NEWSLETTER 7/2025

Novita’ normative

AEC 4 giugno 2025 Agenti e Rappresentanti di Commercio.

È stata sottoscritta l’ipotesi di rinnovo dell’Accordo Economico Collettivo (AEC) per gli Agenti e Rappresentanti di Commercio nel settore del commercio. L’accordo è stato firmato da Confesercenti e dalle principali organizzazioni di categoria, tra cui FNAARC, USARCI, FISASCAT, CISL, UILTUCS, UIL e FILCAMS, CGIL. L’intesa entrerà in vigore dal 1 luglio 2025 fino al 30 giugno 2029.

È stato inoltre chiarito che, per l’Agente di Commercio, il compenso previsto dal patto di non concorrenza come definito dal Codice Civile ha natura complementare rispetto alle indennità previste dalla normativa e dall’AEC, e non può essere da esse assorbito.

Tra i punti qualificanti dell’intesa, segnaliamo:

  • il rafforzamento della tutela degli agenti in caso di modifiche unilaterali da parte della casa mandante, relativamente a provvigioni, prodotti e clientela;
  • l’azienda mandante è inoltre tenuta a comunicare all’Agente tutte le informazioni utili allo svolgimento del mandato;
  • le modifiche alle disposizioni sul periodo di comporto e sugli anticipi provvisionali;
  • il compenso previsto per l’Agente di Commercio dal patto di non concorrenza ha natura complementare rispetto alle indennità previste dalla normativa e dall’AEC, e non può essere da esse assorbito;
  • il riconoscimento delle provvigioni anche sulle vendite di prodotti o servizi effettuate a consumatori privati attraverso il commercio elettronico;
  • al termine del mandato tutte le somme corrisposte dalla casa mandante in aggiunta alle provvigioni saranno computabili ai fini dei vari istituti contrattuali e legali: variazioni contrattuali, FIRR, indennità suppletiva di clientela, indennità meritocratica, indennità sostitutiva del preavviso e indennità per il patto di non concorrenza post contrattuale;
  • qualora il contratto di agenzia sia stipulato con una società di persone, l’indennità di fine rapporto sarà corrisposta anche nel caso venga meno la pluralità dei soci per scioglimento della società, pensionamento, invalidità o decesso;
  • l’aumento dei massimali per il calcolo del FIRR, migliorando sensibilmente l’importo riconosciuto al termine del mandato; dall’1 gennaio 2026 i limiti provvigionali per il calcolo delle indennità in caso di scioglimento del contratto saranno innalzati fino a 18mila euro per gli agenti senza esclusiva e fino a 36mila euro per quelli con esclusiva;
  • l’aggiornamento della normativa sulla gestione delle controversie, prevedendo l’intervento di apposite commissioni sindacali per la composizione delle vertenze tra agente e mandante. Per le controversie sulle indennità di fine rapporto, la conciliazione in sede sindacale potrà essere effettuata esclusivamente dalle associazioni di categoria firmatarie dell’AEC, anche attraverso le Commissioni Paritetiche Territoriali;
  • il riconoscimento al padre Agente di Commercio della facoltà di astenersi dall’attività fino a un massimo di 20 giorni entro cinque mesi dalla nascita o adozione del figlio, escludendo la possibilità per la casa mandante di procedere alla risoluzione del contratto, che resterà comunque sospeso.

Legge 15 maggio 2025, n. 76.

Partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa.

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Il contenuto generato dall'IA potrebbe non essere corretto.È stata pubblicata, nella Gazzetta Ufficiale n. 120 del 26 maggio 2025 la legge n. 76/2025.Si tratta di un provvedimento volto a disciplinare la partecipazione finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alla gestione, all’organizzazione, ai profitti e ai risultati nonché alla proprietà delle aziende. In particolare, oltre ad individuare le modalità di partecipazione gestionale e di distribuzione degli utili, la legge prevede delle forme di incentivo fiscale per i lavoratori dipendenti privati, elevando a 5.000 euro lordi il limite dell’importo complessivo soggetto all’imposta sostitutiva nel caso di distribuzione di una quota degli utili di impresa non inferiore al 10% degli utili complessivi, effettuata in esecuzione di contratti collettivi aziendali o territoriali.

Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n.125 del 31 maggio 2025, il Decreto 22 aprile 2025, tempi di guida e di riposo, con l’esenzione dall’obbligo di rispetto dei tempi di guida e di riposo nel settore dei trasporti stradali e dall’obbligo di dotazione ed uso dell’apparecchio di controllo.

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31 maggio 2025, il decreto 22 aprile 2025 del Ministero

delle Infrastrutture e dei Trasporti introduce deroghe ed esenzioni, in alcuni specifici settori lavorativi

che comportano l’intensivo utilizzo di automezzi per il trasporto stradale di beni e prodotti, dall’obbligo

di rispetto di limiti ai tempi di guida e di riposo e dall’obbligo di dotazione ed uso di apparecchi di controllo dei tempi e degli itinerari effettuati, previsto dal regolamento (UE) n. 165/2014.

Nello specifico, l’esenzione dal rispetto dei tempi di guida e di riposo e dell’utilizzo del tachigrafo riguarda:

  • i veicoli adibiti a scuola guida per l’ottenimento della patente di guida;
  • i veicoli speciali adibiti al trasporto di denaro o valori;
  • i veicoli utilizzati per il trasporto di animali vivi dalle fattorie ai mercati locali o viceversa, o dai mercati ai macelli locali, entro un raggio fino a 100 chilometri.

In particolare nel settore del trasporto valori, in cui operano dipendenti degli istituti di vigilanza, il decreto concede ai veicoli blindati adibiti al trasporto di denaro deroghe complete rispetto a due aspetti fondamentali della citata normativa europea (tempi di guida e riposo, cronotachigrafo), con il dichiarato obiettivo di potenziare la sicurezza e la rapidità nel servizio, adattando la regolamentazione alle esigenze operative reali del settore e rendendola coerente con la normativa speciale a cui sono soggette le guardie particolari giurate che espletano il servizio (DM 269/2010, Allegato D), che vieta soste intermedie diverse dalla destinazione di ritiro consegna dei valori.

Legge 7 aprile 2025 n. 56, in Gazzetta Ufficiale n. 95 del 24 aprile 2025

Lavoro intermittente: abrogato il regio decreto con l’elenco dei cd. lavori discontinui

Entrata in vigore lo scorso 9 maggio, la legge n. 56/2025 ha disposto l’abrogazione di oltre 30mila atti normativi prerepubblicani, relativi al periodo dal 1861 al 1946.

Tra i provvedimenti abrogati rientra anche il regio decreto n. 2567 del 6 dicembre 1923, che conteneva in allegato la tabella indicante le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia, alle quali non è applicabile la limitazione dell’orario sancita dall’articolo 1

del decreto legge n. 692/1923.

Come disposto dal decreto del Ministero del Lavoro 23 ottobre 2004, la stipulazione di contratti di lavoro intermittente è ammessa con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al citato regio decreto, salvo diversa previsione della contrattazione collettiva e in attesa delle determinazioni ivi contemplate.

Pertanto alla luce dell’abrogazione del regio decreto 2657/1923 non può più ritenersi valida la tabella ad esso allegata e, con essa, le relative attività che consentono la stipula del contratto di lavoro intermittente al di fuori delle ipotesi identificate dalla contrattazione collettiva e dei soggetti di cui al comma 2, articolo 13, del decreto legislativo n. 81/2015, ovvero lavoratori con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n.616 del 3 aprile 2025 anticipo del TFR.

L’INL Ispettorato Nazionale del Lavoro ha recentemente emanato una nota, con la quale ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla legittimità della prassi, riscontrata dal personale ispettivo, di anticipo mensile del TFR in busta paga.

Nello specifico, l’Ispettorato, dopo aver ricordato che l’ultimo comma dell’art. 2120 c.c. rimanda alla contrattazione collettiva o ai patti individuali l’introduzione di condizioni di miglior favore relative all’accoglimento delle richieste di anticipazione dell’accantonamento maturato del TFR, evidenzia che ciò non può avere ad oggetto un mero automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile che, a questo punto, costituirebbe una mera integrazione retributiva con conseguenti ricadute anche sul piano contributivo.

Tale operazione, peraltro, sembrerebbe contrastare con la stessa ratio dell’istituto del TFR che è quella di assicurare al lavoratore un supporto economico al termine del rapporto di lavoro.

Laddove si ravvisino le descritte ipotesi di anticipazione, il personale ispettivo dovrà intimare al datore di lavoro di accantonare le quote di TFR illegittimamente anticipate

Novita’ GIURISPRUDENZIALI

Corte di cassazione ordinanza n. 15549/2025.

È legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del lavoratore che, in un unico episodio, abbia rivolto molestie sessuali verbali nei riguardi di una collega sul posto di lavoro, arrecando a quest’ultima un pesante disagio.

Nel caso in questione, il dipendente aveva rivolto in modo intenzionale delle frasi a sfondo sessuale ad una lavoratrice, confermate da altri lavoratori: come conseguenza, l’azienda aveva irrogato contro di lui la sanzione disciplinare della sospensione da lavoro e retribuzione per otto giorni.

Corte di cassazione, sentenza 10 giugno 2025, n. 15513.

Efficacia del licenziamento per G.M.O. nella legge Fornero.

Un dipendente aveva presentato domanda di congedo straordinario biennale per assistere la madre disabile in data 8 febbraio 2019, lo stesso giorno in cui si era conclusa con esito negativo la procedura di tentativo di conciliazione avviata dal datore di lavoro in vista del suo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, comunicato a far data dall’8 febbraio con esonero dal preavviso, al lavoratore a mezzo lettera del 9, ricevuta l’11.

Avendo l’INPS respinto la domanda per inesistenza del rapporto di lavoro, cessato il 7, il lavoratore aveva promosso causa al datore, sostenendo che il rapporto era cessato l’11. La cassazione, procedendo ex professo all’interpretazione della norma di cui al comma 41 dell’art. 1 della legge n.

92/12, rileva come alla stregua della stessa occorra distinguere il momento della rilevanza giuridica del licenziamento, stabilito nel giorno della comunicazione iniziale dell’intenzione di recedere, dal momento dell’effetto estintivo del rapporto, che è influenzato dalle eventuali determinazioni del datore di lavoro, relative, come indicato dalla stessa legge, alla concessione di ferie durante la procedura o alla lavorazione del preavviso.

Nel caso in giudizio, emerge dagli atti che il datore aveva collocato il lavoratore in ferie fino alla data del’8 febbraio, alla quale pertanto il rapporto era ancora in essere e la domanda di congedo straordinario era da considerarsi tempestiva.

Corte di cassazione, ordinanza 9 giugno 2025, n. 15326.

Patto di prova e specificità delle mansioni: è sufficiente il richiamo al profilo del CCNL?

Una lavoratrice aveva impugnato il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, sostenendo l’invalidità del patto per difetto di specifica indicazione delle mansioni nel contratto di lavoro. La cassazione, respingendo il ricorso della dipendente avverso il rigetto delle domande, ribadisce i principi elaborati nella materia, osservando che: il patto di prova è valido solo se contiene la specifica indicazione, anche per relationem, delle mansioni oggetto dell’esperimento; l’indicazione può validamente avvenire anche tramite il rinvio al profilo professionale previsto dal contratto collettivo, purché sufficientemente dettagliato e non limitato alla generica descrizione della categoria; nel caso di specie, la corte d’appello ha ritenuto, in maniera incensurabile in sede di legittimità, che il riferimento al profilo contrattuale fosse specifico, essendo riconducibile a un mansionario preciso e noto alle parti.

Corte di Cassazione, ordinanza 5 giugno 2025 n. 15054.

Il pagamento tardivo della retribuzione non proroga l’obbligo contributivo.

In un giudizio a tre parti, un ex dipendente aveva chiesto al datore il risarcimento danno pensionistico per il mancato versamento dei contributi relativi a un premio di produzione del 2004, da riscuotere nel maggio 2005, ma riconosciutogli solo con sentenza del 2012; mentre il datore aveva chiesto che l’INPS fosse dichiarato obbligato a ricevere i contributi relativi a tale premio, negati dall’ente nel 2013 per pretesa intervenuta prescrizione quinquennale.

La corte, cassando la decisione di merito, che aveva respinto le domande, ribadisce il principio generale secondo cui il sistema di prelievo contributivo fa perno sulla retribuzione dovuta (sistema di competenza) e non su quella corrisposta (sistema di cassa), il che assume rilevanza anche ai fini della prescrizione, nel caso in esame pertanto già maturata al momento dell’offerta di pagamento.

La regola, secondo la Corte, vale anche per i premi di produzione, menzionati, insieme alle gratifiche

annuali, all’art 6 del d. Lgs n.314/1997 come “assoggettati a contribuzione nel mese di corresponsione”, in quanto quest’ultima espressione è stata costantemente interpretata come relativa al mese stabilito dalla legge o dal contratto (quindi sistema di competenza).

Corte di Cassazione, ordinanza 4 giugno 2025, n. 15006.

Senza convalida, provvisoriamente inefficace la risoluzione consensuale del rapporto.

Come è noto, l’art. 4 comma 17 della legge n. 92/2012 (applicabile al tempo dei fatti) subordina l’efficacia delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro alla convalida delle stesse secondo le forme stabilite nei commi successivi.

Nel giudizio in cui una giornalista aveva sostenuto l’attualità del proprio rapporto di lavoro con una

società, i giudici di merito avevano respinto la domanda, ritenendo ormai intervenuta la risoluzione consensuale tacita del rapporto, non impedita dalle norme indicate, che, in particolare, al comma 22 non menzionano la risoluzione consensuale.

La cassazione cassa con rinvio la sentenza d’appello, osservando che la risoluzione consensuale del contratto di lavoro può avvenire anche in forma tacita, con comportamenti concludenti, salvo che una norma richieda espressamente la forma scritta ad substantiam; tuttavia, l’art. 4, co. 17-22, L. 92/12 ha introdotto specifiche formalità per l’efficacia sia delle dimissioni che delle risoluzioni consensuali; è vero che il co. 22 citato dalla corte d’appello disciplina la perdita definitiva di efficacia delle sole dimissioni non convalidate, ma ciò non esclude che, secondo i commi precedenti, anche l’efficacia della risoluzione consensuale sia subordinata alle procedure di convalida. Deve pertanto concludersi che in mancanza di convalida, l’accordo di risoluzione pur perfezionato tra le parti non produce effetti immediati, ma si trova in una fase temporanea di quiescenza, in attesa della necessaria formalizzazione della convalida; l’errore dei giudici di merito consiste dunque nell’aver escluso tale effetto sospensivo.

Tribunale di Pisa sentenza n. 192/2025.

Risarcimento del danno anche in assenza di mobbing. Il datore di lavoro deve impedire che si crei un ambiente stressogeno per i dipendenti.

In tema di responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente, anche nel caso in cui non sia configurabile una condotta di mobbing per l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo

In tema di responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente, anche nel caso in cui non sia configurabile una condotta di mobbing per l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo

a unificare la pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli, è ravvisabile la violazione dell’art. 2087 c.c. nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere comportamenti anche non illegittimi in sé, ma tali da poter generare disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti. il

La controversia traeva origine dalla domanda di una lavoratrice volta ad ottenere l’accertamento della nullità del proprio contratto di apprendistato, per non aver svolto la necessaria attività formativa, nonché finalizzata ad accertare l’illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto: l’assenza per malattia, secondo la ricostruzione offerta dalla prestatrice di lavoro, doveva ritenersi imputabile alla responsabilità del datore il quale, con la sua condotta, aveva generato un disturbo dell’ansia nella dipendente. Veniva chiesto, infine, che la condotta datoriale venisse ricondotta alla fattispecie di mobbing, con conseguente condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

Ebbene, con riferimento al primo aspetto, il Tribunale di Pisa, dopo aver riepilogato i principi in materia di apprendistato fatti propri dalla più recente giurisprudenza di legittimità e di merito, statuisce come l’onere probatorio inerente all’effettivo svolgimento di un percorso formativo funzionale al conseguimento delle competenze professionali proprie della qualifica finale incomba sul datore di lavoro. Nel caso di specie, una tale prova non veniva fornita, non essendo stata prodotta alcuna documentazione volta ad attestare i contenuti della formazione impartita, con conseguente nullità dell’apprendistato e conversione dello stesso ab origine in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Invece, con riferimento ai comportamenti asseritamente lesivi posti in essere ai danni della

lavoratrice, emergeva dall’istruttoria come il datore avesse manifestato un atteggiamento effettivamente ostile. Ad esempio, dalle chat di WhatsApp spiccavano le seguenti frasi, scritte dal datore e trasmesse alla lavoratrice: “mi stai antipatica da sempre, sei entrata per tua madre e se c’era anche lei per te e basta”, oppure “t’ho detto che ti devo far litigare con tua mamma, ma arrivando a un certo punto, per arrivare a sti livelli che siete”.

E ancora, il datore scriveva: “sei proprio simpatica. Al primo sbaglio sei fuori. Da oggi in poi se fai quattro ore va bene” e anche “io a tempo indeterminato non ti ci passerò mai, a costo che morirò”. Il giudice Pisano, a fronte di queste invettive mosse dal datore, rileva come, ad emergere, sia un

atteggiamento sicuramente astioso nei confronti della lavoratrice, non sufficiente, però, ad integrare la fattispecie di mobbing. In tal senso, chiarisce il Tribunale, non è sufficiente l’accertata esistenza di plurime condotte datoriali illegittime, essendo invece necessario l’accertamento di una reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso il lavoratore e preordinati alla sua mortificazione e isolamento lavorativo.

Secondo il giudice di merito, la lavoratrice, nel caso in esame, non aveva provato che i comportamenti

del datore fossero il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione, non sussistendo, da parte di quest’ultimo, “un’intenzione psicologica di arrecare un danno alla lavoratrice quanto, piuttosto, un’antipatia e un atteggiamento pubblicamente ostile”. Tuttavia, come sopra accennato, pur non ritenendo integrata la fattispecie del mobbing, il giudice di Pisa rileva come, comunque, sia ravvisabile una violazione dell’art. 2087 c.c., avendo, il datore di lavoro, consentito il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute della lavoratrice. Il datore sarebbe cioè venuto meno all’obbligo di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale della dipendente.

Tribunale di Verona, 22 maggio 2025.

Le Stock Options previste dal contratto di lavoro sono retribuzione a tutti gli effetti.

Il Tribunale ha accolto integralmente il ricorso presentato da un dirigente contro la ex datrice di lavoro, riconoscendo l’inadempimento contrattuale da parte della società in merito all’assegnazione di 395 azioni, previste come parte della retribuzione nell’ambito di un piano di incentivazione a lungo termine. Le azioni, inizialmente accreditate su un conto titoli del dirigente presso una piattaforma statunitense, erano state rimosse senza il suo consenso a seguito di istruzioni impartite dal legale della società. Accertata la natura retributiva dell’incentivo sulla base, tra gli altri, del fatto che il piano fosse inserito nel contratto di lavoro e che i prospetti paga mostravano come il valore delle azioni fosse stato assoggettato a ritenuta fiscale da parte del datore, il Giudice ha ordinato il deposito delle azioni sul conto del ricorrente e l’adempimento dei relativi obblighi fiscali.

Corte di cassazione, ordinanza 22 maggio 2025, n. 13748.

Sui parametri di valutazione della giusta causa in un caso di molestie nel lavoro.

Giudicando del licenziamento per giusta causa di una dipendente, accusata di molestie nei confronti di un collega, ripetutamente apostrofato sul luogo di lavoro e alla presenza di altri dipendenti con frasi a sfondo sessuale e oggetto di attenzioni indesiderate, la Corte d’appello, pur ritenendo provati i fatti, aveva ritenuto non sussistente la giusta causa, per sproporzione, in assenza di precedenti disciplinari e di significativi danni all’azienda.

La Corte cassa con rinvio la sentenza, censurandola per avere, nell’applicazione dei parametri valutativi della giusta causa, omesso la necessaria integrazione della generica indicazione codicistica con elementi conformi a valori anche costituzionali dell’ordinamento, quali la dignità umana, la parità di genere, l’importanza fondamentale del lavoro per la crescita personale e sociale nonché, sul piano soggettivo, la piena consapevolezza, il dolo specifico etc.; valori rispetto ai quali sono certamente recessivi parametri quali la mancanza di precedenti disciplinari o di danni organizzativi.

Tribunale di Roma, 21 maggio 2025.

Trasferimento d’azienda in cambio appalto “labour intensive” e diritto al precedente inquadramento del lavoratore.

Nel contesto di un cambio di appalto si configura un ai sensi dell’art. 2112 c.c. qualora il passaggio dei lavoratori non determini una significativa

discontinuità dell’impresa. In particolare, l’assenza di beni materiali trasferiti non è decisiva per

escludere il trasferimento d’azienda, poiché l’identità dell’impresa è integrata quando viene essenzialmente conservato il complesso dei beni materiali e immateriali comprensivi del personale e delle sue competenze necessari e imprescindibili all’esercizio dell’attività.

Dall’inquadramento del passaggio di appalto come trasferimento d’azienda discende il diritto del lavoratore al mantenimento delle condizioni economiche e normative precedentemente riconosciute dall’impresa uscente, motivo per cui il giudice capitolino ha riconosciuto il diritto del ricorrente al livello di inquadramento precedentemente attribuitogli.

Corte di cassazione, sentenza 21 maggio 2025, n. 13558.

Naspi: ai fini del requisito delle 30 giornate vale anche il lavoro “non svolto” ma retribuito.

Come è noto, ai fini della concessione dell’indennità di disoccupazione Naspi, il D.Lgs. n. 22/2015 richiede, tra l’altro, il requisito di “30 giornate di lavoro effettivo” nei 12 mesi precedenti la disoccupazione dell’interessato.

Sorto in un giudizio il problema dell’interpretazione di tale requisito, la cassazione chiarisce che ai fini indicati, le “30 giornate di lavoro effettivo” sono integrate anche da quelle di ferie o riposi retribuiti e da ogni altra giornata che dia luogo al diritto del dipendente alla retribuzione e al pagamento dei contributi. Diversa è la regola in caso di sospensione legale del rapporto di lavoro comportante l’interruzione delle reciproche obbligazioni principali come in presenza di maternità, malattia, cassa integrazione o contratti di solidarietà a zero ore: in queste circostanze, il lavoro non può considerarsi “effettivo”. Tale sospensione, tuttavia, non penalizza il lavoratore: si applica infatti il principio della neutralizzazione, in forza del quale i periodi di sospensione per cause tutelate dalla legge sono esclusi dal computo dei dodici mesi utili per individuare le 30 giornate di lavoro effettivo.

Corte di cassazione, sentenza 20 maggio 2025, n. 13525.

L’anticipazione del TFR non può essere mensile e priva di causale.

Nel giudizio in cui una società aveva contestato la pretesa dell’Inps di assoggettare a contribuzione l’anticipo del T.F.R. Corrisposto mensilmente ai propri dipendenti, la cassazione afferma che: il meccanismo legale dell’anticipazione del T.F.R., delineato dall’art. 2120 c.c., è fondato su determinati precisi presupposti (una tantum, causale specifica, tetto del 70%, otto anni di anzianità etc.).

Modificabili dall’autonomia privata a vantaggio dei dipendenti in limiti compatibili con la portata eccezionale dell’istituto (es. Prevedendo causali aggiuntive o importi superiori), senza sovvertire la struttura stessa dell’anticipazione; l’erogazione mensile e continuativa del T.F.R., priva di causale, svuota la funzione dell’anticipazione e si pone in contrasto con il principio dell’accantonamento progressivo; per effetto di tale distorsione, le somme così corrisposte non possono considerarsi anticipazioni in senso tecnico, ma retribuzione ordinaria soggetta a contribuzione previdenziale.

Tribunale di Roma, 15 maggio 2025.

La critica anche severa tra sindacati non è diffamazione: rigettato il ricorso presentato dalla Cisal per un volantino in cui si criticava il contratto pirata.

Il Tribunale rigetta il ricorso d’urgenza presentato contro la SLCCGIL Roma e Lazio, con cui la Cisal Comunicazione aveva chiesto di ingiungere la rimozione immediata di un volantino intitolato “Quei bravi ragazzi, ovvero contratto pirata Cisal per i call center” e di inibire future diffusioni di comunicati analoghi, sostenendone la natura gravemente diffamatoria per l’assimilazione dell’associazione a contesti malavitosi e denigratoria dell’accordo da essa sottoscritto. L’ordinanza sottolinea come nel caso la critica sindacale, anche se aspra, non abbia travalicato i limiti della legittima manifestazione del dissenso: il testo del volantino si limitava a esprimere una ferma disapprovazione sul contratto collettivo sottoscritto dalla ricorrente, ritenuto iniquo e pregiudizievole per i lavoratori.

Corte di cassazione, sentenza 14 maggio 2025 n.12973.

Maggiorazione contributiva per invalidità anche in aspettativa sindacale.

La legge n. 388/2000 prevede all’art. 80, una maggiorazione contributiva di 2 mesi per ogni anno di servizio (utile ai soli fini dell’anzianità contributiva pensionistica) per i lavoratori sordomuti e per gli altri invalidi in misura superiore al 74%. Sorta in un giudizio la questione dell’applicabilità della

disposizione anche nel caso in cui l’interessato fruisca dell’aspettativa sindacale di cui all’art. 31 L. 300/1970 (in quanto chiamato a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali), la Cassazione la risolve in senso positivo.

In proposito, rileva che il legislatore attribuisce la maggiorazione contributiva solo in presenza di un servizio effettivamente svolto, pertanto, per il personale indicato, in condizioni di particolare sacrificio. Ma la medesima ratio ricorre nel caso del dipendente in aspettativa per ricoprire cariche sindacali, il quale continua a svolgere attività nella diversa veste sindacale, equiparata al lavoro effettivo dallo Statuto dei lavoratori.

Tribunale di Vicenza, sentenza 13 maggio 2025, n. 251.

Lavoratore esposto a PFAS: accertato l’origine professionale della malattia non tabellata.

Per la prima volta in Italia, riconosce il nesso causale tra l’esposizione lavorativa a sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) e l’insorgenza di una patologia oncologica, accogliendo la domanda degli eredi di un ex dipendente.

Il Tribunale di Vicenza condanna l’INAIL a riconoscere la rendita ai superstiti, aprendo scenari rilevanti sul piano probatorio, medico-legale e della responsabilità previdenziale.

Corte di cassazione, ordinanza 11 maggio 2025 n. 12473.

Disdetta dell’uso aziendale e obbligo di motivazione.

La Corte d’appello aveva respinto le domande di alcuni dipendenti di una società, titolari da tempo di superminimi individuali dichiarati assorbibili, ma di fatto non assorbiti in occasione di successivi numerosi rinnovi contrattuali, i quali lamentavano che, all’ultimo rinnovo, l’impresa avesse proceduto unilateralmente e quindi illegittimamente all’assorbimento.

In proposito, la Corte, pur avendo accertato la formazione di un uso aziendale relativo al non assorbimento dei superminimi, aveva osservato che il relativo impegno per la società non poteva ritenersi eterno e, pertanto, aveva ritenuto legittimo l’atto aziendale di ripristino dell’originaria assorbibilità.La Cassazione annulla la sentenza, affermando che all’uso aziendale, come ad ogni atto avente una durata indeterminata, si applica il principio della recedibilità unilaterale, ma precisando che, per evitare che la disdetta si confonda con l’inadempimento aziendale, essa deve essere giustificata dal sostanziale mutamento di circostanze e va formalizzata in una dichiarazione motivata.

Corte di Cassazione, sentenza 9 maggio 2025, n. 12270.

Ancora sul licenziamento per inidoneità fisica e sull’onere di accomodamenti ragionevoli.

I giudici di merito avevano annullato il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica di un lavoratore, rilevando l’assenza di un effettivo tentativo aziendale di adottare “accomodamenti ragionevoli” idonei a salvaguardare il posto di lavoro. Il ricorso della società avverso tale decisione è stato respinto dalla Cassazione, che osserva: la nozione di handicap, rilevante ai fini dell’obbligo di adottare adattamenti ragionevoli proviene dal diritto eurounitario e consiste in una situazione patologica duratura fisica, mentale o psichica che, interagendo con barriere ambientali o organizzative, ostacola la piena ed effettiva partecipazione alla vita lavorativa su base di uguaglianza (Direttiva 2000/78/CE); in tali casi, il datore di lavoro, al fine di giustificare il licenziamento, non può limitarsi a provare l’assenza di posti disponibili (come nel repechage tradizionale), ma ha l’onere di dedurre e provare di aver concretamente ricercato soluzioni organizzative ragionevoli, alternative all’ineluttabilità del licenziamento.

Corte di cassazione, ordinanza 7 maggio 2025 n. 12097.

Ragionevoli accomodamenti per il disabile anche nel licenziamento disciplinare.

Nel giudizio di impugnazione del licenziamento disciplinare di un lavoratore disabile che aveva rifiutato il trasferimento di sede, la Corte estende al licenziamento disciplinare (e implicitamente anche al trasferimento) la regola dettata in materia di licenziamento per inidoneità fisica del dipendente portatore di handicap, secondo cui prima di attivare il recesso occorre procedere alla “necessaria attivazione della procedura diretta all’individuazione di possibili accomodamenti ragionevoli” che non comportino oneri finanziari sproporzionati.

Corte di cassazione, ordinanza 7 maggio 2025 n. 12060.

Nullo, durante la maternità, il licenziamento per superamento del comporto.

Come è noto, la legge vieta il licenziamento della lavoratrice durante il periodo che va dall’inizio della gravidanza al compimento di un anno di età del figlio, salvo che ricorra una giusta causa oppure il licenziamento sia causato dalla cessazione dell’azienda o avvenga per scadenza del termine o della prova.

Invocando tale disciplina, una lavoratrice aveva impugnato il licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia intimatole mentre era in gravidanza.

Il suo ricorso viene accolto in tutti i gradi di giudizio, respingendosi il richiamo effettuato dalla società alla diversa disciplina di cui all’art. 2110 cod. civ., la cui disposizione in materia di gravidanza è stata pertanto ritenuta superata dalla successiva specifica normativa riguardante la lavoratrice madre.

Tribunale di Pavia sentenza del 29 aprile 2025.

L’agenzia per il lavoro non è responsabile in solido per i crediti che il lavoratore ha maturato come conseguenza di un inquadramento errato, assegnato dall’impresa utilizzatrice.

Il Tribunale di Pavia ha stabilito che l’agenzia di somministrazione non è responsabile in solido per le differenze retributive derivanti da mansioni superiori svolte dal lavoratore, se queste sono state assegnate dall’impresa utilizzatrice. In pratica, se un’azienda utilizza un lavoratore in una posizione superiore a quella per cui è stato contrattualmente assunto, ma non provvede ad adeguare la sua retribuzione, il lavoratore non potrà rivalersi sull’agenzia di somministrazione per ottenere le differenze retributive. La sentenza sottolinea che la responsabilità della corretta inquadratura e retribuzione del lavoratore, anche in caso di mansioni superiori, ricade sull’impresa utilizzatrice e non sull’agenzia di somministrazione.

Corte d’Appello di Milano, Sez. Lav., sentenza 24 aprile 2025, n. 302.

Dati sensibili usati per fini personali: scatta il licenziamento per giusta causa.

La Corte d’appello di Milano conferma la sentenza del Giudice di prime cure quanto alla legittimità del licenziamento per giusta causa comminato ad un dipendente, addetto allo smistamento della posta interna aziendale che, approfittando del proprio ruolo, si era appropriato del numero di telefono indicato nel curriculum vitae di una candidata per contattarla per scopi del tutto estranei all’attività lavorativa.

Tribunale di Napoli, 8 aprile 2025.

È nullo il licenziamento intimato per il presunto superamento del comporto, quando alcune assenze non erano computabili.

Il Tribunale ha ritenuto non condivisibile quanto sostenuto dal datore di lavoro, secondo cui la genericità dei certificati medici non avrebbe reso conoscibili le condizioni di salute del lavoratore. Smentita tale tesi dalla documentazione agli atti, è stato precisato che ai fini del godimento del comporto non rileva tanto la comunicazione dettagliata della natura della patologia, quanto l’obiettivo stato di salute. Il Giudice ha verificato che tra le assenze non computabili rientravano quelle causate da ricoveri ospedalieri e day hospital, per le quali non grava sul dipendente alcun onere di comunicazione specifica. Il licenziamento è stato ritenuto nullo, pur se ricondotto ai sensi dell’art. 18, 4 comma, Stat. Lav., al regime della reintegrazione attenuata.

Tribunale di Trento, sentenza 1 aprile 2025, n. 47.

Tempo tuta e obblighi datoriali: quando il tempo non è denaro.

Il Tribunale del Lavoro di Trento si esprime in merito alla retribuibilità del tempo speso dal lavoratore per vestizione svestizione della divisa, DPI, passaggi di consegne e doccia post-turno.

Il giudice nega la natura di orario di lavoro al tempo tuta e alla doccia, accogliendo solo parzialmente le richieste relative ai DPI, escludendole tuttavia per l’irrilevanza temporale. Centrali nella decisione le nozioni di “eterodirezione” e la definizione normativa ed euro unitaria di “orario di lavoro”.

Tribunale di Roma, 20 marzo 2025.

La contestazione disciplinare deve indicare il motivo per cui i fatti indicati sono considerati disciplinarmente rilevanti, pena la nullità della successiva sanzione.

Il Tribunale capitolino annulla la sanzione disciplinare inflitta a una docente dal Ministero dell’Istruzione, evidenziando come nella contestazione degli addebiti la condotta ascritta alla lavoratrice non fosse in alcun modo qualificata come violazione di alcuna norma o dovere della dipendente.

Alla mancata specificazione degli addebiti si è aggiunta la totale omissione di motivazione, non compensabile con i richiami normativi effettuati successivamente nel provvedimento sanzionatorio.

Corte di cassazione sentenza n. 6874/2025.

Nullità del licenziamento e periodo di comporto.

L’azienda, pur a fronte del superamento del relativo periodo di comporto, concluso il periodo di assenza per malattia aveva riammesso il lavoratore in servizio, per più mesi, tra le altre cose assegnandolo a diverse mansioni; il lavoratore, successivamente, ricadeva però in malattia e, così risperando per sommatoria il relativo periodo di comporto come previsto dal CCNL applicato, veniva licenziato.

Ebbene, la Corte di cassazione ha dichiarato nullo il licenziamento in questione sostenendo che l’azienda, avendo riammesso in servizio il lavoratore ed essendosi impegnata nel reperire soluzioni organizzative per impiegare utilmente lo stesso nel contesto aziendale, avrebbe ingenerato nel lavoratore una legittima aspettativa circa il prolungamento del rapporto e quindi palesato una rinuncia a far valere il superamento del periodo di comporto.

Ma, soprattutto considerato il generarsi di tale affidamento, la Corte di cassazione ha stabilito che i giorni di malattia successivi alla ripresa lavorativa sono privi di rilevanza, dovendo così il calcolo del periodo di comporto ripartire “da zero” una volta che l’azienda abbia nei fatti “rinunciato” a far valere il superamento del precedente periodo di comporto.

Una rondine non fa primavera”, certo, ma è indubbio che questa sentenza, se collocata nell’ambito di un più ampio e recente filone (ad esempio Cass. n. 9095/2023, la quale, in breve, aveva ravvisato profili discriminatori nella previsione di un periodo di conservazione del posto uguale per lavoratori con disabilità e non), contribuisce a rendere i licenziamenti per comporto una tematica sempre più delicata.

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