Novita’ normative
Con la nota del 10 aprile 2025, il Ministero del Lavoro interviene sulla nuova procedura di dimissioni per fatti concludenti come prevista dal Collegato lavoro e già oggetto di interpretazione con la circolare n. 6/2025.
Un termine eccessivamente breve, sostiene il Ministero, potrebbe compromettere le garanzie minime di difesa del lavoratore, ritrovandosi nell’impossibilità di comunicare in modo tempestivo le ragioni dell’assenza. Una lettura che lo stesso Ministero definisce prudenziale, con lo scopo di assicurare un bilanciamento tra esigenze aziendali e diritti del lavoratore.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rispondendo ad una richiesta di chiarimenti da parte del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, datata 2 aprile 2024, fornisce alcune precisazioni in merito alle indicazioni contenute nella circolare ministeriale n. 6/2025 e relative alla procedura di dimissioni per fatti concludenti.
In particolare, per il Ministero del Lavoro:
• il limite legale dei quindici giorni di assenza ingiustificata, decorso il quale scatta la risoluzione di fatto del rapporto di lavoro, “opera in via residuale, in assenza di previsione contrattuale. Tuttavia, l’espressione utilizzata dal legislatore (art. 19, L. n. 203/2024) per la quale il termine deve ritenersi in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, ha fatto propendere per la considerazione, di prudenza, della non agibilità della previsione di termini inferiori da parte della contrattazione collettiva”. Nonostante l’art. 19 non preveda espressamente l’inderogabilità del termine dei quindici giorni, la norma non consente “interpretazioni peggiorative della posizione del lavoratore”;
• se, “superato il termine per l’assenza ingiustificata e comunicata la circostanza all’Ispettorato territorialmente competente, quest’ultimo verifichi l’insussistenza dei presupposti richiesti dal nuovo comma 7-bis dell’art. 26 D.Lgs. n. 151/2015, il rapporto di lavoro dovrà pur sempre essere ricostituito per iniziativa del datore di lavoro”. Se però quest’ultimo non ritiene valide le ragioni del lavoratore, il rapporto di lavoro non potrà ricostituirsi in automatico;
• se il lavoratore, dopo l’avvio della procedura di cui al nuovo comma 7-bis, “ma prima che la stessa abbia prodotto il suo effetto dismissivo, comunichi le proprie dimissioni, queste ultime produrranno gli effetti previsti dalla legge dal momento del loro perfezionamento”;
- se il lavoratore, dopo l’avvio della procedura di cui al nuovo comma 7-bis, “ma prima che la stessa abbia prodotto il suo effetto dismissivo, qualifichi le proprie dimissioni come dovute a giusta causa, queste ultime produrranno gli effetti previsti dalla legge dal momento del loro perfezionamento”, ma la verifica della sussistenza delle ragioni che hanno portato al recesso per presunta giusta causa del lavoratore potrà essere oggetto in un successivo contraddittorio tra le parti, anche in sede giudiziale.
I premi di risultato ad personam vanno tassati ordinariamente.
Agenzia delle Entrate, risposta ad interpello n. 77 del 20 marzo 2025
Con risposta ad interpello n. 77/2025 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in materia di welfare aziendale e di tassazione applicabile ai premi di risultato. La Società interpellante chiede se la quota di retribuzione variabile (c.d. MBO) correlata e quantificata in base al raggiungimento di obiettivi aziendali e/o collettivi, convertita dal dipendente in prestazioni di welfare, possa essere esclusa da imposizione.
Si precisa, innanzitutto, che i benefit, corrisposti ai dipendenti come parte di un sistema incentivante legato al raggiungimento di determinate performance, non danno diritto alle agevolazioni fiscali ex articolo 51 del TUIR, in quanto non sono destinati a una “generalità” o a “categorie” di dipendenti. In secondo luogo le disposizioni derogatorie del principio di onnicomprensività, avendo carattere agevolativo, non sono estensibili a fattispecie diverse da quelle previste normativamente, tra le quali non è compresa l’ipotesi di applicazione in sostituzione di retribuzioni, altrimenti imponibili, in base ad una scelta dei soggetti interessati. Di conseguenza, in quanto non sono soddisfatti i requisiti per l’esclusione da imposizione, nel caso esaminato va applicata la tassazione ordinaria e la quota di retribuzione variabile (c.d. MBO) concorre a formare il reddito di lavoro dipendente.
Assunzione donne (“Bonus donne”) – Esonero contributivo.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha emanato il Decreto Interministeriale, con i criteri e le modalità attuative dell’esonero introdotte dell’art. 23 del D.L. 7 maggio 2024, n. 60, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 luglio 2024, n. 95 (Bonus Donne).
Ai datori di lavoro privati che assumono donne, con i requisiti previsti dalla legge e con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, è riconosciuto un esonero contributivo, nel limite massimo mensile di 650 euro per ciascuna lavoratrice.
La data di decorrenza delle assunzioni agevolate e la loro durata è differenziata a seconda dei seguenti parametri:
• dal 31 gennaio 2025 e fino al 31 dicembre 2025 per le assunzioni di donne prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, residenti nelle regioni dell’area ZES (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna) > esonero contributivo pari al 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, per 24 mesi, nel limite massimo di importo pari a 650 euro su base mensile per ciascuna lavoratrice e comunque nei limiti della spesa;
• dal 1° settembre 2024 e fino al 31 dicembre 2025 per le assunzioni di donne prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi, ovunque residenti > esonero contributivo pari al 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, per 24 mesi, nel limite massimo di importo pari a 650 euro su base mensile per ciascuna lavoratrice e comunque nei limiti della spesa;
- dal 1° settembre 2024 e fino al 31 dicembre 2025 per le assunzioni di donne occupate nelle professioni o settori di cui all’art. 2, punto 4), lettera f), del Regolamento (UE) 2014/651, annualmente individuate con decreto del Ministro del lavoro > esonero contributivo pari al 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, per 12 mesi, nel limite massimo di importo pari a 650 euro su base mensile per ciascuna lavoratrice e comunque nei limiti della spesa.
L’Accordo Stato – Regioni siglato il 17 aprile 2025 ha introdotto percorsi formativi obbligatori sulla sicurezza sul lavoro destinati a datori, dirigenti, RSPP e ASPP, con un’attenzione particolare per le molestie e le violenze nei luoghi di lavoro.
La formazione include la Convenzione 190 dell’Organizzazione internazionale del lavoro, adottata nel 2019 e recepita in Italia nel 2021.
INAIL, circolare n. 26 del 7 aprile 2025.
Termine di prescrizione dei premi INAIL a seguito di accertamento ispettivo.
Nella circolare n. 26/2025 l’Inail riassume a disciplina in materia di prescrizione dei crediti per premi e accessori, secondo gli orientamenti giurisprudenziali consolidati, chiarendo che l’azione per riscuotere i premi di assicurazione, e in genere le somme dovute dai datori di lavoro all’Istituto assicuratore, si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui se ne doveva eseguire il pagamento.
Sono inoltre richiamate le vigenti istruzioni operative sull’attività di vigilanza, anche alla luce delle novità del decreto-legge n. 19/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56/2024, per garantire uniformità di comportamento nello svolgimento degli accertamenti ispettivi.
Provvedimento INAIL, 21 marzo 2025.
Sindrome da stress per incidente stradale: è infortunio sul lavoro.
Vale la pena segnalare un caso di tutela di diritti ottenuta non in giudizio, ma per effetto di una
buona interlocuzione tra Patronato e Inail. L’Inca Cgil di Milano ha assistito un autista di una compagnia di bus che era stato coinvolto in un grave incidente stradale: mentre rientrava al deposito dopo una corsa, il motore del bus prendeva fuoco e l’autista rischiava di rimanere intrappolato nel mezzo, riuscendo a salvarsi solo grazie all’intervento di alcuni soccorritori.
Il lavoratore, pur fisicamente illeso, dopo alcuni giorni avvertiva un forte senso di ansia e inquietudine che sfociava poi in attacchi di panico e sintomi tali da richiedere cure sanitare e un significativo periodo di malattia. Assistito dal Patronato, il fatto veniva segnalato come infortunio sul lavoro, chiedendo la conversione del periodo da malattia in infortunio.
L’Istituto a seguito di analisi della documentazione medica ha riconosciuto l’infortunio, concedendo l’indennità per inabilità temporanea e rinviando a un momento successivo la valutazione della menomazione dell’integrità psico-fisica. Il caso è significativo perché il disturbo da stress post-traumatico, in genere associato al coinvolgimento in catastrofi naturali o conflitti, viene qui associato e riconosciuto per un episodio lavorativo.
Novita’ GIURISPRUDENZIALI
Corte di Cassazione sentenza n. 9526/2025.
È una forma legittima di autotutela collettiva la decisione dei dipendenti di svolgere la prestazione in accordo con l’orario previsto dal Ccnl e disattendo i turni a scorrimento del datore che non intende corrispondere l’indennità economica.
Per i giudici, nel concetto di libertà sindacale, ribadito tanto dalla Costituzione quanto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, rientrano le iniziative dei lavoratori senza l’intermediazione di un sindacato: meritano tutela, al pari del diritto di sciopero, le proteste svolte in forma collettiva, senza sospendere la prestazione.
Corte di Cassazione ordinanza n. 10648/2025.
La reperibilità sul luogo di lavoro rientra a pieno titolo nell’orario di lavoro e determina una compressione della libertà personale.
Il tempo trascorso nella sede lavorativa per la reperibilità notturna impone la corresponsione di una compensazione economico proporzionata per aver garantito la propria presenza e disponibilità per eventuali esigenze improcrastinabili, anche se non si concretizzano in interventi realmente effettuati.
Tribunale di Milano, 3 aprile 2025,
Discriminatoria l’”indennità di presenza” prevista dal CCNL Agenzie di Sicurezza sottoscritto da UGL.
Il Tribunale accoglie il ricorso proposto dall’organizzazione sindacale e condanna per condotta discriminatoria la società, attiva nel settore della guardiania e vigilanza, che applicava il contratto collettivo UGL-AISS. In particolare, il Giudice ha accertato e dichiarato il carattere discriminatorio della mancata maturazione e corresponsione dell’indennità di presenza (prevista dall’art. 73 del CCNL) nei casi di assenza per permessi previsti dalla Legge n. 104/1992, per congedi parentali e per i lavoratori inquadrati al livello 6I per i primi 12 mesi di assunzione. La sentenza sottolinea come la mancata erogazione dell’indennità in tali circostanze crei una disparità di trattamento non giustificata e una discriminazione multifattoriale (per età, genere e disabilità) e, pertanto, dichiara nulla la clausola del CCNL, ordinando alla società di riconoscere l’indennità anche nei casi sopra citati e di adottare un piano per rimuovere gli effetti delle condotte discriminatorie.
Corte di Cassazione, ordinanza 8 aprile 2025, n. 9258.
Nullità del patto di non concorrenza per vizi del corrispettivo.
Una banca aveva chiesto la condanna di un ex dipendente al pagamento della penale per violazione del patto di non concorrenza, lamentando lo sviamento di clienti verso un’altra società concorrente. I giudici di merito avevano ritenuto nullo il patto per indeterminatezza del corrispettivo, in quanto collegato alla durata del rapporto di lavoro e senza un importo minimo garantito. La Cassazione cassa con rinvio, chiarendo che: (i) il patto è valido se il corrispettivo è a norma dell’art. 1346 c.c., determinato o determinabile secondo parametri oggettivi, anche se variabile in relazione alla durata del rapporto; (ii) la sola variabilità non implica indeterminatezza, specie se — come nel caso di specie — il datore contesta che la cessazione anticipata incida sull’importo dovuto; (iii) la nullità per incongruità o sproporzione del compenso opera, ex art. 2125 c. c., su un piano distinto da quella per indeterminatezza: i due vizi non possono essere confusi o sovrapposti. La Corte rileva che i giudici d’appello hanno erroneamente sovrapposto i due profili, generando un vizio motivazionale che impedisce il controllo sulla correttezza logico-giuridica della decisione.
Tribunale di Parma, 26 febbraio 2025.
Prendere sul serio il patto di non concorrenza: un caso di conferma delle violazioni da parte di un promotore finanziario.
Il Tribunale rigetta la domanda proposta da un “private banker” volta ad accertare la nullità del patto di non concorrenza sottoscritto con il precedente datore di lavoro e lo condanna a cessare le attività in concorrenza e al pagamento della penale pattuita. In motivazione vengono esaminati alcuni dei tanti profili di possibile illegittimità di un p.n.c., tra cui quello del compenso ritenuto determinabile anche se erogato mensilmente nel corso del rapporto, laddove sia previsto un minimo garantito. Secondo il giudice, inoltre, la clausola che attribuisce alla banca il potere di recesso unilaterale può essere considerata legittima laddove questo potere possa essere esercitato solo in costanza di rapporto e con un congruo preavviso.
Corte di cassazione, ordinanza 3 aprile 2025 n. 8849.
Mai retroattivo il patto di prova.
La Corte d’appello aveva respinto le domande di impugnazione di un licenziamento, accertando che il rapporto di lavoro si era risolto, per dimissioni o per recesso datoriale, ma comunque in pendenza di un patto di prova e pertanto in regime di libera recedibilità reciproca. La cassazione censura al riguardo la decisione dei giudici di merito per non avere dato rilievo al fatto, dedotto in giudizio dal lavoratore, che il patto di prova prodotto in giudizio dalla società era privo della sottoscrizione di quest’ultima e quindi nullo ab origine. E seppure il fatto di averlo la società prodotto in giudizio sottoscritto dal dipendente possa ritenersi equipollente della sottoscrizione mancata, il relativo perfezionamento si produce solo da quel momento e non retroagisce all’inizio del rapporto. La conseguenza è che il recesso, dimissioni o licenziamento che sia, è da ritenersi avvenuto in regime vincolato.
Corte di Cassazione, ordinanza 8 aprile 2025, n. 9286.
Conciliazione sindacale solo nella sede sindacale.
Si consolida l’orientamento inaugurato da Cass. n. 10065/2024 (in questa N.L. n. 10/2024), secondo cui è impugnabile ex art. 2113 c. c. la conciliazione su diritti indisponibili del dipendente, da questi stipulata con l’assistenza di un sindacalista, ma nella sede aziendale e non in quella sindacale. Analoga vicenda riguarda il presente giudizio, nel quale è altresì conseguentemente impugnato il licenziamento oggetto della conciliazione. In proposito, la Corte ribadisce che la inoppugnabilità delle conciliazioni in questione fonda non solo sull’assistenza del lavoratore da parte di un rappresentante sindacale ma anche sul luogo in cui essa avviene, essendo ambedue tali circostanze necessarie al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore e l’assenza di condizionamenti.
Corte di Cassazione, ordinanza 27 marzo 2025, n. 8152.
A carico del datore la pulizia delle divise degli addetti alla nettezza urbana.
Il ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello che, ritenendo generici i dati forniti per accertare l’ammontare del danno, aveva negato ad alcuni dipendenti operai addetti al servizio di nettezza urbana ed extraurbana il risarcimento dei danni subiti per aver dovuto provvedere personalmente e a proprie spese alla pulizia costante della divisa di lavoro, costituisce per la Corte l’occasione per ricordare la propria giurisprudenza consolidata in materia di sicurezza e igiene dei luoghi di lavoro. In proposito, la Corte ha riaffermato che la nozione di dispositivi di sicurezza individuale (oggetto di un obbligo del datore di lavoro di continua fornitura e manutenzione) ricomprende anche gli “indumenti di lavoro specifici”, ossia le divise o gli abiti aventi la funzione di tutelare l’integrità fisica del lavoratore, nonché quegli altri indumenti, essenziali in relazione a specifiche e peculiari funzioni, volti ad eliminare o quanto meno a ridurre i rischi ad esse connessi, o anche solo a migliorare le condizioni igieniche in cui viene a trovarsi il lavoratore nello svolgimento delle sue incombenze. Ne consegue che ove la pulizia di tali indumenti sia stata lasciata alla cura dei dipendenti, ad essi devono essere rimborsare le spese relative (provabili anche per testimoni) e deve essere risarcito il danno (non irrazionalmente stabilito in un’ora di retribuzione a settimana).
Corte di Cassazione, ordinanza 24 marzo 2025, n. 7826.
Inadempimento del dipendente e tolleranza del datore.
Nel giudizio di impugnazione del licenziamento comunicato a un dipendente per avere fumato in una zona dell’azienda in cui era vietato, la Corte d’appello aveva accolto le domande, ritenendo che la precedente tolleranza della società all’abitudine dei dipendenti di fumare in quel luogo togliesse il carattere di illiceità al fatto. La decisione è cassata con rinvio dai giudici di legittimità, i quali, accogliendo il ricorso del datore di lavoro, osservano che: (i) nel caso in cui siano accertati gli elementi oggettivi e soggettivi dell’inadempimento del dipendente (nel caso in esame: l’avere fumato in luogo di divieto, consapevole di questo), la mera tolleranza della società datrice in ordine a fatti simili nel passato non è di per sé idonea a escludere l’antigiuridicità della condotta; (ii) occorrono, infatti, elementi ulteriori estranei alla condotta del trasgressore, capaci di ingenerare in lui l’incolpevole convinzione della liceità della condotta. Può anche trattarsi, per escludere la colpa, del comportamento reiterato del soggetto addetto al controllo dell’osservanza del divieto, ma sempre che si accerti che l’affidamento che esso ingenera escluda ogni incertezza sulla legittimità della condotta, accertamento che nel caso in esame è mancato.
Tribunale di Milano, 12 dicembre 2024
Sospetti di furto generici e su tutti i dipendenti: illecito il controllo a distanza e il licenziamento disciplinare, lavoratore reintegrato.
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da un lavoratore e lo reintegra sul posto di lavoro dopo aver dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare basato su filmati di furti di beni aziendali nel punto vendita. Secondo il Giudice, i controlli tramite impianti di videosorveglianza che hanno condotto al licenziamento non possono essere ritenuti controlli difensivi, in quanto basati su generici sospetti su tutti i lavoratori addetti al punto vendita interessato dai furti. Pertanto, l’installazione di impianti di videoregistrazione da parte di un investigatore privato assoldato dalla società contrasta con l’art. 4, l. 300/1970 e tale attività di controllo non può fondare il licenziamento.