Con una norma di interpretazione autentica, che inusualmente riscrive le disposizioni sugli ammortizzatori sociali per COVID-19, il decreto Cura Italia n. 18 del 2020, convertito in legge, ha inteso preservare dal rischio della disoccupazione i lavoratori a termine o in somministrazione che, messi in integrazione salariale dal proprio datore di lavoro a seguito della crisi epidemiologica, al termine del contratto sono stati licenziati, in quanto lo stesso non è stato prorogato o rinnovato.
L’art. 19 bis introdotto in sede di conversione prevede che
“Considerata l’emergenza epidemiologica da COVID-.19, ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto, nei termini ivi indicati, è consentita la possibilità, in deroga alle previsioni di cui agli articoli 20, comma 1, lettera c), 21, comma 2, e 32, comma 1, lettera c), del D.L.vo n. 81/2015, di procedere nel medesimo periodo, al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione”.
Per poter consentire l’erogazione del trattamento integrativo in favore dei lavoratori con contratto a tempo determinato, anche in somministrazione, prorogato o rinnovato, il Legislatore ha derogato agli articoli:
a) 20, comma 1, lettera c) che vieta l’assunzione di lavoratori a tempo determinato presso unità produttive ove sono in corso sospensioni a zero ore o riduzioni di orario in regime di integrazione salariale, che riguardano dipendenti adibiti a mansioni alle quali si riferisce il contratto a termine;
b) 21, comma 2, secondo il quale se un lavoratore viene riassunto a tempo determinato
entro dieci giorni (di calendario) dalla scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero di venti giorni (anche questi di calendario) dalla data di scadenza di un contratto superiore a tale limite, il secondo contratto si trasforma a tempo indeterminato;
c) 32, comma 1, lettera c) che vieta, in perfetto “pendant” con l’art. 20, comma 1, lettera c), l’utilizzazione di lavoratori in somministrazione presso datori di lavoro che hanno messo in integrazione salariale a zero ore o ad orario ridotto propri dipendenti che sono adibiti alle stesse mansioni ai quali si riferiscono i contratti di somministrazione.
La norma è agganciata, unicamente, all’emergenza COVID-19: quindi, al termine della stessa, tutto tornerà come prima. Di conseguenza, essa trova applicazione, unicamente, in caso di utilizzo degli ammortizzatori sociali per tale specifica causale, di cui al D.L. n. 18/2020, alla circolare INPS n. 47/2020, alla circolare n. 8/2020 del Ministero del Lavoro (quindi in caso di CIGO, FIS, Fondi bilaterali alternativi, CISOA, Cassa in deroga), ammortizzatori il cui ricorso è limitato al periodo 23 febbraio – 31 agosto per un massimo di 9 settimane.
Il Legislatore parla di proroghe e rinnovi di contratti in corso o già esistenti (e scaduti durante il periodo di integrazione salariale), ma non consente l’assunzione, per la prima volta, di un lavoratore a termine, a tempo indeterminato o l’utilizzazione di un somministrato, pur in presenza del COVID-19, per mansioni uguali a quelle dei lavoratori sospesi o ad orario ridotto.
Il Legislatore ha tolto limiti di natura legale ma non lo 0,5% progressivo che continua ad applicarsi con la sola eccezione delle ragioni sostitutive, dei contratti stagionali ex DPR n. 1525/1963, dei contratti definiti come stagionali dalla contrattazione collettiva per la Provincia Autonoma di Bolzano, dei contratti fino a tre giorni per servizi particolari nei pubblici esercizi e nel turismo, dei contratti a termine per lavoro domestico, dei contratti stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni, dei contratti a termine del settore agricolo e degli apprendisti.