Novità normative e giurisprudenziali
Novità NORMATIVE
Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea PE-CONS 81/22 del 11.04.2023 recante “Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione.”
Il Consiglio dell’Unione europea ha adottato nuove norme per combattere la discriminazione retributiva e contribuire a colmare il divario retributivo di genere nell’UE.
Ai sensi della direttiva sulla trasparenza retributiva, le imprese dell’UE saranno tenute a fornire informazioni su quanto corrispondono alle donne e agli uomini per un lavoro di pari valore e a intervenire, se il divario retributivo di genere supera il 5%.
La nuova direttiva contiene inoltre disposizioni in materia di risarcimento per le vittime di discriminazione retributiva, come pure sanzioni, che comprendono ammende, per i datori di lavoro che non rispettano le norme.
Nell’UE le donne guadagnano in media il 13% in meno rispetto ai colleghi uomini e il divario retributivo di genere è rimasto sostanzialmente immutato nell’ultimo decennio.
Sebbene questa differenza sia imputabile a una serie di fattori, la discriminazione retributiva è riconosciuta come uno dei principali ostacoli al conseguimento della parità di retribuzione in base al genere.
La disparità retributiva espone le donne a un maggiore rischio di povertà e contribuisce al divario pensionistico dell’UE, che nel 2018 si attestava intorno al 30%.
In base alle nuove norme i datori di lavoro avranno l’obbligo di fornire alle persone in cerca di lavoro informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla fascia retributiva dei posti vacanti pubblicati, riportandole nel relativo avviso di posto vacante o comunicandole prima del colloquio di lavoro. Ai datori di lavoro sarà inoltre fatto divieto di chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro .
Una volta assunti, i lavoratori e le lavoratrici avranno il diritto di chiedere ai propri datori di lavoro informazioni sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Avranno inoltre accesso ai criteri utilizzati per determinare la progressione retributiva e di carriera, che devono essere oggettivi e neutri sotto il profilo del genere.
Le imprese con più di 250 dipendenti saranno tenute a riferire annualmente all’autorità nazionale competente in merito al divario retributivo di genere all’interno della propria organizzazione.
Per le imprese più piccole (inizialmente quelle con più di 150 dipendenti), l’obbligo di comunicazione avrà cadenza triennale.
Se dalla relazione emerge un divario retributivo superiore al 5% non giustificabile sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, le imprese saranno tenute ad agire svolgendo una valutazione congiunta delle retribuzioni in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori.
Ai sensi della nuova direttiva, i lavoratori e le lavoratrici che hanno subito una discriminazione retributiva basata sul genere possono ottenere un risarcimento, compreso il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura.
Sebbene l’onere della prova, nei casi di discriminazione retributiva, sia stato solitamente a carico del lavoratore o della lavoratrice, spetterà ora al datore di lavoro dimostrare di non aver violato le norme UE in materia di parità di retribuzione e trasparenza retributiva.
In caso di violazioni, le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive e comporteranno delle ammende.
Per la prima volta, la discriminazione intersezionale (ossia fondata su una combinazione di molteplici forme di disuguaglianza o svantaggio, come il genere e l’etnia o la sessualità) è stata inclusa nell’ambito di applicazione delle nuove norme.
La direttiva contiene inoltre disposizioni volte a garantire che si tenga conto delle esigenze delle persone con disabilità.
Il diritto alla parità di retribuzione tra donne e uomini per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore è sancito dall’articolo 157 TFUE e dalla direttiva 2006/54/CE sulla parità di retribuzione; tuttavia, l’attuazione e l’applicazione di questi principi si sono sempre rivelate difficili.
In parte, ciò si deve al fatto che la discriminazione retributiva spesso non è nemmeno rilevata proprio a causa di una mancanza di trasparenza retributiva, il che impedisce alle vittime di presentare ricorso.
La trasparenza retributiva basata sul genere è stata inclusa tra le priorità fondamentali della strategia dell’UE per la parità di genere 2020-2025 e il 4 marzo 2021 la Commissione ha pubblicato la sua proposta di direttiva. Il Parlamento europeo e il Consiglio, sotto la presidenza ceca, hanno raggiunto un accordo politico il 15 dicembre 2022. Il Parlamento europeo ha adottato la direttiva nella plenaria del 30 marzo 2022.
La direttiva sulla trasparenza retributiva entrerà in vigore al momento della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE. Successivamente, gli Stati membri dell’UE avranno tre anni per “recepire” la direttiva, adeguando la rispettiva legislazione nazionale per includere le nuove norme.
Due anni dopo il termine di recepimento, l’obbligo di comunicare informazioni sulle retribuzioni in base al genere ogni tre anni sarà esteso alle imprese con più di 100 dipendenti (inizialmente l’obbligo di comunicazione si applicherà solo alle imprese con almeno 150 dipendenti).
D. Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 recante “Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici.”. (GU n. 77 del 31.3.2023) Vigente al: 1.04.2023
Il D.Lgs n. 36/2023 reca profonde modifiche al previgente Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016) ed introduce strumenti, soglie e criteri di legge attuati dal Governo con la dichiarata volontà di garantire al sistema degli appalti pubblici semplificazione e velocizzazione procedurale nei tempi di gara, mettendo così le istituzioni e le imprese in condizione “di lavorare con celerità per fornire beni e servizi ai cittadini”.
L’esigenza, avvertita prioritariamente dal legislatore delegato, di valorizzare gli appalti pubblici come leva strategica per la ripresa dell’economia, il rilancio degli investimenti e l’attuazione del PNRR, lo ha condotto ad un radicale mutamento di prospettiva nella regolazione della materia, orientandola verso i nuovi principi del “risultato”, della “fiducia” e dell’“accesso al mercato”.
Il nuovo Codice appalti è entrato in vigore il 1.04.2023, ma le sue disposizioni troveranno applicazione a decorrere dal 1.07.2023. È inoltre previsto un periodo transitorio, fino al 31.12.2023, che prevede l’estensione della vigenza di alcune disposizioni del D.Lgs. n. 50/2016 e dei decreti cd. Semplificazioni (D.L. n. 76/2020) e Semplificazioni-bis (D.L. n. 73/2021).
Di seguito si segnalano le principali novità che avranno ricadute, dirette o indirette, sulle disposizioni in materia di lavoro:
Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 687 del 19 aprile 2023” istanza per la indicazione del CCNL del settore sorveglianza antincendio comparativamente più
rappresentativo”.
Fornendo un parere all’Associazione Nazionale delle Imprese di Sorveglianza Antincendio in merito ai CCNL comparativamente più rappresentativi applicabili al personale nelle attività di sorveglianza antincendio, l’INL chiarisce in via generale che le imprese che impiegano personale nell’ambito di appalti pubblici e concessioni applicano il contratto collettivo stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro e quello il cui ambito di applicazione è strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.
Alternativamente, in caso di applicazione di un diverso contratto, vanno applicate le medesime tutele normative ed economiche oggetto della dichiarazione di equivalenza di cui all’articolo 11 e delle verifiche di cui all’articolo 110 del D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici).
Qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza svolta emergano circostanze diverse, ad esempio relative all’applicazione di contratti collettivi privi dei citati requisiti, il personale ispettivo informerà la stazione appaltante e provvederà ai necessari recuperi contributivi e retributivi.
Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 2572 del 14 aprile 2023” indicazioni operative in ordine al rilascio di provvedimenti autorizzativi ai sensi dell’art. 4 della legge n. 300/1970.”.
Con la nota in commento l’INL fornisce indicazioni operative in ordine al rilascio dei provvedimenti autorizzativi relativi all’installazione degli impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo (articolo 4 della legge n. 300/1970).
In particolare, l’installazione di tali strumenti, dalla quale può derivare un controllo a distanza dei lavoratori, deve necessariamente e prioritariamente essere preceduta dall’accordo collettivo con le RSA e/o RSU presenti.
La procedura autorizzatoria pubblica infatti è solo eventuale (assenza RSA/RSU o mancato accordo con i sindacati).
La carenza di codeterminazione tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali o del successivo provvedimento autorizzativo non può essere colmata dall’eventuale consenso, seppur informato,
dei singoli lavoratori: l’installazione rimane illegittima e penalmente sanzionata.
Inoltre, l’Ispettorato si pronuncia riguardo a: aziende multi-localizzate e integrazioni alle autorizzazioni già rilasciate; nuove aziende e assunzioni successive all’installazione; sistemi di geolocalizzazione; disposizioni normative che favoriscono o impongono l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza; prestazioni lavorative tramite piattaforme digitali.
Garante per protezione dati personali, Ordinanza ingiunzione nei confronti di Sportitalia, società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata – 10 novembre 2022 (Registro dei provvedimenti n. 369 del 10 novembre 2022).
L’introduzione di un sistema di timbratura per rilevare le presenze con terminale biometrico (rilevamento delle impronte digitali), per dipendenti e collaboratori, con lo scopo di registrare l’accesso e la presenza in azienda, è un trattamento illegittimo di dati, perché privo di valida base giuridica, oltre che contrario ai principi di liceità, necessità e proporzionalità.
L’ordinanza ingiunzione del 10 novembre 2022, pronunciata a conclusione di un procedimento sanzionatorio contro una società titolare di numerose palestre a Milano a partire da una segnalazione presentata dalla Slc CGIL, ha offerto al Garante lo spunto per un’accurata analisi sull’uso di dati biometrici nell’ambito del rapporto di lavoro.
L’articolo 4 del Gdpr definisce biometrici i «dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quale l’immagine facciale o i dati dattiloscopici».
Il trattamento di dati biometrici, di regola vietato, è consentito solo se ricorre una delle condizioni indicate dall’articolo 9, paragrafo 2 del Gdpr e, riguardo ai trattamenti effettuati in ambito lavorativo, solo quando questo sia «necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale», nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri o da un contratto collettivo, in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato.
Per poter intraprendere lecitamente un trattamento di dati biometrici, questo deve trovare dunque il proprio fondamento in una disposizione normativa, che deve avere le caratteristiche richieste dalla disciplina sulla protezione dei dati personali, anche dal punto di vista della proporzionalità rispetto alle finalità da perseguire.
Quindi, in assenza di una normativa ad hoc, il Garante della Privacy dichiara illegittimo l’uso di dati biometrici per rilevare la presenza di dipendenti.
Il trattamento non può trovare un valido presupposto nemmeno nel consenso del lavoratore, data la asimmetria tra le parti.
Novità GIURISPRUDENZIALI
Corte di Cassazione, sentenza 11 aprile 2023, n. 9650
La procedura di licenziamento collettivo si applica anche in caso di cessazione di attività di un’impresa appaltatrice, salvo subentro nell’appalto, con riassunzione del personale a parità di condizioni.
In un caso di impugnazione come collettivo di un licenziamento totale del personale di un’impresa appaltatrice, cui era subentrata nell’appalto altra impresa che aveva assunto parte dei dipendenti, i giudici di merito avevano respinto la domanda, negando la natura di licenziamento collettivo (e quindi la necessaria applicazione della relativa procedura) al caso di cessazione totale di attività. L’assunto della Corte d’appello non supera il vaglio della Cassazione, che, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, osserva che (i) l’art. 24, co. 2, l. 223/91 prevede espressamente il licenziamento collettivo anche nel caso di cessazione totale dell’attività di impresa; (ii) in caso di subentro di un nuovo appaltatore, che acquisisca personale già impiegato nel medesimo appalto, la procedura sui licenziamenti collettivi può essere derogata – ai sensi dell’art. 7, co. 4 bis, dl 248/07 – solo allorché i lavoratori siano riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore; (iii) nel caso di specie, la Corte d’appello non ha compiuto alcun accertamento sull’effettiva rispondenza della proposta di riassunzione formulata dalla società subentrante nell’appalto ai requisiti indicati dall’art. 7, co. 4 bis, dl 248/07.
Corte di Cassazione, ordinanza 6 aprile 2023, n. 9453
Ancora sul licenziamento per scarso rendimento.
I giudici di merito, chiamati a valutare la legittimità di un licenziamento per giusta causa intimato al dipendente di una banca in relazione a diverse contestazioni disciplinari, avendo constatato la fondatezza del solo addebito di scarso rendimento, avevano convertito il recesso in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, riconoscendo al lavoratore l’indennità di mancato preavviso. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del lavoratore, osserva che: (i) per costante giurisprudenza, in caso di licenziamento per scarso rendimento, il datore di lavoro non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso, ma deve anche dimostrare che la causa di esso è costituita dal negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione lavorativa; (ii) nel caso di specie, lo scarso rendimento e la sua gravità risultano adeguatamente dimostrati dalla palese sproporzione tra l’attività svolta dal lavoratore nel periodo oggetto di contestazione (poco più di una decina di visite a clienti nell’arco di un intero trimestre e un solo cliente acquisito) e i dati di produzione dei colleghi nel medesimo periodo, che erano risultati enormemente superiori.
Corte di cassazione, sentenza 31 marzo 2023 n. 9095
Discriminatorio applicare alle assenze per inabilità lo stesso comporto previsto per le assenze per malattia.
Un operatore ecologico, riconosciuto portatore di handicap con capacità lavorative ridotta del 75%, aveva impugnato il licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto (c.d. per sommatoria), sostenendone la natura discriminatoria. Sia i giudici di merito che la Cassazione riconoscono il carattere indirettamente discriminatorio del licenziamento, dichiarandolo pertanto nullo, con le conseguenze di legge. Secondo la Corte, infatti, per il personale disabile il rischio di accumulare giorni di assenza per malattia è maggiore di quello riferibile al restante personale; il che impone, alla stregua del diritto comunitario, prima ancora che del diritto interno di tutela dei disabili, una disciplina del comporto riferita a questi ultimi diversa e con un maggior numero di giorni tutelati. La sentenza in esame apre un grosso problema, dato che il Italia molti contratti collettivi prevedono un’unica disciplina del comporto per tutto il personale e sono pertanto a rischio di essere dichiarati parzialmente nulli, mentre l’alternativo ricorso all’equità, più che a usi in materia inesistenti, appare piuttosto problematico
Corte di cassazione, ordinanza 31 marzo 2023 n. 9128
Ancora sulla comparazione, nel licenziamento collettivo, tra dipendenti di un solo reparto.
In un giudizio in cui una lavoratrice, licenziata nell’ambito di una riduzione di personale, aveva lamentato che la comparazione per individuare il personale da avviare a mobilità era stata limitata nei suoi confronti ai soli colleghi del suo reparto, nonostante che ella vantasse precedenti esperienze lavorative in altri uffici dell’azienda, la Cassazione, accogliendo il ricorso per violazione dei criteri di scelta, ribadisce la propria giurisprudenza, alla stregua della quale se la riduzione investe un unico reparto aziendale è lecito limitare la scelta ai dipendenti di tale unità, salvo che questi dimostrino pregresse esperienze in altri reparti, nel qual caso la comparazione va effettuata coinvolgendo anche gli addetti ad essi, di pari livello professionale.
Corte di cassazione, ordinanza 29 marzo 2023 n. 8913
La rinuncia del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso non pregiudica il diritto dell’INPS ai relativi contributi.
L’affermazione della Corte, in una vicenda in cui le parti del rapporto di lavoro lo avevano risolto consensualmente, con rinuncia dei lavoratori all’indennità sostitutiva del preavviso e l’erogazione da parte della società di una somma a titolo di incentivo all’esodo, trova fondamento nella inopponibilità della rinuncia dei lavoratori all’INPS, il cui rapporto previdenziale è autonomo rispetto al rapporto di lavoro tra datore e lavoratore. In tale rapporto previdenziale vige la regola del minimo contributivo, secondo la quale la retribuzione da prendere a base del calcolo dei contributi è fissata per legge, per cui resta indifferente rispetto al mancato pagamento totale o parziale della retribuzione, la rinuncia a essa o l’accordo delle parti per una retribuzione inferiore. Con riferimento al caso esaminato, ciò comporta che se l’indennità sostitutiva fosse stata effettivamente dovuta (e ciò dovrà essere accertato dal giudice di rinvio), i contributi nel minimo di legge sarebbero comunque dovuti.
Corte di Cassazione, sentenza 28 marzo 2023, n. 8737
Ancora sui criteri di valutazione della giusta causa di licenziamento.
La Corte d’appello aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un lavoratore di elevato livello contrattuale, che avrebbe in più occasioni abbandonato il posto di lavoro in anticipo rispetto all’orario recentemente impostogli. Ciò avrebbe denotato disprezzo e sfida da parte del dipendente nei confronti del datore di lavoro, idonei a far venire meno il rapporto fiduciario. La Cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore contro la sentenza d’appello che gli aveva dato torto, osserva che gli episodi di mancato rispetto dell’orario di lavoro si erano in realtà protratti solo per pochi giorni, per cui i giudici di merito non avevano fatto buon governo dei principi fissati dalla giurisprudenza, che impongono di valutare la gravità della violazione imputata al lavoratore e la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una considerazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale, tra cui l’intensità dell’elemento intenzionale, il grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte e dalla qualifica ricoperta dal dipendente, le precedenti modalità di attuazione del rapporto e la sua particolare natura e tipologia: tutti elementi ignorati dalla Corte d’appello, la cui decisione viene conseguentemente annullata, con rinvio per una nuova valutazione.
Corte d’Appello di Trieste, 3 marzo 2023
Procedura di mobilità tra amministrazioni pubbliche: è discriminatoria la mancata nomina dovuta alla non piena idoneità fisica, se la stessa nomina era possibile adottando ragionevoli accomodamenti.
Una lavoratrice si era collocata utilmente nella graduatoria di un bando di mobilità presso un’azienda sanitaria, la quale non aveva però dato poi seguito alla nomina, per assenza della piena idoneità fisica alla mansione. La Corte d’Appello respinge la richiesta di rettifica del bando di mobilità avanzata dalla ricorrente, ritenendo non lesiva del principio di parità di trattamento tra lavoratori la previsione del possesso della “piena idoneità fisica al posto da ricoprire e di assenza di limitazioni psico-fisiche alle funzioni di appartenenza”. Tuttavia, stante la compatibilità delle limitazioni della ricorrente con la nozione eurounitaria di disabilità, la Corte accerta la portata discriminatoria dell’inosservanza dell’obbligo di verificare la possibilità di impiegare la lavoratrice mediante l’adozione di soluzioni ragionevoli, non essendo stato provato l’onere sproporzionato dei provvedimenti che avrebbero dovuto essere adottati in relazione alle specificità del posto di lavoro.
Tribunale di Forlì, 23 marzo 2023
Penale a carico del lavoratore per violazione impegno assunzione: legittima.
Con un’interessante sentenza del 13.03.2023, pronunciandosi in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale di Forlì ha ritenuto legittima una clausola penale apposta ad un contratto di lavoro ad esecuzione differita, in caso di mancata presa di servizio del dipendenti alla data pattuita.
Tale penale, quantificata in un importo pari all’indennità sostitutiva del preavviso (6 mensilità), è stata ritenuta congrua dal Giudice, in ragione dell’elevato profilo professionale e del conseguente danno organizzativo subito dal datore di lavoro a seguito dell’inadempimento del lavoratore.
Tribunale di Treviso, 15 marzo 2023
La data indicata sulla lettera di licenziamento per mancato superamento della prova è scorretta: il lavoratore lo dimostra per presunzioni e ottiene la nullità del licenziamento ritorsivo per malattia.
Il Tribunale accoglie la domanda del ricorrente e annulla il licenziamento ritorsivo da questi subito dopo che il periodo di prova era già trascorso. La Corte ha infatti ricostruito per presunzioni che la data indicata nella lettera con cui il lavoratore veniva licenziato per mancato superamento della prova era in realtà precedente a quella reale. Di conseguenza, riscontrata l’inconsistenza delle ragioni addotte dal datore di lavoro, il licenziamento è stato considerato motivato dallo stato di malattia del ricorrente, e quindi dichiarato nullo in quanto ritorsivo.
Tribunale di Padova, 3 marzo 2023
Interposizione illecita di manodopera nella logistica: rileva il potere direttivo esercitato direttamente dal committente tramite dispositivi informatici che impiegano algoritmi che di fatto guidano ogni fase della prestazione lavorativa dei dipendenti della cooperativa appaltatrice.
Il Tribunale di Padova aveva già emesso nel 2019 una innovativa pronuncia (vedi la segnalazione) in materia di appalti non genuini, rilevando che se l’organizzazione del lavoro è basata essenzialmente su software e strumenti automatizzati, il rapporto di lavoro va imputato al soggetto che abbia la disponibilità di tali sistemi e dei dati personali acquisiti tramite gli stessi. L’odierna pronuncia conferma tale linea su una fattispecie analoga, relativa al lavoro prestato da alcuni lavoratori formalmente soci di una cooperativa appaltatrice in uno stabilimento di logistica, ma nella realtà impiegati direttamente dalla committente grazie alla elevata digitalizzazione dell’organizzazione del lavoro, con strumenti nell’esclusiva disponibilità della stessa.
Tribunale di Catanzaro, 17 febbraio 2023
Esternalizzazione di servizi tra enti dello stesso gruppo: anche in assenza di un contratto scritto, costituisce trasferimento di ramo d’azienda il passaggio di attività economica organizzata tra un soggetto e l’altro.
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da una lavoratrice, dipendente di una associazione sindacale di imprese e accerta l’illegittimità del licenziamento intimatole per motivi oggettivi: pur escludendo l’unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro tra l’associazione e una società di servizi dalla stessa controllata, riscontra un trasferimento di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c. a tale società nell’esternalizzazione delle attività di assistenza contabile. Secondo il Giudice non rileva che il passaggio dell’attività economica dal cedente al cessionario non sia stato sancito con un contratto in forma scritta, ben potendosi desumere dalle circostanze di fatto l’avvenuto trasferimento d’azienda. Di conseguenza, trovando applicazione l’art. 2112 c.c., il rapporto di lavoro si è trasferito automaticamente alla società controllata, con perdita del potere di intimare un licenziamento da parte dell’associazione già datrice di lavoro.
Tribunale di Roma, 31 gennaio 2023
È legittimo e proporzionato il licenziamento disciplinare del lavoratore che tiene una condotta gravemente scorretta verso una lavoratrice. L’insorgere di una relazione con una collega deve essere segnalato al datore di lavoro quando determini un potenziale conflitto di interessi
È legittimo il licenziamento irrogato al lavoratore che abbia intrattenuto una relazione con una collega del medesimo gruppo di lavoro e che abbia adottato nei confronti della stessa un contegno abusivo, al fine di non ostacolare la propria progressione di carriera, sfruttando la superiorità del
proprio profilo professionale. In particolare, nel caso di specie, è emerso come il lavoratore avesse omesso di comunicare al datore di lavoro una situazione di potenziale conflitto di interessi sul luogo di lavoro, anteponendo interessi personali a quelli aziendali. Tali comportamenti sono stati valutati contrastanti con il codice di comportamento adottato dalla società datrice, regolarmente affisso nei locali aziendali e pubblicato sul sito internet della stessa. La produzione in giudizio di conversazioni a mezzo Whatsapp, legittimamente acquisite, non costituisce violazione della disciplina sulla privacy, a fronte della prevalenza del diritto di difesa sulle esigenze di riservatezza.