispettivo, il lavoratore doveva presentare, quindici giorni prima del pagamento, la documentazione che consentisse di verificare il rispetto del patto di non concorrenza e la mancata esibizione in tal senso avrebbe comportato il mancato indennizzo per ciascun periodo di tre mesi.

Tribunale di Trento, sentenza 16 luglio 2024, n. 132.

Utilizzo dello smartphone come cartellino presenze.

Il datore di lavoro può sostituire il sistema analogico di controllo dei turni di lavoro ed introdurre strumenti software, applicazioni e dispositivi elettronici per rilevare le presenze, se ciò consente di facilitare la timbratura da parte dei lavoratori. Infatti, il potere datoriale di organizzare il lavoro si esprime anche rispetto al meccanismo più funzionale alle esigenze aziendali per la rilevazione delle presenze ad inizio turno e al termine dell’orario di servizio. Secondo i giudici, i lavoratori, pertanto, hanno l’obbligo di attestare l’orario di ingresso e quello di uscita con le nuove modalità impartite dal datore di lavoro, anche se il sistema utilizzato, consistendo nell’accostamento del badge personale agli smartphone aziendali sui quali è stata installata un’apposita applicazione, risulta più invasivo rispetto al trattamento dei dati personali.

Newsletter Speciale

PATENTE A PUNTI

LA PATENTE A PUNTI NEI CANTIERI TEMPORANEI E MOBILI.

La patente a punti (o patente a crediti) per le imprese e per i lavoratori autonomi che lavorano nei cantieri è uno strumento a tutela dei lavoratori, introdotto dal D.L. n. 19/2024.

La patente, necessaria per le imprese e per i lavoratori autonomi per poter operare nei cantieri temporanei o mobili, è stata introdotta con l’obbiettivo di aumentare la sicurezza nei luoghi di lavoro, combattere il lavoro sommerso e tracciare il numero e la gravità degli incidenti sul lavoro.

Dal 1° ottobre è possibile presentare la domanda per ottenere la patente a punti.

Le due opzioni per la prima fase.

Sono due le opzioni messe a disposizione per ottenere la patente:

  • le imprese e i lavoratori autonomi possono presentare la domanda per ottenere la patente accedendo al “Portale dei Servizi” dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), tramite SPID personale o CIE;
  • le imprese ed i lavoratori autonomi che già operano in cantieri attivi, possono presentare una autocertificazione/dichiarazione sostitutiva, concernente il possesso dei requisiti richiesti, tramite PEC (all’indirizzo: dichiarazionepatente@pec.ispettorato.gov.it), secondo il modello allegato alla circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro dello scorso 23 settembre (reperibile sul sito dell’INL).

Tuttavia, dal 1° novembre, scade la fase transitoria e, pertanto, non sarà più possibile operare in cantiere in forza della semplice autocertificazione/dichiarazione sostitutiva, risultando necessaria la presentazione della domanda.

Chi non deve presentare la domanda.

Le sole esclusioni riguardano:

  • i soggetti che nei cantieri effettuano “mere forniture”;
  • i soggetti che nei cantieri forniscono “prestazioni di natura intellettuale” (ad esempio, ingegneri, architetti, geometri);
  • le imprese in possesso dell’attestazione di qualificazione SOA, in classifica pari o superiore alla III.

I passaggi successivi.

Possono presentare la domanda di rilascio della patente, il legale rappresentante dell’impresa e il lavoratore autonomo, anche tramite un soggetto delegato, ivi compresi consulenti del lavoro, commercialisti, avvocati e CAF.

All’esito della richiesta, il portale dell’INL genererà un codice alfanumerico e univoco associato alla patente. Una volta completata la fase di verifica sul possesso dei requisiti, la patente sarà poi rilasciata in formato digitale.

In ogni caso, già dopo la presentazione della domanda, nelle more del rilascio della patente è consentito lo svolgimento delle attività, salva diversa comunicazione notificata dall’INL.

I requisiti richiesti.

Per il rilascio della patente è richiesto il possesso di specifici requisiti. Se, in sede di controllo successivo al rilascio, risulti la non veridicità di una o più dichiarazioni rese in ordine alla sussitenza dei requisiti, la patente è revocata.

È possibile richiedere il rilascio di una nuova patente solo una volta decorsi 12 mesi dalla intervenuta revoca.

Nello specifico, i requisiti richiesti sono i seguenti:

  1. iscrizione presso la Camera di Commercio, Industria e Artigianato;
  2. adempimento degli obblighi formativi da parte del datore di lavoro, dei dirigenti, dei preposti, dei lavoratori autonomi e dei lavoratori dell’impresa;
  3. possesso del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) in corso di validità;
  4. possesso del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR);
  5. possesso del Documento Unico di Regolarità Fiscale (DURF);
  6. avvenuta designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, nei casi previsti dalla normativa vigente.

Informazioni contenute nella patente.

Le informazioni relative alla patente confluiscono in un’apposita sezione del portale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Nello specifico, sono rinvenibili, nel portale, le seguenti informazioni:

  1. dati identificativi della persona giuridica, dell’imprenditore individuale o del lavoratore autonomo titolare della patente;
  2. dati anagrafici del soggetto richiedente la patente;
  3. data di rilascio e numero della patente;
  4. punteggio attribuito al momento del rilascio;
  5. punteggio aggiornato alla data di interrogazione del portale;
  6. eventuali provvedimenti di sospensione di cui all’art. 27, comma 8, del TUSL;
  7. eventuali provvedimenti definitivi ai quali consegue la decurtazione dei crediti ai sensi dell’art. 27, comma 6, del TUSL.

Attribuzione dei punti.

La patente può ottenere un punteggio massimo di 100 crediti, così assegnati:

  1. crediti base: 30 crediti attribuiti al momento di rilascio della patente;
    1. crediti per storicità dell’azienda: fino a 30 crediti complessivi, di cui:
      1. fino a 10 crediti attribuiti al momento del rilascio della patente in base alla data di iscrizione del soggetto richiedente alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, secondo la tabella allegata al decreto;
      1. in ragione della mancanza di provvedimenti di decurtazione del punteggio, la patente è incrementata di un credito per ciascun biennio successivo al rilascio della stessa, sino ad un massimo di 20 crediti;
    1. crediti ulteriori: fino a 40 crediti attribuibili per investimenti o formazione in tema di salute e sicurezza sul lavoro.

In caso di patente con punteggio inferiore a 15 crediti, è consentito il completamento delle attività oggetto di appalto o subappalto in corso di esecuzione, quando i lavori eseguiti sono superiori al 30% del valore del contratto.

Decurtazione dei crediti.

Quando un’azienda riceve sanzioni, in caso di violazione delle normative vigenti in tema di salute e sicurezza, il punteggio della sua patente diminuisce proporzionalmente alla gravità delle infrazioni commesse.

Se nell’ambito del medesimo accertamento ispettivo sono contestate più violazioni, i crediti sono decurtati in misura non eccedente il doppio di quella prevista per la violazione più grave.

In caso di patente con punteggio inferiore alla soglia di 15 crediti, il recupero del punteggio fino a tale soglia è subordinato alla valutazione di una Commissione territoriale composta dai rappresentanti dell’INL e dell’INAIL.

La valutazione della Commissione territoriale tiene conto dell’adempimento dell’obbligo formativo in relazione ai corsi in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da parte dei soggetti responsabili di almeno una delle violazioni di cui all’allegato I-bis, nonché dei lavoratori occupati presso il cantiere o i cantieri ove si è verificata la predetta violazione e della eventuale realizzazione di uno o più investimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, secondo quanto indicato dall’art. 5, comma 2, del decreto che li elenca.

Sospensione della patente.

La sospensione della patente:

  • è obbligatoria se si verificano infortuni da cui deriva la morte di uno o più lavoratori imputabile al datore di lavoro, al suo delegato ovvero al dirigente per colpa grave;
  • può essere adottata nel caso di infortuni da cui deriva l’inabilità permanente di uno o più lavoratori o una irreversibile menomazione, suscettibile di essere accertata immediatamente, imputabile a colpa grave.

La sospensione è determinata tenendo conto della gravità degli infortuni, nonché della gravità della violazione in materia di salute e sicurezza e delle eventuali recidive.

Il provvedimento è adottato dall’Ispettorato del lavoro territorialmente competente e la durata della sospensione non può, in ogni caso, essere superiore a 12 mesi. Avverso il provvedimento cautelare di sospensione è ammesso ricorso.

Sanzioni per chi opera senza patente o con crediti insufficienti.

I soggetti che, in violazione della normativa, operino in cantiere senza patente o con crediti inferiori a 15 sono puniti con:

  • sanzione amministrativa fino al 10% del valore complessivo dei lavori, con un minimo di 6.000 euro;
  • interruzione immediata delle attività nel caso in cui il punteggio della patente scenda sotto i 15 crediti, con la possibilità di riprendere le attività solo una volta che i crediti saranno reintegrati.

NEWSLETTER 10/2024

Novità normative

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, D.M. 18 settembre 2024 n. 132, pubblicato in G.U. n. 221 del 20 settembre 2024.

Patente a crediti per le imprese e i lavoratori autonomi operanti nei cantieri temporanei o mobili: modalità di presentazione della domanda.

Il Ministro del Lavoro ha emanato il Decreto n. 132/2024, contenente il Regolamento relativo all’individuazione delle modalità di presentazione della domanda per il conseguimento della patente per le imprese e i lavoratori autonomi operanti nei cantieri temporanei o mobili, indipendentemente dal tipo di attività svolta. Tale decreto era stato previsto dal D.L. n. 19/2024 (cd. Decreto PNRR), che ha modificato il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Al riguardo, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), con la Circolare n. 4 del 23 settembre 2024, ha fornito le prime indicazioni, specificando che il portale per effettuare la richiesta di rilascio della patente a crediti sarà attivo, sul sito dell’INL, dal 1° ottobre 2024 e l’accesso sarà possibile attraverso SPID personale o CIE.

Inoltre, dal 23 settembre 2024 è possibile presentare una autocertificazione/dichiarazione sostitutiva (tramite PEC, all’indirizzo: dichiarazionepatente@pec.ispettorato.gov.it) concernente il possesso dei requisiti previsti dall’art. 27, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008, laddove richiesti dalla normativa vigente. La trasmissione della autocertificazione/dichiarazione sostitutiva avrà efficacia fino al 31 ottobre 2024 e vincola l’operatore a presentare la domanda per il rilascio della patente mediante il portale dell’INL entro la medesima data, non essendo infatti possibile operare in cantiere in forza della sola autocertificazione/dichiarazione sostitutiva.

D.L. 16 settembre 2024 n. 131, pubblicato in G.U. n. 217 del 16 settembre 2024.

Violazione della normativa sui contratti a termine: in caso di conversione in contratto a tempo indeterminato il Giudice del lavoro potrà riconoscere un indennizzo superiore a 12 mensilità nel privato e compreso tra 4 e 24 mensilità nel pubblico impiego.

Il 17 settembre 2024 è entrato in vigore il D.L. n. 131/2024 (c.d. Decreto salva infrazioni), il quale è intervenuto anche sulla disciplina dei contratti di lavoro a termine, in particolare sul regime sanzionatorio, dando seguito alla richiesta dell’UE di conformare la normativa interna alla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato. L’intervento consiste in due norme distinte, ossia gli artt. 11 e 12, relativi rispettivamente ai datori di lavoro privati e al settore pubblico.

  • L’art. 11 ha modificato l’art. 28 del D.Lgs. n. 81/2015, commi 2 e 3, inerente alla quantificazione del risarcimento dovuto ai lavoratori nelle ipotesi di conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. L’art. 11, comma 1, lettera a) ha aggiunto alla precedente formulazione dell’art. 28, comma 2, la seguente disposizione: «Resta ferma la possibilità per il giudice di stabilire l’indennità in misura superiore se il lavoratore dimostra di aver subito un maggior danno», introducendo la possibilità per il giudice, in caso di conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, di riconoscere al lavoratore un indennizzo superiore a 12 mensilità. L’art. 11, comma 1, lettera b), ha abrogato il comma 3 dell’art. 28, che stabiliva che la soglia massima dell’indennizzo, pari a 12 mensilità, fosse dimezzata in presenza di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie.
  • L’art. 12 del D.L. n. 131/2024 interviene, invece, sulla disciplina dei contratti a termine nelle amministrazioni pubbliche, e, nello specifico, sull’art. 36 del D.Lgs. n. 165/2001, nel quale si afferma che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori (tra le quali rientrano quelle che pongono limiti ai rapporti a termine) non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni, diversamente da quanto accade nel settore privato. Pertanto, l’unica sanzione prevista per le violazioni rimane il risarcimento del danno. Sulla scorta delle intimazioni da parte dell’UE, nella norma ora introdotta, si prevede che, nel caso di abuso nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti a termine, l’indennizzo sia compreso tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, avuto riguardo alla gravità della violazione, anche in base al numero dei contratti intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto e – come nella modificata normativa sui contratti a tempo determinato nel settore privato – fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno.

INPS, messaggio 30 agosto 2024, n. 2909.

Pagamento diretto delle indennità di malattia e maternità nei casi di mancata anticipazione da parte del datore di lavoro.

L’INPS, con il messaggio n. 2909/2024, riepiloga le ipotesi di pagamento diretto delle indennità di malattia, maternità, permessi ex L. n. 104/1992 e congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151/2001.

L’Istituto individua le seguenti ipotesi di pagamento diretto delle indennità in questione:

  • ipotesi in cui il datore di lavoro sia stato sottoposto a procedura concorsuale;
  • ipotesi di aziende tuttora attive che rifiutino espressamente di anticipare le indennità agli aventi diritto;
  • ipotesi in cui l’Istituto stia effettuando il pagamento diretto del trattamento di integrazione salariale, anche in deroga;
  • ipotesi in cui l’Ispettorato territoriale del lavoro, previo accertamento dell’inadempimento datoriale, abbia disposto il pagamento diretto della prestazione;
  • ipotesi in cui l’omessa anticipazione sia riferita ad eventi indennizzabili insorti nel corso dell’attività di azienda successivamente cessata;
  • ipotesi di aziende per le quali non sussiste l’obbligo di anticipazione prevista al comma 7 dell’art. 1, DL n. 663/1979, in carenza di relativa previsione nel CCNL di riferimento.

Novita’ GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, ordinanza 5 settembre 2024, n. 23852.

Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, può configurare la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 23852, ha affermato che può essere licenziato il lavoratore che fa sport (nella fattispecie, si trattava della partecipazione ad un torneo di calcio, da tempo programmato) durante l’assenza dal lavoro per malattia.

I giudici hanno evidenziato che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, può integrare una violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà oltre che dei doveri generali di correttezza e buona fede. A ciò si aggiunga che tale attività esterna può, di per sé, risultare sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia. Nel caso in esame la Corte ha ritenuto la condotta del dipendente diretta, tramite la simulazione

di uno stato fisico incompatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa, non solo all’assenza dal lavoro, ma anche al vantaggio indebito della partecipazione, in orario lavorativo, ad una partita di calcio previamente programmata.

Corte di Cassazione, ordinanza interlocutoria 5 settembre 2024, n. 23874.

Ancora una possibile anomalia nella disciplina dei licenziamenti sottoposta all’esame della Corte costituzionale.

La sezione lavoro della Cassazione era stata chiamata a pronunciarsi sui fatti inerenti ad una lavoratrice, la quale chiedeva che il proprio ritardo nell’impugnazione del licenziamento fosse ritenuto giustificato, in ragione del fatto che al momento della ricezione dell’atto e nei giorni successivi si trovava in condizioni di incapacità naturale.

La sezione lavoro ha rinviato la questione alle sezioni unite della Corte, per riesaminare la questione dell’eventuale incidenza dello stato di incapacità naturale, che nel caso in esame era stato processualmente dimostrato e non contestato, sulla presunzione di conoscenza dell’atto unilaterale ricettizio prevista dall’art. 1335 c.c. al momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario. Le sezioni unite hanno dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della L. 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui, nel prevedere che “il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, …”, fa decorrere, anche nei casi di incolpevole incapacità naturale del lavoratore licenziato, processualmente accertata e conseguente alle sue condizioni di salute, il termine di decadenza dalla ricezione dell’atto, anziché dalla data di cessazione dello stato di incapacità.

Corte di Cassazione, ordinanza 30 luglio 2024, n. 21299.

Licenziamento del dirigente: applicabile la procedura del licenziamento collettivo.

La Cassazione ha affermato che le procedure di informazione e consultazione sindacale, previste per il licenziamento collettivo, devono attuarsi anche qualora il recesso riguardi i dirigenti.

Nel caso di specie, il dirigente aveva impugnato il licenziamento irrogatogli, deducendo la violazione della procedura prevista in tema di licenziamento collettivo. La Corte d’Appello nell’accogliere la predetta domanda, ha ritenuto applicabile anche ai

dirigenti la procedura di cui alla L. n. 223/1991. La Cassazione ha successivamente confermato la pronuncia di merito, rilevando che: (i) l’art. 24, co. 1-quinquies, della L. n. 223/91 è stato introdotto dopo che l’Italia era stata condannata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per avere escluso la categoria dei dirigenti dall’ambito di applicazione della procedura nazionale sui licenziamenti collettivi; (ii) gli obblighi di informazione e di consultazione rappresentano il nucleo della direttiva europea sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia; (iii) poiché nella normativa europea e neppure nell’art. 24, comma 1-quinquies non vi è traccia di una distinzione tra licenziamenti collettivi intimati all’esito di una sospensione in CIGS ovvero disposti senza tale previa sospensione, le procedure di informazione e consultazione si applicano anche ai dirigenti in ogni caso di licenziamento collettivo. Pertanto, le procedure di informazione e consultazione si devono applicare anche ai dirigenti.

Corte di Cassazione, ordinanza 3 settembre 2024, n. 23610.

La necessità di pagare lo straordinario prevale se la prestazione è stata svolta in linea con la volontà del datore.

Con questa recente ordinanza, la Cassazione ha stabilito che il lavoro straordinario deve essere retribuito anche in assenza di autorizzazione formale, in quanto è sufficiente che ci sia il consenso del datore di lavoro.

I giudici della Corte hanno affermato che, sebbene il lavoro aggiuntivo richieda specifiche autorizzazioni e condizioni, nel pubblico impiego lo straordinario deve essere pagato sempre, anche in assenza di autorizzazioni formali, purché svolto con il consenso del datore di lavoro.

L’ordinanza in esame, pertanto, fornisce un principio fondamentale in materia di protezione dei diritti dei dipendenti pubblici, assicurando agli stessi una giusta ed adeguata remunerazione per l’attività lavorativa in concreto svolta.

Corte di Cassazione, sentenza 7 agosto 2024, n. 22362.

Illegittime le trattenute a titolo di costi di gestione della cessione del quinto.

La Cassazione conferma l’illegittimità delle trattenute, effettuate da una società, dallo stipendio di alcuni dipendenti a titolo di costi di gestione amministrativi della cessione del quinto del loro stipendio, in un giudizio in cui tali dipendenti ne chiedevano la restituzione. In proposito, la Corte osserva che: (i) la cessione del quinto, quale cessione di credito, per la cui validità non è richiesto il consenso del debitore

ceduto, è opponibile a questi purché egli ne sia a conoscenza; (ii) essa inerisce al rapporto di lavoro, ancorché non sia strettamente funzionale alla modulazione dello stesso, in quanto prevista dalla legge, che in proposito attribuisce ai dipendenti un vero e proprio diritto potestativo, con conseguente riconduzione delle spese relative nell’ambito di quelle a carico del datore di lavoro per la gestione del rapporto; (iii) questi potrebbe, peraltro, liberarsi del relativo obbligo, unicamente provandone l’eccessiva onerosità in rapporto all’organizzazione amministrativa che l’impresa ha l’onere di predisporre in funzione delle dimensioni aziendali.

Corte di Cassazione, ordinanza 10 maggio 2024, n. 12790.

Il lavoratore non può rifiutarsi di partecipare ai corsi di formazione sulla sicurezza neppure se sono organizzati al di fuori del proprio normale orario di lavoro.

La Cassazione ha ritenuto che l’art. 37, comma 12, D.Lgs. n. 81/2008, nella parte in cui prescrive che la formazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro deve avvenire “durante l’orario di lavoro”, vada interpretato nel senso che tale locuzione sia comprensiva anche dell’orario relativo a prestazioni esigibili al di fuori dell’orario di lavoro. Nello specifico, si deve fare riferimento all’orario ordinario, di legge o previsto dal contratto collettivo, per i lavoratori a tempo pieno e di quello concordato, per i lavoratori a tempo parziale, con conseguente illegittimità del rifiuto, da parte del lavoratore, di svolgere la formazione fuori dai propri turni di lavoro.