LICENZIAMENTO DURANTE IL COVID-19

Newsletter n. 6 del 2020

L’art. 46 del Decreto “Cura Italia” aveva introdotto, per il periodo dal 17.03.2020 al 16.05.2020, il divieto di avviare procedure di riduzione collettiva del personale e aveva sospeso le procedure pendenti avviate successivamente al 23.02.2020; inoltre, sino al 16.05.2020, indipendentemente dal numero di dipendenti non era possibile per il datore di lavoro intimare i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Era stato, perciò, introdotto il DIVIETO DI LICENZIAMENTO.

Dal 19.05.2020 è entrato in vigore il c.d. “Decreto Rilancio” (D.L. n. 34 del 2020), ed all’art. 80 ha modificato il precedente art. 46 del D.L. n. 18 del 2020, conv. in L. n. 27 del 2020, prolungando il divieto di licenziamento per ragioni economiche sino al 17.08.2020. Ha, pertanto, portato a 5 mesi, a decorrere dal 17.03.2020, il divieto di procedere a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della L. n. 604 del 1966, e il divieto di avviare procedure di licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4, 5 e 24 della L. n. 223 del 1991.

L’art. 80 del D. L. n. 34 del 2020 ha poi apportato le seguenti modificazioni:

  • Sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.” prevedendo la sospensione delle procedure relative all’esperimento del tentativo di conciliazione;
  • ha introdotto il comma 1-bis Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri ne’ sanzioni per il datore di lavoro” prevedendo la possibilità per il datore di lavoro di revocare i licenziamenti intimati tra il 23.02.2020 ed il 17.03.2020 purché attivi gli ammortizzatori sociali.
  • Il divieto di licenziamento vale per tutti i lavoratori?

NO!

Il divieto non vale per:

  1. lavoratori assunti in prova;
  2. lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia;
  3. lavoratori domestici;
  4. gli apprendisti che hanno compiuto il periodo di formazione;
  5. lavoratori assunti dall’impresa appaltatrice subentrante.
  6. Quali sono, inoltre, le tipologie di licenziamento escluse dal divieto in esame?
  7. licenziamento per motivi disciplinari per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo. Non possono, tuttavia, essere licenziati i lavoratori con figli tra i 12 e i 16 anni che si astengono dal lavoro senza retribuzione nel periodo di sospensione dei servizi educativi;
  8. licenziamento per superamento del periodo di comporto;
  9. licenziamento per scarso rendimento.

In caso di licenziamento, l’INPS, con Messaggio n. 2261 dell’1.06.2020, ha chiarito alcuni aspetti in materia di tutela NASpI e licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 46 del decreto “Cura Italia”.

La disposizione di cui all’art. 46 del decreto Cura Italia, come modificato e integrato dall’art. 80 del decreto Rilancio, ha assunto rilievo infatti in ordine alla possibilità di accesso alla prestazione di disoccupazione NASpI da parte dei lavoratori che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro con la causale di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nonostante il divieto posto dal legislatore nella richiamata disposizione normativa.

L’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con nota prot. n. 5481 del 26.05.2020, chiarisce che l’indennità di disoccupazione NASpI è una prestazione riconosciuta ai lavoratori che hanno perduto involontariamente la propria occupazione, specificando che “non rileva dunque, a tal fine, il carattere nullo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo – intimato da datore di lavoro nel periodo soggetto a divieto – atteso che l’accertamento sulla legittimità o meno del licenziamento spetta al giudice di merito, così come l’individuazione della corretta tutela dovuta al prestatore”.

È dunque possibile procedere, qualora sussistano tutti i requisiti legislativamente previsti, all’accoglimento delle domande di indennità di disoccupazione NASpI presentate dai lavoratori il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito di licenziamento – con le causali di cui al citato art. 46 del D.L. n. 18 del 2020 – intimato anche in data successiva al 17 marzo 2020. Tuttavia, l’Istituto precisa che l’erogazione dell’indennità NASpI a favore dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo – nonostante il divieto posto dall’art. 46 del decreto Cura Italia – sarà effettuata con riserva di ripetizione di quanto erogato nella ipotesi in cui il lavoratore medesimo, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, dovesse essere reintegrato nel posto di lavoro. In tale ipotesi, pertanto, il lavoratore è tenuto a comunicare all’INPS, attraverso il modello NASpI-Com, l’esito del contenzioso ai fini della restituzione di quanto erogato e non dovuto per effetto del licenziamento illegittimo che ha dato luogo al pagamento dell’indennità di disoccupazione.

In caso di revoca del recesso ai sensi dell’art. 46, co. 1-bis del D.L. n. 18 del 2020, quanto eventualmente già erogato a titolo di indennità NASpI sarà oggetto di recupero da parte dell’Istituto.

Si precisa che l’art. 46 di cui al D.L. n. 18 del 2020 non trova applicazione al rapporto di lavoro domestico e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

Nell’ipotesi in cui il lavoratore licenziato voglia ricorrere all’Ispettorato Territoriale del Lavoro per la conciliazione, con nota n. 192 del 18.05.2020 l’Ispettorato Nazionale comunica ai propri uffici periferici (ITL) la prossima adozione di specifici applicativi che consentiranno di svolgere “da remoto” le procedure conciliative previste dal legislatore. Tali modalità potranno costituire una valida alternativa anche al termine dell’emergenza epidemiologica.

Le modalità di svolgimento delle procedure di conciliazione da remoto dovranno assicurare la possibilità di identificare con certezza i soggetti partecipanti e l’unicità del verbale originale, in ragione del particolare effetto che il verbale produce, sotto il profilo delle rinunzie di cui all’art. 2113 c.c. o in ragione della idoneità dello stesso a costituire titolo esecutivo.

Novità giurisprudenziali

SMART WORKING O FERIE?

Tribunale di Grosseto, sez. lavoro, ordinanza n. 502 del 23.04.2020

Il Tribunale di Grosseto, con ordinanza resa a definizione di un procedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., ha dichiarato l’illegittimità della condotta datoriale che obbliga il lavoratore a fruire di ferie “anticipate”, da computarsi su un monte ferie non ancora maturato, invece di adibirlo a modalità di lavoro agile in ragione della previsione di cui all’art. 39, co. 2, D.L. n. 18 del 2020.

Nel caso di specie un lavoratore, affetto da una patologia polmonare da cui era derivato il riconoscimento di un’invalidità civile con riduzione della capacità lavorativa, addetto a mansioni impiegatizie di back office era stato escluso dal c.d. lavoro agile, a cui invece erano stati autorizzati i colleghi di reparto. L’azienda gli aveva prospettato il ricorso alle ferie, da computarsi su un monte ferie non ancora maturato quale alternativa alla sospensione non retribuita dal rapporto fino alla cessazione della sua incompatibilità al lavoro.

La società datrice si difendeva sostenendo che l’individuazione dei dipendenti da porre in smart working era avvenuta quando il ricorrente era assente dal lavoro per malattia e che non era possibile riprogrammare il lavoro in seguito alla sua richiesta in quanto ciò avrebbe comportato costi significativi a livello economico e organizzativo.

Il Tribunale ha dapprima ritenuto implausibili e inconsistenti le difese datoriali, considerate le dimensioni della società e i costi sostenibili per mettere il lavoratore in condizione di operare da remoto. Inoltre, la richiesta del lavoratore era stata inoltrata alla società prima della programmazione organizzativa dello smart working. Il certificato di inidoneità alla mansione, infine, prescriveva l’allontanamento dal posto di lavoro in quanto, a causa della particolare patologia, il lavoratore non poteva essere sottoposto al rischio di contrarre il Covid-19. Per luogo di lavoro doveva, perciò, intendersi la sede operativa della società, ovvero il luogo in cui abitualmente veniva svolta la prestazione, non l’ambiente domestico.

Il Giudice prosegue richiamando l’art. 1, lett. hh) del DPCM 10.04.2020, per cui si “raccomanda in ogni caso ai datori di lavoro pubblici o privati di promuovere la fruizione di periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dalla lettera precedente e dall’art. 2, comma 2”. Dunque, “laddove il datore di lavoro privato sia nelle condizioni di applicare il lavoro agile, e ne abbia dato prova, il ricorso alle ferie non può essere indiscriminato, ingiustificato o penalizzante, soprattutto laddove vi siano titoli di priorità per ragioni di salute”.

Pertanto “la promozione del godimento delle ferie appare, del resto, una misura comunque subordinata – o quantomeno equiparata, non certo primaria – laddove vi siano le concrete possibilità di ricorrere al lavoro agile e il datore di lavoro privato vi abbia fatto ricorso”.

Il diritto alle ferie maturate non può, dunque, essere subordinato alle sole esigenze aziendali se non nei limiti di cui all’art. 2109, comma 2, c.c. e comunque nel rispetto delle previsioni dei singoli contratti collettivi. Per quanto concerne le ferie maturande, il Tribunale ha stigmatizzato la condotta aziendale, richiamando il principio generale per cui la regola è quella per la quale devono essere usufruite le ferie maturate, con lo scopo di consentire annualmente il recupero delle energie psico-fisiche.

TERMINI DI DECADENZA E LAVORO CON SOGGETTO DIVERSO DALL’APPALTATORE

Tribunale di Tivoli, sez. lavoro, sentenza n. 237 del 19.05.2020

Nel caso di specie il Tribunale afferma che la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal formale datore, titolare del contratto, ricade nel doppio regime decadenziale di cui all’art. 6 della L. n. 604 del 1966 (impugnativa stragiudiziale entro 60 giorni dalla cessazione del rapporto cui deve seguire, nei successivi 180 giorni, il deposito del ricorso giudiziale).

La lavoratrice, dipendente di una cooperativa appaltatrice di servizi di pulizia all’interno di un palazzo comunale, deducendo di aver svolto orari e mansioni diverse da quelle contrattualmente stabilite, secondo direttive impartite dai dirigenti del Comune, aveva fatto ricorso per richiedere, oltre al riconoscimento delle differenze retributive, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’Ente pubblico.

Il Tribunale di Tivoli ha affermato che la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto ricade nel doppio regime decadenziale previsto dall’art. 6 della L. n. 604 del 1966. Il giorno dal quale decorre il primo termine di 60 giorni per l’impugnativa va individuato nella data di cessazione del rapporto con l’effettivo utilizzatore o con il soggetto che il lavoratore sostiene essere il datore effettivo, secondo quanto stabilito dall’art. 39 del D.Lgs. n. 81 del 2015. Tale norma è da interpretarsi quale comprensiva anche di quelle fattispecie in cui il lavoratore chieda la costituzione del rapporto in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto.

SPESE DI TRASFERTA DEL DIPENDENTE

Corte di Cassazione, sez. tributaria, ordinanza n. 8489 del 6.05.2020

NOVITÀ NORMATIVE
LICENZIAMENTO DURANTE IL COVID-19

In tema di imposte sui redditi, il rimborso delle spese di trasferta ex art. 51, comma 5, D.P.R. n. 917 del 1986 può essere analitico, se ancorato agli esborsi, per vitto, alloggio e viaggio effettivamente sostenuti e adeguatamente documentati dal dipendente, ovvero forfetario, se operato attraverso il riconoscimento di una provvista di denaro per sostenere le spese di vitto e alloggio, con la conseguenza che, mentre nel primo caso il rimborso non determina alcuna tassazione in capo al dipendente, nel secondo l’importo che oltrepassi il limite massimo previsto dall’art. 51 cit. concorre alla formazione del reddito di lavoro.

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