Novita’ normative
Legge n. 118 del 8 agosto 2025: contributi per lavoratrici madri e per il benessere dei lavoratori del settore turistico.
Il Parlamento ha pubblicato in G.U. n. 184 del 9 agosto 2025, la L. 8 agosto 2025, n. 118, di conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 giugno 2025, n. 95, recante disposizioni urgenti per il finanziamento di attività economiche e imprese, nonché interventi di carattere sociale e in materia di infrastrutture, trasporti ed enti territoriali.
Di particolare interesse quanto previsto dall’articolo 6 (“Integrazione al reddito per le lavoratrici madri con due o più figli“). Slitta al 2026 il parziale esonero contributivo della quota dei contributi previdenziali per l’IVS a carico del lavoratore, per le lavoratrici dipendenti, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico, e le lavoratrici autonome, previsto dall’articolo 1, comma 219, della legge 30 dicembre 2024, n. 207. Nelle more dell’attuazione della norma, per l’anno 2025, alle lavoratrici madri dipendenti, con esclusione dei rapporti di lavoro domestico ed alle lavoratrici madri autonome iscritte a gestioni previdenziali obbligatorie autonome, comprese le casse di previdenza professionali e la gestione separata, con 2 figli e fino al mese del compimento del decimo anno da parte del secondo figlio, è riconosciuta dall’INPS, a domanda, una somma, non imponibile ai fini fiscali e contributivi, pari a 40 euro mensili, per ogni mese o frazione di mese di vigenza del rapporto di lavoro o dell’attività di lavoro autonomo, da corrispondere alla madre lavoratrice titolare di reddito da lavoro non superiore a 40.000 euro su base annua. La medesima somma è riconosciuta anche alle madri lavoratrici dipendenti, con esclusione dei rapporti di lavoro domestico ed alle lavoratrici madri autonome iscritte a gestioni previdenziali obbligatorie autonome, comprese le casse di previdenza professionali e la gestione separata, con più di 2 figli e fino al mese di compimento del diciottesimo anno del figlio più piccolo, per ogni mese o frazione di mese di vigenza del rapporto di lavoro o dell’attività di lavoro autonomo, titolari di reddito da lavoro non superiore a 40.000 euro su base annua, a condizione che il reddito da lavoro non consegua da attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato e, in ogni caso, per ogni mese o frazione di mese di vigenza del rapporto di lavoro o dell’attività di lavoro autonomo non coincidenti con quelli di vigenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Le mensilità spettanti, a decorrere dal 1 gennaio 2025 e fino alla mensilità di novembre, sono corrisposte a dicembre, in unica soluzione, in sede di liquidazione della mensilità relativa al medesimo mese di dicembre 2025.
Le somme non rilevano ai fini della determinazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). Una ulteriore disposizione riguarda il benessere dei lavoratori del comparto turistico ricettivo, ivi inclusi quelli impiegati presso gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande (articolo 14).
Proprio al fine di migliorare il benessere dei lavoratori è autorizzata, nel rispetto della normativa dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato, la spesa di euro 44.000.000 per l’anno 2025 e di euro 38.000.000 annui per ciascuno degli anni 2026 e 2027, per l’erogazione di contributi volti a sostenere
investimenti per la creazione ovvero la riqualificazione e l’ammodernamento, sotto il profilo dell’efficientamento energetico e della sostenibilità ambientale, degli alloggi destinati a condizioni agevolate ai medesimi lavoratori, nonché euro 22.000.000 annui per ciascuno degli anni 2025, 2026 e 2027 per l’erogazione di contributi volti a sostenere i costi per la locazione degli stessi alloggi.
Le risorse sono destinate ai soggetti che, nella piena ed esclusiva disponibilità di immobili, gestiscono in forma imprenditoriale alloggi o residenze per i lavoratori del comparto turistico ricettivo, gestiscono strutture turistico ricettive ovvero gestiscono esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.
Sempre all’interno dell’articolo 14, è stato inserito il comma 6 bis che prevede la proroga, sino al 31 dicembre 2026, della causale basata su “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti“, che potrà essere prevista all’interno dei contratti a tempo determinato.
Contratti a termine: causale per esigenze individuate dalle parti fino al 31 dicembre 2026.
In fase di conversione del decreto legge n. 95/2025 (c.d. Decreto Economia) nella Legge n. 118/2025, pubblicata in G.U. n. 184 del 9 agosto 2025, è stato inserito, all’articolo 14, il comma 6 bis che prevede all’interno dell’articolo 19, comma 1, lettera b), del decreto legislativo, n. 81/2015 (TU sui contratti di lavoro), la modifica del termine al “31 dicembre 2026”.
Questo il nuovo articolo 19, comma 1:
“Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51;
b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2026, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;
b bis) in sostituzione di altri lavoratori.”
Anche per il 2026 sarà possibile, al superamento dei primi 12 mesi in contratti a termine, utilizzare una causale individuata dalle parti in base ad “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva“, ma solo qualora non sia presente alcuna casistica prevista dalla contrattazione collettiva nazionale, territoriale o aziendale.
CCNL per le agenzie di somministrazione di lavoro: in vigore i testi definitivi.
Ratificati i testi dei due CCNL agenzie di somministrazione lavoro Assolavoro e Assosom e associazioni datoriali Assolavoro e Assosom e sindacali NIDIL CGIL FELSA CISL e UILTEMP che hanno firmato il 22 luglio 2025, a Roma il testo definitivo del CCNL somministrazione, per i dipendenti delle agenzie per il lavoro che occupa, in Italia, circa un milione di persone l’anno.
L’accordo precisa che alla luce del principio di ultra vigenza condiviso nei precedenti rinnovi e fermo restando quanto previsto dall’accordo sulle decorrenze sottoscritto in data 13 febbraio 2025, le parti concordano che il CCNL decorre dal 21 luglio 2025 e sarà in vigore fino al 20 luglio 2028, salvo quanto di seguito specificato: la disciplina di cui all’art. 10, par. Ebitemp lettera h) nonché dell’accordo delle parti sociali del 3 febbraio 2025 “welfare sanitario”, di cui all’allegato n. 15, decorrono dal. 1 giugno 2025.
Il comunicato stampa sindacale evidenzia in particolare il miglioramento delle condizioni economiche con aumenti superiori al 15% per l’indennità di disponibilità e aumenti del 20% sulle prestazioni erogate dalla bilateralità, l’introduzione di una specifica assicurazione sanitaria di settore.
Dal punto di vista normativo, la principale novità è costituito dall preavviso di 3 giorni in caso di proroga per i contratti a tempo determinato di durata superiore a 6 mesi con indennizzo in caso di violazione razionalizzato e potenziato lo strumento della clausola sociale per i cambi appalto.
Vengono anche migliorate le tutele individuali, con una particolare attenzione alla maternità, sia sui rapporti di lavoro a termine sia a tempo indeterminato, alle malattie ingravescenti, alle persone migranti, al contrasto alle molestie e alle donne vittime di violenza con l’introduzione di uno specifico sostegno economico.
In tema di formazione si introduce le possibilità di FAD con indennità di frequenza e formazione continua di alta specializzazione, oltre ad un rafforzamento del diritto mirato.
Introdotta, inoltre, la contrattazione di secondo livello con le agenzie per il lavoro; sul fronte delle relazioni sindacali, decentramento dei percorsi di gestione anche sui singoli siti per monitorare le condizioni di lavoro e il rispetto della parità di trattamento.
Introdotta anche la nuova procedura di ricollocazione plurima per i casi di fuoriuscite plurime dalle aziende utilizzatrici per assicurare maggiori tutele anche ai lavoratori e alle lavoratrici in somministrazione.
INPS: genitore intenzionale in una coppia di donne, diritto al congedo obbligatorio di paternità.
messaggio n. 2450 del 7 agosto 2025, recepisce la sentenza n. 115, depositata in data 21 luglio 2025, della Corte Costituzionale che ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 27 bis del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), come inserito dall’art. 2, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio», nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale, in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile”.
Ne consegue che, come precisato nell’ultimo comma dell’articolo 27 bis del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, anche per la madre intenzionale la comunicazione di fruizione del congedo in oggetto deve essere fatta al proprio datore di lavoro, il quale provvede all’anticipazione dell’indennità per conto dell’Istituto.
La domanda telematica di congedo deve essere presentata direttamente all’INPS solo da parte delle lavoratrici dipendenti per le quali non sia prevista l’anticipazione dell’indennità da parte del datore di lavoro (cfr. il paragrafo 2.5 della Circolare INPS n. 122/2022).
Le lavoratrici dipendenti di pubbliche Amministrazioni devono rivolgersi al proprio datore di lavoro, non avendo l’Istituto competenza per tali lavoratrici.
La fruizione del congedo e l’anticipazione della relativa indennità spetta solo al lavoratore padre che risulti tale nei registri di stato civile o sulla base di provvedimento di adozione o di affidamento collocamento. Così pure, in caso di lavoratrice madre intenzionale, la stessa, come stabilito dalla sentenza in oggetto, deve risultare genitore nei registri di stato civile oppure a seguito di provvedimento giudiziale di adozione o di affidamento collocamento.
Nuovi permessi per i malati oncologici. Viene poi prevista la possibilità di fruire di un congedo non retribuito per un periodo non superiore a 24 mesi.
È stata pubblicata la L. 18 luglio 2025 n. 106 che contiene le disposizioni concernenti la conservazione del posto di lavoro e i permessi retribuiti per esami e cure mediche in favore dei lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche.
La legge, che entra entrata in vigore il 9 agosto 2025, all’art. 1 riconosce la possibilità di fruire di un congedo, continuativo o frazionato, non superiore a 24 mesi in favore dei dipendenti sia pubblici sia privati affetti da malattie oncologiche o da malattie invalidanti o croniche, anche rare, che comportino un grado di invalidità pari o superiore al 74%.
Durante il periodo di congedo, che non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali (salvo riscatto da parte del lavoratore), il dipendente conserva il posto di lavoro, ma non percepisce la retribuzione, né può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. La norma precisa che il congedo è compatibile con ulteriori eventuali benefìci, anche economici e che la sua fruizione decorre dall’esaurimento degli altri periodi di assenza giustificata, con o senza retribuzione, spettanti al dipendente a qualunque titolo.
Sono comunque fatte salve le disposizioni più favorevoli previste dalla contrattazione collettiva o dalla disciplina applicabile al rapporto di lavoro.
Decorso il periodo di congedo, il lavoratore dipendente ha diritto ad accedere prioritariamente alla modalità di lavoro agile, se la prestazione lavorativa lo consenta.
In relazione alle medesime malattie, la norma prevede poi la sospensione dell’esecuzione della prestazione dell’attività svolta in via continuativa per il committente per un periodo non superiore a 300 giorni per anno solare da parte di un lavoratore autonomo di cui all’art. 14 comma 1 della L. 81/2017 (norma che per la gravidanza, la malattia e l’infortunio dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente prevede la sospensione dell’esecuzione del rapporto su richiesta del lavoratore, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente).
Quanto ai permessi aggiuntivi, questi sono riconosciuti a decorrere dal 1 gennaio 2026.
Da tale data, l’art. 2 della legge in esame dispone il diritto dei dipendenti affetti, o con figlio minore
affetto, da malattie oncologiche in fase attiva o in follow up precoce o da malattie invalidanti o croniche, anche rare, che comportino un grado di invalidità pari o superiore al 74%, di fruire di ulteriori 10 ore annue di permesso.
Per tali permessi, che si aggiungono alle tutele previste dalla normativa vigente e dai CCNL, è riconosciuta un’indennità economica e la copertura figurativa, ma devono essere utilizzati per le specifiche esigenze individuate dalla norma,ovvero: visite; esami strumentali; analisi chimico-cliniche e microbiologiche; cure mediche frequenti. È poi richiesta la prescrizione del medico di medicina generale o di un medico specialista operante in una struttura sanitaria pubblica o privata accreditata.
L’indennità spettante è determinata nelle misure e secondo le regole previste dalla normativa vigente in materia di malattia; nel settore privato è corrisposta direttamente dai datori di lavoro, che possono successivamente recuperarla tramite conguaglio con i contributi dovuti all’ente previdenziale.
Per le ore di permesso aggiuntive si applica la disciplina prevista per i casi di gravi patologie richiedenti terapie salvavita.
Le disposizioni contenute nella L. 106/2025 sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale n. 3/2001.
Sempre a tutela dei malati oncologici si ricorda infine il decreto del ministero della salute del 5 luglio 2024 che contiene la disciplina delle modalità e delle forme ai fini del rilascio del certificato di oblio oncologico, previsto dalla L. 193/2023 (si veda “Certificato di oblio oncologico da rilasciare entro 30 giorni dalla richiesta” del 3 agosto 2024).
Auto in uso promiscuo ai dipendenti chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate.
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 192/e del 22 luglio 2025, fornisce alcuni chiarimenti in merito alla disciplina del calcolo del fringe benefit per i veicoli aziendali concessi in uso promiscuo ai dipendenti, prevedendo nuove percentuali da applicare ai contratti stipulati dal 1 gennaio 2025.
La questione sottoposta all’agenzia delle entrate erano:
- se ai fini della determinazione del fringe benefit delle auto aziendali debba applicarsi la normativa vigente alla data di stipula del contratto di assegnazione tra il datore di lavoro e il dipendente, anche nel caso in cui la consegna effettiva del veicolo avvenga successivamente al 1 gennaio 2025;
- se la stipula del contratto di assegnazione entro il 31 dicembre 2024 consenta di applicare la normativa precedente in materia di fringe benefit, indipendentemente dalla data di consegna del veicolo;
- se la data di consegna del veicolo sia rilevante esclusivamente per determinare il momento di decorrenza dell’applicazione del fringe benefit al dipendente, senza influenzare la normativa di riferimento applicabile.
La risposta dell’agenzia delle entrate è stata in sintesi che nel caso prospettato, ai veicoli aziendali ordinati e concessi in uso promiscuo con contratti stipulati entro il 31 dicembre 2024, ma assegnati in data successiva al 30 giugno 2025, si applica il criterio di tassazione del fringe benefit basato sul ”valore normale”, al netto dell’utilizzo aziendale.
L’individuazione del Preposto si misura in concreto e non formalmente.
La nomina può essere valida anche per lavoratori con ridotta anzianità di servizio o assunti come apprendisti.
Anche un lavoratore con limitata anzianità di servizio ovvero assunto con contratto di apprendistato può ricoprire il ruolo di preposto.
Ciò che conta sono le effettive capacità di adempiere agli obblighi previsti dall’art. 19 del D.Lgs. 81/2008 per tale figura.
Lo ha chiarito la recente nota congiunta dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e della conferenza delle regioni e province autonome che, in ragione di alcune scelte organizzative di imprese operanti in ambito ferroviario di individuare la figura del preposto tra lavoratori con limitata anzianità di servizio (12 mesi) o tra lavoratori in apprendistato, ha esaminato in modo approfondito il ruolo del preposto, una figura chiave nella filiera della salute e sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro.
Già con l’interpello n. 5/2023 il Ministero del Lavoro aveva spiegato come il preposto rivesta un fondamentale ruolo di garanzia rispetto ai lavoratori, al punto che vi è sempre l’obbligo di una sua individuazione, sanzionato dall’art. 55 comma 5 lett. D) del D.Lgs. 81/2008 (norma che prevede l’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro per la violazione dell’art. 18 comma 1 lett. B-bis), riferito proprio alla nomina del preposto).
Occorre ricordare che, secondo la definizione contenuta all’art. 2 comma 1 lett. E), il preposto deve sovrintendere alla attività lavorativa e garantire l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.
Affinché tali compiti non restino meramente potenziali ma risultino effettivi e concretamente esercitabili, il preposto deve necessariamente avere adeguate competenze professionali. Ciò innanzitutto attraverso una specifica formazione, come previsto dall’art. 37 comma 7 del D.Lgs. 81/2008. Inoltre, il preposto deve disporre anche di poteri di iniziativa. Lo stesso art. 19 conferisce allo stesso un ruolo attivo nella misura in cui, in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, deve intervenire per modificare il comportamento non conforme, fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza e, in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza, interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti.
Tanto premesso, ci si è chiesti se lavoratori che, almeno sulla carta, sembrano avere una più limitata esperienza lavorativa, possano ugualmente svolgere i compiti che la legge affida al preposto o se, in difetto, tale nomina sia del tutto inefficace tanto da risultare tamquam non esset. La scelta operata è quella di puntare alla sostanza più che alla forma, partendo dal presupposto che non vi sono esplicite disposizioni che in modo tassativo impediscano a un lavoratore con una minima anzianità o con una particolare tipologia contrattuale come quella dell’apprendistato di essere individuato quale preposto.
Muovendo da quanto previsto dagli artt. 18 e 28 dello stesso D.Lgs. 81/2008 ma anche da quanto affermato di recente dalla stessa Cassazione (Cass. Pen. 15 febbraio 2024 n. 6790), la nota in esame spiega, quindi, come non possa esistere una regola generale che permetta di affermare che lavoratori che hanno solo 12 mesi di anzianità di servizio non abbiano le capacità di svolgere il ruolo di preposto e neppure che l’inidoneità nel ricoprire tale ruolo possa basarsi esclusivamente sulla qualifica di apprendista. Del resto, secondo quanto affermato dalla suprema Corte, una scelta aprioristica di far discendere l’inidoneità allo svolgimento dei compiti di preposto alla sicurezza dalla sola qualifica giuslavoristica rivestita dall’apprendista ma anche dalla ridotta anzianità di servizio sarebbe illegittima e irragionevole. Come detto, ciò che conta è la concreta capacità di esercitare in modo efficace i poteri impeditivi di eventi lesivi in danno dei lavoratori, in connessione con la responsabilità del datore di lavoro. Tutto questo ha una immediata ricaduta sui controlli ispettivi, volti a verificare la corretta individuazione del preposto che, quindi, non potrà fermarsi al mero dato formale ma richiederà un più attento approfondimento della figura scelta. Secondo l’ispettorato e la conferenza delle regioni e delle province autonome soprattutto nelle ipotesi di lavoratori con ridotta anzianità o assunti con contratto di apprendistato, eventualmente già qualificati per la mansione, ma che non abbiano terminato il percorso professionalizzante triennale, il personale ispettivo dovrà tenere conto del contesto nel quale il soggetto è chiamato a operare e verificare che la formazione abbia permesso al preposto di apprendere, in concreto, le conoscenze, le competenze e le abilità necessarie a svolgere il ruolo in relazione alla specifica attività lavorativa.
Novita’ giurisprudenziali
Corte costituzionale sentenza n. 118 del 21 luglio 2025: incostituzionale il limite di 6 mensilità per i licenziamenti nelle piccole imprese sotto i 15 dipendenti.
La consulta boccia il tetto massimo delle sei mensilità per l’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo.
È incostituzionale il tetto massimo delle sei mensilità previsto per l’indennizzo spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo nelle imprese di piccole dimensioni.
Così si è espressa la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 118, 21 luglio 2025, dichiarando l’illegittimità dell’art. 9 comma 1 del D.Lgs. 23/2015, limitatamente alle parole “e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”.
La questione era stata posta dal Tribunale di Livorno che, con l’ordinanza del 2 dicembre 2024 aveva rilevato come la tutela garantita dall’art. 9 comma 1 del D.Lgs. 23/2015 ai dipendenti di imprese di piccole dimensioni in caso di illegittimità del licenziamento fosse inadeguata, prevedendo un risarcimento dimezzato e comunque confinato entro un limite di sei mensilità. Tale disposizione, individuando una forbice estremamente ridotta, dalle tre alle sei mensilità, non consentirebbe al giudice di operare una “personalizzazione” del risarcimento in relazione alle circostanze del caso concreto e ciò in applicazione di un criterio quello delle dimensioni occupazionali del datore di lavoro riferito a un fattore esterno al rapporto di lavoro, criterio, peraltro, “non più idoneo, di per sé, a rilevare la reale forza economica del datore medesimo”.
La Consulta ricorda in prima battuta che tale disciplina è già stata oggetto di decisione: con la pronuncia n. 183/2022, la Corte, dichiarando la questione di costituzionalità inammissibile, aveva domandato al legislatore di intervenire, sottolineando come “un ulteriore protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe stato tollerabile”, specificando altresì che l’eventuale riproposizione della questione l’avrebbe indotta a “provvedere direttamente”.
Anche in considerazione del tempo decorso, la Consulta asserisce la fondatezza della questione, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 comma 1 del D.Lgs. 23/2015, come detto limitatamente alle parole “e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”. Nel dettaglio, il giudice delle leggi precisa che la violazione dei principi costituzionali non deve ravvisarsi nel dimezzamento degli importi delle indennità previste dagli art. 3 comma 1, 4 comma 1 e 6 comma 1 del D.Lgs. 23/2015, bensì nell’imposizione del tetto massimo delle sei mensilità: in forza di detto limite, insuperabile anche in presenza di licenziamenti viziati dalle più gravi forme di illegittimità, si realizza una tutela indennitaria incompatibile con la “necessaria personalizzazione del danno subito dal lavoratore” (cfr. Corte Cost. n. 194/2018). Contenere in tal modo le conseguenze indennitarie a carico del datore di lavoro, prosegue la Corte, rende la tutela risarcitoria in questione sostanzialmente analoga a una forma di liquidazione legale forfetizzata e standardizzata, inidonea a venir incontro alle specificità del caso concreto: così limitato, l’indennizzo non può essere tale da garantire un effettivo ristoro del pregiudizio sofferto dal lavoratore, ristoro che, pur potendo essere circoscritto, non può essere del tutto sacrificato, neppure in nome dell’esigenza di prevedibilità e di contenimento dei costi.
La Consulta conclude, quindi, dichiarando la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 9 comma 1 del D.Lgs. 23/2015 ed esprimendo al contempo l’auspicio che il legislatore intervenga sulla disciplina, nel rispetto del principio in forza del quale il criterio del numero dei dipendenti dell’impresa non può più
costituire l’esclusivo indice rivelatore della forza economica del datore di lavoro e, quindi, della sostenibilità dei costi connessi ai licenziamenti illegittimi, dovendosi considerare anche altri fattori ugualmente significativi, secondo quanto previsto dalla legislazione nazionale ed euro unitaria.
Corte Costituzionale sentenza del 21 luglio 2025 n. 115.
Ha diritto al congedo di paternità la lavoratrice madre intenzionale in una coppia di donne che risultano genitori nei registri dello stato civile.
È quanto stabilisce la Corte Costituzionale con la sentenza n. 115/2025 che ritiene costituzionalmente illegittimo l’articolo 27 bis del D.Lgs. n. 151 del 2001 nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile.
Corte di Cassazione sentenza 16 luglio 2025 n. 19630.
Ai fini NASpI anche le pause imposte dal datore si considerano come giornate di lavoro effettivo.
In tema di accesso alla NASpI, ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. c) del D.Lgs. 22/2015, nella formulazione antecedente alle modifiche disposte dall’art. 1 comma 171 della L. 207/2024, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19630, ha ribadito che il requisito delle “trenta giornate di lavoro effettivo” risulta integrato oltre che da giornate di ferie o di riposo retribuito, anche da ogni giornata che dia luogo al diritto del lavoratore alla retribuzione e alla relativa contribuzione.
I giudici di legittimità hanno inoltre statuito come al fine del computo dei “dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione” si escludano, vengano, cioè, neutralizzati, i periodi di sospensione del rapporto di lavoro per cause tutelate dalla legge, impeditive delle reciproche prestazioni (cfr. Cass. nn. 15660/2025, 13529/2025 e 13562/2025; si veda “Diritto alla Naspi anche se la prestazione lavorativa non è eseguita” del 22 maggio 2025).
Detti principi sono stati ribaditi nell’ambito di una controversia che vedeva coinvolto un lavoratore licenziato per riduzione del personale per giustificato motivo oggettivo il 16 maggio 2016; in precedenza, il datore di lavoro, dal 2 giugno 2015 e sino al licenziamento, non aveva consentito al lavoratore di rendere la prestazione, imputando a “ferie” i giorni non lavorati.
I giudici di legittimità, accogliendo il ricorso presentato dal lavoratore, evidenziano come le ferie e i riposi rappresentino dei momenti connaturali al rapporto di lavoro, durante la cui fruizione vi è piena vitalità e, quindi, effettività del lavoro stesso. La Corte quindi chiarisce come il lavoro effettivo sia sempre comprensivo di quelle pause periodiche della prestazione lavorativa che, poiché finalizzate al recupero delle energie psico fisiche del lavoratore, sono equiparabili alla concreta esecuzione delle mansioni.
Ciò vale anche nel caso di specie, in cui si verificava la sospensione del rapporto nel periodo dei “dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione”, a causa del rifiuto datoriale di ricevere la prestazione; il rapporto di lavoro, dunque, doveva considerarsi effettivo ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. c) del D.Lgs. 22/2015.
Tribunale di Como, sentenza del 7 luglio 2025.
Ottenuta la tutela in via d’urgenza per la lavoratrice part-time cui era stata imposta una modifica di orario in assenza di una clausola elastica. Dovuto anche il risarcimento indipendentemente dalla prova del pregiudizio.
Il Tribunale accoglie il ricorso proposto in via di urgenza da una lavoratrice (vedova e madre di due
figli minori) contro la modifica dell’orario di lavoro concordato col datore di lavoro in assenza di una clausola che prevedesse tale possibilità. Il pericolo nel ritardo della tutela viene riconosciuto considerati i turni imposti anche in orari incompatibili con gli impegni di cura dei figli.
La lavoratrice ottiene anche il risarcimento del danno (liquidato in via equitativa nella misura del 25% della retribuzione per il periodo di modifica degli orari) in base alla disposizione dell’art. 10, co. 3, D.Lgs. 81/2015 la quale, parlando espressamente di “diritto” al risarcimento, riconosce tale forma di tutela indipendentemente dalla prova di un effettivo pregiudizio.
Corte di Cassazione, sentenza 3 luglio 2025, n. 18073.
Non computabile nel comporto la malattia in caso di sospensione in CIG.
Nel giudizio di impugnazione di un licenziamento per superamento del periodo di comporto (periodo massimo di tolleranza delle assenze per malattia da parte del datore di lavoro), il dipendente aveva, tra l’altro, sostenuto l’erroneità di computo in quest’ultimo di 15 giorni di malattia intervenuta mentre egli era sospeso in CIG. Accogliendo il ricorso del lavoratore avverso la sentenza d’appello che gli aveva dato torto, la Corte interpreta il principio di prevalenza della CIG sulla malattia, espresso dall’art. 3, comma 7 D. Lgs. n. 148/2015, nel senso che esso non è limitato alle indennità, ma incide sul titolo dell’assenza, per cui nel momento della CIG non può più operare il regime dell’assenza per malattia, che non va pertanto comunicata, certificata o controllata e che non è computabile nel comporto.
Corte di Cassazione, sentenza 3 luglio 2025, n. 18063.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: obbligo di repêchage rafforzato per il lavoratore che assiste un familiare disabile.
Nel giudizio di impugnazione del licenziamento per soppressione del posto promosso da un dipendente che fruiva della legge n. 104/1992 per assistere la moglie invalida all’80% e che aveva rifiutato un’alternativa perché comportante un orario di lavoro diverso da quello del passato e ritenuto più oneroso per lo svolgimento dell’assistenza, pur disponibile a ogni altra collocazione con l’orario consueto, la Corte, cassando la sentenza d’appello che aveva respinto le domande, ricorda la regola dell’onere di repêchage che grava sul datore di lavoro in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quale espressione del principio del licenziamento come estrema ratio e afferma che, in caso di lavoratori che prestano assistenza a familiari disabili, tale obbligo assume un rilievo rafforzato: la necessità di garantire la cura del congiunto impone infatti un bilanciamento pregnante tra esigenze produttive e doveri di solidarietà. Nel caso esaminato, la Corte d’Appello aveva errato nel non rilevare che dagli atti introdotti in giudizio erano risultate assunzioni successive al licenziamento con l’orario richiesto dal ricorrente, circostanza che dimostrava che la società non aveva adempiuto all’onere su di essa gravante.
Corte d’Appello di Campobasso sentenza del 30 giugno 2025 n. 43.
È legittimo il licenziamento del dipendente sottoposto a misure interdittiva: sussiste l’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Nella fattispecie, un’operatrice socio sanitaria aveva impugnato il licenziamento intimatole da una casa di riposo in seguito all’applicazione nei suoi riguardi della misura cautelare dell’interdizione per sei mesi dall’esercizio dell’attività lavorativa.
Il Tribunale di Larino aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, ma la Corte d’Appello ha riformato tale decisione. Il collegio molisano ha evidenziato che non sussistevano gli estremi del giustificato motivo soggettivo di licenziamento, dal momento che l’astensione della dipendente dal lavoro non era a lei imputabile, poiché dovuta alla predetta misura interdittiva.
Tuttavia, ha rilevato che la sottoposizione della lavoratrice a quest’ultima avrebbe potuto legittimarne il licenziamento per giustificato motivo oggettivo qualora la casa di riposo, in base a una valutazione ex ante e non ex post, non avesse avuto interesse a ricevere dalla stessa ulteriore prestazione.
Corte di Cassazione, ordinanza 28 giugno 2025, n. 17383.
Ancora sulla natura del diritto alle festività infrasettimanali.
Torna il tema della natura, derogabile o non, del diritto del dipendente a fruire del riposo nelle festività infrasettimanali, in un giudizio in cui i ricorrenti svolgevano la propria attività lavorativa in turni distribuiti su sette giorni.
La Cassazione ribadisce, in proposito che il diritto all’astensione nelle giornate di festività infrasettimanali riconosciuto dalla legge (con diritto alla retribuzione giornaliera) non è assoluto, ma disponibile e può quindi essere oggetto di rinuncia da parte del lavoratore (con diritto a un’ulteriore retribuzione giornaliera) mediante accordo individuale o per effetto di un contratto collettivo stipulato dal sindacato cui il lavoratore abbia conferito specifico mandato; a tal fine, è sufficiente che il contratto individuale richiami espressamente la disciplina collettiva di settore, qualora questa pur non negando il diritto al riposo preveda un’articolazione dell’orario di lavoro su sette giorni, includendo i festivi, frutto di una valutazione preventiva e condivisa delle esigenze di bilanciamento tra diritto individuale e continuità operativa del servizio, alla luce delle peculiarità del settore di riferimento.
Tribunale di Ravenna, 26 giugno 2025.
Cessione di attività costituente un ramo d’azienda “leggero”: la giurisprudenza della Corte di giustizia europea impone di assegnare rilevanza al dissenso dei lavoratori sulla cessione del rapporto al cessionario.
La sentenza del Tribunale ravennate ripercorre l’evoluzione della disciplina del trasferimento d’azienda, in ambito comunitario e nazionale, per rilevare come l’allargamento del campo di applicazione della Direttiva europea a rami d’azienda c.d. leggeri, non coincidenti con la disciplina civilistica ex art. 2555 c.c., avesse una finalità protettiva dei lavoratori interessati al trasferimento, ma garantendo nel contempo il diritto al dissenso alla cessione, con l’effetto di permanere alle dipendenze del cedente (diritto da regolare da parte degli ordinamenti nazionali, cosa che l’ordinamento italiano non ha fatto in modo espresso). Il Tribunale ne ricava la conseguenza che, oltre a valutare i requisiti di sussistenza oggettiva del ramo preesistente al trasferimento, assuma rilevanza anche il dissenso espresso dal lavoratore trasferito (che, quando riguarda la maggioranza degli interessati, mette in discussione l’esistenza stessa di una cessione di ramo d’azienda).
Tribunale di Vicenza sentenza n. 315 del 5 giugno 2025.
Per la competenza territoriale non rileva l’abitazione del lavoratore in smart working.
L’abitazione non è una dipendenza aziendale se rappresenta unicamente il luogo di svolgimento del lavoro agile.
Il lavoratore, avente mansioni di commerciale esterno, impugnava giudizialmente il licenziamento irrogatogli, incardinando il procedimento presso il foro competente rispetto alla propria abitazione ove svolgeva l’attività in regime di smart-working.
Nel costituirsi in giudizio, la società datrice eccepisce l’incompetenza territoriale del giudice adito. Afferma che la residenza del lavoratore che svolge la prestazione in smart-working non è un elemento che può essere valorizzato al fine della determinazione della competenza territoriale in caso di instaurazione di un giudizio.


