NEWSLETTER n. 5/2024

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di Appello di Roma sentenza 2 aprile 2024, n. 1294.

La Corte di Appello di Roma ha applicato il principio di recente chiarito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 22 del 22.02.2024, affermando che anche il dirigente licenziato in violazione della procedura disciplinare ex art. 7 Statuto dei lavoratori non ha diritto alla reintegrazione ma solo all’indennità prevista dal CCNL.

Incorre in una violazione delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 dello Statuto il datore di lavoro che si rifiuta di convocare il dirigente il quale ha richiesto di essere ascoltato nell’ambito di una procedura disciplinare, anche se tale richiesta viene formulata dopo che erano già state rese le prime deduzioni scritte, ma prima che sia spirato il termine ultimo per le difese.

Ad ogni modo, non è prevista alcuna reintegrazione per i casi di violazione delle garanzie procedimentali di cui all’articolo 7 Statuto: in tali casi si profila esclusivamente un’ipotesi di nullità del licenziamento per violazione di norma imperativa.

Corte d’Appello di Trieste, 17 gennaio 2024

Le dimissioni telematiche ai sensi dell’art. 26 D.Lgs. n. 151/2015 non sono un atto delegabile e richiedono la presenza personale, anche se si svolgano con l’assistenza di un operatore sindacale.

La Corte triestina si pronuncia su una complessa vicenda che riguardava un dirigente che, in una situazione di forte tensione, era stato indotto a dimettersi delegando un soggetto terzo all’adempimento telematico previsto dall’art. 26 del D. Lgs. n. 151/2015, soggetto che a sua volta si era rivolto, per la trasmissione dei moduli, ad un operatore sindacale (comma 4° dell’art. 26). La Corte, a fronte della successiva contestazione della validità dell’atto, ritiene che, se pure in generale le dimissioni sarebbero un atto delegabile, ciò non vale nell’ambito della disciplina introdotta nel 2015, che richiede sempre un atto personale, o la presenza personale del dimissionario nel caso ci si avvalga degli operatori autorizzati dal comma 4 dell’art. 26.

Invece, la Corte ha ritenuto che sia delegabile l’atto risolutorio quando questo si svolga in una delle sedi protette ex art. 2113, 4° comma, c.c. (escluse dal campo di applicazione dell’art. 26), e che il presupposto dell’effettiva assistenza per la validità delle conciliazioni possa realizzarsi anche se il lavoratore è rappresentato da una terza persona.

Corte d’Appello di Napoli, 21 marzo 2024.

Ancora sul CCNL vigilanza privata: violata la retribuzione minima ex art. 36 Cost.

I Giudici accolgono il ricorso presentato da svariati lavoratori impiegati nell’ambito di un appalto, e che a seguito di una successione di appaltatore si erano visti applicare il CCNL per i dipendenti da Istituti ed Imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari – Sezione servizi fiduciari, con trattamento salariale base di 930,00 euro lordi, ritenuto non sufficiente a garantire agli stessi una vita libera e dignitosa. La Corte ha accolto la domanda – richiamando il più recente orientamento della Corte di cassazione e i vari indici utilizzabili per valutare la sufficienza o insufficienza della retribuzione, e ha dichiarato il diritto degli appellanti a percepire un trattamento salariale non inferiore a quello previsto dal CCNL per i dipendenti delle imprese di pulizia e integrati/multiservizi per i lavoratori di 2° livello (la cui declaratoria risulta comprendere anche le mansioni svolte dai ricorrenti).

Corte di Cassazione, ordinanza 8 marzo 2024, n. 6266

Nessuna decadenza se il dipendente licenziato dall’appaltatore rivendica giudizialmente il rapporto col committente.

Quattro anni dopo essere stato licenziato da una società appaltatrice di servizi, un lavoratore aveva proposto ricorso giudiziale nei confronti della sola società committente, deducendo l’inesistenza del licenziamento per interposizione fittizia di manodopera e quindi rivendicando l’esistenza del rapporto con la committente. In giudizio, la Cassazione, in contrasto con l’appello, nega l’intervenuta decadenza, ai sensi dell’art. 32, co. 4, lett. D della L. 183/10, dell’azione promossa dal lavoratore. In proposito, ricorda che secondo la propria costante giurisprudenza, l’ipotesi di decadenza in questione (prevista in “ogni altro caso in cui… si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”) necessita della presenza di un atto scritto da impugnare per ottenere il risultato perseguito. Poiché nell’ipotesi di appalto non genuino, l’eventuale licenziamento dell’appaltatore è inesistente, l’unico caso in cui l’azione per la costituzione del rapporto col committente sia soggetta alla decadenza è quello in cui il committente neghi la titolarità del rapporto con atto scritto, che nel caso pacificamente non esiste.

Corte di Cassazione, sentenza 13 marzo 2024, n. 6704

Forma del contratto di apprendistato e del relativo piano formativo.

Un’apprendista aveva impugnato giudizialmente il proprio contratto di apprendistato professionalizzante per mancanza in esso del piano formativo, sostenendo la conseguente nullità dello stesso contratto e quindi la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. In sede di ricorso per cassazione, proposto dalla lavoratrice avverso la sentenza d’appello che aveva respinto le sue domande (in base alla considerazione che la forma scritta stabilita dalla legge sia per il contratto che per il piano non fosse sanzionata sul piano della validità negoziale), la Corte, giudicando in base alle norme del D. Lgs. n. 167/2011 (abrogato dal D. Lgs. n. 81/2015) applicabile al caso esaminato ratione temporis, accoglie il ricorso, procedendo a un’analisi storico-sistematica delle norme per giungere alla conclusione che la forma scritta da esse prevista per il contratto, ma anche per il piano formativo dell’apprendistato è stabilita a pena di nullità (ancorché tale conseguenza non sia stata esplicitata), a protezione della parte più debole del rapporto.

Corte di Cassazione, sentenza 14 marzo 2024, n. 6898

Somministrazione nulla o elusiva e decadenza dell’azione.

Un lavoratore, avendo stipulato più di 400 contratti di somministrazione a termine col medesimo utilizzatore e per identiche mansioni nell’arco di sette anni, aveva dedotto in giudizio, dopo più di un anno dalla cessazione dell’ultimo rapporto, 1) la nullità dei contratti di lavoro a termine conseguente alla nullità di quelli di somministrazione tra agenzia e utilizzatore, in quanto privi di forma scritta; 2) la frode alla legge per elusione del necessario carattere temporaneo della somministrazione; chiedendo conseguentemente, per l’una o l’altra delle ragioni dedotte, l’istaurazione di un unitario rapporto di lavoro con l’utilizzatore. I giudici di merito avevano respinto le domande per intervenuta decadenza dell’azione ai sensi dell’art. 32, 4° comma, lett. d) della legge n. 183/2010 (relativa ai casi “in cui si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”). La cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore, ribadisce il proprio recente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale la decadenza in questione è sicuramente applicabile quando si impugna un atto scritto o un fatto tipicizzato, come ad es. la scadenza del contratto a termine, ma non è applicabile se si sostiene la frode alla legge per elusione delle norme comunitarie sulla necessaria temporaneità della somministrazione, perché in tal caso non viene impugnato un atto o più atti, ma la valutazione sub iudice investe una situazione complessa articolatasi nel corso del tempo. La sentenza impugnata viene quindi cassata perché ricorre quest’ultima situazione.

Corte di Cassazione, ordinanza 18 marzo 2024, n. 7181

L’indennità di mensa non rientra nella base di calcolo del TFR.

La Cassazione, nell’accogliere il ricorso di una fondazione ospedaliera avverso la sentenza d’appello che l’aveva condannata a computare l’indennità di mensa nella base di calcolo del TFR di un infermiere, osserva che: (i) come già affermato da risalente giurisprudenza di legittimità, nella disciplina dettata dall’art. 6, co. 3, dl 333/92 (ritenuta di interpretazione autentica della disciplina previgente), il valore del servizio mensa e l’importo della prestazione sostitutiva percepita da chi non usufruisce del servizio aziendale non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro, salvo che la contrattazione collettiva disponga diversamente; (ii) non ha riscontro nell’interpretazione letterale della norma di legge indicata l’esclusiva delimitazione del suo ambito all’ipotesi in cui sia stata istituita in azienda la mensa, con esclusione di quella in cui essa manchi; una tale distinzione (sostenuta dalla sentenza impugnata) non è stata del resto mai affermata dalla giurisprudenza di legittimità.

Corte di Cassazione, ordinanza 18 marzo 2024, n. 7203

Unico il CCNL per vecchi e nuovi assunti.

La società di servizi in house di un Comune, non iscritta ad alcuna Associazione sindacale di datori di lavoro e che applicava di fatto ai propri dipendenti il CCNL terziario, decide a un certo punto di applicare ai nuovi assunti il diverso CCNL multiservizi, ritenuto più aderente alla propria attività. Nel conseguente giudizio promosso da due neo assunti per ottenere l’inquadramento in una qualifica prevista dal primo CCNL, la Cassazione, annullando la diversa sentenza dei giudici di merito e accogliendo le tesi dei lavoratori, ricorda che l’art. 2070 c.c. che collega l’inquadramento sindacale all’attività principale dell’impresa non è più applicabile perché contrastante col principio costituzionale di libertà sindacale, per cui il datore di lavoro applica il CCNL stipulato dal sindacato cui è iscritto o altro scelto volontariamente. In quest’ultimo caso (che è anche quello in esame), la costante applicazione di fatto di un determinato contratto a tutti i dipendenti assume nel tempo valore negoziale, imponendosi pertanto anche nei riguardi delle nuove assunzioni.

Corte di Cassazione, ordinanza 21 marzo 2024, n. 7642

Obbligo di indicare i motivi della mancata rotazione in CIGS a zero ore anche in caso di chiusura di un’unità produttiva.

Una società romana con più unità produttive nel territorio comunale, cessando l’attività in una di esse, aveva avviato la procedura di cui all’art. 1 della legge n. 223 del 1991 (prima delle modifiche apportate nel 2015), comunicando alle OO.SS., tra l’altro, che avrebbe messo in CIGS a zero ore tutto il personale dell’unità. Alcune dipendenti sospese a zero ore hanno impugnato giudizialmente la decisione, censurando l’assenza di indicazione, nella comunicazione relativa alla procedura, dei motivi della mancata rotazione con dipendenti di altre unità e dei criteri di scelta adottati in alternativa. Pervenuta la causa in cassazione, la Corte, confermando la decisione di accoglimento delle domande (di pagamento della retribuzione piena nel periodo di sospensione illegittima), ribadisce la propria giurisprudenza in materia, affermando l’obbligo, non adempiuto dalla società, di indicare nella comunicazione di avvio della procedura, le ragioni della mancata adozione della rotazione – e dei criteri di scelta -, quali, in ipotesi, la “non comunicabilità” tra le varie unità produttive o l’infungibilità delle mansioni e delle professionalità impiegate nell’unità rispetto alle altre (circostanze ambedue del resto smentite dall’esistenza di un precedente episodio di CIGS a zero ore nella medesima unità, in cui era stata adottata la rotazione con dipendenti di altre unità).

Corte di Cassazione, ordinanza 2 aprile 2024, n. 8642

Sul controllo di legittimità in ordine alla proporzionalità della sanzione disciplinare.

Il dirigente di un comune, impugnando la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per un mese, irrogatagli per aver omesso i necessari controlli sull’operato dei propri collaboratori, aveva tra l’altro sostenuto la sproporzione della sanzione rispetto all’addebito. Giunta la causa in Cassazione su ricorso del dirigente avverso la decisione sfavorevole dell’appello, la Corte, confermando quest’ultima, ribadisce in proposito le regole processuali vigenti, secondo cui il giudizio di proporzionalità della sanzione costituisce una valutazione di fatto, di competenza esclusiva del giudice di merito e pertanto incensurabile in Cassazione, salvo il caso in cui la motivazione sul punto manchi del tutto nella sentenza impugnata o sia contraddittoria o inconsistente ovvero sia viziata dall’omesso esame di un fatto decisivo, la cui valutazione avrebbe cioè condotto i giudici a una soluzione diversa della causa.

Corte di Cassazione, ordinanza 4 aprile 2024, n. 8898

Conciliazioni sindacali e diritti indisponibili.

Un lavoratore aveva promosso un primo giudizio nei confronti di tre società sostenendo di essere stato ad esse legato per alcuni anni da una complessa situazione di appalto illecito di manodopera e chiedendo l’accertamento che il suo rapporto era in realtà intercorso nei confronti di un unico utilizzatore. La causa era stata conciliata, prima a livello sindacale e poi giudiziale. In base ai medesimi presupposti, con separato ricorso, aveva poi chiesto all’”effettivo” datore di lavoro una somma a titolo di differenze retributive, a cui l’impresa aveva vittoriosamente opposto l’intervenuta conciliazione. La Cassazione, respingendo il ricorso del lavoratore che aveva impugnato la conciliazione in quanto incidente su suoi diritti indisponibili, ribadisce che se è vero che l’art. 2113 c.c., considera invalide (e da impugnare entro sei mesi) le rinunce e le transazioni che dispongono dei diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge e di contratto collettivo, questa regola, secondo l’ultimo comma dell’articolo, non vale nel caso delle conciliazioni di cui agli artt. 185, 410 e 411 c.p.c, tra le quali appunto quella giudiziale, in quanto il pericolo di una volontà non genuina della parte debole del rapporto di lavoro viene superato dalla presenza garantista dell’organo pubblico o sindacale.

Corte di Cassazione, ordinanza 9 aprile 2024, n. 9444

Risarcimento danni se il contratto di lavoro stagionale non menziona il diritto di precedenza del dipendente nelle nuove assunzioni.

Com’è noto, l’art. 24 del D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce per i lavoratori stagionali (ma anche in genere per quelli a termine, sia pure a diverse condizioni) il diritto di precedenza nelle nuove assunzioni per le stesse mansioni, effettuate entro un determinato arco temporale a partire dalla cessazione del rapporto. E prescrive che tale diritto, da esercitare entro un termine di decadenza, debba essere richiamato nell’atto scritto di apposizione del termine al contratto. Due lavoratori stagionali avevano fatto causa all’ex datore di lavoro, chiedendo (tra l’altro) la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto per mancanza di menzione del diritto di precedenza e il risarcimento danni per non aver potuto esercitare tempestivamente tale diritto a causa della mancata indicazione dello stesso nel contratto di assunzione. Mentre la Corte d’Appello aveva negato il risarcimento in quanto non sarebbe previsto dalla legge e aveva riconosciuto ai lavoratori la possibilità di esercitare il diritto di precedenza anche tardivamente, la Cassazione, cassando la decisione impugnata dai due dipendenti, nega anzitutto che alla violazione dell’obbligo da parte del datore di lavoro consegua la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, ma riconosce ai lavoratori, secondo i principi generali, il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento di tale preciso obbligo contrattuale.

Tribunale di Padova, 15 febbraio 2024

Competenza territoriale e foro del contratto in un caso di addetta ad appalto: decisivo il fatto che la lavoratrice, alla data della sottoscrizione, fosse già impiegata nell’appalto in una città diversa da quella indicata nel contratto.

Il Tribunale respinge il ricorso e conferma il decreto ingiuntivo con cui una lavoratrice aveva fatto valere i propri crediti da lavoro in via solidale nei confronti della società committente di un appalto presso il quale era stata impiegata. Secondo il giudice è stato rispettato il criterio di competenza per territorio: nonostante il fatto che il contratto indicasse come luogo della stipula un’altra città, la lavoratrice al momento della firma era già impiegata presso l’appalto nel distretto del Tribunale adito: si può presumere che il contratto, predisposto altrove, sia poi stato trasmesso e sottoscritto nel luogo effettivo di lavoro della lavoratrice.

Tribunale di Napoli, 21 marzo 2024

In materia di indennità per ferie non godute, la società “in house” è soggetta alle ordinarie regole dei rapporti di lavoro privati.

La società per azioni con partecipazione pubblica non muta la propria natura di soggetto di diritto privato solo perché un ente pubblico ne possegga, in tutto o in parte, le azioni. L’utilizzo di denaro pubblico per il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori della partecipata non sottrae i rapporti di lavoro in questione dalla disciplina di cui all’art. 2019 c.c. La società in house non può invocare a suo favore, in maniera utilitaristica, ora l’applicazione della disciplina privatistica ora l’applicazione della disciplina pubblicistica.

Tribunale di Tivoli, 27 marzo 2024

Nullo il licenziamento dei lavoratori che avevano rifiutato il trasferimento alla nuova sede, privo di effettiva giustificazione.

Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da due lavoratori, licenziati dopo aver rifiutato un trasferimento a 400 km di distanza e, dichiarato nullo il licenziamento, ordina la loro reintegrazione nel posto di lavoro. Secondo il Giudice, il datore di lavoro non ha dimostrato la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e il nesso tra queste e il trasferimento, e ha pertanto violato i principi di buona fede e correttezza. Il rifiuto dei lavoratori si qualifica quindi come legittima eccezione di inadempimento, facendo venire meno la pretesa giusta causa di licenziamento.

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