Novita’ normative
D.L. 31 ottobre 2025 n. 159.
Pubblicato in Gazzetta il nuovo decreto legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Le misure adottate con il rafforzano controlli e strumenti di prevenzione. Tra le principali novità:
- Incentivi premiali per le imprese virtuose e revisione delle aliquote Inail in funzione dell’andamento infortunistico.
- Nuovo badge digitale per la tracciabilità dei lavoratori e controlli su subappalti.
- Inasprita la decurtazione dei punti per la patente a crediti.
- Sul fronte della formazione, esteso l’obbligo di aggiornamento per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) anche alle piccole imprese.
Previsto inoltre un innalzamento dei requisiti di accreditamento degli enti formativi per gli enti accreditati alla formazione continua
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: risposta ad interpello n. 3 del 13 ottobre 2025.
DURC: rilascio e nozione di “scostamento non grave”.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con risposta ad interpello n. 3 del 13 ottobre 2025, in relazione al quesito posto dall’ANPIT (Associazione Nazionale per Industria e Terziario), in merito alla possibilità di interpretare la nozione di “scostamento non grave” di cui all’art. 3, comma 3, D.M. 30 gennaio 2015 nel senso che, ove le situazioni debitorie nei confronti degli enti previdenziali siano costituite esclusivamente da accessori di legge (sanzioni/interessi) – e, dunque, prive di una effettiva omissione contributiva (perché già sanata) – l’ente previdenziale sia tenuto a rilasciare comunque un DURC attestante la regolarità contributiva, potendo solo attivare, per il recupero delle somme a credito, i diversi strumenti coattivi messi a sua disposizione dall’ordinamento ha precisato che, ai fini della regolarità contributiva (e quindi ai fini del rilascio del DURC) è necessario che eventuali debiti contributivi, sanzioni e interessi, nel loro complesso, non superino l’importo di 150 euro, soglia limite per la sussistenza dello “scostamento non grave.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: nota n. 14744 del 13 ottobre 2025
Dimissioni nel periodo di prova: convalida, chiarimenti
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato la nota n. 14744 del 13 ottobre 2025, con la quale fornisce chiarimenti in merito alla necessità di convalida delle dimissioni presentate durante il periodo di prova da parte dei genitori lavoratori tutelati dall’art. 55, comma 4, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità).
In estrema sintesi, per il Ministero le dimissioni della lavoratrice in gravidanza ovvero di un genitore nei primi tre anni di vita del bambino, anche se presentate durante il periodo di prova, debbono comunque essere convalidate dall’Ispettorato del lavoro o dall’Ufficio ispettivo del lavoro territorialmente competente, a norma dell’art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 151/2001.
Novita’ giurisprudenziali
Corte Costituzionale, sentenza 7 ottobre 2025, n 144.
Licenziamento del dipendente pubblico: indennità risarcitoria parametrata sulla retribuzione del TFR.
Cristallizzando i risultati della giurisprudenza relativa al regime applicabile ai licenziamenti illegittimi nella P.A. dopo la modifica apportata all’art. 18 S.L. dalla legge Fornero del 2012, il legislatore del 2017 aveva sostanzialmente optato per l’applicabilità dell’art. 18 S.L. nel testo ante-riforma. In particolare, oltre la reintegrazione, la legge prevede un’indennità risarcitoria commisurata “all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento del t.f.r.”. Poiché solo ad alcuni dipendenti pubblici è applicabile il t.f.r. e ad altri l’ips o il TFS e poiché solo la retribuzione per il computo del tfr è ispirata al principio di omnicomprensività, si era di nuovo posto un problema interpretativo e la giurisprudenza aveva finito per interpretare la norma nel senso che la retribuzione-parametro del t.f.r. fosse applicabile ai soli dipendenti in regime di t.f.r., mentre per gli altri la retribuzione-parametro sarebbe quella del TFS Sul conseguente tema della legittimità costituzionale di questa disparità di trattamento il giudice ha dunque interrogato la Corte costituzionale. Respingendo la questione di costituzionalità sollevata, la Corte contesta il presupposto interpretativo a fondamento della stessa: il legislatore del 2017 ha voluto infatti armonizzare i criteri di liquidazione dell’indennità per tutti i dipendenti pubblici contrattualizzati, adottando una nozione di t.f.r. astratto e non f riferito a un trattamento concretamente applicabile. Nessuna disparità di trattamento pertanto è ravvisabile: il regime è unico per tutti i dipendenti pubblici, ancorché alcuni di essi non abbiano a suo tempo optato per il TFR.
Cassazione civile, ordinanza 17 ottobre 2025, n. 27719.
La Cassazione fa il punto sull’efficacia soggettiva del CCNL, quando l’azienda esercita attività differenti.
L’individuazione della sfera di efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto è rimessa all’autonomia negoziale delle parti, esercitata attraverso l’iscrizione ad un sindacato o ad un’associazione imprenditoriale oppure sulla scorta di un comportamento concludente, a prescindere dal criterio dell’attività svolta. Il datore di lavoro che svolga attività economiche diverse e sia iscritto alle associazioni datoriali stipulanti i rispettivi contratti collettivi è tenuto ad applicare nella propria azienda il contratto collettivo coerente con ciascun settore di attività.
Corte di Cassazione, sentenza 7 ottobre 2025, n. 26956.
Malattia particolarmente grave e comporto nel CCNL logistica.
Nel giudizio di impugnazione di un licenziamento per superamento del periodo di comporto nel settore “logistica” la Corte era chiamata a interpretare la norma del contratto collettivo che esclude dal calcolo del comporto i periodi di “malattie particolarmente gravi” occorsi durante un determinato arco temporale. Secondo la Corte – che conferma il rigetto delle domande -, (i) la nozione di “malattia particolarmente grave”, interpretata con i criteri di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ., va intesa in senso restrittivo: dalla lettura coordinata delle diverse norme del CCNL e dal confronto con altri contratti emerge l’intento di escludere dal computo del comporto unicamente le patologie che impongono terapie salvavita o comunque trattamenti indispensabili alla sopravvivenza; (ii) l’onere di documentare la ricorrenza di tale condizione grava sul lavoratore, attraverso la prodizione di certificazione medica che attesti la “patologia grave che richiede terapia salvavita”; (iii) comunicazioni informali (es. messaggi WhatsApp al responsabile per aggiornarlo sull’evoluzione della malattia, come accaduto nel caso di specie) non hanno valore medico-legale e non suppliscono alla certificazione.
Corte di Cassazione, sentenza 7 ottobre 2025, n. 26954.
Revoca del licenziamento di lavoratrice in gravidanza: i 15 giorni decorrono dall’impugnazione, non dalla successiva comunicazione della gravidanza.
Una dipendente, licenziata in data 4 maggio 2022 per giustificato motivo oggettivo, quando era in gravidanza, aveva dapprima impugnato in modo generico il recesso e successivamente comunicato al datore di lavoro il proprio stato. Conseguentemente l’impresa aveva revocato il licenziamento e invitato la dipendente a riprendere servizio, al quale invito la lavoratrice non aveva adempiuto, sostenendo la tardività della revoca a norma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 23/2015 e impugnando su tale base il recesso. La Cassazione accoglie il ricorso della lavoratrice chiarendo che: (i) l’art. 5 del D.Lgs. n. 23/15 attribuisce al datore, nel quadro di un procedimento speciale rispetto alla normativa ordinaria sui licenziamenti illegittimi, il diritto potestativo di revocare entro 15 giorni il licenziamento, col ripristino immediato e retroattivo del rapporto e delle retribuzioni perdute, ma azzerando le ulteriori ordinarie conseguenze favorevoli al dipendente; (ii) trattasi pertanto di istituto eccezionale, la cui disciplina è di stretta interpretazione e va applicata secondo il suo tenore letterale, che fissa il termine di quindici giorni dalla comunicazione dell’impugnazione, senza distinguere in base alla conoscenza del motivo di invalidità; (iii) trattandosi di un termine di decadenza, non è suscettibile né di sospensione né di interruzione; (iv) la conoscenza successiva dello stato di gravidanza non incide sul decorso del termine, dato che la tutela della maternità non può essere subordinata a un obbligo della lavoratrice di informare preventivamente il datore di lavoro della propria condizione.
Corte di Cassazione, sentenza n. 24973 del 16 settembre 2025.
Perché parte datoriale sia esonerata dall’obbligazione retributiva è necessario che la sospensione unilaterale del rapporto di lavoro non sia a lei imputabile.
Questo il principio giurisprudenziale confermato dalla Corte di Cassazione, che ha dichiarato illegittima la sospensione della prestazione e della retribuzione disposta dal datore di lavoro in seguito all’ingiustificato rifiuto della ripresa del lavoro offerta dal dipendente provvisoriamente inidoneo alla mansione specifica anche in altre forme conformi alla consolidata prassi aziendale e compatibili con il suo stato di salute.
In caso di lavoratore affetto da una patologia transitoria e ritenuto temporaneamente inidoneo alla mansione specifica, infatti, il datore di lavoro deve dapprima tentare di adibirlo – per quanto possibile – a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento (o a mansioni anche inferiori) e, solo in difetto, è legittimato a sospendere la prestazione e la relativa retribuzione.
Qualora l’accertata inidoneità temporanea alla mansione si fondi sulla condizione di disabilità fisica o psichica del prestatore di lavoro, tuttavia, prima di procedere con la sospensione del rapporto il datore di lavoro deve – senza che ciò comporti un onere eccessivo – provare non solo a ricollocare il dipendente in mansioni equivalenti o inferiori, ma altresì ad adottare i c.d. adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro compatibili con lo stato di salute del lavoratore, come:
- lo spostamento del lavoratore disabile in locali diversi da quello originario;
- il trasferimento del lavoratore presso una sede di lavoro più vicina alla residenza;
- l’adeguamento dei locali, delle attrezzature o delle mansioni (anche tramite la ripartizione dei compiti) alle condizioni di salute del lavoratore disabile;
- le riduzioni e modifiche degli orari di lavoro;
- lo svolgimento delle mansioni in regime di lavoro agile.
Infatti, come precisato dal Tribunale di Rovereto con sentenza n. 14 del 8 maggio 2025, la sospensione unilaterale del rapporto di lavoro in essere con il lavoratore disabile (che legittimerebbe altresì il datore di lavoro alla mancata corresponsione della retribuzione) rappresenta – al pari dell’ipotesi di recesso per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore – l’ultima soluzione praticabile in seguito all’infruttuoso sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto.
Corte di Cassazione, ordinanza n. 24558 del 4 settembre 2025
Ai fini della legittimità del recesso, il datore deve mettere a disposizione del dipendente licenziato, già dal momento della contestazione, il report investigativo posto a base degli addebiti.
Nel caso di specie il lavoratore impugnava giudizialmente il licenziamento irrogatogli per uso abusivo dei permessi ex lege 104/1992. La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, ravvisando una violazione del diritto di difesa del lavoratore per la messa a disposizione del report investigativo, inerente le giornate incriminate, solo in giudizio.
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che, in tema di esercizio del potere disciplinare, la contestazione dell’addebito ha la funzione di indicare il fatto contestato al fine di consentire la difesa del lavoratore, mentre non ha per oggetto le relative prove, soprattutto per i fatti che, svolgendosi fuori dall’azienda, sfuggono alla diretta cognizione del datore di lavoro.
Per la sentenza, conseguentemente, è sufficiente che il datore di lavoro indichi la fonte della sua conoscenza.
Tuttavia, secondo i Giudici di legittimità, nel caso di specie, il datore non ha preindicato specificamente i fatti addebitati e, peraltro, non è riuscito a dimostrare nemmeno in giudizio che il personale autore del report fosse autorizzato.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando l’illegittimità dell’impugnato recesso.
Corte d’Appello di Milano, 17 settembre 2025.
l trasferimento di una lavoratrice disabile a una unità locale più vicina al suo domicilio può configurare un accomodamento ragionevole.
La Corte accoglie il ricorso di una lavoratrice e ne riconosce il diritto a essere trasferita presso la sede di lavoro più vicina alla sua abitazione, configurando tale misura come un “accomodamento ragionevole” dovuto in ragione della sua disabilità, pur non qualificata come grave. Il provvedimento della Corte ha giudicato illegittimo il rifiuto del datore di lavoro, affermando che per l’azienda fosse possibile trovare soluzioni organizzative tali da garantire la parità di trattamento, senza oneri sproporzionati o eccessivi. Dagli atti è emerso, infatti, come presso la sede più vicina all’abitazione della lavoratrice risultassero impiegati dei lavoratori somministrati e adibiti allo svolgimento di mansioni compatibili con quelle della dipendente.
Tribunale di Venezia, 16 luglio 2025.
Applicata la sentenza 129/2024 della Corte costituzionale: se il CCNL prevede per la condotta una sanzione conservativa il lavoratore deve essere reintegrato sul posto di lavoro
Qualora il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro preveda per una specifica condotta illecita (ricevere mance dai fornitori in violazione del regolamento aziendale) una sanzione di tipo conservativo, il datore di lavoro non può legittimamente licenziare il dipendente per quella stessa condotta. In tal caso, il fatto contestato viene considerato giuridicamente “inesistente”, nel senso che è inidoneo a giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro. Di conseguenza, il licenziamento è illegittimo e il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, anche nel regime del Jobs Act. Nel caso specifico, il Giudice ha ritenuto che il divieto di percepire mance per i lavoratori a cui si applica il CCNL Turismo Pubblici Esercizi si estenda anche alle somme in denaro elargite dai fornitori, ma che tale divieto non possa in ogni caso condurre a un licenziamento.
Tribunale di Campobasso, decreto n. 1352 16 luglio 2025.
Il Tribunale di Campobasso rigetta il ricorso per la repressione della condotta antisindacale in un caso di sostituzione del CCNL (da TLC a BPO, settore terziario, call center) durante l’ultrattività.
La decisione desta interesse perché incentrata in massima parte sull’interpretazione delle clausole temporali (ultrattività, rinnovo, disdetta etc). Nel caso di specie, il Tribunale:
- chiarisce che l’ultrattività è questione rimessa all’autonomia collettiva (inapplicabile l’art. 2074 c.c.)
- aderisce alle discutibili pronunce della Cassazione del 2021 e successive che ravvedono nell’ultrattività fino al rinnovo un termine negoziale (così escludendo la facoltà di recesso degli stipulanti)
- ravvede, in assenza di disdetta, l’inapplicabilità della ultrattività fino al rinnovo, pure prevista
- ravvede l’applicabilità della clausola di “rinnovo automatico” la quale, in assenza di previsione espressa di un termine o senza chiarire che gli effetti si sarebbero protratti fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL
Ne segue che non incorre in una condotta antisindacale, né viola la clausola di ultrattività, la scelta del datore di lavoro di applicare un CCNL diverso, stipulato dalla associazione datoriale di appartenenza. Non deve rilevare, prosegue il giudice, la valutazione circa il carattere peggiorativo del contratto successivo, almeno ai fini della valutazione della condotta datoriale ex art. 28 St. lav., né l’eventuale dimostrazione del carattere peggiorativo del trattamento normativo ed economico implica automaticamente una lesione dei beni protetti dalla norma sulla repressione della condotta sindacale (in tal senso sono “salve le valutazioni delle eventuali competenti sedi di merito in caso di controversie instaurate da singoli lavoratori”, i.e. per rivendicare l’insufficienza della retribuzione ex art. 36 Cost.).
Le norme di incentivo all’applicazione di contratti stipulati da soggetti comparativamente più rappresentativi (ad es. art. 51 del d.lgs. 81 del 2015; e art. 29 comma 1 bis del d.lgs. 276 del 2003) non dimostrano che, a fronte del cambio volontario del CCNL, sia stato violato l’interesse a contrattare dei sindacati comparativamente più rappresentativi.

