Novita’ normative
L. n. 143 del 7 ottobre 2024, di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 113 del 9 agosto 2024.
Indennità al lavoratore dipendente: il c.d. bonus Natale.
In sede di conversione del D.L. n. 113/2024 (c.d. decreto Omnibus), la L. n. 143/2024 introduce, sperimentalmente per il solo anno 2024, una indennità una tantum del valore di Euro 100 netti, da erogarsi congiuntamente alla tredicesima mensilità e da riproporzionare in funzione della durata del rapporto di lavoro, a favore dei lavoratori dipendenti che soddisfano specifici requisiti.
In concreto, sono destinatari del c.d. bonus Natale i lavoratori subordinati (compresi i lavoratori domestici e a domicilio) indipendentemente dalla tipologia contrattuale del rapporto di lavoro instaurato (a tempo determinato o indeterminato, a tempo pieno o a tempo parziale) e dalla qualifica assunta, che soddisfano tutti i seguenti requisiti:
- titolarità, nell’anno d’imposta 2024, di un reddito complessivo non superiore ad Euro 28 mila;
- imposta lorda determinata sui redditi di lavoro dipendente di importo superiore a quello della detrazione da lavoro spettante (ex art. 13, comma 1, TUIR);
- presenza di coniuge non legalmente ed effettivamente separato e di almeno un figlio, anche se nato fuori del matrimonio, riconosciuto, adottivo o affidato, entrambi (coniuge e figlio) fiscalmente a carico (ex art. 12, comma 2, TUIR), o in alternativa almeno un figlio fiscalmente a carico nel caso di nucleo familiare monogenitoriale.
L’indennità una tantum va riconosciuta dal datore di lavoro previa richiesta del lavoratore, il quale deve attestare per iscritto di avervi diritto.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interpello n. 4 del 30 settembre 2024.
Chiarimenti sul ruolo del preposto negli appalti.
Con l’interpello n. 4/2024 il Ministero del Lavoro è intervenuto in merito alla corretta interpretazione della modifica all’art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008, introdotta dalla L. n. 215/2021 (di conversione del D.L. n. 146/2021).
L’interpello chiarisce che, in considerazione dell’importanza del ruolo del preposto, è da considerarsi sempre obbligatorio che i datori di lavoro, appaltatori o subappaltatori, indichino al datore committente il personale che svolge detta funzione.
Inoltre, la Commissione sottolinea come la scelta del preposto debba ricadere solo su personale che possa effettivamente adempiere alle funzioni ed agli obblighi ad esso attribuiti, condizione quest’ultima che non sembra potersi rivenire se non quando il responsabile di commessa si reca presso il luogo dove si svolgono le attività.
Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 7020 del 25 settembre 2024.
L’INL ha fornito indicazioni operative in ordine al rilascio di provvedimenti autorizzativi per l’impiego di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo (art. 4, comma 1, L. n. 300/1970).
L’INL rileva che solo il datore di lavoro può richiedere l’autorizzazione all’installazione di sistemi di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Per tale motivo, non è possibile autorizzare l’installazione e l’utilizzo di strumenti qualora l’istante sia soggetto diverso dal datore di lavoro, ancorché titolare di rapporto di natura commerciale con quest’ultimo, al fine di evitare che vengano disattese le finalità per le quali la installazione di tali impianti può essere autorizzata.
In ogni caso tali sistemi di controllo, per essere autorizzati, devono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro ovvero per la tutela del patrimonio aziendale.
Novita’ GIURISPRUDENZIALI
Corte di Cassazione, ordinanza 15 ottobre 2024, n. 26770.
Arrivare con un ritardo di 40 minuti sul luogo di espletamento del servizio di vigilanza comporta il licenziamento.
Il ritardo nel prendere servizio, considerata la natura del lavoro ed i rischi legati alla mancanza di vigilanza di una banca, costituisce una violazione grave: è, quindi, legittimo il licenziamento per grave negligenza e recidiva dell’addetto alla vigilanza con un ritardo 40 minuti nella presa di servizio.
La Corte di Cassazione con questa sentenza, nel confermare la legittimità del licenziamento, ha considerato la particolarità del servizio di vigilanza e ha rilevato che la disattenzione del lavoratore nella lettura della comunicazione delle variazioni di turno integrava un inadempimento di significativa gravità, lasciando l’istituto di credito committente privo del servizio di vigilanza.
Nel caso specifico, sulla sanzione comminata ha inciso anche la recidiva del lavoratore.
Corte di Cassazione, sentenza 14 ottobre 2024, n. 26634.
È legittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto durante il blocco dei licenziamenti Covid.
La vicenda riguarda una lavoratrice che aveva impugnato il proprio licenziamento, irrogato per superamento del periodo di comporto, in quanto intimato nel periodo di blocco dei licenziamenti per l’emergenza Covid. La Cassazione, confermando il rigetto delle sue domande, rileva che: (i) la legge del “blocco” riguarda esplicitamente, oltre i licenziamenti collettivi, solo quelli per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 della L. n. 300/70, tra i quali non rientra il superamento del periodo di comporto, specificatamente disciplinato dall’art. 2110 c.c., senza che ne sia possibile una inclusione nella legge sul “blocco” per analogia, data la specialità biunivoca delle norme citate; (ii) la possibilità di licenziamento per superamento del comporto anche nel periodo interessato dal blocco si ricava, d’altro canto, dalla previsione di non computabilità, ai suoi fini, del periodo trascorso in quarantena domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva.
Corte di Cassazione, ordinanza 10 ottobre 2024, n. 26446.
Licenziamento per offese al datore di lavoro su Facebook.
Una dipendente, dopo aver denunciato più volte la contaminazione del luogo di lavoro per la fuoriuscita di sostanze nocive ed a seguito di un infortunio per intossicazione che aveva coinvolto il marito, aveva pubblicato su Facebook commenti denigratori nei confronti della Società datrice di lavoro e del suo amministratore delegato. L’azienda, pertanto, licenziava immediatamente per insubordinazione e diffamazione la lavoratrice, che impugnò il provvedimento, portando il caso fino alla Suprema Corte.
La Corte di Cassazione, nell’accogliere le ragioni della dipendente, ha affermato che le offese pubblicate sui social network, se inserite in un contesto di reazione emotiva ad un fatto ingiusto, non costituiscono in automatico un reato o, come nel caso di specie, una giusta causa di licenziamento. Infatti, i giudici, pur riconoscendo come offensivo il comportamento della lavoratrice, hanno riconosciuto che fosse riconducibile ad uno sfogo e che non si potesse parlare di delitto né di insubordinazione in senso stretto. Le frasi denigratorie, secondo la Corte, non erano collegate all’inosservanza di direttive o ad un rifiuto di eseguire ordini, ma derivavano da una situazione di stress causata da un evento che la lavoratrice riteneva responsabilità del datore di lavoro.
Corte di Cassazione, ordinanza 10 ottobre 2024, n. 26440.
Legittimo il licenziamento del dipendente sgarbato e volgare.
Il caso ha avuto origine dal licenziamento disciplinare di un dipendente addetto al banco macelleria di un supermercato, accusato di aver utilizzato toni aggressivi e volgari verso un cliente. In primo grado, il Tribunale aveva accolto il ricorso del lavoratore contro il licenziamento, ma la Corte d’Appello di Cagliari, riformando tale decisione, ha confermato la legittimità del provvedimento.
La Cassazione, respingendo il ricorso del lavoratore avverso la sentenza di secondo grado, ha sottolineato che la giusta causa rappresenta una clausola generale, il cui contenuto viene definito dal giudice attraverso la considerazione di fattori esterni e principi sottesi. Il controllo effettuato dal giudice, in sede di legittimità, è limitato al giudizio di coerenza con gli standard dell’ordinamento e della realtà sociale. In questo caso, il ricorso del dipendente è stato respinto perché si limitava a contestare genericamente il giudizio della Corte territoriale, senza specificare quali fossero i parametri della clausola generale che sarebbero stati violati.
Corte di Cassazione, ordinanza 26 settembre 2024 n. 25724.
Legittimo il licenziamento del dipendente alla guida del mezzo aziendale senza patente.
La Corte di Cassazione ha giudicato legittimo il licenziamento disciplinare di un lavoratore per aver circolato con il mezzo aziendale senza patente valida e con il casco non allacciato.
Il dipendente, con mansioni di postino a mezzo di un ciclomotore, aveva sostenuto che il suo comportamento fosse colposo e non doloso, contestando la legittimità del licenziamento e la proporzionalità della sanzione.
Tuttavia, i giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso: è stata confermata la condotta dolosa del dipendente che non aveva comunicato la sospensione della patente, elemento che rappresentava un forte pregiudizio, anche potenziale, per l’azienda.
Corte di Cassazione, sentenza 16 ottobre 2024, n. 26881.
Contratti di lavoro atipici nella grande distribuzionee responsabilità solidale.
Due lavoratrici agivano in giudizio, deducendo di avere lavorato alle dipendenze di una società come commesse dei reparti di pescheria siti all’interno di due supermercati di altra società e chiedendo la condanna di quest’ultima al pagamento delle differenze retributive loro spettanti, a titolo di responsabilità solidale ex art. 29 D.Lgs. n. 276/2003.
La Suprema Corte ha riformato la sentenza di secondo grado, che aveva respinto le domande delle due lavoratrici, sul presupposto che, nel caso di specie, non sussistendo un contratto di appalto né di cessione di ramo di azienda ma essendo un contratto atipico, nato dalla prassi commerciale della grande distribuzione, non fosse applicabile l’art. 29 del D.Lgs n. 276/2003 che menziona esclusivamente l’appalto.
Pertanto, la Cassazione ha accolto il ricorso delle dipendenti e ha specificato che, in casi come quello di specie, è necessario verificare se vi sia stato un meccanismo che possa giustificare una applicazione della garanzia di cui all’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003.
Sulla base di tali presupposti il Collegio ha enunciato il principio di diritto secondo cui, in ipotesi di contratto atipico, a causa mista, adottato nella prassi della grande distribuzione commerciale, in cui la titolare dell’impresa ceda la gestione di un autonomo reparto, non preesistente, ad altra azienda, va verificato, analizzando gli elementi del contratto, l’interesse economico concreto della operazione, al fine di accertare se si verta in una ipotesi di decentramento e di dissociazione tra la titolarità del contratto di lavoro e l’utilizzazione della prestazione lavorativa che giustifichi la responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003.
Corte di Cassazione, ordinanza 10 ottobre 2024 n. 26417.
Modalità di fruizione dei permessi per assistere un familiare disabile.
La vicenda ha coinvolto una lavoratrice dipendente, licenziataper giusta causa per l’utilizzo indebito dei permessi per assistere il padre gravemente disabile, fruiti in cinque giornate lavorative. Secondo l’accusa la lavoratrice avrebbe dedicato all’assistenza familiare soltanto parte della giornata, mentre per il resto si sarebbe dedicata ad attività personali. Tuttavia, in giudizio era emerso che anche le attività apparentemente estranee (quali spesa, posta, farmacia, medico) erano, invece, riconducibili all’assistenza effettuata a favore del genitore. La Cassazione, nel rigettare il ricorso della società contro la sentenza di appello, riassume i seguenti principi: (i) elemento essenziale della fattispecie è l’esistenza di un diretto nesso causale tra la fruizione del permesso e l’assistenza del disabile; (ii) il permesso in questione è un diritto del lavoratore, non subordinato all’assenso o a condizionamenti da parte del datore di lavoro; (iii) la sua fruizione deve essere comunicata ex ante, per consentire al datore di organizzare di conseguenza l’attività di impresa; (iv) il dipendente non può conoscere a priori quali saranno le concrete esigenze di assistenza del disabile nel giorno indicato, pertanto la richiesta è riferita all’intera giornata e non ad ore predeterminate, fermo restando che l’assistenza potrà essere distribuita nell’arco della giornata secondo le variabili concrete esigenze del disabile.
Corte di Cassazione, ordinanza 4 ottobre 2024, n. 26071.
Dovuto il TFR anche ai soci lavoratori di cooperativa.
Confermando la decisione della Corte d’Appello, che aveva riconosciuto il diritto al TFR di un lavoratore socio di una cooperativa, la Cassazione osserva che: (i) la L. n. 142/01 riconosce al socio lavoratore di cooperativa le garanzie comuni previste dall’ordinamento a tutela del lavoro in generale, purché compatibili con la posizione di socio lavoratore dipendente come delineata dalla medesima legge; (ii) relativamente al diritto al TFR, nella L. n. 142/01 non vi è alcuna previsione che lo escluda; (iii) lo stesso Ministero del Lavoro, con risposta a interpello del 19 agosto 2008, n. 34, ha affermato che “per i soci lavoratori con rapporto di lavoro di tipo subordinato sussiste l’obbligo di applicazione di istituti normativi che la legge disciplina per la generalità dei lavoratori, tra i quali il trattamento di fine rapporto”.
Corte di Cassazione, ordinanza 27 settembre 2024, n. 25840.
Diritto alla retribuzione ordinaria e ticket mensa anche durante le ferie.
La Cassazione, nel confermare la pronuncia di merito, rileva che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, per come interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, comprende qualsiasi importo pecuniario collegabile all’esecuzione delle mansioni ed è correlato allo status personale e professionale del lavoratore. In ragione di ciò, la Corte ha affermato il principio secondo cui i buoni pasto regolarmente forniti durante il periodo lavorativo, trattandosi di un beneficio economico e costituendo una componente della retribuzione, non possono essere esclusi dalla retribuzione spettante al lavoratore durante le ferie.
Invero, secondo i giudici, una diminuzione della retribuzione ordinaria durante i periodi feriali potrebbe dissuadere il lavoratore dall’esercitare il proprio diritto al godimento delle ferie.
Ciò, secondo la Corte, è incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il diritto ad un riposo effettivo, anche a garanzia della tutela della salute e sicurezza.
Corte di Cassazione, ordinanza 12 settembre 2024, n. 24473.
Non è sciopero l’astensione dal lavoro che non è preceduta da una deliberazione collettiva.
La Corte d’Appello aveva dichiarato la legittimità della sanzione disciplinare applicata a cinque lavoratori per essersi astenuti dall’attività lavorativa in due diverse giornate, ritenendo che, in assenza di una deliberazione collettiva che attribuisse il carattere di sciopero al comportamento adottato dai lavoratori, questo fosse da qualificarsi come astensione ingiustificata dal lavoro assunta da singoli. La Cassazione, nel confermare la decisione dei giudici di merito, osserva che: (i) gli elementi che qualificano l’astensione dal lavoro come sciopero legittimo sono la natura dell’interesse collettivo da tutelare e la decisione concordata e preventiva circa l’adozione del comportamento di astensione dal lavoro; (ii) ove la decisione dell’astensione e delle modalità di esecuzione di essa siano lasciate totalmente ai singoli interessati, senza una loro predeterminazione collettiva, il datore di lavoro potrebbe essere esposto alla seria impossibilità di prevenire eventuali rischi per la salute di tutti i lavoratori ovvero rischi sulla produttività aziendale.
Corte di Cassazione, ordinanza 27 agosto 2024, n. 23176.
Patto di non concorrenza: corrispettivo solo dopo la documentazione.
La Corte di Cassazione ha affermato la legittimità della clausola inserita nel patto di non concorrenza che prevedeva che il compenso dovesse essere erogato alla fine di ogni trimestre, partendo dal trimestre successivo alla data di cessazione, sempre che il lavoratore presentasse la documentazione utile alla verifica del rispetto del patto.
Secondo la Corte, come condizione indispensabile per percepire il corrispettivo, il lavoratore doveva presentare, quindici giorni prima del pagamento, la documentazione che consentisse di verificare il rispetto del patto di non concorrenza e la mancata esibizione in tal senso avrebbe comportato il mancato indennizzo per ciascun periodo di tre mesi.
Tribunale di Trento, sentenza 16 luglio 2024, n. 132.
Utilizzo dello smartphone come cartellino presenze.
Il datore di lavoro può sostituire il sistema analogico di controllo dei turni di lavoro ed introdurre strumenti software, applicazioni e dispositivi elettronici per rilevare le presenze, se ciò consente di facilitare la timbratura da parte dei lavoratori. Infatti, il potere datoriale di organizzare il lavoro si esprime anche rispetto al meccanismo più funzionale alle esigenze aziendali per la rilevazione delle presenze ad inizio turno e al termine dell’orario di servizio. Secondo i giudici, i lavoratori, pertanto, hanno l’obbligo di attestare l’orario di ingresso e quello di uscita con le nuove modalità impartite dal datore di lavoro, anche se il sistema utilizzato, consistendo nell’accostamento del badge personale agli smartphone aziendali sui quali è stata installata un’apposita applicazione, risulta più invasivo rispetto al trattamento dei dati personali.