La Corte Ue di Giustizia Ue ha innanzitutto ricordato l’importanza del “principio di esattezza” previsto dall’art. 5, par. 1, lett. d) del GDPR, secondo cui l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento, senza ingiustificato ritardo, la rettifica dei dati personali che lo riguardano se questi sono inesatti. In questo modo il Regolamento Privacy concretizza il diritto fondamentale, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo il quale ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica. A tal riguardo, la Corte Ue ricorda che secondo la giurisprudenza il carattere esatto e completo dei dati personali deve essere valutato alla luce della finalità per la quale essi sono stati raccolti. | Riguardo al caso di specie, la Corte ribadisce che l’informazione relativa all’identità di genere può essere qualificata come «dato personale», in quanto si riferisce a una persona fisica identificata o identificabile e oggetto di un «trattamento», perché è stato raccolto e registrato dall’autorità competente. Di conseguenza, il trattamento, che verte su dati contenuti o destinati a figurare in un archivio, rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae del GDPR. Pertanto, la Corte Ue ribadisce che spetta al giudice ungherese verificare l’esattezza del dato alla luce della finalità per la quale esso è stato raccolto. Se la raccolta di tale dato aveva lo scopo di identificare la persona interessata, sembrerebbe riguardare l’identità di genere vissuta da tale persona, e non quella che le sarebbe stata assegnata alla nascita. | La rettifica dei dati relativi all’identità di genere non può essere subordinata alla prova di un trattamento chirurgico di riassegnazione del sesso. Lo ha sancito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 13 marzo 2025 (C-247/23): tale pronuncia rappresenta un importante precedente sulla tematica della transidentità, in quanto i giudici di Lussemburgo riconoscono il diritto alla rettifica dei dati personali, affermando che uno Stato membro non possa invocare l’assenza, nel proprio diritto nazionale, di una procedura di riconoscimento giuridico della transidentità per ostacolare l’esercizio di tale diritto. In definitiva, quindi, e più precisamente, per la rettifica dei dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica, contenuti in un registro pubblico, se da un lato uno Stato membro può imporre alla persona di fornire gli elementi di prova pertinenti e sufficienti che si possono ragionevolmente richiedere per dimostrare l’inesattezza di questi dati, dall’altro lato però, esso non può in alcun caso subordinare, mediante una prassi amministrativa, l’esercizio del “diritto alla rettifica” alla produzione di prove di un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale. |
La Corte di Giustizia precisa che uno Stato membro non può invocare l’assenza, nel proprio diritto nazionale, di una procedura di riconoscimento giuridico della transidentità per ostacolare l’esercizio del diritto di rettifica. In particolare, la Corte Ue ricorda che sebbene il diritto dell’Unione non pregiudichi la competenza degli Stati membri in materia di stato civile delle persone e di riconoscimento giuridico della loro identità di genere, tuttavia devono rispettare il diritto dell’Unione compreso il GDPR, letto alla luce della Carta. Di conseguenza, la Corte europea conclude che il GDPR deve essere interpretato nel senso che esso impone a un’autorità nazionale incaricata della tenuta di un registro pubblico di rettificare i dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica qualora tali dati non siano esatti, ai sensi di tale regolamento. Diritto di rettifica dei dati ai fini della “riassegnazione del sesso” La Corte Ue constata che, ai fini dell’esercizio del suo diritto di rettifica, tale persona può essere tenuta a fornire gli elementi di prova pertinenti e sufficienti che possono ragionevolmente essere richiesti per dimostrare l’inesattezza di detti dati Tuttavia, l’art. 16 del GDPR non precisa quali siano gli elementi di prova che possono essere richiesti. Tali obblighi possono essere limitati dal diritto dell’Unione o degli Stati membri purché sia rispettata l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e costituisca una misura necessaria e proporzionata in una società democratica per garantire taluni obiettivi di interesse pubblico generale, in particolare l’affidabilità e la coerenza dei registri pubblici. Nel caso di specie, risulta che l’Ungheria ha adottato una prassi amministrativa che subordina l’esercizio del diritto di rettifica alla presentazione di prove di un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale. Una tale prassi comporta, secondo la Corte Ue, una limitazione del diritto di rettifica e lede l’essenza del diritto all’integrità della persona e del diritto al rispetto della vita privata, tutelati dalla Carta. Inoltre, un siffatto requisito non è, in ogni caso, necessario né proporzionato al fine di garantire l’affidabilità e la coerenza di un registro pubblico, quale il registro dell’asilo, in quanto un certificato medico può costituire un elemento di prova pertinente e sufficiente. |