NEWSLETTER N. 1/2023 Novità normative e giurisprudenziali

NOVITÀ NORMATIVE

Governo: approvato il decreto Milleproroghe.
Nella seduta n. 11 del 21.12.2022, il Governo ha approvato il cd. decreto Milleproroghe, che introduce disposizioni urgenti in materia di termini legislativi.
Queste le novità in materia di lavoro.
Contratto di espansione:
• proroga per il biennio 2024-2025;
• per gli accordi stipulati dal 1.01.2023, si amplia la platea delle imprese ammesse al contratto di espansione e si riduce da 1.000 a 500 la soglia occupazionale necessaria la maggior riduzione dei versamenti a carico del datore in caso di incremento delle assunzioni;
• qualora il datore di lavoro effettui almeno una assunzione per ogni tre lavoratori che abbiano prestato il consenso alla stipula del contratto di espansione, la riduzione dei versamenti a carico del datore di lavoro, opererà per ulteriori dodici mesi. Nel caso in cui almeno il 50% dei lavoratori così assunti non abbia compiuto il 35°anno di età, l’ulteriore riduzione opererà per ulteriori 24 mesi.
Ammortizzatori sociali:
• proroga, per gli anni 2024 e 2025, della riduzione oraria e dell’integrazione salariale per determinate categorie di lavoratori, anche in favore delle aziende che occupano oltre 50 dipendenti, per un periodo non superiore a 18 mesi, anche non continuativi;
• proroga, al 31.12.2023, della sospensione dei termini di prescrizione degli obblighi contributivi riferiti alle gestioni previdenziali dei pubblici dipendenti;
• proroga, al 31.12.2023, del termine entro il quale le pubbliche amministrazioni che abbiano instaurato rapporti di co.co.co sono tenute a versare i contributi per la gestione separata;
• proroga, al 31.12.2023, della competenza attribuita in via esclusiva ai consulenti del lavoro e alle associazioni datoriali comparativamente più rappresentative per quel che riguarda la verifica dei requisiti concernenti l’osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richieste di ingresso di cittadini non comunitari;
• proroga, al 31.12.2023, entro un limite di spesa, del termine di presentazione delle domande di cassa integrazione guadagni straordinaria per le aziende rientranti nel campo di applicazione del Fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale e relativo ai periodi di CIGS concessi per l’anno 2022.
Autorizzazione all’assunzione nelle pubbliche amministrazioni, con particolare riguardo:
• al comparto sicurezza-difesa;
• al Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
• al Ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare;
• al Ministero dell’economia e delle finanze;
• al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica;
• alle agenzie, incluse le agenzie fiscali e l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo;
• agli enti pubblici.
Agenzia italiana del farmaco
• possibilità di prorogare, al 31.12.2023, il rinnovo dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa e i contratti di prestazione di lavoro flessibile in scadenza, fermi restando gli effetti delle proroghe eventualmente già intervenute per le medesime finalità. Per tali rinnovi è previsto uno stanziamento di risorse per le quali viene indicata la copertura finanziaria.
Scuole/Università
• proroga, per l’anno scolastico 2023/2024, della possibilità di conferire incarichi temporanei nelle scuole dell’infanzia paritarie attingendo anche alle graduatorie degli educatori dei servizi educativi per l’infanzia in possesso di titolo idoneo;
• proroga, per l’anno accademico 2023-2024, della validità delle graduatorie nazionali utili per il conferimento di incarichi di docenza a tempo indeterminato e determinato nel comparto AFAM. Inoltre, si rinvia all’anno accademico 2023/2024 l’entrata in vigore del regolamento per il reclutamento del personale docente e amministrativo del comparto.
Enti sportivi professionistici e dilettantistici
• differita al 1° luglio 2023 l’applicazione delle norme relative al riordino e alla riforma in materia.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Interpello n. 3 del 20 dicembre 2022 “Interpello ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni, in merito alla “nomina RSPP”. Seduta della Commissione del 15 dicembre 2022.”.
La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza del Ministero del Lavoro ha pubblicato l’interpello n. 3 del 20.12.2022, con il quale ha fornito, alla Segreteria DICCAP (Dipartimento autonomie locali e polizie locali) e SULPL, alcuni chiarimenti in merito al seguente quesito: “un datore di lavoro può nominare più di un responsabile del servizio prevenzione e protezione?”.
La risposta del Ministero del Lavoro:
“Al riguardo, premesso che:
• l’articolo 2, del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008, rubricato “Definizioni”, al comma 1, lettera f) definisce il “responsabile del servizio di prevenzione e protezione” come: “persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi” e alla successiva lettera l) definisce il “servizio di prevenzione e protezione dai rischi” come “insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori”;
• il medesimo articolo 2, del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008, al comma 1, lettera t), definisce l’“unità produttiva” come “stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”;
• l’articolo 17 del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008 rubricato “Obblighi del datore di lavoro non delegabili” al comma 1 dispone che: “Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività: a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28; b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi”;
• l’articolo 31 del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008, rubricato “Servizio di prevenzione e protezione”, al comma 1, stabilisce che: “Salvo quanto previsto dall’articolo 34, il datore di lavoro organizza il servizio di prevenzione e protezione prioritariamente all’interno della azienda o della unità produttiva, o incarica persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici, secondo le regole di cui al presente articolo”;
• il medesimo articolo 31 del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008, al comma 8, prevede che “Nei casi di aziende con più unità produttive nonché nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione. I datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile”.
La Commissione ritiene che la citata normativa preveda la designazione per ogni azienda o unità produttiva di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi e che il Servizio di prevenzione e protezione si intenda costituito quando sono stati nominati il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP) e gli eventuali addetti (ASPP).
Nel caso di aziende con più unità produttive (come definite dall’art. 2, comma 1, lettera t), del D.Lgs. n. 81/2008), nonché nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione.
I datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 2414 del 6 dicembre 2022 “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio” – sistema sanzionatorio.
Con la nota n. 2414/2022 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce alcuni chiarimenti in merito alla corretta applicazione ed ai profili di carattere sanzionatorio della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 105/2022 la quale, recependo la direttiva UE 2019/1158, ha modificato il D.Lgs. n. 151/2001 e la L. n. 104/1992, introducendo misure dirette a realizzare un migliore contemperamento tra l’attività lavorativa e professionale e la vita familiare dei genitori e dei prestatori di assistenza (c.d. caregiver familiari), nonché una più equa condivisione tra uomini e donne delle responsabilità di cura e la parità di genere in ambito lavorativo e familiare.
Ai casi di rifiuto, opposizione od ostacolo all’esercizio dei diritti di assenza dal lavoro – fra i quali l’INL segnala anzitutto il congedo di paternità obbligatorio, riconosciuto al padre lavoratore dipendente per un periodo di 10 giorni lavorativi (20 in caso di parto plurimo), previsto dal nuovo art. 27-bis del D.Lgs n. 151/2001 – si applica la nuova sanzione amministrativa da 516 a 2.582 euro, oltre al possibile impedimento al datore di lavoro del conseguimento delle certificazioni per la parità di genere.
Secondo l’Ispettorato non può ritenersi di ostacolo la richiesta datoriale di fruire del congedo in tempi compatibili con il preavviso di cinque giorni stabilito dal legislatore, salvo l’eventuale parto anticipato.
Spetta anche un congedo di paternità alternativo alla madre nelle situazioni particolarmente gravi e il rifiuto, l’opposizione o l’ostacolo da parte del datore è punito con la sanzione penale dell’arresto fino a sei mesi.
Viene esteso il divieto di licenziamento ai papà fino al compimento di un anno di età del bambino, pena la nullità del licenziamento e la sanzione amministrativa da 1.032 a 2.582 euro.
Scatta inoltre la sanzione amministrativa da 516 a 2.582 euro nei casi di inosservanza dei riposi giornalieri per madre e padre (compresi i parti plurimi), nonché dei riposi per figli portatori di handicap.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, decreto 20 ottobre 2022
Esonero contributivo riconosciuto ai datori di lavoro privati con certificazione sulla parità di genere.
Con la pubblicazione il 29.11.2022 sul sito istituzionale del Ministero del Lavoro è stato emanato il decreto 20.10.2022, che definisce criteri e modalità di concessione dell’esonero contributivo in favore delle aziende private che abbiano conseguito la certificazione di parità di genere di cui all’art. 46 bis, D.Lgs n. 198/2006, come modificato dall’art. 4 della L. n. 162/2021.
La L. n. 162/2021, contenente importanti disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, ha previsto a decorrere dall’anno 2022 un esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali per i datori di lavoro del settore privato che conseguano la certificazione della parità di genere, quale attestazione del loro concreto impegno per la riduzione delle disparità di genere.
L’esonero è pari all’1 per cento nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna azienda, riparametrato e applicato su base mensile. Il beneficio è fruito dai datori di lavoro in riduzione dei contributi previdenziali a loro carico in relazione alle mensilità di validità della certificazione della parità di genere, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

Corte Europea dei diritti dell’uomo, Sez. IV, 15 dicembre 2022, n. 26968/16
Licenziato perché il GPS svela l’uso dell’auto aziendale per fini privati: CEDU non violata
La sentenza giudica legittimo il licenziamento di un dipendente per dati ottenuti con GPS sull’auto aziendale ed analizza tipo e livello di sorveglianza accettabile da parte di un datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, nonché la questione della necessità di preservare la privacy individuale in un contesto professionale: il caso in esame si differenzia dai casi già esaminati dalla Corte europea per i diritti dell’Uomo in merito al rispetto della privacy nell’ambito dei rapporti di lavoro, in quanto le informazioni in questione non erano immagini, messaggi elettronici o file informatici, ma dati di geolocalizzazione.
La Corte europea dei diritti dell’Uomo, con la recente sentenza del 13 dicembre 2022, ha dichiarato legittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente che, scoperto attraverso i movimenti del GPS dell’auto aziendale, tentava di eludere il proprio onere di rimborso spese.
Il protagonista della vicenda è un lavoratore assunto come rappresentante presso un’azienda farmaceutica. In ragione della mobilità associata al lavoro svolto, l’azienda aveva assegnato un’auto aziendale, consentendo l’uso del veicolo per viaggi privati e al di fuori dell’orario di lavoro, chiedendo solo un rimborso per il carburante impiegato per uso personale. A distanza di qualche tempo, l’azienda aveva installato un sistema di posizionamento globale via satellite (GPS) nelle auto aziendali dei propri lavoratori. A seguito di un controllo dei dati raccolti dal GPS installato sul veicolo del lavoratore, la società aveva avviato un procedimento disciplinare nei suoi confronti per aver aumentato il numero di chilometri percorsi per motivi di lavoro al fine di diluire i chilometri percorsi nell’ambito di viaggi privati nei fine settimana o nei giorni festivi, per non doverli rimborsare. Al termine del procedimento disciplinare, la società ha comunicato al dipendente che i fatti attribuiti erano stati ritenuti accertati e, di conseguenza, ne ha disposto il licenziamento.
Secondo la CGUE lo scopo dell’articolo 8 CEDU è essenzialmente quello di proteggere l’individuo da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche, ma esso non si limita a richiedere allo Stato di astenersi da tali interferenze: oltre a questo obbligo negativo, possono esistere obblighi positivi inerenti al rispetto effettivo della vita privata o familiare.
Tali obblighi possono richiedere l’adozione di misure volte al rispetto della vita privata anche nelle relazioni tra individui. La responsabilità dello Stato può quindi essere chiamata in causa se gli atti in questione derivano dall’incapacità di garantire agli interessati il godimento dei diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione. La Corte ha già affermato che, in determinate circostanze, il rispetto degli obblighi positivi imposti dall’articolo 8 richiede che lo Stato adotti un quadro legislativo che protegga il diritto in questione. Per la sorveglianza dei lavoratori sul posto di lavoro, gli Stati possono scegliere se adottare o meno una legislazione specifica.
Tuttavia, spetta ai tribunali nazionali garantire che l’introduzione da parte di un datore di lavoro di misure di sorveglianza che incidono sul diritto alla vita privata sia proporzionata e accompagnata da garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi.
Il giudice portoghese ha bilanciato il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata con il diritto del suo datore di lavoro di garantire il corretto funzionamento dell’azienda, tenendo conto dello scopo legittimo perseguito dall’azienda, ossia il diritto di controllare le spese.
Il margine di apprezzamento a disposizione dello Stato in questo caso non è stato quindi superato. La Corte conclude che le autorità nazionali non sono venute meno all’obbligo positivo di tutelare il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata.
I giudici nazionali devono prendere in considerazione i seguenti fattori nel bilanciare i vari interessi in gioco:
(i) Il lavoratore è stato informato della possibilità che il datore di lavoro adotti misure di sorveglianza e dell’introduzione di tali misure? Anche se in pratica questo può essere comunicato al personale in vari modi, a seconda delle circostanze di fatto di ciascun caso, l’avvertimento dovrebbe in linea di principio essere chiaro riguardo alla natura della sorveglianza e dovrebbe essere dato prima della sua attuazione.
ii) Qual è stata la portata della sorveglianza del datore di lavoro e il grado di intrusione nella vita privata del dipendente? A questo proposito, occorre tenere conto della privacy del luogo in cui avviene la sorveglianza, dei limiti spaziali e temporali della sorveglianza e del numero di persone che hanno accesso ai risultati della sorveglianza.
iii) Il datore di lavoro ha giustificato l’uso della sorveglianza e la portata della stessa per motivi legittimi? A questo proposito, quanto più intrusiva è la sorveglianza, tanto più seria è la giustificazione richiesta.
iv) Era possibile istituire un sistema di sorveglianza basato su mezzi e misure meno intrusivi? A questo proposito, occorre valutare, alla luce delle circostanze particolari di ciascun caso, se l’obiettivo legittimo perseguito dal datore di lavoro potrebbe essere raggiunto con una minore ingerenza nella vita privata del dipendente.
v) Quali sono state le conseguenze della sorveglianza per il dipendente che vi è stato sottoposto? In particolare, occorre esaminare come il datore di lavoro abbia utilizzato i risultati della misura di sorveglianza e se questi siano serviti allo scopo dichiarato della misura.
vi) Sono state fornite adeguate garanzie al dipendente, soprattutto quando le misure di sorveglianza del datore di lavoro erano intrusive? Tali garanzie possono essere attuate, tra l’altro, informando i dipendenti interessati o i rappresentanti del personale sull’introduzione e sull’estensione della sorveglianza, segnalando l’adozione di tale misura ad un organismo indipendente, o con la possibilità di presentare un reclamo.
Per quanto riguarda il controllo delle azioni di un individuo per mezzo di apparecchiature fotografiche o video, le istituzioni della Convenzione hanno ritenuto che la sorveglianza dei movimenti di una persona in un luogo pubblico per mezzo di un dispositivo fotografico che non memorizza dati visivi non costituisce di per sé una forma di interferenza con la vita privata.
Nel determinare l’applicazione dell’articolo 8, la Corte considera rilevante anche la questione se l’individuo in questione sia stato preso di mira dalla misura di sorveglianza o se i dati personali sono stati trattati, utilizzati o resi pubblici in un modo o in una misura superiore a quanto gli interessati potevano ragionevolmente aspettarsi.
Nel caso di specie, i dati raccolti tramite il sistema di geolocalizzazione installato nell’auto aziendale del ricorrente sono stati registrati e trattati al fine di ottenere informazioni aggiuntive, quali la durata di utilizzo del veicolo, i chilometri percorsi, l’ora in cui il veicolo è stato avviato e fermato e la velocità di marcia.
La Corte osserva che i dipendenti non erano autorizzati a disattivare questo sistema e che era attivo 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, come riconosce il Governo.
Era quindi permanente e sistematica e consentiva di ottenere dati di geolocalizzazione sia durante che al di fuori dell’orario di lavoro del ricorrente, violando così innegabilmente la sua vita privata; inoltre, le informazioni di geolocalizzazione relative ai chilometri percorsi hanno costituito la base per il licenziamento del ricorrente, poiché questa misura ha innegabilmente avuto un grave impatto sulla sua vita privata.

Corte di Giustizia UE, sentenza 17 novembre 2022, in causa n. C-304/21.
Discriminatorio il limite massimo di età di 30 anni per diventare commissario di polizia.
Nel 2019 il Ministero dell’interno italiano aveva indetto un concorso per il conferimento di 120 posti di commissario di polizia di Stato indicando, tra i requisiti di ammissione, un limite massimo di età pari a 30 anni.
Nell’ambito di un procedimento avviato da un cittadino italiano che non aveva potuto presentare la propria candidatura proprio perché, al momento della domanda, risultava già ultratrentenne, il Consiglio di Stato, ritenendo che il requisito anagrafico in questione costituisca una discriminazione basata sull’età, ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/78, decideva di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia, la quale, confermando di fatto le valutazioni del giudice del rinvio, osserva che (i) se, come si sostiene nella domanda pregiudiziale di rinvio, risultasse confermato che le funzioni abitualmente esercitate dai commissari italiani non richiedano il possesso di capacità fisiche particolari, non trattandosi di funzioni operative o esecutive, il limite di età non costituirebbe un requisito proporzionato alle necessità del ruolo; (ii) il fatto che la normativa italiana preveda una riserva di posti agli agenti già in servizio che non abbiano più di 40 anni consente di affermare che il raggiungimento di tale età alla data di iscrizione al concorso non sia incompatibile con l’esercizio delle funzioni di commissario di polizia, e ciò corrobora il carattere sproporzionato del requisito anagrafico previsto nel caso di specie; (iii) la previsione, all’occorrenza, di una prova fisica eliminatoria nell’ambito del concorso in esame costituirebbe una misura adeguata e meno restrittiva rispetto alla fissazione di un limite massimo di età.

Corte di Cassazione, sentenza 5 dicembre 2022, n. 35644
Si al volantinaggio sindacale elettronico, senza pregiudizio per l’attività aziendale.
Lo ha stabilito la Cassazione in due sentenze gemelle, con le quali la Corte ha confermato l’antisindacalità della sanzione disciplinare inflitta da una società a una componente della RSU che, in orario di lavoro, aveva inviato comunicazioni di carattere sindacale all’indirizzo di posta elettronica aziendale di circa duecento dipendenti.
In motivazione, la Cassazione, inquadrata la questione nell’ambito del c.d. volantinaggio elettronico, osserva che (i) l’evoluzione delle modalità di comunicazione che è andata affermandosi negli ultimi anni anche nell’ambito delle comunità aziendali impone di ricomprendere la posta elettronica tra gli spazi deputati alle comunicazioni sindacali, ciò anche al fine di garantire reale efficacia all’attività sindacale; (ii) l’obbligo di predisporre “appositi spazi” da mettere a disposizione delle rappresentanze sindacali, previsto dall’art. 25 SL, può essere adeguatamente attuato anche attraverso la previsione di una specifica casella di posta elettronica dedicata alle sole comunicazioni di natura sindacale; (iii) in assenza di canali informatici appositamente dedicati, l’uso della rete di posta elettronica aziendale per finalità di proselitismo sindacale deve considerarsi legittimo, a condizione che si svolga senza pregiudizio per la normale attività aziendale (art. 26 S.L.).

Corte di Cassazione, sentenza 1° dicembre 2022, n. 35416
Un’accurata ricostruzione del danno biologico temporaneo e permanente.
Il caso esaminato dalla Corte riguarda un lavoratore portuale che, in ragione della prolungata esposizione professionale a fibre di amianto, aveva contratto un adenocarcinoma e al quale i giudici di primo e secondo grado avevano riconosciuto il diritto al risarcimento del danno biologico temporaneo e permanente differenziale, danno che la Corte d’appello aveva liquidato applicando le c.d. tabelle milanesi.
Nel ricorso per cassazione, la società aveva censurato la pronuncia della corte territoriale, sostenendo che avrebbe erroneamente liquidato un danno da invalidità permanente in occasione di una patologia che, pur stabilizzatasi, risultava ancora in atto.
La Cassazione, analizzando approfonditamente la tematica del danno biologico temporaneo e di quello permanente e pur ribadendo che il danno biologico permanente deve essere determinato a partire dalla cessazione di quello temporaneo, osserva che (i) nel caso delle patologie ingravescenti caratterizzate da alta probabilità di esito sfavorevole, tra cui la neoplasia polmonare contratta dal lavoratore, l’incapacità biologica temporanea viene a cessare – oltre che con la piena guarigione o con il decesso, anche – con l’adattamento dell’organismo alle mutate e degradate condizioni di salute (c.d. stabilizzazione); (ii) in caso di (mera) stabilizzazione della patologia ingravescente, il carattere permanente dell’invalidità è dato anche dal rischio di ripresa della malattia, il quale, infatti, contribuisce a integrare il complessivo stato invalidante del soggetto; (iii) coerentemente con tale impostazione, i barèmes elaborati dalla comunità scientifica e usati in medicina legale considerano nella scala dei gradi invalidità il maggior rischio cui è esposto il paziente di subire, anche a distanza di tempo, una ripresa e sviluppo del fattore patogeno, che potrebbe condurre al decesso, ovvero di incorrere in ulteriori complicanze in grado di incidere peggiorativamente sullo stato di salute.

Corte di Cassazione, ordinanza 30 novembre 2022, n. 35233
Licenziamento per giusta causa e prova del fatto addebitato al dipendente.
Se in sede impugnativa il datore non riesce a provare i fatti addebitati al dipendente, il licenziamento per giusta causa è illegittimo: lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 35233/2022.
L’ordinanza si riferisce al caso di una segretaria, licenziata dall’avvocato per cui lavorava, alla quale era stato contestato di non aver avvisato il legale del pagamento ricevuto da un cliente, lasciando incustodita la somma.
In sede istruttoria, tuttavia, la consegna del denaro non era stata.
Il fatto contestato, dunque, non veniva provato.

Corte di Cassazione, ordinanza 28 novembre 2022, n. 34968
Sull’onere della prova nel giudizio di responsabilità contrattuale del datore per danno da superlavoro del dipendente.
Tribunale e Corte d’appello avevano rigettato la domanda risarcitoria formulata da un ex dipendente del Ministero della Giustizia per i danni alla salute (sindrome depressiva e successivo infarto) che il lavoratore imputava al fatto di essere stato sottoposto a ritmi lavorativi insostenibili, dovuti all’assenza di un’adeguata pianificazione e distribuzione dei carichi di lavoro.
In motivazione, i giudici di merito avevano evidenziato come il lavoratore avesse omesso di contestare la violazione di una specifica norma, nonché di produrre una prova documentale in grado di attestare il sottodimensionamento dell’organico.
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, pronuncia il principio succitato, rilevando come la sentenza d’appello, nel richiamare l’assenza di un documento attestante il numero di lavoratori in organico all’epoca dei fatti, abbia imputato al lavoratore – tenuto unicamente a specificare l’inadempimento posto in essere dal datore e il rapporto causale di esso con il danno – una carenza probatoria che in realtà attiene alla prova liberatoria cui è tenuto il datore di lavoro in ordine all’adeguatezza della propria organizzazione.
Per altro verso, i giudici di legittimità osservano che quando un lavoratore lamenta di avere subito un danno per avere svolto prestazioni oltre il limite di tollerabilità, è implicita la contestazione di un inesatto adempimento del generale obbligo di sicurezza che, ai sensi dell’art. 2087 c.c., grava sul datore lavoro, senza che sia necessaria l’indicazione da parte del lavoratore della violazione di una specifica norma prevenzionistica.

Corte di cassazione, ordinanza 21 novembre 2022 n. 34181
Senza licenziamento da parte del committente di un appalto illecito non operano i termini di decadenza dell’azione di interposizione vietata.
Nella causa promossa da due lavoratori per accertare la non genuinità dell’appalto intercorso tra due società e la loro effettiva dipendenza dalla società committente, la Corte d’appello aveva respinto le domanda applicando la decadenza stabilita dall’art. 32, comma 4°, lett. d) della legge n. 183/2010, rilevando che il ricorso giudiziale era stato depositato solo 553 giorni dopo l’impugnazione stragiudiziale.
Annullando la sentenza di merito, la Cassazione ribadisce la necessità dell’esistenza di una comunicazione scritta di licenziamento (da parte del committente interponente) affinché diventino operativi i termini di decadenza stabiliti dalla legge citata, anche nel caso considerato.

Corte di Cassazione, sentenza 18 novembre 2022, n. 34051
Si consolida l’orientamento per cui l’assenza di repêchage nel licenziamento per ragioni obiettive comporta la reintegrazione
A pochi giorni dall’ordinanza 11 novembre 2022, n. 33341/22 (v. Newsletter n. 21), la Cassazione ribadisce il principio sopra richiamato e conseguentemente annulla la sentenza d’appello che, nel dichiarare l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a un dipendente di un’associazione, aveva applicato – in ossequio a quanto previsto dal comma 7 dell’art. 18 S.L. come modificato dalla legge Fornero – la tutela indennitaria, anziché quella reintegratoria, in quanto il datore di lavoro aveva dimostrato l’effettività delle ragioni organizzative alla base del provvedimento espulsivo ma non l’impossibilità di ricollocare il dipendente in diversa posizione.
In motivazione, la Cassazione rileva in particolare che, a seguito delle sentenze n. 59/21 e 125/22 della Corte Costituzionale, che sono intervenute sul testo del comma 7 dell’art. 18 S.L., la tutela reintegratoria risulta ora applicabile a qualsiasi ipotesi di insussistenza dei presupposti che legittimano il licenziamento (mentre in precedenza si richiedeva il carattere manifesto di tale insussistenza), e poiché tra tali presupposti rientra, per costante giurisprudenza, anche l’obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro, la sua insussistenza va sanzionata con la reintegra del lavoratore.

Corte di Cassazione, sentenza 3 novembre 2022, n. 41349
Lesioni personali colpose in caso di mancata formazione preventiva obbligatoria.
Con sentenza n. 41349 del 3 novembre 2022, la quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che in caso di infortunio verificatosi nel primo giorno di utilizzazione di un lavoratore somministrato, il datore risponde del delitto di lesione personale colposa nel caso in cui abbia omesso ogni tipo di formazione preventiva prima dell’inizio della prestazione per le mansioni a cui lo stesso doveva essere adibito, senza che tale attività di formazione sia esclusa dal bagaglio di conoscenze personali del lavoratore , né dal travaso di conoscenze che si realizza nella collaborazione tra lavoratori, pur posti tra di loro in rapporto gerarchico.

Corte di Cassazione, sentenza 25 ottobre 2022, n. 40187
Apposizione di magneti per impedire il corretto funzionamento del disco cronotachigrafo di bordo. Prescrizione.
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 40187/2022, si è pronunciata sulla fattispecie di manomissione del cronotachigrafo di bordo di un mezzo di trasporto.
Il datore di lavoro che imponga l’alterazione di un apparecchio avente finalità di prevenzione degli infortuni, risponde del reato di cui all’articolo 437 c.p., atteso che tale condotta rientra nella previsione tipica della “rimozione”: perché’ per rimozione può intendersi anche l’attività diretta a frustrare il funzionamento dell’apparecchio.
Sicche’ la punibilità ex articolo 437 c.p. deriva dalla semplice attività di rimozione e prescinde, come nel caso in esame, dal fatto che il soggetto agente circoli o meno su strada con il mezzo di trasporto.
Nel caso di specie, il ricorrente, nella qualità di titolare di più società di cui era amministratore, aveva utilizzato specifici accorgimenti (magneti) per impedire il corretto funzionamento del disco cronotachigrafo di bordo, così impedendo la registrazione della velocità dei veicoli, dei tempi di guida e sosta.
In sostanza consentiva ai dipendenti la guida degli articolati per un numero di ore superiore a quello di legge, determinando, peraltro, un’incidenza della condotta sui periodi di riposo dei conducenti dei veicoli e, quindi, secondo i giudici di merito, determinando maggior rischio di causare incidenti, a danno della propria incolumità e della sicurezza pubblica.

Corte d’Appello di Brescia, 2 dicembre 2022
Discriminazione per orientamento sessuale da parte di un Comune: pesa tra gli indici presuntivi anche l’avversione alle unioni civili pubblicamente dichiarata dagli assessori.
Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso presentato in appello dalla dipendente di un Comune e dichiara discriminatoria sulla base dell’orientamento sessuale la condotta dell’Ente che non ne aveva confermato la nomina a responsabile di un ufficio, a seguito dell’unione civile della ricorrente con la Comandante della polizia locale, condannando l’Ente al risarcimento del danno. A sostegno della presunzione di discriminazione nei confronti della lavoratrice, la Corte considera sia i contenuti pubblicati sui social network da parte degli assessori del Comune, sia il mancato rinnovo dell’incarico alla moglie della dipendente, a sua volta dipendente comunale.
Valutati come precisi e concordanti gli elementi allegati a dimostrazione della discriminazione, la Corte d’Appello ritiene insufficienti le giustificazioni dell’Ente, basate sul criterio di rotazione degli incarichi, tenuto conto che in nessun altro caso, precedente o successivo, il Comune ha applicato il medesimo criterio.

Tribunale di Vicenza, 22 novembre 2022
Antisindacale la condotta del datore di lavoro che receda unilateralmente dal CCNL, anche se scaduto, se quest’ultimo contiene una clausola di ultrattività fino al rinnovo.
Il Tribunale rigetta l’opposizione avverso il decreto ex art. 28 Stat. lav. con cui era stata dichiarata antisindacale la condotta del datore consistita nel recedere unilateralmente dal CCNL UNIC in favore del CCNL Federconcia e, di conseguenza, nell’aver negato la convocazione dell’assemblea da parte delle organizzazioni sindacali non firmatarie di quest’ultimo.
Il Giudice in parte motiva afferma che la decisione di recedere unilateralmente e retroattivamente dal CCNL pacificamente applicato per fatti concludenti, non può essere giustificata sulla base del fatto che il precedente contratto collettivo fosse scaduto da tempo. La sentenza riprende quanto affermato dalla più recente giurisprudenza di legittimità in tema di efficacia temporale del contratto collettivo, specificando che quest’ultimo rimane vincolante anche oltre il termine di scadenza indicato se contiene una clausola di ultrattività sino al rinnovo.

Tribunale di Milano, 11 novembre 2022
Conciliazione sindacale ‘frettolosa’ nell’ambito di un appalto: non è valido l’accordo transattivo, se manca la prova della consapevolezza del contenuto delle rinunce. La responsabilità solidale del committente copre anche l’indennità per ferie non godute.
Il Tribunale accoglie il ricorso di un lavoratore che agiva per sentire condannare in solido, ai sensi dell’art. 29 d.lgs. 276/2003, le società committente e appaltatrici al pagamento di differenze retributive.
Il Giudice, messo di fronte al fatto che in precedenza era stata sottoscritta tra le parti un verbale di conciliazione sindacale, nel quale il dipendente rinunciava a ogni pretesa di eventuali differenze retributive, ha ritenuto mancante la prova dell’effettiva consapevolezza del contenuto e dell’estensione dei diritti dismessi con il negozio transattivo, in quanto non gli era stato concesso sufficiente tempo per leggere e capire il contenuto dell’atto.
Il Tribunale, nel merito, aderisce all’orientamento che ritiene che la responsabilità solidale dell’impresa committente si estende anche all’indennità per ferie non godute, in quanto corrispettivo del lavoro reso in un periodo che avrebbe dovuto essere destinato alle ferie.

Leggi anche:

  • NEWSLETTER PRIVACY MAGGIO 2025 - 1 maggio 2025 Privacy e rettifica dati sull’identità di genere: no alla prova dell’operazione chirurgicaLa Corte Ue di Giustizia Ue ha innanzitutto ricordato l’importanza del “principio di esattezza” previsto dall’art. 5, par. 1, lett. d) del GDPR, secondo cui l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento, senza ingiustificato ritardo, la rettifica dei dati… Read More
  • NEWSLETTER 5/2025 - Novita’ normative Con la nota del 10 aprile 2025, il Ministero del Lavoro interviene sulla nuova procedura di dimissioni per fatti concludenti come prevista dal Collegato lavoro e già oggetto di interpretazione con la circolare n. 6/2025. Un termine eccessivamente breve, sostiene il Ministero, potrebbe compromettere le garanzie minime di difesa del lavoratore, ritrovandosi nell’impossibilità… Read More
  • NEWSLETTER PRIVACY - APRILE 2025 Via libera al Senato al disegno di legge su AI. È stato approvato in Senato il Ddl. 1146, recante “Disposizioni e delega al Governo in materia di intelligenza artificiale” che, insieme al Regolamento Ue 2024/1689, compone il quadro normativo in tema di AI applicabile in Italia. Il testo passa ora all’esame della Camera.… Read More