Novita’ normative
Parlamento: convertito in Legge il Decreto Milleproroghe 2025.
Il Parlamento ha pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2025, la Legge 21 febbraio 2025, n. 15, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202, recante disposizioni urgenti in materia di termini normativi.
Per quanto riguarda la materia lavoro, viene confermata la proroga al 31 dicembre 2025 dell’utilizzo della causale basata sulle «esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva», che le parti (datore di lavoro e lavoratore) potranno apporre al contratto individuale di lavoro qualora la contrattazione collettiva non abbia individuato proprie causali all’avvio di contratti a tempo determinato.
L’articolo di riferimento è il 14, titolato: “Proroga di termini in materie di competenza del Ministero del turismo“.
Ricordiamo che è obbligatorio indicare una causale all’avvio di un rapporto di lavoro a termine:
- in caso di stipula del primo contratto a tempo determinato o della somministrazione a termine superiore a 12 mesi;
- al superamento dei 12 mesi con contratti a tempo determinato e in somministrazione a termine.
Ministero del Lavoro, interpello n. 1 del 27 gennaio 2025
Il datore di lavoro che intenda procedere alla chiusura di «più distinte unità» dovrà attivare la procedura cosiddetta antidelocalizzazioni introdotta dalla legge 234/2021 (Legge di Bilancio 2022) anche laddove in una sola di tali unità «si determini un esubero di almeno 50 unità di personale».
Lo ha stabilito il Ministero del Lavoro, con interpello n. 1/2025, in risposta a una richiesta di chiarimento presentata da Federdistribuzione e avente a oggetto l’ambito di applicazione del quadro procedurale introdotto alla fine del 2021.
In particolare, la richiesta riguardava l’ipotesi di un datore di lavoro che, avendo occupato più di 250 dipendenti nell’anno precedente, intendeva chiudere due diverse unità produttive, una con più di 50 dipendenti e l’altra con un numero di dipendenti inferiore a 50.
Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 656 del 23 gennaio 2025
Con la nota n. 656/ 2025 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro esplica la portata applicativa della modifica introdotta dal cd. Collegato Lavoro, all’art. 304, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 81/2008, che ha abrogato le disposizioni in materia di tessere personali di riconoscimento nei cantieri edili
contenute nell’art. 36-bis, commi da 3 a 5, del DL n. 223/2006, incluse le relative sanzioni amministrative in capo al datore di lavoro e al lavoratore, in quanto il medesimo obbligo è già contenuto in altre disposizioni nel citato D.Lgs. n. 81/2008 con riferimento a tutte le attività svolte in regime di appalto o subappalto (a prescindere dalla sussistenza o meno di un cantiere edile). Pertanto, in caso di svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, anche nei cantieri temporanei e mobili si applicano le disposizioni di cui alla presente nota dell’INL.
Dimissioni per fatti concludenti – Chiarimenti INPS
L’INPS, con il messaggio n. 639 del 19 febbraio 2025, chiarisce due aspetti legati alle dimissioni per fatti concludenti.
Con il messaggio n. 639/2025, l’INPS è tornato sulla novità normativa introdotta dall’art. 19 della L. 203/2024 (c.d. “collegato lavoro”), vale a dire sulle dimissioni del lavoratore per assenza ingiustificata, affrontando questioni tecniche e operative, come la sussistenza o meno dell’obbligo di versamento del c.d. ticket licenziamento di cui all’art. 2 comma 31 della L. 92/2012 da parte del datore di lavoro e la compilazione del flusso UniEmens.
Si ricorda che l’indicata norma del c.d. “collegato lavoro” ha aggiunto il comma 7-bis all’art. 26 del DLgs. 151/2015, ai sensi del quale in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del Lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro, in tali ipotesi, si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica quanto previsto dal citato art. 26, salvo che il lavoratore dimostri l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.
Come chiarito dall’Ispettorato del Lavoro con la nota n. 579/2025, la comunicazione dell’assenza ingiustificata da parte del datore di lavoro va fatta preferibilmente a mezzo PEC all’indirizzo istituzionale di ciascuna sede; in tale comunicazione – di cui è stato reso disponibile un modello, allegato alla nota in argomento – il datore deve riportare tutte le informazioni in suo possesso sul lavoratore, in riferimento sia ai dati anagrafici sia ai recapiti, anche telefonici e di posta elettronica, di cui è a conoscenza (si veda “Per le «dimissioni di fatto» necessaria la comunicazione all’INL” del 23 gennaio 2025).
Decorso il periodo previsto dalla contrattazione collettiva o quello superiore a 15 giorni ed effettuata la comunicazione all’Ispettorato, il datore di lavoro potrà procedere con la comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro (cfr. nota INL n. 579/2025).
Il rapporto di lavoro, infatti, si risolve per volontà del lavoratore – l’INPS specifica con effetto immediato – e il lavoratore medesimo, come precisato dall’INPS con il messaggio in commento, non ha diritto alla NASpI, non trattandosi di un’ipotesi di cessazione involontaria del rapporto.
Ne deriva che se la risoluzione si riferisce a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il datore di lavoro non è tenuto al versamento del ticket licenziamento, il quale, ai sensi del comma 31 dell’art. 2 della L. 92/2012, è dovuto nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto alla NASpI (in relazione al 2025 si veda “Nel 2025 sale il ticket licenziamento” del 10 febbraio 2025).
Del resto l’INPS, con la circolare n. 3/2025, aveva già rilevato come l’art. 19 della L. 203/2024 sulla risoluzione del rapporto di lavoro per assenza ingiustificata del lavoratore assolva a finalità antielusive con riferimento alla fruizione della NASpI, “che, in base alla vigente normativa, non può essere riconosciuta in caso di dimissioni volontarie non derivanti da giusta causa”.
L’INPS nel messaggio specifica, poi, i casi in cui non trova applicazione l’effetto risolutivo del rapporto, vale a dire quando il lavoratore fornisca la prova dell’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza, oppure quando la sede territoriale dell’INL, al quale il datore di lavoro ha trasmesso la comunicazione di cui sopra, ne accerti autonomamente la non veridicità.
Nel messaggio n. 639/2025 si chiarisce che l’Ispettorato deve comunicare l’inefficacia della risoluzione sia al lavoratore, il quale – laddove il datore di lavoro abbia già provveduto alla trasmissione del relativo modello Unilav – ha diritto alla ricostituzione del rapporto di lavoro, sia al datore di lavoro, possibilmente riscontrando la comunicazione via PEC dallo stesso ricevuta. A seguito della comunicazione di inefficacia della risoluzione, il datore di lavoro è tenuto agli adempimenti conseguenti in materia di obbligo contributivo.
Quanto, infine, alle modalità di compilazione del flusso UniEmens, l’INPS chiarisce che dal 12 gennaio 2025, data di entrata in vigore della L. 203/2024, le interruzioni del rapporto di lavoro intervenute con le modalità descritte nel messaggio in commento devono essere esposte all’interno del flusso UniEmens con il nuovo codice <Tipo Cessazione> “1Y”, avente il significato di: “Risoluzione rapporto di lavoro articolo 26 DLgs 14 settembre 2015, n. 151, comma 7 bis”.
Novita’ GIURISPRUDENZIALI
Corte di Cassazione ordinanza n. 3627/2025.
Rientra nel diritto di critica la mail inviata dal dipendente, cardiochirurgo straniero, al primario e per conoscenza ai colleghi per denunciare l’emarginazione a cui lo ha costretto il responsabile del reparto dal suo arrivo.
Rientra nel diritto di critica la mail inviata dal cardiochirurgo straniero al primario del reparto e per conoscenza a tutti i colleghi per denunciare l’emarginazione a cui lo ha costretto il responsabile del reparto dal suo arrivo. Per la Corte d’appello era fuori dalla continenza la frase «per favore tolga il ginocchio dal mio collo» considerata un’accusa di razzismo perché evocativa
della morte di George Floyd (l’omicidio di Floyd si verificò il 25 maggio 2020 nella città di Minneapolis, la morte avvenne a seguito del suo arresto da parte di quattro agenti di polizia, ndr). Per la Cassazione invece la critica è dissenso anche aspro e una sola frase non basta a renderla illegittima a fronte di fatti veri.
Corte di Cassazione, ordinanza 29 gennaio 2025, n. 2066
La Corte d’appello aveva respinto l’impugnazione del licenziamento disciplinare di un dipendente metalmeccanico, intimato dal datore di lavoro senza esaminarne le giustificazioni, secondo l’impresa perché ricevute tardivamente. La Cassazione, accogliendo il ricorso del dipendente, osserva che: (i) nella materia delle sanzioni disciplinari, il CCNL metalmeccanica aziende industriali non fa alcun riferimento alla ricezione da parte del datore del lavoro delle giustificazioni del lavoratore; (ii) anche tenendo conto della sua ratio di tutela del diritto di difesa del lavoratore incolpato, l’interpretazione più ragionevole della previsione collettiva in questione è quella che dà rilievo – per valutare il rispetto del termine dei 5 giorni – alla data di invio delle giustificazioni da parte del lavoratore (da accertare nel caso in esame dal giudice di rinvio), piuttosto che alla data di ricezione delle stesse.
Corte di Cassazione, sentenza 20 gennaio 2025, n. 132.
Sul licenziamento per abbandono del posto di lavoro
In giudizio, un addetto alla vigilanza in un parco pubblico, licenziato in quanto si era allontanato, in due diverse occasioni nel corso del medesimo turno di lavoro, per recarsi con la propria autovettura ad aiutare un amico a riparare un carrettino, aveva contestato la qualificazione di abbandono del posto di lavoro, comportante per il CCNL la sanzione espulsiva, sostenendo la meno grave fattispecie di mero allontanamento. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del lavoratore avverso la sentenza d’appello, ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, per potersi ritenere integrata l’ipotesi dell’abbandono – anziché quella del mero allontanamento – occorre: (i) sotto il profilo oggettivo, che si verifichi il totale distacco dal bene da proteggere in ragione della durata dell’assenza, tale da poter incidere sul regolare svolgimento del servizio, non essendo necessario che essa si protragga per l’interno orario residuo del turno di servizio svolto; (ii) sotto il profilo soggettivo, che sussista la coscienza e volontà della condotta di abbandono, restando irrilevante il motivo dell’allontanamento.
Corte di Cassazione, ordinanza 13 gennaio 2025, n. 807.
Controlli difensivi solo su comportamenti successivi all’insorgenza del sospetto.
Il caso riguarda il licenziamento di un dirigente, al quale erano state contestate condotte illecite che la società datrice aveva scoperto a seguito di un accesso alla casella di posta elettronica del lavoratore conseguente a un alert del sistema informatico aziendale. La Corte d’appello, giudicando in sede di rinvio dalla Cassazione, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento, in quanto il controllo datoriale aveva avuto a oggetto informazioni risalenti a un’epoca antecedente rispetto all’alert che aveva fatto sorgere il sospetto in capo al datore. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del datore di lavoro, osserva che: (i) i giudici di merito hanno dato puntuale applicazione al principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente, ove si evidenziava che l’art. 4 St. lav. legittima unicamente controlli tecnologici ex post, vale a dire su comportamenti posti in essere successivamente all’insorgenza di un fondato sospetto; (ii) tale assetto garantisce il punto di equilibrio tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali e la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore, equilibrio che verrebbe meno ove si consentisse al datore di lavoro, alla luce di un fondato sospetto, di estendere il controllo difensivo a tutti i dati che, fino a quel momento, sono stati raccolti e conservati nel sistema informatico.
Corte di cassazione, sentenza 10 gennaio 2025 n. 605.
Lavoro agile per il disabile, anche per mansioni escluse da accordo aziendale.
Un lavoratore disabile per gravi deficit visivi aveva chiesto il trasferimento del luogo di lavoro in quello di residenza, con la possibilità di svolgere le sue mansioni in regime di lavoro agile. La domanda era stata accolta dalla Corte d’appello, in applicazione di quanto disposto dall’art. 3, comma 3-bis, d.lgs. 216/03, relativo all’adozione di ragionevoli accomodamenti al fine di garantire la parità di trattamento delle persone con disabilità. Respingendo il ricorso della società, la Cassazione ricorda la disciplina antidiscriminatoria vigente, riguardante, in particolare, i lavoratori con disabilità, di origine eurounitaria e internazionale e il regime probatorio agevolato che assiste il lavoratore nel relativo processo, concludendo che, ove un’utile misura organizzativa sia possibile (come nel caso in esame accertato dai giudici di merito) e non sia eccessivamente onerosa per l’impresa, il datore di lavoro è tenuto a adottarla, anche se essa sia stata esclusa per quelle mansioni da un accordo aziendale.
Corte di cassazione, ordinanza 9 gennaio 2025 n. 463.
Presupposti del comporto differenziato previsto dal CCNL metalmeccanici per le malattie professionali.
Licenziato per superamento del periodo di comporto, un lavoratore aveva impugnato l’atto, sostenendo che a lui, in quanto assente per malattia professionale, era applicabile la più lunga durata del comporto prevista per tale ipotesi dal CCNL metalmeccanici applicato al rapporto. In giudizio, la società aveva viceversa obbiettato che la norma collettiva invocata va interpretata nel senso che essa riguarda unicamente l’ipotesi in cui la malattia professionale sia imputabile a
responsabilità del datore di lavoro, nel caso esaminato esclusa in un altro giudizio. La Cassazione, nel respingere il ricorso della società avverso l’accoglimento delle domande del lavoratore, rileva che la norma contrattuale invocata non fa alcun riferimento all’eventuale responsabilità del datore di lavoro nella causazione della malattia professionale, il cui accertamento costituisce pertanto l’unico presupposto per l’applicazione del comporto più lungo.
Corte di Cassazione, ordinanza 9 gennaio 2025, n. 460.
La sussistenza del motivo economico non esclude la natura discriminatoria del licenziamento.
La dirigente di una società, licenziata per soppressione del posto, aveva adìto il giudice del lavoro, sostenendo il carattere discriminatorio dell’atto. Pervenuta la causa avanti la Cassazione, questa, nell’accogliere con rinvio il ricorso della lavoratrice in punto di licenziamento, osserva che: (i) la tesi dei giudici di merito, secondo cui l’effettiva ricorrenza del motivo riorganizzativo escluderebbe la natura discriminatoria del recesso, contrasta con le previsioni del d.lgs. 216/03 e con la consolidata giurisprudenza della Corte; (ii) nel valutare la natura illecita del licenziamento, erroneamente la Corte d’appello non ha valorizzato le reiterate condotte stressanti e ansiogene poste in essere dal datore di lavoro nei confronti della dirigente accertate in giudizio; (iii) i giudici dell’appello, gravando la lavoratrice dell’intero onere probatorio della discriminazione, hanno altresì violato il criterio di alleggerimento della prova per il lavoratore, secondo cui a lui è richiesto di fornire elementi di fatto dai quali si possa desumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, gravando invece sul datore di lavoro l’onere di dimostrare che il fatto non esista ovvero le circostanze idonee a escludere la natura discriminatoria della condotta, in quanto dimostrative di una scelta che sarebbe stata operata con i medesimi parametri nei confronti di qualsiasi lavoratore che si fosse trovato nella stessa posizione.
Tribunale di Milano, 14 gennaio 2025
Anche il Tribunale di Milano solleva la questione pregiudiziale avanti la Corte UE sulle missioni a tempo indeterminato nella somministrazione di lavoro.
In un caso simile a quello al centro dell’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia del 7 novembre 2024, il Tribunale rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione europea una nuova questione pregiudiziale sulla legittimità dell’utilizzo senza termine di lavoratori assunti dall’agenzia con contratto a tempo indeterminato. In particolare, il Giudice del rinvio chiede alla Corte di Giustizia se l’utilizzo di lavoratori, pure se assunti a tempo indeterminato e con previsione di una indennità di disponibilità, sia compatibile con il principio di temporaneità del lavoro somministrato stabilito, tra l’altro, dall’art. 5, par. 5, della direttiva 2008/104/CE. Determinante, tra gli argomenti contrari alla legittimità di tale modalità, potrebbe essere la necessità di impedire ogni ipotesi di elusione dell’obbligo di giustificazione dei licenziamenti, che non si applica all’utilizzatore che decide di interrompere una missione.
Tribunale di Milano, 18 dicembre 2024.
Lavoratrice licenziata per avere svolto attività di vita quotidiana durante l’infortunio: reintegrata per insussistenza del fatto contestato
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da una donna, la quale era stata licenziata per aver fatto acquisti al mercato rionale e presso negozi durante il congedo per infortunio, e condanna la società datrice di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro. Secondo il Giudice, le specifiche modalità del fatto contestato alla donna non erano idonee a pregiudicarne la guarigione e a ritardare il rientro in servizio. Non costituiscono elemento di prova in senso contrario le valutazioni svolte da investigatori privati, in assenza di alcun sostrato medico-scientifico che dimostri un possibile rapporto causale tra il comportamento della lavoratrice e il possibile peggioramento del suo stato di salute. Di conseguenza, posta l’irrilevanza disciplinare degli addebiti mossi alla donna, il licenziamento deve ritenersi illegittimo per insussistenza del fatto contestato.
Tribunale di Busto Arsizio, 3 febbraio 2025 – 4 giugno 2024
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da un’associazione per la lotta alle discriminazioni, legittimata ai sensi dell’art. 5 D.lgs. n. 216/2003 contro la nota azienda di moda Betty Blue, amministrata da Elisabetta Franchi.
La pronuncia rappresenta un momento significativo nella giurisprudenza sulle discriminazioni di genere, poiché l’azienda è stata condannata non per una condotta materiale, ma per dichiarazioni discriminatorie della sua amministratrice, che aveva affermato di preferire uomini o donne sopra i 40 anni per le posizioni di vertice, ritenendole più stabili dal punto di vista familiare e lavorativo. Il Giudice ha qualificato tali affermazioni come discriminazione indiretta multifattoriale e intersezionale, poiché potrebbero scoraggiare le lavoratrici dal candidarsi per ruoli dirigenziali, ledendo una pluralità di fattori protetti (genere, età, genitorialità) e pertanto ha condannato la società, da un lato, a un risarcimento del danno liquidato a favore dell’associazione ricorrente, dall’altro ad adottare un piano di rimozione delle discriminazioni con obbligo di dar corso ad una specifica attività formativa in azienda per contrastare pregiudizi su età, genere e carichi familiari (oltre alla pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani).
Tribunale di Parma, 10 dicembre 2024
Il Tribunale emiliano, nell’accogliere il ricorso di un lavoratore cui era stato irrogato un licenziamento disciplinare senza effettuare la contestazione degli addebiti, dispone la reintegrazione dello stesso nonostante il datore di lavoro fosse un’azienda c.d. “sotto soglia”.
Infatti, ai fini di tale decisione il Giudice ha ritenuto applicabile il contratto collettivo provinciale della provincia di Parma che, applicato dall’azienda cedente nell’ambito di un trasferimento d’azienda, non era stato sostituito da uno “di pari livello” da parte del cessionario. Proprio in virtù della previsione contenuta in tale contratto, secondo cui “a livello provinciale, la risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato può avvenire soltanto per raggiunti limiti di età, per dimissioni del lavoratore, ovvero per motivi di giusta causa o per giustificato motivo in base alle norme di cui alle Leggi 604/1966 e 300/1970, norme che convenzionalmente si intendono estese a tutte le Aziende indipendentemente dal numero dei dipendenti” il Tribunale ha disposto la reintegrazione del ricorrente.
Tribunale di Milano, 5 dicembre 2024
Il Tribunale, sulla scia della giurisprudenza di merito e di Cassazione, conferma l’obbligo del datore di lavoro di riconoscere ai propri dipendenti il diritto a fruire del riposo compensativo rispetto alle giornate in cui hanno reso prestazioni in regime di reperibilità domenicale, a prescindere da una richiesta, trattandosi di diritto indisponibile.
Ove sia necessaria l’effettiva prestazione lavorativa nel corso della reperibilità, il datore di lavoro, oltre ad erogare la maggiorazione relativa al lavoro straordinario prestato, deve garantire anche il recupero del giorno di riposo. La mancata fruizione del riposo settimanale è lesiva di un diritto fondamentale che deve essere rispettato per tutelare il benessere fisico e psichico dei lavoratori e che è irrinunciabile; tale violazione comporta un danno non patrimoniale da usura psicofisica per il lavoratore, con il conseguente diritto al risarcimento.