Novità normative
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, D.M. 18 settembre 2024 n. 132, pubblicato in G.U. n. 221 del 20 settembre 2024.
Patente a crediti per le imprese e i lavoratori autonomi operanti nei cantieri temporanei o mobili: modalità di presentazione della domanda.
Il Ministro del Lavoro ha emanato il Decreto n. 132/2024, contenente il Regolamento relativo all’individuazione delle modalità di presentazione della domanda per il conseguimento della patente per le imprese e i lavoratori autonomi operanti nei cantieri temporanei o mobili, indipendentemente dal tipo di attività svolta. Tale decreto era stato previsto dal D.L. n. 19/2024 (cd. Decreto PNRR), che ha modificato il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Al riguardo, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), con la Circolare n. 4 del 23 settembre 2024, ha fornito le prime indicazioni, specificando che il portale per effettuare la richiesta di rilascio della patente a crediti sarà attivo, sul sito dell’INL, dal 1° ottobre 2024 e l’accesso sarà possibile attraverso SPID personale o CIE.
Inoltre, dal 23 settembre 2024 è possibile presentare una autocertificazione/dichiarazione sostitutiva (tramite PEC, all’indirizzo: dichiarazionepatente@pec.ispettorato.gov.it) concernente il possesso dei requisiti previsti dall’art. 27, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008, laddove richiesti dalla normativa vigente. La trasmissione della autocertificazione/dichiarazione sostitutiva avrà efficacia fino al 31 ottobre 2024 e vincola l’operatore a presentare la domanda per il rilascio della patente mediante il portale dell’INL entro la medesima data, non essendo infatti possibile operare in cantiere in forza della sola autocertificazione/dichiarazione sostitutiva.
D.L. 16 settembre 2024 n. 131, pubblicato in G.U. n. 217 del 16 settembre 2024.
Violazione della normativa sui contratti a termine: in caso di conversione in contratto a tempo indeterminato il Giudice del lavoro potrà riconoscere un indennizzo superiore a 12 mensilità nel privato e compreso tra 4 e 24 mensilità nel pubblico impiego.
Il 17 settembre 2024 è entrato in vigore il D.L. n. 131/2024 (c.d. Decreto salva infrazioni), il quale è intervenuto anche sulla disciplina dei contratti di lavoro a termine, in particolare sul regime sanzionatorio, dando seguito alla richiesta dell’UE di conformare la normativa interna alla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato. L’intervento consiste in due norme distinte, ossia gli artt. 11 e 12, relativi rispettivamente ai datori di lavoro privati e al settore pubblico.
- L’art. 11 ha modificato l’art. 28 del D.Lgs. n. 81/2015, commi 2 e 3, inerente alla quantificazione del risarcimento dovuto ai lavoratori nelle ipotesi di conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. L’art. 11, comma 1, lettera a) ha aggiunto alla precedente formulazione dell’art. 28, comma 2, la seguente disposizione: «Resta ferma la possibilità per il giudice di stabilire l’indennità in misura superiore se il lavoratore dimostra di aver subito un maggior danno», introducendo la possibilità per il giudice, in caso di conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, di riconoscere al lavoratore un indennizzo superiore a 12 mensilità. L’art. 11, comma 1, lettera b), ha abrogato il comma 3 dell’art. 28, che stabiliva che la soglia massima dell’indennizzo, pari a 12 mensilità, fosse dimezzata in presenza di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie.
- L’art. 12 del D.L. n. 131/2024 interviene, invece, sulla disciplina dei contratti a termine nelle amministrazioni pubbliche, e, nello specifico, sull’art. 36 del D.Lgs. n. 165/2001, nel quale si afferma che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori (tra le quali rientrano quelle che pongono limiti ai rapporti a termine) non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni, diversamente da quanto accade nel settore privato. Pertanto, l’unica sanzione prevista per le violazioni rimane il risarcimento del danno. Sulla scorta delle intimazioni da parte dell’UE, nella norma ora introdotta, si prevede che, nel caso di abuso nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti a termine, l’indennizzo sia compreso tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, avuto riguardo alla gravità della violazione, anche in base al numero dei contratti intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto e – come nella modificata normativa sui contratti a tempo determinato nel settore privato – fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno.
INPS, messaggio 30 agosto 2024, n. 2909.
Pagamento diretto delle indennità di malattia e maternità nei casi di mancata anticipazione da parte del datore di lavoro.
L’INPS, con il messaggio n. 2909/2024, riepiloga le ipotesi di pagamento diretto delle indennità di malattia, maternità, permessi ex L. n. 104/1992 e congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151/2001.
L’Istituto individua le seguenti ipotesi di pagamento diretto delle indennità in questione:
- ipotesi in cui il datore di lavoro sia stato sottoposto a procedura concorsuale;
- ipotesi di aziende tuttora attive che rifiutino espressamente di anticipare le indennità agli aventi diritto;
- ipotesi in cui l’Istituto stia effettuando il pagamento diretto del trattamento di integrazione salariale, anche in deroga;
- ipotesi in cui l’Ispettorato territoriale del lavoro, previo accertamento dell’inadempimento datoriale, abbia disposto il pagamento diretto della prestazione;
- ipotesi in cui l’omessa anticipazione sia riferita ad eventi indennizzabili insorti nel corso dell’attività di azienda successivamente cessata;
- ipotesi di aziende per le quali non sussiste l’obbligo di anticipazione prevista al comma 7 dell’art. 1, DL n. 663/1979, in carenza di relativa previsione nel CCNL di riferimento.
Novita’ GIURISPRUDENZIALI
Corte di Cassazione, ordinanza 5 settembre 2024, n. 23852.
Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, può configurare la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 23852, ha affermato che può essere licenziato il lavoratore che fa sport (nella fattispecie, si trattava della partecipazione ad un torneo di calcio, da tempo programmato) durante l’assenza dal lavoro per malattia.
I giudici hanno evidenziato che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, può integrare una violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà oltre che dei doveri generali di correttezza e buona fede. A ciò si aggiunga che tale attività esterna può, di per sé, risultare sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia. Nel caso in esame la Corte ha ritenuto la condotta del dipendente diretta, tramite la simulazione
di uno stato fisico incompatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa, non solo all’assenza dal lavoro, ma anche al vantaggio indebito della partecipazione, in orario lavorativo, ad una partita di calcio previamente programmata.
Corte di Cassazione, ordinanza interlocutoria 5 settembre 2024, n. 23874.
Ancora una possibile anomalia nella disciplina dei licenziamenti sottoposta all’esame della Corte costituzionale.
La sezione lavoro della Cassazione era stata chiamata a pronunciarsi sui fatti inerenti ad una lavoratrice, la quale chiedeva che il proprio ritardo nell’impugnazione del licenziamento fosse ritenuto giustificato, in ragione del fatto che al momento della ricezione dell’atto e nei giorni successivi si trovava in condizioni di incapacità naturale.
La sezione lavoro ha rinviato la questione alle sezioni unite della Corte, per riesaminare la questione dell’eventuale incidenza dello stato di incapacità naturale, che nel caso in esame era stato processualmente dimostrato e non contestato, sulla presunzione di conoscenza dell’atto unilaterale ricettizio prevista dall’art. 1335 c.c. al momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario. Le sezioni unite hanno dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della L. 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui, nel prevedere che “il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, …”, fa decorrere, anche nei casi di incolpevole incapacità naturale del lavoratore licenziato, processualmente accertata e conseguente alle sue condizioni di salute, il termine di decadenza dalla ricezione dell’atto, anziché dalla data di cessazione dello stato di incapacità.
Corte di Cassazione, ordinanza 30 luglio 2024, n. 21299.
Licenziamento del dirigente: applicabile la procedura del licenziamento collettivo.
La Cassazione ha affermato che le procedure di informazione e consultazione sindacale, previste per il licenziamento collettivo, devono attuarsi anche qualora il recesso riguardi i dirigenti.
Nel caso di specie, il dirigente aveva impugnato il licenziamento irrogatogli, deducendo la violazione della procedura prevista in tema di licenziamento collettivo. La Corte d’Appello nell’accogliere la predetta domanda, ha ritenuto applicabile anche ai
dirigenti la procedura di cui alla L. n. 223/1991. La Cassazione ha successivamente confermato la pronuncia di merito, rilevando che: (i) l’art. 24, co. 1-quinquies, della L. n. 223/91 è stato introdotto dopo che l’Italia era stata condannata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per avere escluso la categoria dei dirigenti dall’ambito di applicazione della procedura nazionale sui licenziamenti collettivi; (ii) gli obblighi di informazione e di consultazione rappresentano il nucleo della direttiva europea sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia; (iii) poiché nella normativa europea e neppure nell’art. 24, comma 1-quinquies non vi è traccia di una distinzione tra licenziamenti collettivi intimati all’esito di una sospensione in CIGS ovvero disposti senza tale previa sospensione, le procedure di informazione e consultazione si applicano anche ai dirigenti in ogni caso di licenziamento collettivo. Pertanto, le procedure di informazione e consultazione si devono applicare anche ai dirigenti.
Corte di Cassazione, ordinanza 3 settembre 2024, n. 23610.
La necessità di pagare lo straordinario prevale se la prestazione è stata svolta in linea con la volontà del datore.
Con questa recente ordinanza, la Cassazione ha stabilito che il lavoro straordinario deve essere retribuito anche in assenza di autorizzazione formale, in quanto è sufficiente che ci sia il consenso del datore di lavoro.
I giudici della Corte hanno affermato che, sebbene il lavoro aggiuntivo richieda specifiche autorizzazioni e condizioni, nel pubblico impiego lo straordinario deve essere pagato sempre, anche in assenza di autorizzazioni formali, purché svolto con il consenso del datore di lavoro.
L’ordinanza in esame, pertanto, fornisce un principio fondamentale in materia di protezione dei diritti dei dipendenti pubblici, assicurando agli stessi una giusta ed adeguata remunerazione per l’attività lavorativa in concreto svolta.
Corte di Cassazione, sentenza 7 agosto 2024, n. 22362.
Illegittime le trattenute a titolo di costi di gestione della cessione del quinto.
La Cassazione conferma l’illegittimità delle trattenute, effettuate da una società, dallo stipendio di alcuni dipendenti a titolo di costi di gestione amministrativi della cessione del quinto del loro stipendio, in un giudizio in cui tali dipendenti ne chiedevano la restituzione. In proposito, la Corte osserva che: (i) la cessione del quinto, quale cessione di credito, per la cui validità non è richiesto il consenso del debitore
ceduto, è opponibile a questi purché egli ne sia a conoscenza; (ii) essa inerisce al rapporto di lavoro, ancorché non sia strettamente funzionale alla modulazione dello stesso, in quanto prevista dalla legge, che in proposito attribuisce ai dipendenti un vero e proprio diritto potestativo, con conseguente riconduzione delle spese relative nell’ambito di quelle a carico del datore di lavoro per la gestione del rapporto; (iii) questi potrebbe, peraltro, liberarsi del relativo obbligo, unicamente provandone l’eccessiva onerosità in rapporto all’organizzazione amministrativa che l’impresa ha l’onere di predisporre in funzione delle dimensioni aziendali.
Corte di Cassazione, ordinanza 10 maggio 2024, n. 12790.
Il lavoratore non può rifiutarsi di partecipare ai corsi di formazione sulla sicurezza neppure se sono organizzati al di fuori del proprio normale orario di lavoro.
La Cassazione ha ritenuto che l’art. 37, comma 12, D.Lgs. n. 81/2008, nella parte in cui prescrive che la formazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro deve avvenire “durante l’orario di lavoro”, vada interpretato nel senso che tale locuzione sia comprensiva anche dell’orario relativo a prestazioni esigibili al di fuori dell’orario di lavoro. Nello specifico, si deve fare riferimento all’orario ordinario, di legge o previsto dal contratto collettivo, per i lavoratori a tempo pieno e di quello concordato, per i lavoratori a tempo parziale, con conseguente illegittimità del rifiuto, da parte del lavoratore, di svolgere la formazione fuori dai propri turni di lavoro.