CONFLITTO DI INTERESSI CON IL PROPRIO DATORE DI LAVORO: SÍ SE C’È COMPENSO.
La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un licenziamento intimato per giusta causa ad un dipendente che, mentre era impiegato presso l’Agenzia delle Entrate, forniva consulenza fiscale a terzi in conflitto di interessi, a fronte di pagamenti in denaro per una somma pari ad Euro 5.000,00.
E ciò veniva fatto in violazione dell’obbligo di fedeltà ed esclusività della prestazione lavorativa e del divieto di svolgimento di attività in conflitto di interessi.
La Corte d’Appello rilevava che la condotta del dipendente aveva “violato in modo plateale e macroscopico gli obblighi contrattuali e legali imposti al pubblico dipendente dalle disposizioni di cui alla contestazione così da ledere in modo irreversibile il necessario vincolo fiduciario tra l’amministrazione e il proprio dipendente e a legittimare il licenziamento”.
La Corte di Cassazione, confermando la decisione resa dai giudici di appello, ha rilevato che “nello specifico è palese la violazione degli obblighi di cui alle norme contestate al dipendente e risulta correttamente formulato il giudizio di proporzionalità ai sensi dell’art. 67 C.C.N.L. in relazione alla gravità della mancanza e in conformità di quanto previsto dall’art. 54 della Cost., dall’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, all’art. 4 del d.P.R. n. 18 del 2002 avendo la Corte territoriale considerato tutti gli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, alla portata soggettiva dei fatti stessi in rapporto ai delicati compiti svolti dal dipendente”.
Alla luce di quanto sopra, si può dunque ritenere che chi svolge attività in conflitto di interessi con il proprio datore può essere licenziato in tronco se l’attività non è a mero titolo di favore ma viene fatta dietro compenso.