NEWSLETTER GIUGNO 2020

Novità normative covid-19

D.L. 16 GIUGNO 2020, N. 52 “Ulteriori misure urgenti in materia di trattamento di integrazione salariale, nonché proroga di termini in materia di reddito di emergenza e di emersione dei rapporti di lavoro”.

L’art. 1, D.L. n. 52 del 2020 prevede la possibilità per i datori di lavoro, che abbiano interamente fruito del trattamento di integrazione salariale ordinario, straordinario o in deroga, per l’intero periodo precedentemente concesso di 14 settimane, di usufruire di ulteriori 4 settimane anche per periodi decorrenti antecedentemente all’1.09.2020. Resta, in ogni caso, ferma la durata massima di 18 settimane.

Indipendentemente dal periodo di riferimento, i datori di lavoro che abbiano erroneamente presentato domanda per trattamenti diversi da quelli a cui avrebbero avuto diritto o comunque con errori o omissioni che ne hanno impedito l’accettazione, possono presentare la domanda nelle modalità corrette entro trenta giorni dalla comunicazione dell’errore nella precedente istanza da parte dell’amministrazione competente.

Proprio in relazione al Decreto in commento è intervenuto l’INPS con Messaggio n. 2489 del 17.06.2020 disponendo:

  • Trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario: le aziende che hanno sospeso o ridotto l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza COVID-19, possono richiedere la concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o dell’assegno ordinario per una durata massima di 9 settimane, per periodi decorrenti dal 23.02.2020 al 31.08.2020, incrementate di ulteriori 5 settimane, nel medesimo arco temporale, per i soli datori di lavoro che abbiamo interamente fruito del periodo di 9 settimane; solamente le aziende che abbiano fruito del trattamento di integrazione salariale ordinario o di assegno ordinario per l’intero periodo massimo di 14 settimane (9+5), possono richiedere ulteriori 4 settimane di interventi anche per periodi antecedenti al 1° settembre 2020;
  • Assegno al nucleo familiare (ANF) per il periodo di percezione dell’assegno ordinario in relazione alla causale Covid-19: ai beneficiari dell’assegno ordinario, concesso a seguito della sospensione o riduzione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza da COVID-19, limitatamente alla causale ivi indicata, è concesso l’assegno per il nucleo familiare (ANF) in rapporto al periodo di paga adottato e alle medesime condizioni dei lavoratori ad orario normale;
  • Termini di trasmissione delle domande: le istanze finalizzate alla richiesta di interventi devono essere inviate, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa. Le istanze riferite ai periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa che hanno avuto inizio nel periodo ricompreso tra il 23.02.2020 e il 30.04.2020 devono essere inviate, a pena di decadenza, entro il 15.07.2020. Al fine di consentire un graduale adeguamento al nuovo regime, il medesimo decreto stabilisce che, in sede di prima applicazione della norma, i suddetti termini sono spostati al 17.07.2020 (trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore del D.L. n. 52 del 2020) se tale ultima data è posteriore a quella prevista per la scadenza dell’invio delle domande.
  • Cassa integrazione guadagni in deroga: Tutti i datori di lavoro che hanno interamente utilizzato il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di 14 settimane (9+5 autorizzate dall’Inps), possono usufruire di ulteriori 4 settimane anche per periodi antecedenti al 1.09.2020. La durata massima complessiva dei trattamenti di CIGD globalmente riconosciuti non può, in ogni caso, superare le diciotto settimane complessive.
  • Pagamento diretto delle integrazioni salariali a cura dell’INPS: La nuova disciplina dell’anticipo può essere applicata esclusivamente alle domande di CIGO, Assegno ordinario e CIGD presentate a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del D.L. n. 18 del 2020, vale a dire dal prossimo 18.06.2020. In fase di prima applicazione della norma, se il periodo di sospensione o di riduzione ha avuto inizio prima del 18.06.2020, l’istanza è presentata entro il quindicesimo giorno successivo alla medesima data, vale a dire entro il 3.07.2020.

D.P.C.M. 11 giugno 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del D.L. 25.03.2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, e del D.L. 16.05.2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Il Decreto conferma le raccomandazioni già predisposte dai precedenti provvedimenti emanati nel corso dell’emergenza epidemiologica.

Tutte le attività di impresa commerciali ed industriali devono far rispettare la distanza interpersonale di almeno un metro tra le persone; per quanto attiene le attività di commercio al dettaglio è necessario che gli ingressi avvengano in modo dilazionato e che venga impedito di sostare all’interno dei locali più del tempo necessario all’acquisto dei beni.

Per quanto riguarda le attività professionali, viene raccomandato il massimo utilizzo del lavoro agile per lo svolgimento della prestazione, l’incentivo delle ferie o dei congedi retribuiti e l’adozione dei dispositivi di protezione individuale nell’ipotesi in cui non sia possibile far mantenere la distanza di almeno un metro.

ANTICIPO TFS/TFR – D.P.C.M. 22.04.2020, n. 51

E’ stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 150 del 15.06.2020, in vigore dal 30.06.2020, il D.P.C.M. n. 51 del 22.04.2020, recante il Regolamento in materia di anticipo del TFS/TFR (indennità di fine servizio e trattamento di fine rapporto), in attuazione dell’art. 23, co. 7, del D.L. n. 4 del 2019 (conv., con modificazioni, in L. n. 26 del 2019).

Possono chiedere l’anticipo TFS/TFR (non ancora liquidato): i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 nonché’ il personale degli enti pubblici di ricerca, cui e’ liquidata la pensione in quota 100; i soggetti che accedono, o che hanno avuto accesso, prima  della  data  di  entrata  in  vigore  del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con  modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, al  trattamento  di pensione, ai sensi dell’articolo 24 del decreto-legge 6  dicembre  2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

L’anticipo del TFS/TFR rientra tra i contratti di credito, pertanto, in relazione alla richiesta di finanziamento la banca renderà disponibile al richiedente l’informativa precontrattuale e contrattuale. Entro 3 mesi dalla maturazione del diritto al pagamento della prima rata o dell’importo in unica soluzione del TFS/TFR, il soggetto erogatore rimborsa alla banca il relativo ammontare dell’importo dell’anticipo TFS/TFR, comunicato dalla stessa banca in sede di perfezionamento dell’operazione. Entro 30 giorni dalla data di maturazione delle rate di TFS/TFR successive alla prima, l’ente erogatore provvede a rimborsare il cessionario.

La domanda di certificazione del diritto all’anticipo TFS/TFR è presentata dal richiedente all’ente erogatore. Per gli iscritti alle casse previdenziali gestite dall’INPS la domanda è presentata secondo le modalità indicate nell’apposita sezione del sito INPS. La domanda on line può essere presentata direttamente dall’utente munito di PIN dispositivo rilasciato dall’Istituto. Gli enti di patronato e gli altri intermediari dell’INPS saranno espressamente delegati dal richiedente alla presentazione della domanda di certificazione. Una volta ottenuta la certificazione il richiedente dovrà presentare la domanda di anticipo del TFS/TFR alla banca indicando anche il c/c a lui intestato o cointestato sul quale accreditare l’importo finanziato. L’ente erogatore entro il termine perentorio di 30 giorni, effettuate le necessarie verifiche e acquisita la garanzia del Fondo, comunica alla banca la presa d’atto dell’avvenuta conclusione del contratto di anticipo TFS/TFR e rende indisponibile l’importo dell’anticipo del TFS/TFR. Qualora, in esito alle proprie verifiche, l’ente erogatore comunichi alla banca un diverso importo cedibile o l’impossibilità di perfezionare l’operazione di anticipo TFS/TFR, la proposta di contratto di anticipo TFS/TFR decade e il richiedente potrà eventualmente presentare una successiva proposta di contratto di anticipo TFS/TFR.

I.N.L., Nota del 3.06.2020 n. 160: divieto di licenziamenti e proroga dei contratti a termine

Con la nota n. 160/2020 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce alcune precisazioni relativamente alle modifiche apportate dal DL n. 34/2020 (decreto Rilancio) al precedente DL n. 18/2020 (decreto Cura Italia), di rilievo per le attività di competenza delle proprie articolazioni territoriali. In particolare, vengono poste in evidenza, oltre alle modifiche volte a protrarre sino al 17 agosto 2020 il divieto di operare licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo, quelle intervenute in materia di proroghe o rinnovi “acausali” dei contratti di lavoro a tempo determinato. Riguardo a quest’ultimo tema, è interessante osservare come l’Ispettorato proponga una lettura restrittiva della disposizione contenuta nell’art. 93 del DL n. 34/2020 (“è possibile rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato”), interpretandola nel senso che sono consentiti il rinnovo o la proroga acausali dei contratti in corso a condizione che la loro durata non superi la data del 30 agosto 2020

CIG in deroga per aziende plurilocalizzate

Bonus-figli-centri-estiviL’INPS ha emanato il Messaggio n. 2503 del 18.06.2020, con il quale fa presente che, per la presentazione delle domande per il trattamento di cassa integrazione in deroga per aziende plurilocalizzate, l’azienda provvede ad inviare la domanda di integrazione salariale con il sistema del ticket all’INPS accedendo ai servizi per aziende e consulenti, utilizzando il link CIG e Fondi di Solidarietà – CIG Straordinaria e Deroga, selezionando CIG Straordinaria e Deroga.

Le suddette domande dovranno essere trasmesse dalle aziende in relazione alle singole unità produttive censite dall’INPS, anche qualora il decreto concessorio abbia autorizzato unità operative.

L’INPS evidenzia che il flusso di gestione è stato così delineato al fine di consentire il monitoraggio del rispetto del limite massimo del periodo di sospensione concedibile di cassa integrazione in deroga pari a 9 o 13 settimane, il cui conteggio viene effettuato per singola unità produttiva dell’azienda.

INPS – BONUS BABY-SITTING

L’INPS è intervenuto prima con Messaggio n. 2350 del 5.06.2020, poi con Circolare n. 73 del 17.06.2020, esplicando l’avvio di una nuova procedura per la presentazione delle domande per i nuovi bonus per i servizi di baby-sitting. L’INPS ha confermato l’alternatività delle misure rispetto alla fruizione del congedo specifico COVID e con riferimento all’altro genitore l’INPS ha precisato che non deve essere percettore di NASpI o di altro strumento a sostegno al reddito, né essere disoccupato o non lavoratore alla data della domanda.

NOTA INL n. 64 del 15.05.2020 – CIGO Covid-19 anche per i lavoratori in nero accertati dagli ispettori.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato la Nota n. 64 del 15.05.2020, con la quale ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla compatibilità della richiesta di cassa integrazione con causale CIGO COVID-19 anche in relazione a dipendenti regolarizzati a seguito di accesso ispettivo.

L’accesso ai trattamenti di integrazione salariale appare essere condizionato alla circostanza che il lavoratore sia stato regolarizzato entro il termine del 17.03.2020.

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NEWSLETTER CONVERSIONE DECRETO LIQUIDITÀ COVID-19: OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO

È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 6.06.2020 la Legge n. 40 del 2020 di conversione del D.L. n. 23 dell’8.04.2020 (c.d. decreto “Liquidità”), recante “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”.

Tra le principali novità si segnala l’art. 29-bis, che detta “Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19”, il quale ha lo scopo di chiarire la responsabilità dei datori di lavoro per il rischio di contagio dei dipendenti. Si tratta di un intervento fortemente richiesto, specialmente in seguito alle preoccupazioni indotte dall’art. 42 del D.L. 18 del 2020 (decreto “Cura Italia”, convertito in Legge n. 27 del 2020) che equipara il contagio da COVID-19 ad un infortunio sul lavoro.

Tale norma aveva immediatamente scatenato una serie di polemiche, incentrate sulla incongruenza tra la natura di rischio generico del COVID-19 e la qualificazione come infortunio sul lavoro e sulle potenziali conseguenze del riconoscimento dell’infortunio da parte dell’INAIL ai fini della responsabilità penale e civile. In tale acceso dibattito sulle conseguenti responsabilità civili e penali del datore di lavoro, più volte è intervenuto l’INAIL stesso, in particolare con le circolari n. 13 del 3.04.2020 e n. 22 del 20.05.2020.

Proprio la circolare INAIL n. 22 del 20.05.2020, concludeva chiarendo che “la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n. 33”.

Sulla stessa linea si pone il decreto Liquidità convertito in legge: il citato art. 29-bis afferma infatti che “Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste”.

La norma prosegue poi specificando che “Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente piu’ rappresentative sul piano nazionale”.

La disposizione dunque sembra evidenziare che, in caso di contagio di un lavoratore, il datore di lavoro non può essere considerato responsabile laddove abbia applicato le prescrizioni previste dai suddetti protocolli e linee guida. L’adozione delle prescrizioni previste da detti Protocolli è obbligatoria ma anche sufficiente a considerare soddisfatto il dovere di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c.

Inoltre, con l’espressione “adozione e mantenimento si torna a valorizzare il ruolo del Comitato ed a sollecitare il datore di lavoro alla fondamentale e progressiva integrazione e modifica delle misure che dovesse rendersi necessaria nel corso del tempo.

L’effetto decisivo dell’art. 29-bis è, dunque, quello di riempire di contenuto l’art. 2087 cod. civ. con previsioni conoscibili ex ante da parte dei soggetti obbligati: da un lato, si fa puntuale riferimento ai contenuti del Protocollo e, dall’altro, si esclude l’esistenza di obblighi ulteriori rispetto a quelli contenuti nello stesso.

È bene ribadire che, sebbene l’adozione delle misure prescritte dal Protocollo sia da considerarsi sufficiente, l’impresa deve recepirne scrupolosamente i contenuti secondo le proprie caratteristiche, ossia adattando tali misure al proprio contesto aziendale. In questo modo si riuscirà a dimostrare un’adozione non solo formale del Protocollo, ma anche volta a perseguire una efficace attuazione di dette misure.

LICENZIAMENTO DURANTE IL COVID-19

Newsletter n. 6 del 2020

L’art. 46 del Decreto “Cura Italia” aveva introdotto, per il periodo dal 17.03.2020 al 16.05.2020, il divieto di avviare procedure di riduzione collettiva del personale e aveva sospeso le procedure pendenti avviate successivamente al 23.02.2020; inoltre, sino al 16.05.2020, indipendentemente dal numero di dipendenti non era possibile per il datore di lavoro intimare i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Era stato, perciò, introdotto il DIVIETO DI LICENZIAMENTO.

Dal 19.05.2020 è entrato in vigore il c.d. “Decreto Rilancio” (D.L. n. 34 del 2020), ed all’art. 80 ha modificato il precedente art. 46 del D.L. n. 18 del 2020, conv. in L. n. 27 del 2020, prolungando il divieto di licenziamento per ragioni economiche sino al 17.08.2020. Ha, pertanto, portato a 5 mesi, a decorrere dal 17.03.2020, il divieto di procedere a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della L. n. 604 del 1966, e il divieto di avviare procedure di licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4, 5 e 24 della L. n. 223 del 1991.

L’art. 80 del D. L. n. 34 del 2020 ha poi apportato le seguenti modificazioni:

  • Sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.” prevedendo la sospensione delle procedure relative all’esperimento del tentativo di conciliazione;
  • ha introdotto il comma 1-bis Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri ne’ sanzioni per il datore di lavoro” prevedendo la possibilità per il datore di lavoro di revocare i licenziamenti intimati tra il 23.02.2020 ed il 17.03.2020 purché attivi gli ammortizzatori sociali.
  • Il divieto di licenziamento vale per tutti i lavoratori?

NO!

Il divieto non vale per:

  1. lavoratori assunti in prova;
  2. lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia;
  3. lavoratori domestici;
  4. gli apprendisti che hanno compiuto il periodo di formazione;
  5. lavoratori assunti dall’impresa appaltatrice subentrante.
  6. Quali sono, inoltre, le tipologie di licenziamento escluse dal divieto in esame?
  7. licenziamento per motivi disciplinari per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo. Non possono, tuttavia, essere licenziati i lavoratori con figli tra i 12 e i 16 anni che si astengono dal lavoro senza retribuzione nel periodo di sospensione dei servizi educativi;
  8. licenziamento per superamento del periodo di comporto;
  9. licenziamento per scarso rendimento.

In caso di licenziamento, l’INPS, con Messaggio n. 2261 dell’1.06.2020, ha chiarito alcuni aspetti in materia di tutela NASpI e licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 46 del decreto “Cura Italia”.

La disposizione di cui all’art. 46 del decreto Cura Italia, come modificato e integrato dall’art. 80 del decreto Rilancio, ha assunto rilievo infatti in ordine alla possibilità di accesso alla prestazione di disoccupazione NASpI da parte dei lavoratori che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro con la causale di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nonostante il divieto posto dal legislatore nella richiamata disposizione normativa.

L’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con nota prot. n. 5481 del 26.05.2020, chiarisce che l’indennità di disoccupazione NASpI è una prestazione riconosciuta ai lavoratori che hanno perduto involontariamente la propria occupazione, specificando che “non rileva dunque, a tal fine, il carattere nullo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo – intimato da datore di lavoro nel periodo soggetto a divieto – atteso che l’accertamento sulla legittimità o meno del licenziamento spetta al giudice di merito, così come l’individuazione della corretta tutela dovuta al prestatore”.

È dunque possibile procedere, qualora sussistano tutti i requisiti legislativamente previsti, all’accoglimento delle domande di indennità di disoccupazione NASpI presentate dai lavoratori il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito di licenziamento – con le causali di cui al citato art. 46 del D.L. n. 18 del 2020 – intimato anche in data successiva al 17 marzo 2020. Tuttavia, l’Istituto precisa che l’erogazione dell’indennità NASpI a favore dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo – nonostante il divieto posto dall’art. 46 del decreto Cura Italia – sarà effettuata con riserva di ripetizione di quanto erogato nella ipotesi in cui il lavoratore medesimo, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, dovesse essere reintegrato nel posto di lavoro. In tale ipotesi, pertanto, il lavoratore è tenuto a comunicare all’INPS, attraverso il modello NASpI-Com, l’esito del contenzioso ai fini della restituzione di quanto erogato e non dovuto per effetto del licenziamento illegittimo che ha dato luogo al pagamento dell’indennità di disoccupazione.

In caso di revoca del recesso ai sensi dell’art. 46, co. 1-bis del D.L. n. 18 del 2020, quanto eventualmente già erogato a titolo di indennità NASpI sarà oggetto di recupero da parte dell’Istituto.

Si precisa che l’art. 46 di cui al D.L. n. 18 del 2020 non trova applicazione al rapporto di lavoro domestico e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

Nell’ipotesi in cui il lavoratore licenziato voglia ricorrere all’Ispettorato Territoriale del Lavoro per la conciliazione, con nota n. 192 del 18.05.2020 l’Ispettorato Nazionale comunica ai propri uffici periferici (ITL) la prossima adozione di specifici applicativi che consentiranno di svolgere “da remoto” le procedure conciliative previste dal legislatore. Tali modalità potranno costituire una valida alternativa anche al termine dell’emergenza epidemiologica.

Le modalità di svolgimento delle procedure di conciliazione da remoto dovranno assicurare la possibilità di identificare con certezza i soggetti partecipanti e l’unicità del verbale originale, in ragione del particolare effetto che il verbale produce, sotto il profilo delle rinunzie di cui all’art. 2113 c.c. o in ragione della idoneità dello stesso a costituire titolo esecutivo.

Novità giurisprudenziali

SMART WORKING O FERIE?

Tribunale di Grosseto, sez. lavoro, ordinanza n. 502 del 23.04.2020

Il Tribunale di Grosseto, con ordinanza resa a definizione di un procedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., ha dichiarato l’illegittimità della condotta datoriale che obbliga il lavoratore a fruire di ferie “anticipate”, da computarsi su un monte ferie non ancora maturato, invece di adibirlo a modalità di lavoro agile in ragione della previsione di cui all’art. 39, co. 2, D.L. n. 18 del 2020.

Nel caso di specie un lavoratore, affetto da una patologia polmonare da cui era derivato il riconoscimento di un’invalidità civile con riduzione della capacità lavorativa, addetto a mansioni impiegatizie di back office era stato escluso dal c.d. lavoro agile, a cui invece erano stati autorizzati i colleghi di reparto. L’azienda gli aveva prospettato il ricorso alle ferie, da computarsi su un monte ferie non ancora maturato quale alternativa alla sospensione non retribuita dal rapporto fino alla cessazione della sua incompatibilità al lavoro.

La società datrice si difendeva sostenendo che l’individuazione dei dipendenti da porre in smart working era avvenuta quando il ricorrente era assente dal lavoro per malattia e che non era possibile riprogrammare il lavoro in seguito alla sua richiesta in quanto ciò avrebbe comportato costi significativi a livello economico e organizzativo.

Il Tribunale ha dapprima ritenuto implausibili e inconsistenti le difese datoriali, considerate le dimensioni della società e i costi sostenibili per mettere il lavoratore in condizione di operare da remoto. Inoltre, la richiesta del lavoratore era stata inoltrata alla società prima della programmazione organizzativa dello smart working. Il certificato di inidoneità alla mansione, infine, prescriveva l’allontanamento dal posto di lavoro in quanto, a causa della particolare patologia, il lavoratore non poteva essere sottoposto al rischio di contrarre il Covid-19. Per luogo di lavoro doveva, perciò, intendersi la sede operativa della società, ovvero il luogo in cui abitualmente veniva svolta la prestazione, non l’ambiente domestico.

Il Giudice prosegue richiamando l’art. 1, lett. hh) del DPCM 10.04.2020, per cui si “raccomanda in ogni caso ai datori di lavoro pubblici o privati di promuovere la fruizione di periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dalla lettera precedente e dall’art. 2, comma 2”. Dunque, “laddove il datore di lavoro privato sia nelle condizioni di applicare il lavoro agile, e ne abbia dato prova, il ricorso alle ferie non può essere indiscriminato, ingiustificato o penalizzante, soprattutto laddove vi siano titoli di priorità per ragioni di salute”.

Pertanto “la promozione del godimento delle ferie appare, del resto, una misura comunque subordinata – o quantomeno equiparata, non certo primaria – laddove vi siano le concrete possibilità di ricorrere al lavoro agile e il datore di lavoro privato vi abbia fatto ricorso”.

Il diritto alle ferie maturate non può, dunque, essere subordinato alle sole esigenze aziendali se non nei limiti di cui all’art. 2109, comma 2, c.c. e comunque nel rispetto delle previsioni dei singoli contratti collettivi. Per quanto concerne le ferie maturande, il Tribunale ha stigmatizzato la condotta aziendale, richiamando il principio generale per cui la regola è quella per la quale devono essere usufruite le ferie maturate, con lo scopo di consentire annualmente il recupero delle energie psico-fisiche.

TERMINI DI DECADENZA E LAVORO CON SOGGETTO DIVERSO DALL’APPALTATORE

Tribunale di Tivoli, sez. lavoro, sentenza n. 237 del 19.05.2020

Nel caso di specie il Tribunale afferma che la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal formale datore, titolare del contratto, ricade nel doppio regime decadenziale di cui all’art. 6 della L. n. 604 del 1966 (impugnativa stragiudiziale entro 60 giorni dalla cessazione del rapporto cui deve seguire, nei successivi 180 giorni, il deposito del ricorso giudiziale).

La lavoratrice, dipendente di una cooperativa appaltatrice di servizi di pulizia all’interno di un palazzo comunale, deducendo di aver svolto orari e mansioni diverse da quelle contrattualmente stabilite, secondo direttive impartite dai dirigenti del Comune, aveva fatto ricorso per richiedere, oltre al riconoscimento delle differenze retributive, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’Ente pubblico.

Il Tribunale di Tivoli ha affermato che la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto ricade nel doppio regime decadenziale previsto dall’art. 6 della L. n. 604 del 1966. Il giorno dal quale decorre il primo termine di 60 giorni per l’impugnativa va individuato nella data di cessazione del rapporto con l’effettivo utilizzatore o con il soggetto che il lavoratore sostiene essere il datore effettivo, secondo quanto stabilito dall’art. 39 del D.Lgs. n. 81 del 2015. Tale norma è da interpretarsi quale comprensiva anche di quelle fattispecie in cui il lavoratore chieda la costituzione del rapporto in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto.

SPESE DI TRASFERTA DEL DIPENDENTE

Corte di Cassazione, sez. tributaria, ordinanza n. 8489 del 6.05.2020

NOVITÀ NORMATIVE
LICENZIAMENTO DURANTE IL COVID-19

In tema di imposte sui redditi, il rimborso delle spese di trasferta ex art. 51, comma 5, D.P.R. n. 917 del 1986 può essere analitico, se ancorato agli esborsi, per vitto, alloggio e viaggio effettivamente sostenuti e adeguatamente documentati dal dipendente, ovvero forfetario, se operato attraverso il riconoscimento di una provvista di denaro per sostenere le spese di vitto e alloggio, con la conseguenza che, mentre nel primo caso il rimborso non determina alcuna tassazione in capo al dipendente, nel secondo l’importo che oltrepassi il limite massimo previsto dall’art. 51 cit. concorre alla formazione del reddito di lavoro.