Novita’ normative
Con la L. 29 aprile 2024, n. 56 (G.U. n. 100 del 30.4.2024, S.O. n. 19) viene convertito il D.L. 2 marzo 2024, n. 19, recante ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del PNRR. Sulle previsioni in materia di lavoro in sede di conversione sono state introdotte alcune novità.
Diverse modifiche sono state apportate in materia di appalti pubblici, al fine di contrastare il lavoro irregolare.
- È stato poi riscritto l’art. 27: dal 1° ottobre 2024 sono tenuti al possesso della “patente” le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili, ad esclusione di coloro che effettuano mere forniture o prestazioni di natura intellettuale. La patente è rilasciata in formato digitale dall’Ispettorato nazionale del lavoro subordinatamente al possesso dei seguenti requisiti:
a) iscrizione alla Camera di commercio;
b) adempimento, da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei preposti, dei lavoratori autonomi e dei prestatori di lavoro, degli obblighi formativi;
c) possesso del documento unico di regolarità contributiva in corso di validità;
d) possesso del documento di valutazione dei rischi;
e) possesso della certificazione di regolarità fiscale;
f) avvenuta designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
- È revocata in caso di dichiarazione non veritiera sulla sussistenza di uno o più requisiti, accertata in sede di controllo successivo al rilascio. Decorsi dodici mesi dalla revoca, l’impresa o il lavoratore autonomo possono richiederne il rilascio di una nuova.
- È dotata di un punteggio iniziale di trenta crediti e consente di operare nei cantieri temporanei o mobili con una dotazione pari o superiore a quindici crediti. Con apposito decreto saranno individuati i criteri di attribuzione di crediti ulteriori rispetto al punteggio iniziale nonché le modalità di recupero dei crediti decurtati. Il punteggio della patente subisce le decurtazioni correlate alle risultanze dei provvedimenti definitivi emanati nei confronti dei datori di lavoro, dirigenti e preposti delle imprese o dei lavoratori autonomi. Se nell’ambito del medesimo accertamento ispettivo sono contestate più violazioni, i crediti sono decurtati in misura non eccedente il doppio di quella prevista per la violazione più grave.
- Se nei cantieri si verificano infortuni da cui deriva la morte del lavoratore o un’inabilità permanente, assoluta o parziale, l’Ispettorato nazionale del lavoro può sospendere, in via cautelare, la patente fino a dodici mesi.
- La patente con punteggio inferiore a quindici crediti non consente alle imprese e ai lavoratori autonomi di operare nei cantieri temporanei o mobili, ma in tal caso è consentito il completamento delle attività oggetto di appalto o subappalto in corso di esecuzione, quando i lavori eseguiti sono superiori al 30% del valore del contratto.
- In mancanza della patente, alle imprese e ai lavoratori autonomi si applica una sanzione amministrativa pari al 10% del valore dei lavori e, comunque, non inferiore ad Euro 6.000, nonché l’esclusione dalla partecipazione ai lavori pubblici per sei mesi. Le stesse sanzioni si applicano alle imprese ed ai lavoratori autonomi che operano con una patente con punteggio inferiore a quindici crediti.
- Le informazioni relative alla patente sono annotate in un’apposita sezione del Portale nazionale del sommerso.
- Non sono tenute al possesso della patente le imprese in possesso dell’attestazione di qualificazione SOA, in classifica pari o superiore alla III.
- Un’ulteriore novità è contenuta nell’art. 29, in cui è stato inserito il comma 1-bis, secondo cui al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto
- Infine, una novità è stata introdotta in tema di somministrazione di lavoro. La L. n. 56/2024 specifica che l’importo delle pene pecuniarie proporzionali così come sinora previsto dall’art. 18 del D.Lgs. 276/2003 non potrà in ogni caso essere inferiore a euro 5.000 né superiore ad euro 50.000.
D.Lgs 62/2024: nuova terminologia in materia di disabilità.
Il 14 maggio 2024 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 111 il D.Lgs. n 62 del 3 maggio 2024 contenente la definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato.
La nuova terminologia in materia di disabilità, volta ad una valutazione congrua, trasparente ed agevole, prevede la sostituzione all’interno delle normative di legge delle parole:
- «handicap», ovunque ricorre, con: «condizione di disabilità»;
- «persona handicappata», «portatore di handicap», «persona affetta da disabilità», «disabile» e «diversamente abile», ovunque ricorrono, con: «persona con disabilità»;
- «con connotazione di gravità» e «in situazione di gravità», ove ricorrono, con: «con necessità di sostegno elevato o molto elevato»;
- «disabile grave», con: «persona con necessità di sostegno intensivo».
Il Decreto, composto da 40 articoli, contiene disposizioni sul procedimento volto al riconoscimento della condizione di disabilità (art. 5-17) e sul progetto di vita individuale personalizzato e partecipato delle persone con riconosciuta disabilità (artt. 18-32).
Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota 8 maggio 2024, n. 862.
Revoca delle dimissioni protette a seguito di convalida ai sensi dell’art. 55, comma 4, D.Lgs. n. 151/2001.
In base all’articolo 55, comma 4, del D.Lgs. n. 151/2001, la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate da una lavoratrice durante la gravidanza e da uno dei due genitori entro i primi tre anni di vita dei figli (o di ingresso in famiglia se adottati o affidati), devono essere obbligatoriamente convalidate dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro.
A fronte di questa disposizione normativa era sorto il dubbio se e come fosse possibile revocare tali dimissioni. Con la nota n. 862/2024, su conforme parere del Ministero del Lavoro, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro afferma che le dimissioni possono essere revocate prima dell’emanazione del provvedimento di convalida, ma anche successivamente allo stesso purché prima della decorrenza delle dimissioni e della effettiva risoluzione del rapporto. Tuttavia anche la decisione di revocare le dimissioni deve essere soggetta a verifica da parte dell’Ispettorato che, valutata attentamente la fondatezza delle motivazioni addotte, provvederà all’annullamento della convalida. Inoltre, se il funzionario riterrà che ci siano stati comportamenti illeciti o discriminatori del datore di lavoro potrà effettuare accertamenti ispettivi.
La revoca non è possibile se le dimissioni sono state convalidate e hanno prodotto effetto. In tal caso la ripresa del rapporto di lavoro può avvenire solo con il consenso del datore di lavoro.
Novita’ GIURISPRUDENZIALI
Corte di Cassazione, ordinanza 17 maggio 2024, n. 13764.
Licenziamento per giusta causa.
La Corte di Cassazione ha stabilito che il post denigratorio nei confronti dell’azienda pubblicato su Facebook dal lavoratore, dopo la reintegra di questi e prima della ripresa dell’attività lavorativa, costituisce giusta causa di licenziamento.
Nel caso di specie, il dipendente aveva impugnato il licenziamento intimatogli a causa del contenuto denigratorio pubblicato tramite social subito dopo la reintegrazione disposta dal Tribunale.
La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda, considerando la condotta tanto grave da ledere il rapporto di fiducia. Nel confermare la pronuncia di merito, i giudici sottolineano che un illecito commesso nel lasso temporale che intercorre tra la lettura del dispositivo della sentenza di reintegra e l’effettiva ripresa dell’attività lavorativa va valutata da un punto di vista disciplinare.
Corte di Cassazione, sentenza 14 maggio 2024, n. 13181.
Servizi pubblici essenziali: l’astensione dal lavoro con certificati medici falsi costituisce sciopero.
Nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, costituisce sciopero, come tale soggetto alla disciplina di cui alla legge n. 146 del 1990, l’astensione dal lavoro che si realizzi, a fini di rivendicazione collettiva, mediante presentazione di certificazioni mediche che, secondo l’accertamento del giudice del merito, risultino fittizie e finalizzate a giustificare solo formalmente la mancata presentazione al lavoro, senza reale fondamento in un sottostante stato patologico, ma in realtà siano da collegare ad uno stato di agitazione volto all’astensione collettiva dal lavoro nella sostanza proclamato dalle OO.SS. in modo “occulto”. Questo è quanto deciso dalla Sezione lavoro della Cassazione civile con la sentenza n. 13181/2024.
Corte di Cassazione, sentenza 9 maggio 2024, n. 12688.
Licenziamento del whistleblower: la giusta causa va valutata anche considerando le denunce di cui è autore.
Con tale sentenza la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del dirigente, ha cassato con rinvio la sentenza di appello che aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato.
Secondo la Cassazione la Corte territoriale aveva errato in quanto aveva mancato di considerare il contesto complessivo all’interno del quale si è inserito il provvedimento espulsivo: la tempistica del licenziamento rispetto all’avvenuta conoscenza da parte dei vertici aziendali delle denunce rese dal dirigente e il progressivo ridimensionamento delle sue attribuzioni.
Di conseguenza, seppur la condotta contestata al dirigente non era in sé direttamente collegabile alle denunce dallo stesso presentate, tuttavia, nel delineare l’effettiva responsabilità disciplinare del dirigente, la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto del whistelblowing di cui questo era autore, dell’esautoramento di attribuzioni a suo danno e delle tempistiche tra tali fatti e il relativo licenziamento.
Avendo la Corte territoriale mancato di considerare tali aspetti, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso del dirigente e cassa la sentenza con rinvio.
Corte di Cassazione, ordinanza 6 maggio 2024, n. 12152.
Ancora sul licenziamento disciplinare per uso improprio delle assenze per malattia.
Confermando la sentenza d’appello, che aveva reintegrato un lavoratore licenziato per utilizzo improprio delle assenze di malattia, in quanto le attività accertate non erano risultate incompatibili con lo stato di malattia o comunque tali da ritardare la ripresa del lavoro, la Cassazione ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in materia di licenziamento disciplinare per svolgimento di altra attività durante l’assenza per malattia, grava sul datore di lavoro la prova che la malattia sia simulata ovvero che l’attività svolta nei giorni di assenza sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio.
Corte di Cassazione, ordinanza 19 aprile 2024, n. 10679.
Un caso di patto di non concorrenza nullo per indeterminatezza del compenso.
Il patto, riguardante il dipendente di una banca con mansioni di private banker e incremento ordini, prevedeva la non concorrenza per 20 mesi dopo la cessazione del rapporto, con un compenso di 5.000 euro all’anno, peraltro non più spettanti in caso di mutamento di mansioni del lavoratore, il quale viceversa sarebbe restato comunque vincolato al patto per 12 mesi. Il bancario si era dimesso dopo sei mesi, passando a una banca concorrente. Da qui l’azione giudiziaria della prima banca per il risarcimento danni. Sia i giudici di merito che la Cassazione le danno torto, dichiarando la nullità del patto di non concorrenza per indeterminatezza del compenso, il cui ammontare effettivo dipendeva dal comportamento unilaterale della banca in ordine all’eventuale (imprevedibile al momento della stipula del patto) esercizio da parte sua dello ius variandi delle mansioni.
Corte di Cassazione, ordinanza 18 aprile 2024, n. 10571.
Pubblico impiego: si applica il limite di 36 mesi indipendentemente dalle modalità di assunzione.
La Corte di Cassazione ha stabilito che nel caso di successione di contratti a termine, il limite massimo di trentasei mesi di durata complessiva, oltre il quale la reiterazione è da considerarsi abusiva, trova applicazione indipendentemente dalle modalità attraverso cui avviene l’assunzione a termine. Ciò è giustificato dal concetto di “medesima occasione lavorativa” sancito dall’art. 5, comma 4-bis del D.Lgs. n. 368 del 2001, il quale si riferisce alla “mansione equivalente”, indipendentemente dalla modalità di selezione del lavoratore. Pertanto, la valutazione si basa sulla sostanziale identità dell’attività lavorativa svolta e non sulle modalità di assunzione.
Corte di Cassazione, ordinanza 15 aprile 2024, n. 10065.
Attenzione al luogo in cui si stipula una conciliazione sindacale.
Un dipendente aveva impugnato la conciliazione raggiunta in sede aziendale con l’assistenza del sindacato, con la quale, a fronte della rinuncia della datrice di lavoro a procedere ad un licenziamento collettivo, aveva rinunciato per due anni al 20% della retribuzione, come consentito dall’ultimo testo dell’art. 2103 c.c.
La Cassazione gli dà ragione, rilevando che la norma citata affida, nelle conciliazioni definitive (ex art. 2113, comma 4 c.c.) su diritti indisponibili, la protezione del lavoratore non solo all’assistenza del rappresentante sindacale e/o alla terzietà di chi vi presiede, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene (la sede giudiziale, le commissioni di conciliazione presso l’ispettorato del lavoro, le sedi sindacali e i collegi di conciliazione e arbitrato).
Si tratta di un elenco tassativo, sia perché si tratta di sedi collegate all’organo deputato alla conciliazione sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo all’influenza della controparte sindacale. Da qui la dichiarazione di nullità della conciliazione perché stipulata nella sede dell’azienda.
Corte di Cassazione, ordinanza 4 aprile 2024, n. 8956.
Assenze ingiustificate mai di domenica.
Un’insegnante statale di scuola primaria era stata licenziata per l’assenza ingiustificata di quattro giorni nel quadrimestre, in applicazione del D.Lgs. n. 165/2001 che prevede tale sanzione in caso di assenze ingiustificate anche non continuative per un numero di giornate superiore a tre in un biennio.
In giudizio, era risultato che una delle quattro giornate era caduta di domenica, che, unitamente al lunedì successivo, era stata considerata assenza ingiustificata perché la ricorrente aveva tardato due giorni dal chiedere la proroga del certificato di malattia dopo la sua scadenza. Pur riconoscendo che tale ritardo costituisce un inadempimento alla regola per cui la proroga di un certificato di malattia deve essere richiesta il giorno immediatamente successivo alla scadenza originaria, la Corte di Cassazione afferma che ciò non significa che, se il giorno di ritardo è una domenica, questa vada considerata come giorno di assenza ai fini disciplinari, proprio perché la domenica il dipendente non deve e non può effettuare la prestazione.
Tribunale di Bologna, 22 febbraio 2024.
Illegittimo il licenziamento del lavoratore agli arresti se l’impossibilità di svolgere la prestazione è temporanea e il datore può efficacemente sostituirlo.
Il Tribunale accoglie il ricorso del lavoratore sottoposto a provvedimenti restrittivi della libertà personale, che era stato licenziato dal datore di lavoro per giustificato motivo oggettivo, consistente nel venir meno dell’interesse a ricevere la prestazione lavorativa stante l’assenza forzata. Secondo il Giudice il recesso datoriale è illegittimo in quanto intimato dopo appena un mese di assenza del dipendente, senza peraltro attendere l’esito della richiesta di autorizzazione al lavoro avanzata dallo stesso al PM. Il Giudice ha tenuto in maggior considerazione il fatto che la società potesse agevolmente sopperire all’assenza avendo a disposizione vari dipendenti “jolly”, adibiti proprio alla sostituzione dei colleghi in caso di necessità. La società è stata quindi condannata a reintegrare in servizio il ricorrente e a corrispondergli un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione.