Novità normative e giurisprudenziali
Novità NORMATIVE
Decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24, in G.U. 24 marzo 2022 n. 70, recante: “Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza.”.
E’ stato approvato in commissione Affari Sociali alla Camera l’emendamento al decreto Riaperture, recepito in una ordinanza del Ministro alla Salute Roberto Speranza che, a partire dal 1.05.2022, resterà in vigore fino alla conversione del decreto.
Queste in sintesi le novità introdotte:
- e Rsa, dove sarà necessario esibire il “super green pass” fino al 31.12.2022;
INPS, messaggio n. 1714 del 20 aprile 2022: “Assegno unico e universale per i figli a carico di cui al decreto legislativo n. 230/2021. Ulteriori chiarimenti su maggiorazioni per il nucleo per figli maggiorenni e genitori separati.”
La maggiorazione dell’assegno unico, riconosciuta ai nuclei in cui entrambi i genitori siano lavoratori, spetta anche ai percettori di trattamenti di disoccupazione.
Lo chiarisce l’Inps nel messaggio n. 1714/2022, con il quale vengono fornite ulteriori precisazioni sul nuovo trattamento universale per i figli a carico.
In riferimento alla maggiorazione l’Istituto precisa infatti che, relativamente ai redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente, rilevano gli importi percepiti a titolo di Naspi e Dis-coll, a condizione che il soggetto risulti percettore di tali prestazioni al momento della domanda e per un periodo prevalente nel corso dell’anno.
Per quanto riguarda le maggiorazioni per nuclei numerosi, ove siano presenti nel nucleo figli con genitori diversi, le maggiorazioni spettano solo ai soggetti per i quali è accertato il rapporto di genitorialità con i figli; per la determinazione del numero totale di figli, inoltre, saranno considerati tutti i figli a carico sulla base delle regole di appartenenza al nucleo Isee, ancorché alcuni di essi non abbiano diritto all’assegno unico.
Con il messaggio n. 1169 del 19 marzo 2021 sono state fornite le indicazioni per la presentazione, entro il 1 maggio 2021, delle domande di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti, di cui al decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67, come modificato dalla legge 11 dicembre 2016, n. 232, per i lavoratori che maturano i requisiti agevolati per l’accesso al trattamento pensionistico dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2022.
In particolare, vengono fornite le istruzioni per la presentazione, entro il 1° maggio 2022, delle
domande di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti, con riferimento ai soggetti che perfezionano i prescritti requisiti nell’anno 2023 per le seguenti categorie:
La domanda in argomento può essere presentata anche dai lavoratori dipendenti del settore privato che hanno svolto lavori particolarmente faticosi e pesanti e che raggiungono il diritto alla pensione di anzianità con il cumulo della contribuzione versata in una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, secondo le regole previste per dette gestioni speciali.
Vengono altresì richiamate le istruzioni fornite con la circolare n. 90 del 24 maggio 2017 e con la circolare n. 59 del 29 marzo 2018.
In particolare, con la citata circolare n. 90 del 2017 è stato precisato che, in applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 206, lettera c), della legge n. 232 del 2016, ai requisiti agevolati previsti per il pensionamento in argomento, adeguati agli incrementi della speranza di vita stabiliti a decorrere dal 1° gennaio 2013 e dal 1° gennaio 2016 – dai decreti direttoriali 6 dicembre 2011 e 16 dicembre 2014 – non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita previsti per gli anni 2019, 2021, 2023 e 2025.
Pertanto, i requisiti pensionistici vigenti alla data del 31 dicembre 2016 non sono adeguati alla speranza di vita fino al 31 dicembre 2026.
In tema di demansionamento, con la risposta ad Interpello n. 185/2022 l’Agenzia delle Entrate chiarisce che, per quanto riguarda le somme erogate che trovino titolo nella necessità di ristorare la perdita delle cosiddette “chance professionali”, ossia connesse alla privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa, le stesse non sono imponibili.
Più precisamente, le somme liquidate a titolo di perdita di chance professionali possono essere correttamente qualificate alla stregua di risarcimenti di danno emergente solo ove l’interessato abbia fornito prova concreta dell’esistenza e dell’ammontare di tale danno.
Pertanto le somme liquidate in via equitativa dal Tribunale adito, a seguito della lesione della capacità professionale del lavoratore, sono da considerarsi non imponibili in quanto configurabili come danno emergente e quindi volte a risarcire la perdita economica subita dal patrimonio: in quanto tali, non saranno assoggettabili a ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 23 del DPR n. 600/1973.
Novità GIURISPRUDENZIALI
Corte di giustizia UE, sentenza 17 marzo 2022, in causa n. C-232/20.
L’assegnazione di missioni successive del medesimo dipendente presso un’unica impresa utilizzatrice può costituire, a certe condizioni, abuso del contratto di somministrazione.
Il dipendente di un’impresa di somministrazione di lavoro temporaneo, assegnato con contratti successivi a un unico utilizzatore per complessivi 55 mesi, aveva chiesto la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto con l’utilizzatore. In assenza di una normativa in Germania che, nel periodo considerato, stabilisse una durata massima complessiva dei contratti a termine successivi, il giudice adìto si era rivolto alla Corte Ue per un confronto con la disciplina dell’Unione in materia. In proposito, la Corte afferma: 1 – che la direttiva 2008/104 non impone che la posizione di lavoro da coprire presso l’utilizzatore sia temporanea, ma unicamente che le missioni siano temporanee; 2 – tuttavia la direttiva non fissa un limite temporale massimo, ma invita gli Stati a prevenire e poi reprimere adeguatamente (ma non necessariamente con la trasformazione in tempo indeterminato del rapporto con l’utilizzatore) l’utilizzo abusivo della somministrazione a svantaggio del lavoratore; 3 – l’assegnazione di missioni successive di un medesimo dipendente presso un’unica impresa, può costituire un abuso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, quali le specificità del settore o la mancanza di una spiegazione obiettiva di una tale durata o anche l’esistenza di una deroga prevista dal contratto collettivo. 4 – Infine, poiché la legislazione tedesca prevede un limite temporale complessivo solo a partire dal 2017, con esclusione delle missioni precedenti, la Corte dichiara che ciò contrasta col diritto dell’unione perché impedisce una valutazione complessiva del requisito della “temporaneità”.
Corte di cassazione, sentenza 11 aprile 2022 n. 11665
Non più solo casi tipici, ma anche ipotesi generali di sanzioni conservative contrattuali comportano la reintegrazione se il licenziamento è illegittimo.
Importante revirement della Cassazione nell’interpretazione della condotta che “rientra tra le mancanze punibili con una sanzione conservativa” dal codice disciplinare (in genere, il CCNL), il cui accertamento comporta la tutela reintegratoria. La tesi restrittiva tradizionale, partendo dall’affermazione che nel nuovo art. 18 S.L. la tutela reintegratoria contro i licenziamenti illegittimi sarebbe eccezionale rispetto a quella indennitaria, invita a una interpretazione restrittiva delle ipotesi reintegratorie e quindi interpreta il riferimento alle condotte che il contratto collettivo prevede come meritevoli di sanzioni conservative nel senso che esso riguarda solo i casi esplicitamente tipicizzati come tali. Pur senza investire esplicitamente il presupposto di partenza, quello dell’eccezionalità della tutela reintegratoria, la sentenza in esame, invitando a una lettura non prevenuta della norma di legge, ricorda anzitutto che normalmente i codici disciplinari non contengono una classificazione completa e tipicizzata di fattispecie meritevoli di una sanzione conservativa, ma usano clausole generali, oppure clausole di chiusura dopo aver individuato, a titolo esemplificativo, alcune fattispecie specifiche. Il che pertanto impone al giudice, sia sul piano della ragionevolezza che del rispetto della volontà dei contraenti collettivi nonché di principi generali dell’ordinamento – quali il primato della tutela ripristinatoria a fronte dell’inadempimento o del fatto illecito e altri che presiedono all’interpretazione -, a provvedere all’individuazione di fattispecie specifiche estraibili alla previsione generica di mancanze comportanti sanzioni conservative, alle quali fattispecie specifiche va pertanto riferita la previsione legale della tutela reintegratoria. Analoga pronuncia nella successiva sentenza 21 aprile 2022 n. 12745.
Corte di cassazione, ordinanza 30 marzo 2022 n. 10165
Sull’onere della prova del danno subito in proprio dai congiunti di un lavoratore deceduto per infortunio.
L’ordinanza non è chiarissima nell’individuare il thema decidendum della causa, in rapporto alla relativa ripartizione dell’onere della prova. È infatti solo attraverso l’indicazione che ricorrenti sono i congiunti del lavoratore deceduto per infortunio e non gli eredi nonché il richiamo di alcuni precedenti della Corte che è possibile comprendere che si tratta di domanda di risarcimento del danno subìto iure proprio dai congiunti, ad es. per perdita del rapporto familiare. Nel qual caso, a differenza di quello in cui attori siano gli eredi del defunto che agiscono come tali in giudizio (gravati unicamente dall’onere di provare le mansioni svolte e la nocività dell’ambiente di lavoro), sono i congiunti che devono provare quali inadempimenti del datore di lavoro abbiano causato l’evento letale arrecante loro il danno di cui viene chiesto il risarcimento, secondo le regole dell’illecito extracontrattuale.
Corte di cassazione, sentenza 28 marzo 2022 n. 9931
Un caso particolare di licenziamento per giusta causa.
Secondo il C.C.N.L. Area dirigenza medico-sanitaria pubblica, “le molestie personali anche a carattere sessuale” sono sanzionate con la sospensione del rapporto di lavoro per un massimo di sei mesi. Ed è noto che nell’ambito della disciplina dell’art. 18 S.L., come modificata dalla legge “Fornero”, l’illecito disciplinare che il contratto collettivo sanziona con una misura conservativa non può dal luogo a licenziamento. Tuttavia, la Corte del presente giudizio, aderendo a un indirizzo prevalente, ritiene che in alcuni casi (come in quello considerato) il contratto collettivo non comprenda nella fattispecie tipicizzata, come nel caso di “molestie anche di carattere sessuale” anche i comportamenti di maggiore gravità, rimettendo al giudice di merito la relativa valutazione. Una tale ipotesi di particolare gravità, secondo la Corte, ricorre nel caso in esame, in cui un medico psichiatra di un’ASSL aveva reiteratamente ricercato un’indesiderata relazione di carattere sessuale con una paziente, con ciò violando altresì fondamentali obblighi deontologici e incrinando irreparabilmente nell’Azienda la fiducia sulla corretta prosecuzione del rapporto di lavoro.
Corte di cassazione, ordinanza 21 marzo 2022 n. 9158
Tutela reintegratoria se l’impresa non prova l’impossibilità di repêchage del lavoratore divenuto invalido.
In un giudizio in cui il lavoratore licenziato per sopravvenuta inidoneità alla mansione era stato reintegrato dai giudici di merito per la mancata deduzione e prova da parte del datore di lavoro dell’impossibilità di adibire il dipendente ad altra mansione compatibile, l’impresa aveva proposto ricorso per cassazione sostenendo, tra le altre censure, che il mancato assolvimento dell’onere di repêchage non costituisce “manifesta insussistenza del fatto”, la cui sola ricorrenza implica la reintegrazione. La Corte respinge anche questa censura. rilevando che l’assoluta mancanza della deduzione, prima ancora della prova, dell’impossibilità di repêchage rendeva del tutto evidente l’insussistenza del fatto che aveva dato luogo al licenziamento.
Corte di cassazione, sentenza 16 marzo 2022 n. 8628
Un’Amministrazione pubblica aveva licenziato una lavoratrice per superamento del periodo di comporto per sommatoria, specificando nell’atto i singoli giorni di assenza, che in realtà non erano sufficienti al superamento. In giudizio, l’Ente aveva poi preteso che si prendessero in considerazione ulteriori giornate. I giudici hanno accertato che questi giorni ulteriori erano stati contestati come assenza ingiustificata e quindi non erano computabili e comunque hanno affermato che nel licenziamento per superamento del periodo di comporto il datore di lavoro non è tenuto a una indicazione specifica dei giorni di assenza (essendo sufficiente un’indicazione complessiva), ma se lo fa, questa diventa immutabile in giudizio, a garanzia del contraddittorio.
Corte di cassazione, ordinanza 11 marzo 2022 n. 8042
Le tute con barre catarifrangenti indossate agli addetti alla raccolta rifiuti costituiscono dispositivi di protezione individuale che anche il datore di fatto deve fornire, curandone poi la manutenzione.
Il giudizio riguardava la domanda del dipendente di fatto di un Comune per ottenere l’accertamento dell’obbligo di questi di assicurargli la manutenzione e lavaggio delle tute con strisce catarifrangenti fornitegli per l’attività di raccolta rifiuti. Mentre la Corte d’appello aveva respinto la domanda, sostenendo a) che quanto richiesto non competeva al datore di fatto, tenuto unicamente a pagare le retribuzioni e versare i contributi e b) che comunque la tuta non rientra tra i dispositivi di protezione individuale, la Corte di Cassazione smentisce ambedue le affermazioni, trattandosi di indumenti che nel caso esaminato tutelano la salute e sicurezza del lavoratore, che chiunque organizza il lavoro altrui è tenuto a fornire, curandone poi la manutenzione.
Corte di cassazione, sentenza 11 marzo 2022 n. 8039
Il licenziamento un giorno prima della retrocessione di azienda, non impugnato, impedisce la prosecuzione del rapporto di lavoro col retrocessionario.
Un’impresa aveva affidato in gestione un ramo d’azienda a un’altra impresa, impegnandosi, a norma dell’art. 2112 cod. civ., a riprendere i lavoratori ceduti al termine dell’affidamento. Un lavoratore, non ripreso dalla originaria cedente perché licenziato dalla originaria cessionaria un giorno prima della retrocessione, aveva chiamato in giudizio la [retro]cessionaria, chiedendo l’accertamento della prosecuzione del rapporto con questa. Cassando l’opposta decisione del giudice d’appello, la Corte gli dà torto, affermando che se è certo che anche in caso di retrocessione si trasferiscono automaticamente al retro-cessionario i dipendenti originariamente ceduti, presupposto del trasferimento è che il rapporto di lavoro sia in atto al momento della retrocessione. Nel caso esaminato, viceversa, il licenziamento intimato prima di questa non era stato tempestivamente impugnato, impedendo pertanto l’effetto traslativo.
Corte di cassazione, sentenza 1° marzo 2022 n. 6744
La sentenza si riferisce al testo dell’art. 18 S.L. anteriore alla riforma Fornero e aderisce al più recente orientamento della Cassazione sull’argomento. I giudici dell’appello avevano viceversa invocato il precedente orientamento della Corte, corrente fino al 2014, respingendo quindi la domanda diretta a ottenere per il periodo dal licenziamento alla reintegrazione la retribuzione che sarebbe stata complessivamente erogata nello stesso periodo se il dipendente avesse lavorato, comprensiva quindi dei miglioramenti intervenuti nei mesi successivi al primo. L’orientamento precedente, ora respinto dalla sentenza della Corte, sosteneva infatti che la retribuzione da moltiplicare per i mesi in questione dovesse essere la sola retribuzione globale di fatto del mese del recesso, in contrasto con la stesso tenore letterale della norma e con la sua ratio, finalizzata ad assicurare al dipendente illegittimamente licenziato, oltre alla riattivazione del rapporto, lo stesso trattamento retributivo globale di fatto che avrebbe ottenuto lavorando fino alla reintegrazione.
Corte d’appello di Napoli, 31 gennaio 2022, n. 5592/2021
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore somministrato assunto a tempo indeterminato: non basta la messa in disponibilità e qualche proposta di collocazione presso alcune clienti.
La Corte d’Appello di Napoli accoglie il ricorso di una lavoratrice dipendente (a tempo indeterminato) di una agenzia di somministrazione che chiedeva l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore messo in disponibilità alla cessazione di una missione. Il Collegio giudicante ha affermato che i tentativi effettuati dall’agenzia di somministrazione, consistiti nell’aver contattato alcune società (non tutti i propri clienti e nemmeno quelli per i quali poteva risultare compatibile il profilo lavorativo della lavoratrice), fossero inidonei a provare l’assolvimento dell’onere di ricollocazione. L’indennizzo dovuto al lavoratore ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 23/2015 deve essere parametrato all’ultima retribuzione percepita, e non all’indennità di disponibilità corrisposta negli ultimi mesi del rapporto di lavoro.
Tribunale di Milano, 22 marzo 2022
Le retribuzioni minime previste dal CCNL del settore vigilanza per alcune mansioni (Servizi Fiduciari) sono da ritenersi in contrasto con l’art. 36 Cost., in quanto significativamente inferiori sia ad altri CCNL del settore (Multiservizi) sia alla soglia di povertà stimata dall’Istat.
Il Giudice ha rilevato che i minimi salariali previsti dal CCNL Istituti di vigilanza – servizi fiduciari violassero, nel caso di specie, il precetto dell’art. 36 della Costituzione. La retribuzione base prevista dal CCNL applicato risultava inferiore a quella di altri contratti collettivi stipulati per servizi analoghi, tra cui il CCNL Multiservizi che era stato a lungo applicato ai ricorrenti, per le stesse mansioni, svolte nell’appalto di servizi alla dipendenza di precedenti appaltatori, ed anche alla soglia di povertà stabilita dall’Istat. Il Tribunale precisa che la valutazione di compatibilità della retribuzione col principio costituzionale deve essere fatta senza assegnare rilevanza alla situazione familiare o patrimoniale del singolo lavoratore, ciò che determinerebbe una disparità di trattamento a parità di condizioni di prestazione dell’attività lavorativa.
Tribunale di Busto Arsizio, 21 marzo 2022
Le misure di sicurezza anti-Covid non possono giungere a isolare e discriminare i lavoratori che (in assenza di un obbligo legale) abbiano ritenuto di non vaccinarsi.
Respinto il reclamo del datore di lavoro avverso l’ordinanza con cui lo stesso Tribunale di Busto Arsizio aveva accolto l’istanza cautelare di due lavoratori che, per il solo fatto di non essersi sottoposti alla vaccinazione contro il Covid-19 (e in assenza, in quel momento e in quel caso, di obblighi legali tanto di vaccinazione quanto di esibizione del ‘green-pass’), erano stati trasferiti in una sede distaccata, lontano dai colleghi vaccinati. Il Collegio ritiene che l’obbligo di sicurezza del datore di lavoro non giustifichi misure eccessive e lesive della libertà di autodeterminazione dei dipendenti. Anche a fronte della successiva legislazione emergenziale, afferma il Tribunale, una simile condotta sarebbe eccessiva, poiché l’obbligo vaccinale è stato introdotto solo per alcune categorie di lavoratori (cui non appartenevano i ricorrenti) ritenendosi sufficiente per i restanti l’esibizione di una certificazione basata sull’effettuazione dei tamponi.
Tribunale di Catania, 14 marzo 2022
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del DL 44/2021, nella parte in cui nega all’operatore sanitario sospeso per mancata vaccinazione l’accesso all’assegno alimentare.
Il Tribunale solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. 44/2021 nella parte in cui nega espressamente la possibilità, per il personale sospeso per non essersi sottoposto alla vaccinazione obbligatoria Covid, il diritto sia alla retribuzione sia a qualsiasi “altro compenso o emolumento, comunque denominato”. Il Tribunale ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità, anche considerando che l’assegno alimentare è previsto dalla legge in diversi casi, tra cui quello di lavoratori sospesi poiché coinvolti in procedimenti penali o disciplinari, laddove per la mancata vaccinazione è espressamente esclusa qualsiasi rilevanza disciplinare (così ponendosi un dubbio di violazione dell’art. 3 Cost.). Inoltre, la totale privazione di reddito viene ritenuta conseguenza sproporzionata della mancata vaccinazione, rispetto alla finalità della legge, e tale da limitare l’effettiva libertà di scelta se sottoporsi al vaccino (con possibile contrasto con gli artt. 2 e 32 della Costituzione).