Novita’ normative
Il 5 giugno 2024 è stata firmata l’intesa, con vigenza dal 1° giugno 2024 al 31 dicembre 2027, che ha rinnovato il CCNL Pubblici esercizi, Ristorazione collettiva e commerciale e Turismo.
Tra le numerose novità:
- aumento contrattuale a regime di 200 euro al 4°livello, da riparametrare per gli altri. La prima tranche di aumento salariale di 50 Euro sarà corrisposta con la retribuzione del mese di giugno 2024; seguiranno altre 4 tranche di 40, 40, 30 e 40 Euro;
- aumento di 3 Euro del contributo per l’assistenza sanitaria integrativa Fondo EST a carico delle aziende a partire dal 1° gennaio 2027;
- rafforzamento dell’assistenza sanitaria integrativa e una durata di tre anni e mezzo, con scadenza il 31 dicembre del 2027;
- rivisitato l’impianto esistente della classificazione del personale, aggiornando le figure professionali rispetto all’evoluzione dei vari comparti.
Significativi gli interventi sulle politiche di genere:
• inserite misure di contrasto alle molestie e violenze nei luoghi di lavoro;
• previsti ulteriori 90 giorni di congedo retribuito al 100% per le donne vittime di violenza di genere, in aggiunta ai novanta previsti dalla Legge;
• definita la possibilità di essere trasferiti in altre sedi di lavoro e di essere escluse da turni disagiati;
• rinnovata la disciplina dei congedi di maternità e paternità obbligatori e facoltativi;
• i periodi di congedo di maternità e paternità (alternativo ed obbligatorio), nonché i periodi di congedo parentale, saranno computati ai fini dell’integrale maturazione e corresponsione della tredicesima mensilità. Lo stesso criterio sarà applicato per la quattordicesima mensilità, salvo che i periodi di congedo parentale saranno computati solo a partire dal 1° dicembre 2027;
• per le lavoratrici e i lavoratori part time è stato confermato un esame congiunto volto al consolidamento del lavoro supplementare svolto in maniera continuativa.
Con risposta ad interpello n. 130 del 6 giugno 2024 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’indennità corrisposta al lavoratore – in seguito a sentenza che ha accertato l’illegittimità del contratto di somministrazione per superamento del limite consentito ex art. 31, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015 (e del CCNL applicato) – ha natura risarcitoria e, pertanto, deve essere tassata separatamente.
La predetta indennità, per effetto del citato art. 39, ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore – comprese le conseguenze retributive e contributive – relativo al periodo compreso tra la data in cui il lavoratore ha cessato la propria attività presso l’utilizzatore e la pronuncia del giudice costitutiva del rapporto di lavoro.
Tale indennità, ad avviso dell’Agenzia, è qualificabile quale risarcimento del danno consistente nella perdita di redditi di lavoro dipendente e come tale ha una valenza sostitutiva del reddito non conseguito – ai sensi dell’art. 6 TUIR – e, dunque, deve essere tassata.
Tali somme – precisa l’Agenzia – rientrano nella portata applicativa dell’art. 17, comma 1, lett. b), che prevede la tassazione separata sugli emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti.
Dunque, l’indennità risarcitoria – di cui all’art. 39, comma 2, del D.lgs. 81/2015 – deve essere assoggettata a tassazione separata.
Garante Privacy, provvedimento 6 giugno 2024, n. 364.
Posta elettronica nel contesto lavorativo. Indicazioni del Garante Privacy.
Il Garante per la protezione dei dati personali, con il provvedimento del 6 giugno 2024, fornisce il proprio indirizzo circa i programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica nel contesto lavorativo e trattamento dei metadati.
In particolare il Garante Privacy ha ribadito che:
- il contenuto dei messaggi di posta elettronica – come pure i dati esteriori delle comunicazioni e i file allegati – riguardano forme di corrispondenza assistite da garanzie di segretezza tutelate anche costituzionalmente (artt. 2 e 15 Cost.), che proteggono il nucleo essenziale della dignità della persona e il pieno sviluppo della sua personalità nelle formazioni sociali. Ciò comporta che, anche nel contesto lavorativo pubblico e privato, sussista una legittima aspettativa di riservatezza in relazione ai messaggi oggetto di corrispondenza;
- dovrà essere sempre verificata la sussistenza dei presupposti di liceità stabiliti dall’art. 4 della L. 20 maggio 1970, n. 300, nonché il rispetto delle disposizioni che vietano al datore di lavoro di acquisire e comunque trattare informazioni non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore o comunque afferenti alla sua sfera privata (art. 8 della L. 20 maggio 1970, n. 300 e artt. 113 e 114 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196). La violazione delle norme determina, oltre all’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie ai sensi dell’art. 83, par. 5, lett. d) del Regolamento, anche il possibile insorgere di responsabilità sul piano penale (cfr. art. 171 del Codice);
- i tempi di conservazione dei metadati devono in ogni caso essere proporzionati rispetto alle legittime finalità perseguite. In particolare, finalità connesse alla sicurezza informatica e alla tutela del patrimonio informatico giustificano la conservazione dei metadati per un arco temporale congruo rispetto all’obiettivo di rilevare e mitigare eventuali incidenti di sicurezza, adottando tempestivamente le opportune contromisure. Ove i tempi di conservazione non siano definiti in maniera proporzionata alle finalità del trattamento, il titolare del trattamento può incorrere nella violazione del principio di “limitazione della conservazione”, con conseguenti sanzioni.
Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota 18 giugno 2024, n. 1091.
Appalto, distacco e somministrazione illeciti. Regime sanzionatorio.
La Direzione Centrale coordinamento giuridico, dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), con la sopracitata nota ha fornito alcune indicazioni operative relative al regime sanzionatorio in materia di somministrazione, appalto e distacco illeciti, così come previsto dall’articolo 29, del D.L. n. 19/2024.
Segnaliamo in particolare:
- Importo delle ammende: l’art. 29, comma 4, del D.L. n. 19/2024 ha ripristinato il rilievo penale delle fattispecie sanzionate dall’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003, precedentemente depenalizzate dall’art. 1 del D.Lgs. n. 8/2016, introducendo la pena – alternativa o congiunta – dell’arresto o dell’ammenda. Nella nota dell’INL vengono precisate, l’importo dell’ammenda (che non può, in ogni caso, essere inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000) e le relative possibili maggiorazioni.
- Regime della recidiva: il tema della recidiva riferito alle violazioni di cui al nuovo art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003 l’INL evidenzia agli ispettori che, esistendo una parziale sovrapposizione di diverse disposizioni normative (come l’art. 1, comma 445 lett. e), L. n. 145/2018, secondo cui “le maggiorazioni sono raddoppiate ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti” e il D.L. n. 19/2024, che ha introdotto all’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003 un nuovo comma 5-quater, secondo il quale “gli importi delle sanzioni previste dal presente articolo sono aumentati del venti per cento ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni penali per i medesimi illeciti”, occorrerà valutare se si tratti di recidiva “semplice” o recidiva “specifica”.
- Aggravanti per sfruttamento dei minori: ad eccezione dell’ipotesi di esercizio non autorizzato dell’attività di intermediazione con scopo di lucro, anche in presenza dell’aggravante per sfruttamento di minori, andrà applicata la prescrizione ex art. 20, D.Lgs. n. 758/1994 e, in caso di ottemperanza, un’ammenda pari al quarto del sestuplo della sanzione base (aumentata del 20%) o di quella determinata a seguito di recidiva. Inoltre, l’importo da irrogare in concreto dovrà tenere conto dei limiti minimi e massimi sopra indicati.
INPS, circolare 20 maggio 2024, n. 67.
Accesso alla prestazione di disoccupazione NASpI e DIS-COLL in favore dei lavoratori sportivi.
Con la circolare n. 67/2024 l’INPS ha fornito le istruzioni operative per la fruizione delle indennità di disoccupazione (Naspi e Dis-Coll) nel lavoro sportivo. Le indicazioni completano il quadro della nuova disciplina introdotta dalla riforma con il D.Lgs n. 36/2021, nel quale l’INPS conferma l’estensione della disciplina Naspi per i lavoratori sportivi subordinati iscritti al nuovo Fondo pensione dei lavoratori sportivi dal 1° luglio 2023, non rilevando il settore professionistico o dilettantistico in cui costoro svolgono l’attività.
Novita’ GIURISPRUDENZIALI
Corte di Cassazione, sentenza 17 giugno 2024, n. 16674.
Il tempo preparatorio della prestazione è in orario di lavoro se si svolge sotto la direzione datoriale.
La Suprema Corte, con la citata sentenza ha chiarito che deve considerarsi invalida, in quanto contraria a norma imperativa, la clausola di un accordo sindacale aziendale che preveda una franchigia temporale, entro la quale sia posto a carico dei lavoratori il tempo necessario per il trasferimento dal luogo di ricovero del mezzo aziendale a quello del primo intervento nonché, al termine della giornata di lavoro, per il tragitto inverso.
Nel caso sottoposto al giudizio della Corte, in forza di un accordo sindacale aziendale, veniva statuito come il tempo della prestazione lavorativa iniziasse al momento di arrivo dei tecnici presso il primo cliente e terminasse alla fine dell’intervento presso l’ultimo; pertanto, il tempo di viaggio necessario per recarsi al domicilio del cliente e quello per tornare alla sede aziendale non veniva più retribuito. Sulla scorta del dettato dell’art. 1 comma 2 del D.Lgs. 66/2003, in virtù del quale rientra nel tempo di lavoro e di conseguenza deve essere retribuito ogni momento in cui il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro nello svolgimento delle sue mansioni, compresi i tempi per gli spostamenti necessari, la Corte è giunta ad affermare la nullità dell’accordo summenzionato, in quanto contrario a norma imperativa.
In particolare, il tempo preparatorio della prestazione lavorativa rientra nell’orario di lavoro laddove le relative operazioni si svolgano sotto la direzione e il controllo del datore di lavoro, con conseguente nullità degli accordi collettivi che prevedano una franchigia temporale, entro la quale i tempi necessari per gli spostamenti siano posti a carico dei lavoratori.
Corte di Cassazione, sentenza 6 giugno 2024, n. 15845.
Licenziamento per superamento del periodo di comporto: escluse dal calcolo le giornate in cui il lavoratore accede al Pronto Soccorso.
La Cassazione afferma che la clausola del CCNL, nello specifico l’art. 70 del CCNL Carta Industria, che esclude dal computo del comporto le giornate di “ricovero ospedaliero e day hospital” va interpretata nel senso di non conteggiare, a tal fine, tutto il tempo in cui il lavoratore è ricoverato presso una struttura sanitaria, anche se solo per una giornata o per una parte di essa, per essere sottoposto a indagini, cure e assistenza non eseguibili a domicilio.
Corte di Cassazione, ordinanza 3 giugno 2024, n. 15391.
Illegittimo il licenziamento, se le contestazioni sono tratte dal Telepass in uso al dipendente.
Nel caso specifico, un dipendente è stato licenziato per inadempimenti legati al suo orario e luogo di lavoro, dati acquisiti attraverso il Telepass. Il Tribunale di Fermo ha inizialmente convalidato il licenziamento, ma la Corte d’Appello di Ancona ha ribaltato questa decisione, considerando i dati del Telepass inutilizzabili per mancanza di una specifica informativa sull’uso a fini di controllo.
L’applicazione di questa norma ha portato la Cassazione a precisare che il Telepass, qualora installato su auto aziendali adibite a specifici servizi, assume la funzione di strumento di lavoro. Tuttavia, le informazioni raccolte tramite il dispositivo sono utilizzabili per fini disciplinari solo se il lavoratore è stato adeguatamente informato su come il dispositivo sarà usato per monitorare le sue attività.
La Cassazione distingue tra i “controlli difensivi” – indirizzati alla tutela dei beni aziendali e alla prevenzione di comportamenti illeciti, che possono essere attivati solo in presenza di un fondato sospetto e devono essere proporzionati e non invasivi – e l’uso normale di strumenti tecnologici come il Telepass, che, seppur potenzialmente utilizzabile per controlli, necessita di specifica informativa.
In conclusione, se il datore di lavoro vuole utilizzare il Telepass per monitorare le attività del dipendente, deve prima informare il dipendente in modo chiaro e dettagliato. In assenza di tale informativa, i dati raccolti non sono ammissibili per giustificare decisioni disciplinari come un licenziamento.
Corte di Cassazione, ordinanza interlocutoria 29 maggio 2024, n. 15030 alla Corte costituzionale l’esclusione dei dirigenti dal “blocco” dei licenziamenti individuali per g.m.o. durante la pandemia da Covid-19.
La Corte d’appello aveva dichiarato la nullità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un dirigente d’azienda, in quanto disposto ad aprile 2020, nella vigenza del “blocco” dei licenziamenti (collettivi e individuali per g.m.o.) durante la pandemia da Covid-19, introdotto dall’art. 46, D.L. 18/20 e successive proroghe e che i giudici di merito avevano ritenuto applicabile anche ai dirigenti.
L’interpretazione dei giudici di merito non è condivisa dalla Cassazione, che osserva: (i) nel definire l’ambito applicativo del divieto dei licenziamenti individuali, il legislatore dell’emergenza ha fatto espresso riferimento al recesso per “giustificato motivo oggettivo disposto ai sensi dell’art 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604”, che non menziona i dirigenti, quindi esclusi dal successivo divieto; (ii) al contrario, il blocco dei licenziamenti collettivi riguarda senz’altro anche i dirigenti, perché anche a costoro si applica la L. 223/91, le cui procedure sono state temporaneamente vietate dal legislatore dell’emergenza pandemica; (iii) per i dirigenti, si registra, quindi, un’asimmetria nel regime del blocco dei licenziamenti, che non appare ragionevole, tenuto anche conto che il sacrificio così imposto ai datori di lavoro è stato bilanciato attraverso una serie di misure economiche che presuppongono tutte la portata generalizzata del blocco dei licenziamenti collettivi e individuali per ragioni oggettive, a prescindere dalla categoria legale di inquadramento dei dipendenti altrimenti licenziabili; (iv) l’asimmetria non è tuttavia superabile attraverso l’interpretazione costituzionalmente conforme della norma emergenziale come proposta dalla Corte d’appello, che non è compatibile con il dato letterale assolutamente univoco dell’art. 46, né, d’altro canto, attraverso un’applicazione analogica della norma, il cui carattere eccezionale è evidente; (v) non resta quindi che investire della questione la Corte costituzionale, perché si pronunci sulla compatibilità della norma con l’art. 3 della Costituzione.
Corte di Cassazione, ordinanza 28 maggio 2024, n. 14848.
Va retribuito il tempo necessario a percorrere il tragitto dall’ingresso dell’azienda fino alla postazione di lavoro.
La Corte d’appello aveva riconosciuto il diritto dei dipendenti di un’azienda a vedersi retribuiti, quale tempo effettivo di lavoro, i 5 minuti dagli stessi impiegati per raggiungere la postazione di lavoro, e fare login sul proprio personal computer, dopo avere varcato l’ingresso della sede aziendale (e viceversa al termine della prestazione). Nel confermare la decisione di merito, la Cassazione osserva che: (i) in giurisprudenza è consolidato l’orientamento per cui è da considerarsi orario di lavoro l’arco temporale che il lavoratore trascorre all’interno dell’azienda nell’espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico; (ii) a tale principio si è correttamente conformata
la Corte d’appello, la quale ha ritenuto accertato che per i dipendenti fosse necessario e obbligatorio fare il tragitto dall’ingresso fino alla postazione di lavoro e compiere ogni altra attività preliminare cui essi sono tenuti in base all’organizzazione predisposta dal datore di lavoro.
Corte di Cassazione, sentenza 22 maggio 2024, n. 14307.
Discriminatorio il licenziamento del disabile in mancanza di “accorgimenti ragionevoli”.
La Corte di Cassazione, con la citata sentenza è tornata ad esaminare la delicata questione legata alla qualificazione dell’illegittimo licenziamento del lavoratore disabile per motivo oggettivo consistente nella sopravvenuta inidoneità fisica o psichica alla mansione e – sposando l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza nazionale e comunitaria – ha dichiarato discriminatorio (con conseguente applicazione della tutela reintegratoria piena) il provvedimento espulsivo senza previo tentativo del datore di lavoro di ricollocare in azienda il lavoratore e di adottare gli accorgimenti organizzativi ragionevoli di cui all’ all’art. 3, comma 3-bis D.Lgs. n. 216/2003 che non richiedano eccessivi oneri finanziari.
Corte di Cassazione, sentenza 22 maggio 2024, n. 14301.
Nullo il licenziamento a causa di matrimonio della lavoratrice, anche se già di fatto convivente.
Il giudizio promosso da una lavoratrice per ottenere la dichiarazione di nullità del licenziamento intimatole nel 2019 all’interno del periodo di un anno dalle pubblicazioni di matrimonio da modo alla Cassazione, nel confermare la sentenza dei giudici di appello di accoglimento delle domande, di ricordare: (i) che la nullità del licenziamento della donna lavoratrice a causa di matrimonio prescinde dalla considerazione della buona fede del datore di lavoro (che, ad es. come nel caso di specie, sia a conoscenza del fatto che il matrimonio intervenga in una situazione di precedente convivenza di fatto) ed è esclusivamente legato al fatto che esso cada nel periodo di un anno dalle pubblicazioni di matrimonio, se questo poi segua; (ii) che tale presunzione di collegamento del licenziamento col matrimonio può vincersi per legge unicamente in tre casi: colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa di licenziamento, cessazione dell’attività di azienda e scadenza del termine direttamente o indirettamente apposto al contratto di lavoro; (iii) che in questo come negli altri casi di nullità del licenziamento la tutela reintegratoria piena esclude la detrazione dell’”aliunde percepiendum” (che nel caso sarebbe stato rappresentato, secondo la società, da ciò che la lavoratrice avrebbe guadagnato accettando la proposta di revoca del licenziamento proveniente dalla società); (iv) che questa disciplina non discrimina gli uomini lavoratori, perché la diversità di trattamento non è giustificata dal genere, ma dalla realtà sociale che rende necessarie misura di protezione inutili per gli uomini.
Corte di Cassazione, sentenza 21 maggio 2024, n. 14089.
Ancora sulla composizione della retribuzione feriale.
Secondo il diritto comunitario, come interpretato dalla Corte di giustizia, vincolante nella Comunità, la retribuzione del periodo di ferie deve comprendere qualsiasi importo che si ponga in rapporto di collegamento con l’esecuzione delle mansioni lavorative e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore. Ciò perché la previsione di importi minori potrebbe costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo fondamentale diritto al riposo annuale. Invocando ancora una volta questo principio, la Cassazione ha accolto le domande del macchinista di una società ferroviaria, relative alla inclusione nella retribuzione feriale dell’indennità per assenza dalla residenza e della parte variabile dell’indennità di utilizzazione/condotta, ambedue tipiche delle mansioni, da calcolare nella media dei 12 mesi precedenti la fruizione dei singoli periodi di ferie.
Corte di Cassazione, ordinanza 20 maggio 2024, n. 13934.
Anche fruire dei permessi per assistere un parente disabile costituisce fattore di rischio di discriminazione nel lavoro.
Nel giudizio di impugnazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una dipendente fruente dei permessi di cui alla L. n. 104/1992 per assistere il marito disabile grave, la Corte di cassazione annulla con rinvio ad altro collegio di giudici di merito la sentenza della Corte d’appello per non aver tenuto conto, nella valutazione della fattispecie (che aveva condotto all’accoglimento parziale della domanda con applicazione peraltro della sola tutela indennitaria), della disciplina antidiscriminatoria di cui al D. Lgs. n. 216/2003. In proposito, la Corte rileva anzitutto che nel testo di tale decreto (come del resto nella direttiva comunitaria di cui esso costituisce attuazione) la condizione di handicap non è tutelata con esclusivo riferimento al lavoratore handicappato, ma la tutela si estende anche a coloro che per legge lo assistono, costituendo tale situazione un fattore di rischio di discriminazione in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Ciò posto, secondo la Corte, le circostanze di fatto acquisite avrebbero meritato la verifica da parte della Corte d’appello di una possibile correlazione significativa tra il fattore di rischio indicato e il licenziamento e quindi del carattere discriminatorio di quest’ultimo, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria piena.
Corte di Cassazione, ordinanza 15 maggio 2024, n. 13479.
Irriducibili dal giudice le sanzioni disciplinari inflitte dal datore di lavoro.
Il Tribunale di Grosseto, giudicando della legittimità della sanzione di cinque giorni di sospensione di una lavoratrice, ritenuti accertati i fatti contestati e valutata peraltro eccessiva la sanzione
conseguente, l’aveva ridotta a due giorni di sospensione. La sentenza era stata riformata in appello, con l’annullamento della sanzione, sempre perché ritenuta sproporzionata. Su ricorso della società, che originariamente, agendo in giudizio, aveva chiesto l’accertamento della legittimità della sanzione di cinque giorni “o quella che sarà ritenuta di giustizia”, la Cassazione, richiamando un proprio precedente del 2019, rigetta il ricorso della società, affermando che l’irrogazione delle sanzioni disciplinari rientra nel potere organizzativo e direttivo dell’imprenditore, al quale il giudice non può sostituirsi rimodulandone la misura, anche solo in senso riduttivo, salvo che: a) la sanzione abbia illegittimamente superato il minimo edittale; b) oppure sia lo stesso imprenditore a chiedere in giudizio la riduzione della sanzione a una misura determinata (e non genericamente, come nel caso di specie).
Corte di Cassazione, ordinanza 7 maggio 2024, n. 12393.
Licenziamento tardivo.
La Corte ha ritenuto difettare del requisito della tempestività il (secondo) licenziamento irrogato ad un dipendente appena reintegrato, a seguito di contestazione elevata successivamente alla reintegra ed avente ad oggetto fatti di cui il datore di lavoro era venuto a conoscenza già nel corso del giudizio relativo al primo licenziamento. Secondo la Corte, il datore avrebbe dovuto procedere senza ritardo alla contestazione degli addebiti anche nelle more del giudizio, in quanto il primo licenziamento (illegittimo) non poteva considerarsi idoneo a risolvere il rapporto che, quindi, doveva considerarsi giuridicamente persistente benché sospeso. Sulla scia di quanto stabilito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 3098/2017, la Corte ha anche ribadito che la tardività della contestazione costituisce un vizio di natura sostanziale, che determina l’applicazione della tutela indennitaria c.d. “forte” ai sensi dell’art. 18 comma 5 dello Statuto dei Lavoratori, anziché quella c.d. debole, ex art. 18 comma 6, che spetta in caso di violazioni di natura procedurale.
Tribunale di Milano, sentenza 22 maggio 2024, n. 988.
Diritto all’APE sociale equiparato a quello alla Naspi, per la lavoratrice che abbia risolto consensualmente il rapporto per impossibilità di accettare un trasferimento.
Il Tribunale condanna l’Ente previdenziale a riconoscere il diritto a percepire l’anticipo pensionistico a una lavoratrice la quale, a seguito della chiusura dello stabilimento presso cui era adibita, aveva rifiutato il trasferimento presso altra sede aziendale distante quasi 300 km dall’abitazione. Su tali basi la dipendente e il datore avevano deciso di procedere con la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Il Tribunale ha ritenuto irragionevole ed illegittima la posizione assunta dall’INPS che, stante l’asserita tassatività delle fattispecie previste per l’accesso all’APE sociale, sosteneva che la risoluzione consensuale del rapporto non fosse tra queste. Per il Giudice
non sussistono motivi per discostarsi da quanto accade nei casi di domanda di NASpI, nei quali lo stesso Ente convenuto riconosce comunque il requisito dell’involontarietà della disoccupazione – e quindi la relativa indennità – quando vi è rifiuto del lavoratore al trasferimento oltre i 50 km dalla propria residenza.
Tribunale di Roma, sentenza 4 marzo 2024, n. 2615.
L’influencer che promuove stabilmente e con continuità i prodotti di un’azienda è inquadrabile come agente di commercio.
Il Tribunale di Roma respinge l’impugnazione di un verbale ispettivo che aveva accertato la natura di contratto di agenzia, con i conseguenti obblighi di versamento contributivo, per alcuni rapporti contrattuali costituiti da un’impresa che vende integratori alimentari mediante tecniche di e-commerce affidate a influencer. Il Tribunale accerta il carattere della stabilità del rapporto di promozione e, pur rammentando che l’assegnazione all’agente di una specifica zona di vendita non è elemento essenziale del contratto, ritiene che per zona possa intendersi non solo quella geografica ma anche una porzione di mercato, che nel caso dell’influencer è costituita dalla comunità dei followers che lo seguono. L’evoluzione tecnologica e delle modalità di vendita sul mercato consente di inserire la figura professionale dell’influencer, in grado di influenzare le scelte di mercato di coloro che lo seguono, nell’ambito dello schema contrattuale dell’agente, quando l’attività di promozione non sia del tutto episodica, ma concordata stabile e continuativa. Dovuto dall’impresa anche il pagamento del FIRR, in forza del degli accordi economici collettivi del 1957 e 1958 estesi erga omnes dai decreti emanati in attuazione della legge Vigorelli del 1959.