NEWSLETTER n. 1/2021

NOVITA’ NORMATIVE

PROROGA DIVIETO DI LICENZIAMENTO AL 31.03.2021.

La legge di Bilancio 2021 proroga fino al 31.03.2021 il blocco dei licenziamenti. Come per la precedente normativa in materia (D.L. n. 137 del 28.10.2020, convertito in L. n. 176 del 18.12.2020), il divieto di effettuare licenziamenti di natura oggettiva, da parte di tutti i datori di lavoro a prescindere dal requisito dimensionale, non è più dipendente dalla fruizione integrale degli ammortizzatori COVID-19. La Legge di Bilancio 2021, infatti, prevede che il divieto opererà fino al 31.03.2021 per le seguenti fattispecie:

  • licenziamenti collettivi (artt. 4, 5 e 24 L. n. 223 del 1991); restano inoltre, sospese le procedure già avviate al 23.02.2020;
  • licenziamento per giustificato motivo oggettivo (art. 3 L. n. 604 del 1966);
  • procedure di conciliazione obbligatoria per i lavoratori in tutele reali (ante Jobs Act).

Il divieto non si applica ai licenziamenti motivati da:

  • cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività;
  • accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, per i soli lavoratori che aderiscono all’accordo;
  • licenziamenti per fallimento, se non è previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione.

INPS – CIRCOLARE N. 139 DEL 7.12.2020: CASSA INTEGRAZIONE COVID.

La circolare fornisce una serie di istruzioni e chiarimenti sulla corretta gestione delle domande di cassa integrazione Covid-19.

Il decreto Ristori ha previsto ulteriori 6 settimane, con decorrenza dal 15.11.2020, andandosi così ad intrecciare con le settimane o residue settimane previste dal decreto Agosto che avevano come termine il 31.12.2020.

Deve, dunque, essere effettuato un coordinamento tra le due norme del decreto Agosto e del decreto Ristori, con conseguenza che i datori di lavoro che hanno richiesto o che richiederanno periodi che rientrano in tale ultima disciplina potranno, nel rispetto dei presupposti di legge, accedere ai trattamenti per i periodi (9+9 settimane) e alle condizioni dalla stessa previsti anche per i periodi successivi al 15.11.2020 e fino al 31.12.2020.

Le 6 settimane del decreto Ristori possono essere riconosciute ai datori di lavoro ai quali sia stato già interamente autorizzato il secondo periodo delle 9 settimane del decreto Agosto (D.L. n. 104 del 2020), purché lo stesso sia integralmente decorso, nonché ai datori di lavoro appartenenti ai settori dai vari DPCM che dispongono la limitazione o chiusura delle attività economico/produttive.

Nel rispetto dei termini decadenziali previsti, possono accedere ai trattamenti previsti dal decreto Agosto e dal decreto Ristori tutti i lavoratori assunti fino alla data del 9.11.2020.

Per le settimane previste dal D.L. n. 137 del 2020, ovvero le 6 settimane o il minor periodo che si andrà a richiedere, è necessario indicare la nuova causale “COVID-19 DL 137”.

Infine, l’INPS ricorda, in merito alla concessione del trattamento di CIGD, l’obbligatorietà dell’accordo sindacale con le rappresentanze comparativamente più rappresentative per le aziende con più di 5 dipendenti, anche in via telematica.

NOVITà GIURISPRUDENZIALI

USO CHAT PRIVATE LAVORATORI PER FINI DISCIPLINARI.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 258 del 27.07.2020, chiarisce che sono utilizzabili a scopo disciplinare i contenuti espressi nelle chat private organizzate tra colleghi di lavoro.

Nel caso di specie, ad una lavoratrice era stato contestato dal datore di lavoro di avere inviato a tutti i dipendenti addetti al punto vendita di una catena di abbigliamento, a mezzo WhatsApp all’interno di una chat privata, un filmato effettuato nei locali del negozio in cui era ripreso il responsabile mentre usciva dal bagno in mutande con una bottiglia di (apparenti) urine in mano. Per tale motivo, la lavoratrice era stata licenziata per giusta causa.

Il Tribunale del lavoro di Venezia aveva accolto il ricorso della lavoratrice disponendone, con ordinanza, la reintegrazione nel posto di lavoro.

La Corte di Appello di Venezia ha in parte accolto l’appello della società datrice di lavoro: pur considerando illegittimo il licenziamento comminato per giusta causa, ha ritenuto comunque utilizzabile il filmato per sanzionare disciplinarmente la dipendente.

FERIE NON GODUTE E NON RETRIBUITE E CONTRIBUTI.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26160 del 17.11.2020, chiarisce che sono dovuti i contributi previdenziali anche in relazione a ferie non godute e non retribuite nel corso del rapporto di lavoro.

Nel caso di specie, l’INPS aveva richiesto il pagamento della contribuzione relativa agli importi dell’indennità sostitutiva di ferie non godute da tredici dipendenti di una società, nonostante il decorso di diciotto mesi dalla maturazione e la non cessazione del rapporto di lavoro.

La sentenza impugnata richiama l’art. 10 del D.Lgs. n. 66 del 2003, secondo il quale può essere corrisposta una indennità per ferie non fruite solo al momento in cui il rapporto viene a cessare, e, di conseguenza, l’inconfigurabilità dell’obbligo contributivo corrispondente.

Richiamando l’art. 12 della L. n. 153 del 1969, la Corte chiarisce che alla base del calcolo dei contributi previdenziali deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o contratto e non quella di fatto corrisposta. Attraverso l’analisi dell’evoluzione della normativa previdenziale evidenziante il carattere parafiscale assunto nel tempo dal sistema contributivo della previdenza obbligatoria, sempre meno strettamente legato al rapporto di lavoro, la Corte giunge ad affermare il principio per cui costituisce base contributiva imponibile l’importo corrispondente all’indennità per ferie non godute nell’ipotesi in cui sia decorso il termine di diciotto mesi di cui all’art. 10 del D. Lgs. n. 66 del 2003, a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro.

LICENZIAMENTO DURANTE IL BLOCCO DEI LICENZIAMENTI “MISURE COVID”.

Il Tribunale di Mantova, con sentenza n. 112 dell’11.11.2020, precisa che è nullo il recesso adottato in violazione del divieto di cui all’art. 46 del D.L. n. 18 del 2020 e che trova applicazione la disciplina della reintegrazione.

Il Tribunale dichiara la nullità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una apprendista, poiché disposto in violazione del divieto di licenziamento per motivi economici, introdotto dal D.L. n. 18 del 2020 (c.d. Cura Italia), nell’ambito della normativa emergenziale provocata dalla pandemia Covid-19, e prorogato dai successivi decreti legge.

Il Giudice, prendendo posizione nel dibattito sorto sulla qualificazione del tipo di invalidità riconducibile alla violazione del divieto, ritiene che si tratti di una nullità “espressa” per violazione di norma imperativa ex art. 1418 c.c., alla quale consegue il diritto alla reintegrazione ex art. 18, comma 1, L. n. 300 del 1970 o art. 2 D.Lgs. n. 23 del 2015.

LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO PERIODO DI COMPORTO.

Il Tribunale di Pavia, con ordinanza del 31.10.2020, applica il criterio probabilistico ai fini della quantificazione dei giorni di assenza imputabili al datore di lavoro, da escludere dal conteggio.

Il lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto assumeva che parte della malattia fosse imputabile a colpa del datore di lavoro, in quanto psicopatologia sorta per effetto di un grave demansionamento.

Di fronte alla complessità del caso, ed accertata la condotta che aveva lasciato il dipendente pressoché inattivo per un lungo periodo, il Giudice ha disposto CTU medico-legale che ha dato riscontro positivo sulla rilevanza concausale della condotta datoriale nel sorgere della malattia, ma senza poter distinguere nettamente i periodi di malattia a ciò riconducibili.

Il Giudice ha, quindi, quantificato i giorni di assenza imputabili al datore di lavoro applicando un criterio probabilistico, secondo la regola “del più probabile che non”, e ritenendo su tale base che senza quei periodi il comporto non sarebbe stato certamente superato.

PAGAMENTO E PROSPETTI PAGA.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 27749 del 3.12.2020, chiarisce che i prospetti paga non sempre sono sufficienti per ritenere delibato l’effettivo pagamento.

Posto che è onere del datore di lavoro consegnare ai propri dipendenti i prospetti contenenti tutti gli elementi della retribuzione, la Corte precisa che comunque detti prospetti non sono sufficienti per ritenere delibato l’effettivo pagamento (anche se eventualmente sottoscritti dal prestatore d’opera con la formula “per ricevuta”), potendo gli stessi costituire prova solo dell’avvenuta consegna della busta paga.

Laddove si sia, però, in presenza di prospetti paga contenenti tutti gli elementi della retribuzione ed una regolare dichiarazione autografa di quietanza del lavoratore, l’onere della prova della non corrispondenza tra le annotazioni della busta paga e la retribuzione effettivamente erogata grava sul dipendente.

La dicitura “per ricevuta/quietanza” da fare sottoscrivere al lavoratore non è assimilabile ad una clausola inserita nelle condizioni generali del contratto, o in moduli o formulari.

ASTENSIONE COLLETTIVA DAL LAVORO.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27747 del 3.12.2020, chiarisce quando l’astensione del lavoro configura inadempimento o sciopero.

Nel caso di specie alcuni portalettere si erano rifiutati di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza, di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale.

La Corte precisa che in tema di astensione collettiva dal lavoro e con riferimento al caso in cui un accordo collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria un collega assente, remunerandolo con una quota di restituzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione non attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali e, pertanto, non sono illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dai datori ai dipendenti che hanno rifiutato la prestazione aggiuntiva richiesta.

BANDO DI CONCORSO NEL RAPPORTO DI LAVORO PRIVATO.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 28414 del 14.12.2020, si pronuncia in materia di bandi di concorso nel rapporto di lavoro privato.

Nel caso di specie il bando di concorso indetto, nell’ambito dei rapporti di lavoro regolati dal diritto privato, per l’assunzione, promozione o riconoscimento di determinati trattamenti o benefici a favore del personale all’esito di determinare procedure selettive, costituisce un’offerta contrattuale al pubblico ovvero a determinata cerchia di destinatari, caratterizzata dal fatto che l’individuazione del soggetto, tra quelli iscritti al concorso, avverrà per mezzo della stessa procedura concorsuale e secondo le regole per la medesima stabilite.

Di conseguenza il datore di lavoro è tenuto a comportarsi con correttezza e secondo buona fede nell’attuazione del concorso, così come nell’adempimento di ogni obbligazione, con individuazione della portata dei relativi obblighi correlata, in via principale, alle norme di legge sui contratti e sulle inerenti obbligazioni contrattuali ed agli impegni assunti con l’indizione del concorso.

LAVORO INTERMITTENTE.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 28345 dell’11.12.2020, si pronuncia in materia di lavoro intermittente e requisito anagrafico di cui all’art. 34 D.Lgs. n. 276 del 2003, nella versione modificata dalla L. n. 92 del 2012.

Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti di meno di 25 anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il 25° anno di età.

Tale requisito anagrafico costituisce presupposto per la stipulazione del contratto. Quanto alla natura giuridica, esso è un requisito di liceità del contratto di tipo soggettivo.

La mancanza di tale requisito, stante la sua rilevanza in relazione alla struttura del contratto e agli interessi pubblici sottesi, determina la nullità del negozio per contrasto con norme imperative di legge ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. e, dall’altro, la possibilità di una conversione ex art. 1424 c.c. ove il negozio sia idoneo a produrre gli effetti di un’altra fattispecie e previo accertamento, riservato al giudice di merito, della volontà delle parti.

DATORE DI LAVORO E OBBLIGO DI SICUREZZA.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27913 del 4.12.2020, si pronuncia sulla posizione di garanzia del datore di lavoro ed obbligo di sicurezza.

La Corte chiarisce che l’attività produttiva è subordinata alla utilità sociale, da intendersi non solo come mero benessere economico e materiale, sia pure generalizzato alla collettività, ma anche come realizzazione di un pieno e libero sviluppo della persona umana e dei connessi valori di sicurezza, libertà e dignità.

Ne consegue che la concezione “patrimonialistica” dell’individuo deve necessariamente recedere di fronte alla diversa concezione che fa leva essenzialmente sullo svolgimento della persona, sul rispetto di essa, sulla sua dignità, sicurezza e salute.

La mancata predisposizione di tutti i dispositivi atti a tutelare la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro viola l’art. 32 della Costituzione, nonché l’art. 2087 c.c., che impone anche la predisposizione di misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione di quella integrità nell’ambiente o in costanza di lavoro anche in relazione ad eventi, pur se allo stesso non collegati direttamente ed alla probabilità di concretizzazione del conseguente rischio.

SANZIONI DISCIPLINARI.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27911 del 4.12.2020, si pronuncia in materia di graduazione della sanzione disciplinare e poteri del giudice.

La Corte ribadisce che non è consentito al Giudice di sostituirsi al datore di lavoro nella graduazione della sanzione da irrogare in concreto, se non quando l’imprenditore:

a) abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista, perciò, soltanto in una riconduzione a tale limite; oppure

b) sia lo stesso datore di lavoro, convenuto in giudizio per l’annullamento della sanzione, a chiedere, nel suo atto di costituzione, la riduzione della sanzione ed il giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, ritenga eccessiva la sanzione già inflitta.

In tali casi l’applicazione all’esito del giudizio di una sanzione minore è da ritenersi legittima, in quanto non implica la sottrazione della sua autonomia all’imprenditore e realizza l’economia di un nuovo eventuale giudizio valutativo avente ad oggetto la sanzione medesima.

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