Novita’ normative
Dimissioni per fatti concludenti – Modello di comunicazione all’ITL.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha emanato la nota prot. n. 3984 del 29 aprile 2025, con la quale, tenendo conto delle indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 6 del 27 marzo 2025, aggiorna il modello di comunicazione all’Ispettorato Territoriale del Lavoro, riguardante l’informativa circa l’assenza ingiustificata commessa dal lavoratore, prevista dall’articolo 26, comma 7-bis, del decreto legislativo n. 151/2015, introdotto dall’articolo 19 della Legge n. 203/2024.
Donazione sangue – Rimborso ai datori di lavoro del settore privato | ADLABOR.
L’INPS, con la circolare n. 96 del 26 maggio 2025, fornisce indicazioni per il rimborso ai datori di lavoro privati delle retribuzioni corrisposte per le giornate o le ore di riposo fruite dai lavoratori dipendenti donatori di sangue o giudicati non idonei alla donazione stessa.
Il datore di lavoro, entro e non oltre il mese successivo a quello in cui il lavoratore ha donato il sangue, o è risultato non idoneo alla donazione, può ottenere il rimborso dell’importo della retribuzione pagata direttamente al lavoratore, avendo cura di conservare per dieci anni la seguente documentazione:
• certificati medici e dichiarazioni dei donatori per i lavoratori che hanno effettuato la donazione di sangue;
• certificati di inidoneità per i lavoratori giudicati inidonei alla donazione di sangue.
La normativa prevede che i datori di lavoro che anticipano le retribuzioni ai donatori di sangue possono procedere al conguaglio con i contributi o altre somme dovute all’INPS.
A tale fine, il datore di lavoro deve compilare il flusso UNIEMENS, specificando i dati informativi relativi alla tipologia di assenza intervenuta nel mese in cui si verifica l’evento, nonché quelli specificamente riferiti al conguaglio della retribuzione anticipata.
Classificazione e tutele del lavoro dei ciclo-fattorini delle piattaforme digitali: i chiarimenti del Ministro del Lavoro.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare n. 9 del 18 aprile 2025.
In attesa del recepimento, entro il 2 dicembre 2026, della recente Direttiva (UE) 2024/2831 il
Ministero del Lavoro con la circolare n. 9/2025 esamina le modalità di svolgimento delle prestazioni rese dai ciclo-fattorini delle piattaforme digitali fornendo alcune indicazioni che, a legislazione vigente, possano risultare utili per una ricognizione quanto più possibile puntuale delle effettive modalità attraverso le quali è resa l’attività lavorativa nel settore.
Si evidenzia in particolare la necessità di garantire, in ogni caso, un adeguato contenuto di tutela per il lavoro dei riders, a prescindere dalla tipologia contrattuale (lavoro autonomo, subordinato e parasubordinato) impiegata, nella consapevolezza della insufficienza dei tentativi di esclusiva riconduzione forzosa al rapporto di lavoro subordinato.
Datori di lavoro, formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza.
Viene finalmente introdotto anche per i datori di lavoro l’obbligo di formazione in materia di salute e sicurezza, per una durata di almeno sedici ore. Lo prevede l’accordo sottoscritto il 17 aprile dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano che ha recepito le importanti modifiche all’art. 37 del Testo unico salute e sicurezza sui luoghi di lavoro in materia di formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, previste dal decreto-legge n. 146/2021.
Secondo quanto stabilito dal decreto, la Conferenza Stato-Regioni-Province autonome avrebbe dovuto adottare l’accordo entro il 30 giugno 2022, per provvedere, tra l’altro, all’accorpamento, alla rivisitazione e alla modifica degli accordi attuativi del D.Lgs n. 81/2008 in materia di formazione, in modo da garantire l’individuazione della durata, dei contenuti minimi della formazione obbligatoria a carico del datore di lavoro, nonché l’individuazione delle modalità della verifica finale di apprendimento dei discenti di tutti i percorsi formativi e di aggiornamento obbligatori in materia di salute e sicurezza e relative verifiche.
Erogazione mensile del TFR in busta paga: inammissibile per l’Ispettorato del Lavoro.
Nel chiarimento fornito con la nota n. 616/2025 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro affronta la controversa questione della possibilità di erogare il TFR mensilmente in busta paga a titolo di anticipazione, molto frequente nell’ambito del lavoro a tempo determinato e stagionale.
L’INL ritiene che la pattuizione collettiva o individuale possa avere ad oggetto una mera anticipazione dell’accantonamento maturato al momento della pattuizione, ma non un automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile di TFR: questa operazione contrasterebbe infatti con la ratio dell’istituto, ovvero assicurare al lavoratore un supporto economico al termine del rapporto di lavoro.
Il pagamento mensile del rateo di TFR maturato finirebbe per costituire, oltretutto, una integrazione alla normale retribuzione, con conseguenti ricadute sul piano sia contributivo che fiscale. Il trattamento di fine rapporto è difatti, per definizione, un elemento retributivo differito costituito dagli accantonamenti effettuati annualmente e dalla rivalutazione periodica calcolata sugli importi già accantonati. Proprio per questo motivo, al momento della sua liquidazione, non è soggetto a contribuzione previdenziale e tassazione ordinaria, ma solamente a tassazione separata.
Pertanto, nel caso in cui il personale ispettivo dovesse ravvisare irregolarità, dovrà intimare al datore di lavoro di accantonare le quote di TFR illegittimamente anticipate.
Novita’ GIURISPRUDENZIALI
Corte di cassazione ordinanza n. 7825/2025.
Afferma che il licenziamento di un lavoratore per aver utilizzato il computer aziendale per scopi privati è illegittimo se non sussiste una condotta di particolare gravità.
L’uso improprio dello strumento di lavoro non giustifica il recesso se non c’è un intento lesivo verso l’azienda. La decisione deve basarsi su alcuni criteri come la limitata entità delle violazioni e l’assenza di un danno concreto o di un pregiudizio per il datore.
Corte di Cassazione, ordinanza 23 aprile 2025, n. 10648.
La reperibilità con pernottamento in azienda costituisce “orario di lavoro” da retribuire adeguatamente.
La Corte cassa la sentenza dei giudici dell’appello che avevano respinto la domanda di pagamento di ore di straordinario notturno svolte dal ricorrente in regime di reperibilità con pernottamento in azienda, ritenendo applicabile la norma collettiva che prevedeva al riguardo un’indennità mensile di poche decine di euro. Accogliendo il ricorso del lavoratore, la Corte osserva che: in base alla normativa UE (Direttiva 2003/88/CE) e alla giurisprudenza della Corte di giustizia, il tempo di reperibilità con obbligo di presenza fisica presso il luogo di lavoro è da considerare a tutti gli effetti orario di lavoro, pertanto da retribuire, anche se non implichi attività lavorativa effettiva, pur non derivandone automaticamente il diritto alla retribuzione prevista per il lavoro straordinario, il trattamento economico per tali periodi deve rispettare i principi di proporzionalità e sufficienza sanciti dall’art. 36 Cost., con possibile non applicazione della diversa disciplina nazionale di legge o collettiva.
Corte di cassazione, ordinanza interlocutoria, 12 maggio 2025, n. 12572.
Rinvio pregiudiziale alla Corte UE sulle tutele anti-abusi nei contratti a termine del settore agricolo.
La vicenda trae origine dai ricorsi di due operai utilizzati per anni con una pluralità di contratti a termine dalla medesima azienda agricola. Le loro domande di conversione in rapporti a tempo indeterminato erano state respinte dalla Corte d’appello, secondo cui l’esclusione del lavoro agricolo a termine dalla disciplina generale sul contratto a tempo determinato (art. 10, co. 2, d.lgs. 368/01, oggi art. 29, co. 1, lett. b, d.lgs. 81/15), sarebbe compensata da una norma di fonte collettiva (art. 20 CCNL operai agricoli) che, riconoscendo il diritto alla trasformazione per chi abbia prestato almeno 180 giornate di lavoro effettivo in 12 mesi, garantirebbe un adeguato presidio contro gli abusi nella successione dei contratti a tempo determinato. La Cassazione dubita tuttavia della conformità di tale assetto con la clausola 5 dell’Accordo quadro europeo, che impone agli Stati membri l’adozione di misure efficaci e vincolanti per prevenire l’abuso dei contratti a termine e, all’esito di un’analitica ricostruzione della normativa e della prassi nazionale ed eurounitaria, chiede l’intervento della Corte di Giustizia UE al fine di chiarire (i) se la clausola 5 osta all’esclusione, disposta dal diritto nazionale, dei rapporti di lavoro tra datori agricoli e operai a termine dall’ambito di applicazione delle norme generali sul contratto a termine attuative della direttiva; (ii) se la misura prevista dal CCNL (trasformazione automatica al superamento delle 180 giornate, esercitabile entro sei mesi) possa considerarsi equivalente, alla luce delle peculiarità del settore, alle garanzie richieste dalla direttiva.
Garante per la Protezione dei dati personali, provvedimento n. 135.
Illegittimo geolocalizzare i dipendenti in smart working
Con provvedimento n. 135/2025 il Garante della Privacy ha irrogato una sanzione di 50.000 euro a un ente che si è avvalso di una app per accedere alla posizione geografica dei dipendenti nelle giornate di lavoro agile. Nel caso valutato il personale veniva scelto a campione e contattato telefonicamente con la richiesta di attivare il sistema di geolocalizzazione mediante la timbratura in entrata e in uscita e con ulteriore richiesta di inviare al responsabile in azienda una e-mail con indicato il luogo in cui si trovava in quel preciso momento. A seguito di verifiche, se avesse riscontrato un’incongruenza nei dati, l’ente avrebbe dato impulso a un’azione disciplinare. Da una di queste ha avuto origine la decisione di una dipendente di presentare reclamo.
Il Garante ha ritenuto sanzionabile questa condotta, stabilendo che il datore di lavoro che utilizza il sistema di geolocalizzazione per identificare la posizione dei dipendenti che svolgono lavoro agile si espone alla violazione dell’articolo 4 della legge n. 300/1970, perché anche nei giorni di smart working l’impiego di strumenti elettronici dai quali possa derivare il controllo a distanza dell’attività lavorativa presuppone una specifica finalità (tutela del patrimonio aziendale, ragioni
di sicurezza, etc.). A parere del Garante l’esigenza di geolocalizzare i lavoratori durante la fascia
di reperibilità, consentendo in tal modo di verificare che il luogo di svolgimento della prestazione da remoto coincida con una delle sedi previste nell’accordo individuale di smart working, esula da queste finalità e costituisce quindi un controllo vietato.
Il provvedimento pone inoltre un tema centrale rispetto alla protezione dei dati personali, perché il monitoraggio realizzato attraverso l’applicazione sullo smartphone o notebook in uso ai dipendenti costituisce un trattamento sprovvisto di idonea base giuridica, ponendosi in contrasto con i principi di liceità, correttezza e trasparenza alla base del regolamento Ue 2016/679.
In questo ambito è irrilevante che sia stato raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, perché l’uso datoriale dell’applicazione che geolocalizza i lavoratori in smart working costituisce un trattamento finalizzato a controllare direttamente l’attività lavorativa, in evidente contrasto con il principio di limitazione della finalità previsto dal regolamento stesso. Il Garante inoltre sottolinea che il lavoro agile presenta margini di libertà nello sviluppo della vita privata superiori rispetto al tradizionale svolgimento della prestazione lavorativa in presenza: in quest’ottica l’utilizzo della geolocalizzazione per verificare la posizione dei dipendenti può comportare “una disparità di trattamento a svantaggio dei soli dipendenti che fruiscono del lavoro agile”. È altrettanto irrilevante che l’applicazione richieda il consenso ai lavoratori per poter accedere alla loro posizione, perché esso non costituisce, in tale contesto, un valido presupposto di liceità per il trattamento dei dati personali.
Corte d’Appello di Milano, 24 aprile 2025.
l lavoratore non può utilizzare i dati di cui viene in possesso nell’esercizio delle sue mansioni per fini diversi da quelli richiesti dal datore.
Il dipendente non può utilizzare i dati personali di terzi acquisiti durante lo svolgimento delle proprie mansioni per finalità diverse da quelle aziendali, ad esempio per fini personali. L’utilizzo improprio dei dati, secondo la Corte, viola infatti gli obblighi di diligenza e fedeltà del dipendente, compromettendo il vincolo fiduciario con il datore di lavoro. Nella valutazione della proporzionalità del licenziamento devono essere considerate la gravità oggettiva e soggettiva del fatto, le mansioni svolte, il grado di fiducia richiesto, e l’impatto sull’immagine e sulla reputazione aziendale. Nel caso di specie, riguardante il caso di un dipendente che aveva estratto i dati di una candidata dal curriculum inviato da quest’ultima al fine di contattarla per scopi personali, il Collegio ha confermato la legittimità del licenziamento.
Corte di cassazione, ordinanza 15 aprile 2025, n. 9831.
Non si interrompe il comporto se il dipendente non è in malattia quando chiede le ferie.
Una dipendente, rientrata in servizio da un lungo periodo di malattia, aveva chiesto alcuni giorni di ferie, negati dal datore, cadendo successivamente di nuovo in malattia nei giorni per i quali aveva inutilmente chiesto le ferie. Impugnando il successivo licenziamento per superamento del periodo di comporto, maturato proprio per effetto di quei giorni di ferie negate, la lavoratrice aveva contestato il rifiuto delle ferie e sostenuto l’avvenuta conversione della malattia di quei giorni in ferie, con la conseguenza del mancato superamento del comporto. La Cassazione, confermando la decisione di merito – che aveva ritenuto giustificato il rifiuto delle ferie e computabile la malattia in questione nel comporto –, precisa che: la conversione dell’assenza da malattia a ferie (o viceversa) richiede l’effettiva presenza dello stato di malattia al momento della richiesta; quest’ultima non può quindi avvenire prima, quando non vi è malattia, o dopo, a comporto ormai superato, nel tentativo di imputare retroattivamente l’assenza a ferie il datore di lavoro può legittimamente negare la fruizione delle ferie in presenza di esigenze organizzative ostative concrete ed effettive, tenuto anche conto degli interessi del dipendente.
Corte di cassazione, sentenza 11 aprile 2025 n. 9544.
Un altro passo avanti della tutela reintegratoria: si applica anche in caso di radicale assenza di motivazione del licenziamento.
Avendo accertato l’esistenza tra le parti di un rapporto di co.co.co. dal 2014, cessato su iniziativa del committente, la Corte d’appello, applicando l’art. 69 D. Lgs. n. 276(2003), aveva dichiarato la conversione del contratto, in quanto privo di progetto, in lavoro subordinato e dichiarato inefficace il licenziamento, perché senza motivazione, applicando la tutela indennitaria stabilita dal 6* comma art. 18 S.L. (come modificato dalla legge Fornero). Cassando la sentenza dei giudici dell’appello, la Corte, nel caso di imprese con più di 15 dipendenti, distingue, per ragioni di coerenza di sistema, dalla mancanza di specificazione di motivi comunque addotti, che dà luogo alla tutela indennitaria di cui al comma 6*, l’ipotesi in cui manchi del tutto o sia assolutamente generica tale indicazione, alla quale, come e a maggior ragione del caso di insussistenza del fatto contestato o costituente motivo oggettivo di licenziamento, va applicata la tutela reintegratoria con indennizzo c.d. minore.
Corte di cassazione, ordinanza 8 aprile 2025 n. 9257.
Diniego di originale e contestazione di conformità della copia di un documento prodotta in giudizio.
Nella causa per risarcimento danni promossa da una società nei confronti di due ex dipendenti per violazione dell’obbligo di fedeltà, il motivo di ricorso per cassazione di questi ultimi di nullità della sentenza di appello per aver ritenuto prova legale riproduzioni meccaniche oggetto di disconoscimento, senza effettuare gli accertamenti tecnici richiesti in questo caso -, dà modo alla Corte di ribadire la distinzione tra contestazione dell’esistenza stessa di un documento, che richiede necessariamente la querela di falso, proponibile anche avverso la copia prodotta in giudizio e disconoscimento di conformità all’originale, che attiene invece al contenuto del documento prodotto in copia, la cui non conformità all’originale può essere accertata dal giudice anche attraverso testimonianze o addirittura mediante presunzioni, come correttamente avvenuto nel caso esaminato, in assenza di una querela di falso.
Tribunale di Milano, 4 febbraio 2025.
Un caso di dequalificazione alla luce dell’art. 2103 c.c. come modificato nel 2015: risarcimento del danno.
Una sentenza ben motivata che ripercorre il quadro dei limiti all’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di modifica delle mansioni del lavoratore, col passaggio, a seguito della riforma del 2015, dalla tutela dinamica professionale alla tutela statica nell’ambito della categoria di appartenenza. Affermato l’onere in capo al datore di lavoro della prova della legittimità delle nuove mansioni, il Tribunale a seguito di istruttoria riconosce il carattere dequalificante del ruolo assegnato da anni al ricorrente: ritenuto il diritto al ripristino di mansioni in linea con l’inquadramento del lavoratore, la Società è condannata al risarcimento del danno alla professionalità, basato su presunzioni e per il quale non osta il fatto che per lungo tempo il lavoratore non abbia contestato la dequalificazione, condotta che dato il carattere imperativo dell’art. 2103 (con la previsione della nullità di patti contrari) non può essere considerata di acquiescenza.