L’AZIENDA NON PUO’ IMPORRE IL TEST SIEROLOGICO AL LAVORATORE
In pieno periodo emergenziale continuano a trovare applicazione i principi in materia di riservatezza e protezione dei dati personali. Non è dunque ammissibile una raccolta di dati, specialmente sanitari, in modo aprioristico, generalizzato e sistematico.
Ha sollevato, fin da subito, numerose perplessità l’utilizzo in azienda di test rapidi di positività al virus, quando questi comportino la raccolta in modo generalizzato di dati sanitari. Proprio il 14.05.2020 il Garante della Privacy si è espresso in merito all’utilizzo di test sierologici in azienda.
Con apposita domanda inserita nelle FAQ dedicate al trattamento dei dati nel contesto lavorativo pubblico e privato nell’ambito dell’emergenza sanitaria, il Garante precisa che il datore di lavoro può richiedere l’effettuazione di test sierologici solo se disposta dal Medico Competente ed, in ogni caso, nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie. Solo il medico del lavoro infatti, nell’ambito della sorveglianza sanitaria, può stabilire la necessità di particolari esami clinici e biologici. E sempre il Medico Competente può suggerire l’adozione di mezzi diagnostici, quando li ritenga utili al fine del contenimento della diffusione del virus, nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie, anche riguardo alla loro affidabilità e appropriatezza.
Ciò significa che le imprese potranno aderire a campagne di screening pubbliche, senza poter però conoscere l’esito degli accertamenti effettuati. Laddove non vi siano campagne di screening pubbliche, e quindi, in mancanza di una base giuridica abilitante, l’alternativa è prevedere il carattere volontario del test, quindi il consenso liberamente espresso del lavoratore. Occorre sempre assicurare che l’effettuazione del test e la raccolta del dato avvengano attraverso l’azione di operatori sanitari e che siano incluse le garanzie di riservatezza e anonimato.
Resta fermo che le informazioni relative alla diagnosi o all’anamnesi familiare del lavoratore non possono essere trattate dal datore di lavoro (ad esempio, mediante la consultazione dei referti o degli esiti degli esami), salvi i casi espressamente previsti dalla legge. Il datore di lavoro può, invece, trattare i dati relativi al giudizio di idoneità alla mansione specifica e alle eventuali prescrizioni o limitazioni che il Medico Competente può stabilire come condizioni di lavoro.
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Legge n. 27 del 24 aprile 2020, pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 16 alla Gazzetta Ufficiale n. 110 del 29 aprile 2020. “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19. Proroga dei termini per l’adozione di decreti legislativi”.
In data 29 aprile 2020 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge di conversione 24 aprile 2020, n. 27, con modificazioni, del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18.
Cosa è cambiato rispetto al D.L. n. 18 del 2020? Quali sono le novità normative?
La legge di conversione del c.d. decreto “Cura Italia” ha apportato alcune modifiche al testo di quest’ultimo, non solo introducendo ad hoc nuove disposizioni, ma anche riformulando alcuni istituti di natura giuslavoristica per favorirne l’applicazione in questo contesto emergenziale.
Vediamo in concreto le NOVITÀ.
E’ stata stralciata dall’art. 19, comma 2 del decreto la previsione che obbligava i datori di lavoro – al momento della richiesta per il trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale “emergenza COVID-19” – a svolgere la consultazione e l’esame congiunto con le Organizzazioni Sindacali, anche in via telematica, entro 3 giorni a partire dalla comunicazione preventiva trasmessa alle stesse.
Pertanto, secondo la nuova previsione, la CIGO e l’assegno ordinario FIS per emergenza Covid-19, oltre a non essere sottoposti alle normali regole procedurali nonché ai limiti di durata disciplinati dal D.Lgs. n. 148 del 2015, non imporranno più neanche quel minimo di consultazione con le Organizzazioni Sindacali fino ad ora richiesto.
Con una norma di interpretazione autentica del D.L. n. 18 del 2020, viene introdotto l’art. 19bis, con cui viene ammessa la possibilità che i datori di lavoro che ricorrono agli ammortizzatori sociali con causale COVID-19 proroghino o rinnovino i contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione, in scadenza. In queste ipotesi di rinnovo/proroga si autorizza inoltre la deroga al generale obbligo di far intercorrere un periodo minimo di 10 giorni fra la data di scadenza di un contratto a termine ed il suo rinnovo, ovvero 20 giorni se il primo contratto a termine ha durata superiore a sei mesi (art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2015), nonché al generale divieto di stipulare contratti a termine da parte di aziende presso le quali sono in corso sospensioni o riduzioni dell’orario con intervento della cassa integrazione (art. 20, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 81 del 2015).
In tema di cassa integrazione in deroga, operando una aggiunta all’art. 22, comma 1 del D.L. n. 18 del 2020, viene stabilita la non necessarietà dell’accordo fra Organizzazioni Sindacali e Regione competente, oltre che per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti, anche a tutti quei “datori di lavoro che hanno chiuso l’attività in ottemperanza ai provvedimenti di urgenza emanati per far fronte all’emergenza epidemiologica da COVID-19“.
Vengono inoltre disciplinate due ipotesi aggiuntive ricorso alla cassa integrazione guadagni in deroga, alle quali solo i datori di lavoro con sede nei comuni della ex “zona rossa” per i dipendenti ivi impiegati (ossia i comuni di cui all’allegato 1 del DPCM 1 marzo 2020 – Bertonicco, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini, Vo’), nonché i datori con dipendenti comunque residenti in tali zone, potranno avere accesso. In particolare, per questi soggetti:
a) è stato previsto un trattamento di integrazione salariale per un massimo di altri 3 mesi (art. 22, comma 8bis);
b) viene disposta la possibilità per le Regioni della Lombardia, Emilia e Veneto di autorizzare una cassa in deroga ulteriore, di massimo 4 settimane (art. 22, comma 8quater).
La legge di conversione amplia poi la platea di lavoratori dipendenti ai quali viene riconosciuto il diritto a svolgere la propria prestazione in modalità agile, sempre a condizione che tale modalità sia compatibile con la natura delle mansioni espletate, prolungando inoltre il periodo entro in quale tale diritto potrà essere esercitato. Alle categorie di lavoratori a cui inizialmente l’art. 39 del D.L. n. 18 del 2020 attribuiva il diritto a poter lavorare da remoto – ossia i disabili nelle condizioni di cui all’art. 3, comma 3, della L. n. 104 del 1992, nonché i familiari di persona avente la medesima condizione di disabilità riconosciuta – si aggiungono ora i lavoratori immunodepressi ed i lavoratori familiari conviventi di persone immunodepresse. Per ciò che concerne il periodo entro il quale le citate categorie di lavoratori potranno far valere un diritto a svolgere la propria prestazione in regime di smart working, lo stesso viene esteso sino alla fine dell’emergenza epidemiologica nazionale, e non solo fino al 30 aprile 2020 come inizialmente previsto.
Un’altra modifica apportata dalla legge di conversione riguarda poi la rubrica dell’art. 46 del D.L. n. 18 del 2020, in precedenza erroneamente intitolata “Sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti“, laddove nel testo dell’articolo non si disponeva la sospensione delle impugnazioni dei licenziamenti, quanto piuttosto delle procedure di licenziamento collettivo e dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo. Dando ascolto alle critiche che all’indomani dell’entrata in vigore del decreto “Cura Italia” erano state sollevate dalla pressoché totalità dei commentatori, la rubrica dell’art. 46 è stata modificata in “Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo“. In sede di conversione il Legislatore precisa altresì che il divieto di intimare licenziamenti collettivi e la sospensione delle relative procedure nei 60 giorni successivi alla data del 17 marzo 2020 non debbano applicarsi qualora il personale interessato dal licenziamento sia impiegato nell’ambito di un appalto cessato e venga riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto medesimo.
Per i lavoratori autonomi, professionisti e co.co.co, ivi compresi i titolari di impresa iscritti all’AGO, alle forme esclusive e sostitutive della stessa o alla gestione separata, operanti o residenti nella c.d. “zona rossa” viene stabilita l’erogazione per tre mesi di un’indennità di 500 euro mensili, parametrata al periodo di sospensione dell’attività.
Da ultimo si segnala l’aggiunta all’interno del D.L. n. 18 del 2020 dell’art. 17bis volto a dettare una disciplina transitoria per i trattamenti dei dati sanitari e dei dati relativi a condanne penali e reati effettuati nel corso dell’emergenza sanitaria. Pur precisando che i principi fondamentali definiti dalla normativa italiana ed europea in materia di protezione dei dati personali rimangono pienamente applicabili anche nell’eccezionale contesto dell’emergenza pandemica, la legge di conversione stabilisce che i dati sanitari e quelli relativi a condanne penali e reati potranno essere trattati dalle autorità competenti alla gestione e contrasto dell’emergenza: Protezione Civile, Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, strutture pubbliche e private del servizio sanitario nazionale, nonché scambiati fra le medesime autorità, purché i trattamenti siano necessari all’espletamento delle loro funzioni nell’ambito dell’emergenza sanitaria.
Una soglia più elevata di scrutinio viene invece stabilita per le comunicazioni di tutti gli altri dati personali o delle comunicazioni effettuate nei confronti dei soggetti che non appartengono alle suddette autorità. In tal caso, i trattamenti saranno infatti giustificati solo se indispensabili (e non semplicemente necessari) all’espletamento delle funzioni collegate alla gestione dell’emergenza. Per le medesime autorità individuate dall’art. 17bis sono inoltre stabilite modalità semplificate di adeguamento ad alcuni adempimenti previsti dalla ordinaria normativa in materia di privacy: tali enti potranno infatti designare i soggetti autorizzati al trattamento anche in via orale e decidere di non espletare l’obbligo di informativa o espletarlo in via semplificata. La legge di conversione precisa nondimeno che, considerata la natura transitoria delle disposizioni, al termine dello stato di emergenza tutti i soggetti sopramenzionati dovranno adottare ogni misura necessaria a ricondurre i trattamenti effettuati in tale contesto all’ambito delle ordinarie competenze e delle regole che disciplinano i trattamenti di dati personali.
FASE 2 – D.P.C.M. 26 aprile 2020 “Ulteriori disposizioni attuative del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, applicabile sull’intero territorio nazionale”.
Il decreto, relativo alle prime misure di gestione della c.d. fase 2 dell’emergenza epidemiologica, applicabili su tutto il territorio nazionale per il periodo dal 4 al 17 maggio, contiene prescrizioni relative ai comportamenti individuali poco meno invasive di quelle precedenti e apre, con le dovute cautele, alla ripresa dell’attività produttiva manifatturiera e all’attività edilizia. Per ciò che riguarda i rapporti di lavoro, l’art. 1, primo comma lett. gg) del decreto estende in maniera generalizzata anche al settore privato la possibilità di adottare la modalità del lavoro agile di cui agli artt. 18 e 23 della L. n. 81 del 2017, anche in assenza dell’accordo tra le parti e con obblighi informativi semplificati.
INPS, messaggio 15 aprile 2020, n. 1621. Chiarimenti sulle modalità di fruizione del congedo COVID-19 di cui all’art. 23 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18.
Il congedo è istituito per la cura dei figli durante il periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado e può essere fruito da uno solo dei genitori oppure da entrambi ma non negli stessi giorni e nel limite complessivo di 15 giorni per nucleo famigliare. La fruizione è subordinata dalla condizione che nel nucleo famigliare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o altro genitore disoccupato o non lavoratore.
L’INPS nel messaggio in commento ha esaminato le situazioni di incompatibilità con il congedo COVID-19.
Il congedo COVID-19 non può essere fruito negli stessi giorni da entrambi i genitori, ma solo in modalità alternata tra gli stessi, per un totale complessivo di 15 giorni.
La fruizione del congedo COVID-19 è incompatibile con la richiesta del bonus alternativo per i servizi di baby-sitting.
Il congedo COVID-19 è incompatibile con la contemporanea fruizione del congedo parentale per lo stesso figlio da parte dell’altro genitore appartenente al nucleo famigliare.
Non è compatibile con la contemporanea fruizione da parte dell’altro genitore appartenente al nucleo dei c.d. riposi per allattamento.
Il congedo COVID-19 non può essere fruito dal genitore disoccupato o comunque privo di alcun rapporto di lavoro, sia di tipo subordinato sia autonomo. Qualora la cessazione dell’attività lavorativa intervenga durante la fruizione del congedo COVID-19, la fruizione si interromperà con la cessazione stessa del rapporto di lavoro.
La fruizione del congedo COVID-19 è incompatibile con la contemporanea percezione da parte dell’altro genitore appartenente al nucleo famigliare di strumenti a sostegno del reddito (CIGO, CIGS, CIG in deroga, Assegno ordinario, CISOA, NASpI, DIS-COLL). Tuttavia, nel caso in cui il genitore sia soggetto al trattamento di integrazione salariale per riduzione di orario di lavoro, per cui continua a dover prestare la propria attività lavorativa, l’altro genitore è ammesso alla fruizione del congedo COVID-19.
L’INPS ha poi esaminato le situazioni di compatibilità con la fruizione del congedo COVID-19.
In caso di malattia di uno dei genitori appartenente allo stesso nucleo famigliare, l’altro genitore può fruire del congedo COVID-19 oppure del congedo parentale.
In caso di congedo di maternità o di paternità dei lavoratori dipendenti, l’altro genitore non può fruire del congedo COVID-19. Qualora ci siano più figli nel nucleo famigliare (oltre al figlio per il quale si fruisce del congedo di maternità/paternità), è ammessa la fruizione del congedo COVID-19 da parte dell’altro genitore. Nel caso di percezione di indennità di maternità/paternità da parte degli iscritti alla Gestione separata o dei lavoratori autonomi, l’altro genitore può fruire del congedo COVID-19 solo se chi percepisce l’indennità di maternità/paternità sta prestando attività lavorativa durante il periodo indennizzabile.
La fruizione del congedo COVID-19 è compatibile con la prestazione di lavoro in modalità smart working.
La fruizione del congedo COVID-19 è compatibile con la contemporanea fruizione da parte dell’altro genitore della fruizione delle ferie.
Il congedo COVID-19 è compatibile con la fruizione dell’aspettativa non retribuita da parte dell’altro genitore appartenente al nucleo famigliare.
La fruizione del congedo COVID-19 è compatibile e fruibile anche durante le giornate di pausa contrattuale dell’altro genitore che svolge la propria attività lavorativa in part-time.
La fruizione del congedo COVID-19 è compatibile con la sospensione obbligatoria dell’attività da lavoro autonomo disposta durante il periodo di emergenza.
È fruibile il congedo COVID-19 nelle stesse giornate in cui l’altro genitore presente nel nucleo famigliare stia fruendo, anche dello stesso figlio, dei permessi ex L. n. 104 del 1992.
NOVITA’ GIURISPRUDENZIALI
COVID-19
Il Tribunale di Bologna, il 23 aprile 2020, ha emesso un ordine in via d’urgenza all’impresa: va assegnata al lavoro agile la lavoratrice invalida e con figlia disabile.
Nel caso di specie, una lavoratrice aveva richiesto alla società datrice di lavoro di poter usufruire della formula lavorativa in smart working durante il periodo di emergenza Covid-19 in quanto invalida in misura pari al 60% e convivente con la figlia con handicap grave accertato.
Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto la sussistenza sia del fumus bonis iuris sia del periculum in mora.
Nell’attuale situazione di emergenza il lavoro da casa è raccomandato o imposto dalla normativa recente. Infatti, l’art. 1, comma 7, D.P.C.M. del 3 marzo 2020 raccomanda il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.
L’art. 39 del D.L. n. 18 del 2020, poi, prevede che nel periodo dell’emergenza Covid-19 i lavoratori in condizione di disabilità abbiano diritto a svolgere la prestazione in modalità agile, ove compatibile con le caratteristiche della prestazione.
Pertanto, il Tribunale ha emesso un ordine in via d’urgenza a favore della lavoratrice per lo svolgimento del lavoro dal domicilio, considerato che la stessa svolgeva le proprie mansioni con l’utilizzo del telefono e degli strumenti informatici e che uscire da casa per recarsi al lavoro la esponeva ad un grave rischio per la sua salute e quella della figlia.
Tribunale di Grosseto, 23 aprile 2020- Emergenza Covid-19: no all’imposizione delle ferie e diritto al lavoro agile per il lavoratore affetto da una
patologia grave.
Un lavoratore, portatore di una invalidità civile per grave patologia, propone ricorso d’urgenza per essere ammesso a svolgere l’attività lavorativa in modalità agile, attivata per altri colleghi in costanza della pandemia del coronavirus. Il Tribunale, nell’accogliere il ricorso, osserva che in materia di lavoro agile la normativa emergenziale prevede la priorità di accesso al lavoro agile per i soggetti affetti da gravi patologie; inoltre, ritiene il Giudice che, ove sia possibile svolgere la prestazione con tale modalità, il datore di lavoro non possa imporre il ricorso alle ferie in modo indiscriminato o penalizzante.
CESSIONE D’AZIENDA
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 7977 del 21 aprile 2020, si è pronunciata sull’obbligo retributivo del cedente in caso di invalidità della cessione d’azienda.
L’ordinanza conferma la recente giurisprudenza della Corte sulla permanenza dell’obbligo retributivo del cedente in caso di cessione di azienda dichiarata invalida, anche nel caso in cui il lavoratore ceduto e che impugna la cessione prosegua di fatto la sua prestazione presso il cessionario e sia da questi retribuito. Nel caso esaminato, il dipendente ceduto era stato poi licenziato collettivamente dal cessionario, sicché il cedente aveva eccepito, nel giudizio in cui il lavoratore aveva chiesto il pagamento della retribuzione, anche la cessazione comunque del rapporto di lavoro, ritenuta viceversa irrilevante dalla Corte, in base alla regola indicata.
INDAGINE INVESTIGATIVA
Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 17 marzo 2020, n. 167, ha stabilito che è illegittimo il licenziamento fondato sui risultati delle indagini condotte da un unico investigatore appostato ininterrottamente per molte ore durante la giornata.
Il Tribunale conferma, in sede di opposizione nel rito Fornero, l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato a una lavoratrice per asserito utilizzo improprio dei permessi ex L. n. 104 del 1992, fondato sugli esiti di indagini affidate dal datore di lavoro a un investigatore privato.
In particolare il Giudice, dopo la parziale confutazione del contenuto degli esiti di tali indagini da parte dei testimoni, afferma come i controlli assegnati ad un solo investigatore e svolti da quest’ultimo ininterrottamente per molte ore nell’arco della giornata, siano scarsamente attendibili. Il fatto di trascorrere molte ore in solitudine nell’autovettura, comporterebbe infatti un elevato rischio di stanchezza, distrazione e di conseguenza un errore nello svolgimento del controllo, determinando peraltro la violazione delle buona pratiche del settore che prevedono pause regolari e lo svolgimento dell’attività di vigilanza in coppia.
Con una norma di interpretazione autentica, che inusualmente riscrive le disposizioni sugli ammortizzatori sociali per COVID-19, il decreto Cura Italia n. 18 del 2020, convertito in legge, ha inteso preservare dal rischio della disoccupazione i lavoratori a termine o in somministrazione che, messi in integrazione salariale dal proprio datore di lavoro a seguito della crisi epidemiologica, al termine del contratto sono stati licenziati, in quanto lo stesso non è stato prorogato o rinnovato.
L’art. 19 bis introdotto in sede di conversione prevede che
“Considerata l’emergenza epidemiologica da COVID-.19, ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto, nei termini ivi indicati, è consentita la possibilità, in deroga alle previsioni di cui agli articoli 20, comma 1, lettera c), 21, comma 2, e 32, comma 1, lettera c), del D.L.vo n. 81/2015, di procedere nel medesimo periodo, al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione”. Per poter consentire l’erogazione del trattamento integrativo in favore dei lavoratori con contratto a tempo determinato, anche in somministrazione, prorogato o rinnovato, il Legislatore ha derogato agli articoli: a) 20, comma 1, lettera c) che vieta l’assunzione di lavoratori a tempo determinato presso unità produttive ove sono in corso sospensioni a zero ore o riduzioni di orario in regime di integrazione salariale, che riguardano dipendenti adibiti a mansioni alle quali si riferisce il contratto a termine; b) 21, comma 2, secondo il quale se un lavoratore viene riassunto a tempo determinato entro dieci giorni (di calendario) dalla scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero di venti giorni (anche questi di calendario) dalla data di scadenza di un contratto superiore a tale limite, il secondo contratto si trasforma a tempo indeterminato; c) 32, comma 1, lettera c) che vieta, in perfetto “pendant” con l’art. 20, comma 1, lettera c), l’utilizzazione di lavoratori in somministrazione presso datori di lavoro che hanno messo in integrazione salariale a zero ore o ad orario ridotto propri dipendenti che sono adibiti alle stesse mansioni ai quali si riferiscono i contratti di somministrazione. La norma è agganciata, unicamente, all’emergenza COVID-19: quindi, al termine della stessa, tutto tornerà come prima. Di conseguenza, essa trova applicazione, unicamente, in caso di utilizzo degli ammortizzatori sociali per tale specifica causale, di cui al D.L. n. 18/2020, alla circolare INPS n. 47/2020, alla circolare n. 8/2020 del Ministero del Lavoro (quindi in caso di CIGO, FIS, Fondi bilaterali alternativi, CISOA, Cassa in deroga), ammortizzatori il cui ricorso è limitato al periodo 23 febbraio – 31 agosto per un massimo di 9 settimane.
Il Legislatore parla di proroghe e rinnovi di contratti in corso o già esistenti (e scaduti durante il periodo di integrazione salariale), ma non consente l’assunzione, per la prima volta, di un lavoratore a termine, a tempo indeterminato o l’utilizzazione di un somministrato, pur in presenza del COVID-19, per mansioni uguali a quelle dei lavoratori sospesi o ad orario ridotto. Il Legislatore ha tolto limiti di natura legale ma non lo 0,5% progressivo che continua ad applicarsi con la sola eccezione delle ragioni sostitutive, dei contratti stagionali ex DPR n. 1525/1963, dei contratti definiti come stagionali dalla contrattazione collettiva per la Provincia Autonoma di Bolzano, dei contratti fino a tre giorni per servizi particolari nei pubblici esercizi e nel turismo, dei contratti a termine per lavoro domestico, dei contratti stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni, dei contratti a termine del settore agricolo e degli apprendisti.
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Nell’ipotesi in cui ci siano casi accertati di coronavirus in occasione di lavoro, il medico che lo certifica dovrà redigere il certificato di infortunio da trasmettere telematicamente all’INAIL. In tale ipotesi, l’ente erogherà le prestazioni anche nel periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria del lavoratore con la conseguente astensione dal lavoro(art. 42, co. 4 D.L. 18/2020).
Gli eventi lesivi derivanti da infezioni da nuovo coronavirus – in occasione di lavoro – gravano sulla gestione assicurativa dell’INAIL, ma non entrano a far parte del bilancio infortunistico dell’azienda in termini di oscillazione in malus del tasso applicato.
La CIRCOLARE INAIL n. 13 del 2020 è intervenuta a fornire chiarimenti in merito alla disposizione in commento.
Casi affetti da Covid-19 accertati in occasione di lavoro (comma 2, art. 42, D.L. n. 18 del 2020).
L’INAIL tutela le infezioni da coronavirus occasionate sul lavoro come ipotesi di infortunio sul lavoro.
Destinatari della tutela sono tutti i lavoratori dipendenti, nonché i lavoratori parasubordinati, gli sportivi professionisti dipendenti e i lavoratori appartenenti all’area dirigenziale.
Specifica poi la Circolare che, nell’attuale situazione pandemica l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari, per i quali vige la presunzione semplice di origine professionale, considerata l’altissima probabilità che tali operatori vengano a contatto con il Covid-19.
Ad una condizione di elevato rischio di contagio vengono poi ricondotte anche altre categorie di lavoratori per i quali vige la presunzione semplice di origine professionale. In via esemplificativa: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizia, operatori del trasporto infermieri.
Qualora l’episodio che ha determinato il contagio del lavoratore non sia noto, ovvero non si possa presumere che il contagio si sia verificato in considerazione delle mansioni svolte, l’accertamento medico legale seguirà l’ordinaria procedura, privilegiando l’elemento epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.
Il certificato medico, che il medico certificatore trasmetterà telematicamente all’INAIL, dovrà contenere:
i dati anagrafici del lavoratore e del datore di lavoro;
data dell’evento e del contagio;
data di astensione dal lavoro per inabilità temporanea assoluta conseguente al contagio da virus, ovvero la data di astensione per quarantena o permanenza domiciliare fiduciaria del lavoratore legata all’accertamento del contagio;
qualora non vi sia una presunzione semplice di origine professionale, il medico dovrà indicare la causa o le circostanze di contagio.
Ai fini della certificazione dell’avvenuto contagio l’INAIL ritiene valida qualsiasi documentazione clinico-strumentale in grado di attestare il contagio stesso.
Come per tutti gli altri casi di infortunio sul lavoro, i datori di lavoro devono procedere con la trasmissione della denuncia/comunicazione dell’infortunio, ai sensi dell’art. 53 D.P.R. n. 1124 del 1965.
Particolare attenzione dovrà essere apprestata nella compilazione dei campi relativi alla data dell’evento, alla data dell’abbandono del lavoro e alla data di conoscenza dei riferimenti della certificazione medica attestante l’avvenuto contagio.
Viene precisato che, in merito alla decorrenza della tutela INAIL, il termine iniziale decorre dal primo giorno di astensione dal lavoro attestato da certificazione medica di avvenuto contagio, ovvero dal primo giorno di astensione dal lavoro coincidente con l’inizio della quarantena sempre per contagio da Covid-19.
Infortunio sul lavoro in itinere durante il periodo di emergenza Covid-19.
In base a quanto disposto nella Circolare n. 13 del 2020, gli eventi di contagio da nuovo coronavirus accaduti durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, sono configurabili come infortunio in itinere.
Poiché il rischio di contagio è molto più probabile in aree o a bordo di mezzi pubblici affollati, al fine di ridurne la portata, la Circolare prevede che, per tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di prestazioni da rendere in presenza sul luogo di lavoro è considerato necessitato l’uso del mezzo privato. Tale deroga vale per tutta la durata del periodo di emergenza epidemiologica, secondo le disposizioni e i tempi dettati in materia dalle autorità competenti.
Casi di dubbia competenza INAIL/INPS.
Nei casi di dubbia competenza, ai sensi della circolare Inail n. 47/INPS n. 69 del 2 aprile 2015, relativi ai lavoratori per i quali vige la convenzione tra Inail e Inps per l’erogazione della indennità per inabilità temporanea assoluta da infortunio sul lavoro, da malattia professionale e da malattia comune e per i quali è escluso il contagio da nuovo coronavirus in occasione di lavoro, la tutela INAIL non è dovuta ed è necessario procedere alla segnalazione del caso all’INPS, con l’allegazione di tutta la documentazione sanitaria agli atti della pratica al fine di evitare la sovrapposizione di tutela assicurativa.
La segnalazione è trasmessa, mediante la modulistica in uso, tempestivamente alla Sede Inps competente che, previa valutazione in ordine alla riconduzione del caso al proprio campo di azione, trasmette all’Inail il modello attestante il suo accoglimento.
Parimenti, l’INPS, ai sensi delle disposizioni vigenti, procede nei riguardi dell’INAIL laddove rilevi che l’evento denunciato non rientrando nella propria competenza è invece oggetto di tutela assicurativa Inail.
La Sede Inail, in questa fattispecie, previa valutazione in ordine alla riconduzione del caso alla propria
Si segnala, inoltre, che per quanto riguarda gli eventi lesivi afferenti ai lavoratori per i quali non spetta l’indennità di malattia ai sensi della suddetta convenzione, quali per esempio lavoratori assicurati nella speciale gestione per conto dello stato, lavoratori autonomi, lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, etc., laddove venga escluso il contagio in occasione di lavoro, la tutela INAIL non è dovuta ed è esclusa la segnalazione del caso per l’attribuzione della competenza all’Inps.
Erogazione Fondo gravi infortuni.
Ai familiari di tutte le categorie dei lavoratori, quindi non soltanto dei soggetti assicurati con INAIL, spetta, nell’ipotesi di decesso del lavoratore, la prestazione economica una tantum prevista dal Fondo delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.
LAVORATORI IN QUARANTENA CON SORVEGLIANZA ATTIVA EQUIPARATI A MALATTIA (art. 26 D.L. 18/2020).
Il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria dai lavoratori del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e NON è computabile ai fini del periodo di comporto.
Il medico curante redige il certificato di malattia con gli estremi del provvedimento che ha dato origine alla quarantena con sorveglianza attiva o alla permanenza domiciliare. Sono considerati validi i certificati di malattia trasmessi, prima dell’entrata in vigore della presente disposizione, anche in assenza del provvedimento di cui al comma 3 da parte dell’operatore di sanità pubblica.
In deroga alle disposizioni vigenti, gli oneri a carico del datore di lavoro, che presentano domanda all’ente previdenziale, e degli Istituti previdenziali connessi con le tutele di cui al presente articolo sono posti a carico dello Stato nel limite massimo di spesa di 130 milioni di euro per l’anno 2020.
Qualora il lavoratore si trovi in malattia accertata da COVID-19, il certificato è redatto dal medico curante
nelle consuete modalità telematiche, senza necessità di alcun provvedimento da parte dell’operatore di sanità pubblica.
FAQ INAIL
L’infezione da nuovo Coronavirus è una malattia professionale o un infortunio?
Nella nota della Direzione centrale rapporto assicurativo e della Sovrintendenza sanitaria centrale INAIL del 17 marzo 2020, si chiarisce che l’infezione da nuovo Coronavirus va trattata come infortunio sul lavoro (malattia-infortunio). Il presupposto tecnico-giuridico è quello dell’equivalenza tra causa violenta, richiamata per tutti gli infortuni, e causa virulenta, costituita dall’azione del nuovo Coronavirus.
Quali sono le modalità di riconoscimento dell’infortunio da nuovo Coronavirus?
Sono da ammettersi a tutela Inail tutti i casi in cui sia accertata la correlazione con il lavoro. In alcune categorie, per le quali si sia estrinsecato il cosiddetto “rischio specifico”, vale la presunzione di esposizione professionale. Per gli eventi riguardanti gli altri casi, si applicherà l’ordinaria procedura di accertamento medico-legale che si avvale essenzialmente dei seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.
Quali sono le categorie di lavoratori che si avvalgono della presunzione semplice?
Rientrano appieno nell’assunto di rischiosità specifica, per la quale l’accertamento medico-legale si avvale della presunzione semplice, le fattispecie riguardanti gli operatori sanitari. Nell’attuale situazione pandemica, questo rischio specifico connota anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno delle strutture sanitarie con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, ecc… Questo elenco, anticipato anche nella circolare Inail n. 13, è solo esemplificativo, ma non esaurisce la numerosità delle categorie che possono avvalersi della presunzione di esposizione professionale.
Tra le altre categorie con rischio specifico rientrano gli operatori sociosanitari delle Residenze sanitarie assistenziali (RSA) e i tassisti?
Queste categorie, in parte già esplicitate nell’elenco esemplificativo proposto nella circolare n. 13 del 3 aprile 2020, rientrano appieno tra quelle di lavoratori con elevato rischio di contagio per le quali far valere la presunzione di esposizione professionale.
La tutela INAIL opera anche per altri lavoratori?
Certamente sì. Sono ammessi a tutela tutte le altre categorie di lavoratori che esercitano attività, mansioni e compiti diversi anche per le modalità stesse di espletamento. Per questo amplissimo raggruppamento di lavoratori, non potendosi far valere la presunzione di origine professionale, l’assunzione in tutela seguirà al positivo accertamento medico-legale. Quest’ultimo sarà ispirato all’ordinaria procedura medico-legale, privilegiando gli elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.
Sono tutelati anche i casi di infezione avvenuti in itinere?
Sì, l’infezione da Covid-19 tutelabile può essere derivata anche da infortunio in itinere. Posto che in quest’ultima fattispecie non sono catalogati soltanto gli accidenti da circolazione stradale, ma tutti quelli occorsi al lavoratore assicurato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, anche gli eventi di contagio da nuovo coronavirus accaduti durante tale percorso sono configurabili come infortunio in itinere. Per tale evento l’accertamento medico-legale si avvarrà di altri elementi di asseverazione, in aggiunta a tutti quelli già richiamati in precedenza, come per esempio dell’esame della tipologia di mezzo utilizzato, del percorso e della frequenza degli spostamenti.
In caso di infezione da nuovo Coronavirus o di sospetto di contagio in occasione di lavoro, cosa si deve fare?
Come per gli altri casi di infortunio, il datore di lavoro deve procedere alla denuncia/comunicazione di infortunio ai sensi dell’art. 53 del DPR 30 giugno 1965, n. 1124 e s.m. Il medico certificatore che ha fornito la prima assistenza deve trasmettere all’INAIL il certificato di infortunio.
Da quando parte la tutela INAIL?
La conferma diagnostica rappresenta il momento della regolarizzazione del caso da cui far decorrere la tutela. Qualora il soggetto sia stato in malattia (all’epoca sospetta Covid-19) e, quindi, in quarantena o in isolamento fiduciario domiciliare, la conferma del test consentirà la regolarizzazione del caso con decorrenza dal momento della attestata assenza dal lavoro. La nota della Direzione centrale rapporto assicurativo e della Sovrintendenza sanitaria centrale del 17 marzo 2020, infatti, precisa che la tutela INAIL copre l’intero periodo di quarantena.
Quando il caso è, invece, da porre in riserva di regolarità?
La riserva di regolarità deve essere posta in tutti i casi in cui i dati sanitari disponibili non consentono di porre diagnosi di certezza, anche per le categorie di lavoratori a rischio richiamati nella nota della Direzione centrale rapporto assicurativo e della Sovrintendenza sanitaria centrale Inail del 17 marzo 2020. In caso di assenza di infezione da nuovo Coronavirus, il caso non potrà essere accolto dall’INAIL per mancanza dell’evento tutelato, cioè della malattia. La qualificazione di Covid-19 quale infortunio INAIL è oggi fondata sulla positività del test di conferma. Allo stato la diagnosi di sospetto clinico, data la variabilità di quadri e la sovrapposizione con altri processi morbosi, non è da solo utile per ammissione a tutela. Tuttavia, stante la segnalata incostanza nell’effettuazione dei test su tampone, secondaria alle difficoltà operative in fase di emergenza, in tali fattispecie può intendersi per conferma diagnostica ai fini medico-legali-indennitari, la ricorrenza di un quadro clinico suggestivo di Covid19, accompagnato da una rilevazione strumentale altrettanto suggestiva, in compresenza di elementi anamnestico-circostanziali ed epidemiologici dirimenti. Potrà confortare la diagnosi il risultato del test sierologico, qualora disponibile. Chi tutela la quarantena?
Nel caso di infezione riconosciuta come malattia-infortunio INAIL, il periodo di quarantena viene tutelato dall’Istituto. La tutela copre l’intero periodo di quarantena e quello eventualmente successivo, dovuto a prolungamento di malattia che determini una inabilità temporanea assoluta al lavoro. In tutti gli altri casi, stante quanto previsto dal DPCM del 4 marzo 2020, il periodo di sorveglianza sanitaria con isolamento fiduciario è di competenza Inps. La misura cautelativa e osservazionale della quarantena viene codificata nelle certificazioni Inps con il codice V29.0.
L’INAIL ha chiuso i propri ambulatori medici al pubblico?
No, l’Inail continua ad erogare i propri servizi sul territorio nazionale. Ha però provveduto, anche sulla base delle disposizioni dei decreti del presidente del Consiglio dei Ministri e dei decreti legge emanati nel tempo, a riorganizzare le attività sanitarie al fine di contenere la diffusione del contagio.
Le attività sanitarie clinico-ambulatoriali continuano a essere erogate presso le sedi INAIL?
Si, nelle note e manate dal direttore generale Inail, è stato sempre ribadito il ruolo sinergico dell’Istituto nei confronti del Servizio sanitario nazionale e questo ha trovato riscontro nella normativa emergenziale di riferimento, tra la quale si richiama il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18. Ne deriva che devono continuare ad essere garantite queste attività.
In caso di infortunio, ci si deve recare fisicamente presso le strutture dell’INAIL?
In questa fase emergenziale, in cui non devono avvenire spostamenti dal proprio domicilio se non giustificati, è preferibile contattare telefonicamente la sede per avere indicazioni in merito alle azioni da intraprendere. La Sovrintendenza sanitaria centrale ha impartito, infatti, istruzioni per la trattazione medico-legale dei casi che riducono allo stretto indispensabile gli accessi presso le sedi e ha indicato le misure organizzative per assicurare comunque adeguate cure ai soggetti tutelati.
COVID 19 -Protocollo aziendale sicurezza anti covid-19:
obblighi e sanzioni per il datore di lavoro e l’azienda
Misure a tutela dei lavoratori da applicarsi nelle aziende per cui l’attività non sia sospesa e conseguenze sanzionatorie.
Con i provvedimenti susseguitisi dal 23.02.2020 ad oggi, il Governo ha introdotto specifiche misure volte a contrastare il contagio anche negli ambienti lavorativi.
Con il DPCM del 22.03.2020 il Governo ha stabilito la sospensione della maggior parte delle attività produttive, prevedendo, invece, per quelle la cui attività non è sospesa, l’identificazione di misure precauzionali finalizzate a contenere il rischio di contagio.
Con DPCM dell’11.03.2020, è stato richiesto alle imprese di applicare, ove possibile, la modalità di lavoro agile (c.d. smart working). Qualora non fosse stato possibile eseguire l’attività lavorativa mediante lo strumento dello smart working, il Governo, ha decretato l’incentivo della fruizione delle ferie e dei congedi retribuiti per i propri dipendenti.
Per proteggere la salute dei lavoratori, è stata imposta (si trattava di una RACCOMANDAZIONE) alle aziende l’adozione di protocolli di sicurezza anti contagio, la sanificazione dei luoghi di lavoro ed, infine, la limitazione degli spostamenti all’interno dei siti produttivi e l’accesso ai luoghi comuni.
Tali raccomandazioni sono state poi implementate (il 14.03.2020) dal Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid-19 che ha fornito indicazioni operative per l’implementazione delle necessarie misure precauzionali a tutela della salute dei lavoratori. È stato stabilito in 13 punti (dove la informazione del lavoratore e la responsabilizzazione dello stesso sono fondamentali):
l’obbligo di rimanere presso il proprio domicilio qualora si manifestassero sintomi influenzali, avvisando inoltre il proprio medico e il datore di lavoro;
il divieto di ingresso in azienda per coloro che, nei 14 giorni precedenti, sono stati in contatto con persone affette da Covid-19;
la eliminazione o riduzione di contatto con i dipendenti dell’azienda da parte dei fornitori esterni;
la pulizia giornaliera e sanificazione periodica degli ambienti di lavoro. Qualora ci fosse stata all’interno del luogo di lavoro una persona affetta da Covid-19, il datore dovrà sanificare l’azienda secondo le modalità indicate nella Circolare del Ministero della Salute n. 5443 del 22.03.2020;
precauzioni igieniche sanitarie mettendo a disposizione dei dipendenti igienizzanti mani;
DPI, quali: mascherine, occhiali, guanti, tute, cuffie, camici. L’utilizzo è maggiormente obbligatorio soprattutto qualora non si riuscisse a far mantenere ai dipendenti la distanza interpersonale di un metro e mezzo;
gli spazi comuni devono essere ventilati, puliti e sanificati;
entrata ed uscita dei dipendenti ad orari scaglionati, prevedendo anche percorsi distinti per evitare il contatto tra essi;
in caso di persona sintomatica in azienda il datore deve: isolare tale soggetto ed i colleghi presenti all’interno del medesimo locale. Inoltre deve collaborare con le autorità sanitarie affinché si possano identificare le persone a stretto contatto con il contagiato;
costituzione in azienda di un “comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione” a cui devono partecipare le rappresentanze sindacali aziendali ed il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Nell’ipotesi di inosservanza delle misure di contenimento del virus inizialmente il Governo aveva disposto l’applicazione dell’art. 650 c.p. (“Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”), che prevede l’arresto fino a 3 mesi e l’applicazione di una ammenda fino a 206,00 Euro.
Con il D.L. n. 19 del 25.03.2020, art. 4, il Governo ha sostituito la precedente contravvenzione con la sanzione amministrativa da Euro 400,00 ad Euro 3.000,00 oltre alla chiusura dell’attività da 5 a 30 giorni.
Accanto all’organo prefettizio, l’attività di vigilanza e verifica si occuperanno SPISAL e ITL.
Qualora si verificassero casi di contagio in azienda, il datore di lavoro e tutti i soggetti titolari di poteri e doveri in materia di tutela della salute dei lavoratori potrebbero essere chiamati a rispondere del delitto di lesioni colpose, ovvero di omicidio colposo in caso di decesso dei contagiati, anche laddove venga rilevato che l’azienda non ha tempestivamente adottato ed attuato in maniera efficace tutte le misure precauzionali previste nel Protocollo del 14.03.2020. Tali fattispecie possono fondare anche la responsabilità dell’azienda ai sensi dell’art. 25septies del D. Lgs. n. 231 del 2001.
Altrettanto significativa potrebbe essere la circostanza che il datore di lavoro non abbia costituito il comitato di controllo affinché lo stesso verificasse la corretta adozione delle misure di contenimento del virus nei locali aziendali.
novitÀ’ giurisprudenziali
MALATTIA DEL LAVORATORE
Con sentenza n. 7566 del 27.03.2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata in ambito di visita medica precedente alla ripresa del lavoro da parte del dipendente a seguito del periodo di malattia superiore a 60 giorni.
L’art. 41 del D. Lgs. n. 81 del 2008 prevede tra gli strumenti della sorveglianza sanitaria anche l’effettuazione di una visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute superiore ai 60 giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità della mansione.
Secondo la Suprema Corte, la norma va letta nel senso che la “ripresa del lavoro” è costituita dalla concreta assegnazione del lavoratore, quand’egli faccia ritorno in azienda dopo un’assenza per motivi di salute prolungatasi per oltre 60 giorni, alle medesime mansioni già svolte in precedenza, essendo queste soltanto le mansioni per le quali sia necessario compiere una verifica di idoneità e cioè accertare se il lavoratore possa sostenerle senza pregiudizio o rischio per la sua integrità psicofisica.
Si rileva che nella situazione di emergenza sanitaria, il lavoratore che rientri al lavoro dopo un periodo di malattia cagionata dal Covid-19 o sia stato assente dal servizio in quanto in quarantena per periodi superiori a 60 giorni, dovrà essere sottoposto a visita medica.
MOBILITÀ IN DEROGA
La Corte di Cassazione, con sentenza del 19.03.2020 n. 7470, ha disposto che è “dovuta la corresponsione anticipata dell’intera indennità in deroga, anche se il finanziamento è disposto anno per anno”.
La Corte di Cassazione aveva già affermato in passato che, poiché l’art. 7, co. 5, L. n. 223 del 1991 consente ai lavoratori in mobilità di richiedere la corresponsione anticipata della indennità di mobilità al fine di intraprendere una attività autonoma o di associarsi in cooperativa e, poiché l’erogazione in un’unica soluzione in via anticipata di più ratei della indennità di mobilità determina il mutamento della natura dell’indennità stessa, la quale assume la natura di contributo finanziario destinato a sopperire alle spese iniziali di una attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio, l’erogazione anticipata della indennità può essere richiesta anche per intraprendere una attività di natura imprenditoriale. La ratio dell’art. 7 della L. n. 223 del 1991 è quella di agevolare l’inserimento nel lavoro dei lavoratori collocati in mobilità. Perde, pertanto, la sua connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale e si configura come un contributo finanziario destinato a sopperire le spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio.
PATTO DI PROVA
La Corte di Cassazione con ordinanza del 9.03.2020 n. 6633 ha stabilito che è “nullo il patto di prova dopo altri rapporti di lavoro a termine”.
La causa del patto di prova va individuata nella tutela dell’interesse comune alle parti del rapporto di lavoro in quanto diretto ad attuare un esperimento attraverso il quale, sia il datore di lavoro sia il lavoratore possono saggiare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto.
Nel caso di specie il lavoratore era stato licenziato per mancato superamento della prova, nonostante in precedenza avesse trattenuto con lo stesso datore di lavoro per mansioni identiche altri rapporti a termine contenenti patti di prova superati.
Pertanto, la Corte ha ribadito il principio della nullità del patto di prova apposto ad un contratto a tempo indeterminato se lo stesso era stato preceduto da altri rapporti di lavoro a tempo determinato con la medesima impresa per lo svolgimento delle medesime mansioni.
SOLIDARIETÀ COMMITTENTE E SUBFORNITORE
Secondo quanto disposto nell’ordinanza n. 6299 del 5.03.2020 della Corte di Cassazione, il committente risponde solidalmente con il subfornitore dei crediti retributivi previdenziali dei dipendenti di quest’ultimo.
La L. n. 192 del 1998 risponde ad una funzione regolativa dell’integrazione della prestazione del subfornitore nel processo produttivo dell’impresa committente in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa medesima.
Riguardo al dubbio circa l’applicabilità della regola della solidarietà anche ai rapporti tra committente e al subfornitore era già intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza n. 254 del 2017. Il Giudice delle Leggi – cui la Cassazione si allinea – ha ritenuto che l’estensione della responsabilità solidale del committente ai crediti di lavoro dei dipendenti del subfornitore costituisse il naturale corollario della tesi che configura la subfornitura come “sottotipo” dell’appalto. La ratio dell’introduzione della responsabilità solidale del committente sta nel fatto di voler evitare il rischio che i meccanismi di decentramento e di dissociazione tra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale.
Con Circolare n. 13 del 3.04.2020 l’INAIL ha fornite indicazioni in merito alla tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da Coronavirus in occasione di lavoro.
Tutela infortunistica Inail nei casi di infezione da Coronavirus in occasione di lavoro.
L’art. 42, co. 2, del DL 17.03.2020, n. 18 (c.d. decreto “Cura Italia”) stabilisce che “nei casi accertati di infezione da Coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da Coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati”.
Contenuto: la disposizione in esame chiarisce che la tutela assicurativa INAIL, spettante nei casi di contrazione di malattie infettive e parassitarie negli ambienti di lavoro e/o nell’esercizio delle attività lavorative, opera anche nei casi di infezione da Covid-19 contratta in occasione di lavoro per tutti i lavoratori assicurati all’Istituto.
Destinatari della tutela: lavoratori dipendenti e assimilati, in presenza dei requisiti soggettivi previsti dal DPR 30.06.1965, n. 1124, nonché gli altri soggetti previsti dal D.Lgs. 23.02.2000, n. 38 (lavoratori parasubordinati, sportivi professionisti dipendenti e lavoratori appartenenti all’area dirigenziale) e dalle altre norme speciali in tema di obbligo e tutela assicurativa INAIL.
Principio della presunzione semplice: per gli operatori sanitari esposti ad un elevato rischio di contagio vige la presunzione semplice di origine professionale, considerata la elevatissima probabilità che essi vengano a contatto con il nuovo Coronavirus. A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza (quali, a titolo esemplificativo, lavoratori che operano in front-office, alla cassa, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, ecc.).
Altri casi oggetto di tutela: nei casi in cui manca l’indicazione o la prova di specifici episodi contagianti o comunque di indizi “gravi precisi e concordanti” tali da far scattare la presunzione semplice, l’accertamento medico-legale seguirà l’ordinaria procedura privilegiando essenzialmente i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.
Infortuni in itinere: sono tutelati dall’Istituto, inoltre, anche i casi di contagio da COVID-19 avvenuti nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro.
Termine iniziale: decorre dal primo giorno di astensione dal lavoro, attestato dalla certificazione medica per avvenuto contagio, ovvero dal primo giorno di astensione dal lavoro coincidente con l’inizio della quarantena, sempre per contagio da nuovo Coronavirus.
Si ricorda che
il medico certificatore deve predisporre e trasmettere telematicamente all’INAIL il certificato medico d’infortunio;
permane, per il datore di lavoro, l’obbligo di denuncia/comunicazione di infortunio quando viene a conoscenza del contagio occorso al lavoratore.
In caso di decesso ai familiari spetta anche la prestazione economica una tantum del Fondo delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, prevista anche per i lavoratori non assicurati con l’INAIL.
Il D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto “Cura Italia”), all’art. 103, co. 2, prevede che “tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020, conservano la loro validità fino al 15 giugno 2020”. Il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) è da ritenersi incluso tra i documenti di cui alla citata disposizione.
È stato dunque stabilito che i Documenti attestanti la regolarità contributiva denominati “Durc On Line” che riportano nel campo “Scadenza validità” una data compresa tra il 31.01.2020 e il 15.04.2020 conservano la loro validità fino al 15.06.2020 (le date del 31.01.2020 e del 15.04.2020 sono incluse).
Il DURC online può essere utilizzato, entro il periodo di validità, in tutti i procedimenti in cui sia richiesto. Per tutto il medesimo periodo è inibita la possibilità di attivare una nuova interrogazione per lo stesso codice fiscale.
IL DURC NEGLI APPALTI PUBBLICI A SEGUITO DELL’EMERGENZA CORONAVIRUS
L’art. 30, co. 5 e l’art. 105, co. 9, del Codice degli appalti (D.Lgs. 50/2016), prevedono che, in fase di esecuzione del contratto, sia verificata d’ufficio dalla stazione appaltante, prima del pagamento del prezzo d’appalto, la regolarità contributiva. Nel caso in cui da tale verifica risulti un DURC negativo, la stazione appaltante provvede al pagamento diretto dei contributi previdenziali, con trattenuta del prezzo dovuto per l’appalto. Non si ha, dunque, la risoluzione del contratto di appalto.
Con messaggio n. 1374 del 25.03.2020, l’INPS conferma quanto previsto con il Decreto “Cura Italia” circa la validità fino al 15.06.2020 dei “Durc On Line” che riportano come scadenza validità una data compresa tra il 31.01.2020 e il 15.04.2020 (incluse).
D’intesa con l’INAIL sono state fornite le seguenti indicazioni operative.
Tutti i soggetti per i quali è stato già prodotto un “Durc On Line” con data di fine validità compresa tra il 31.01.2020 e il 15.04.2020, ovvero i richiedenti ai quali sia stata comunicata la formazione dell’esito, devono ritenere valido il medesimo Documento fino al 15.06.2020 nell’ambito di tutti i procedimenti in cui è richiesto il possesso del DURC (senza, dunque, procedere ad una nuova interrogazione).
Qualora il predetto Documento non sia nella materiale disponibilità dell’interessato o dei richiedenti ai quali sia stata a suo tempo notificata la formazione dell’esito positivo di regolarità ovvero si tratti di stazioni appaltanti/amministrazioni procedenti o di altri interessati che in precedenza non ne avevano fatto richiesta, l’interrogazione dovrà essere effettuata attraverso l’utilizzo della funzione di “Richiesta regolarità”, che consentirà la registrazione dei dati di ciascuno dei richiedenti. Tali dati saranno utilizzabili dall’INPS e dall’INAIL per eventuali comunicazioni relative alla richiesta.
Le situazioni che possono verificarsi alternativamente sono le seguenti:
il “Durc On Line” è ancora disponibile sul portale in quanto in corso di validità alla data della richiesta in base al D.M. 30 gennaio 2015 (120 giorni dalla data della richiesta) à in tal caso lo stesso Documento potrà essere immediatamente e automaticamente acquisito da parte dell’interessato ovvero dei richiedenti;
il “Durc On Line” che conserva la sua validità fino al 15.06.2020, avendo una scadenza compresa tra il 31.01.2020 e il 15.04.2020, non è più disponibile sul sistema alla data della richiesta à in tal caso si potranno verificare le seguenti ipotesi:
il sistema restituisce un esito di regolarità in automatico e notificherà al richiedente (e ai richiedenti “accodati”) la formazione dell’esito stesso (non sarà necessaria alcuna attività da parte degli operatori);
il sistema evidenzia la presenza di irregolarità che sono determinate da meri disallineamenti degli archivi e che, non richiedendo l’attivazione dell’istruttoria con l’invio dell’invito a regolarizzare, possono essere definite con l’attestazione di regolarità. Il sistema anche in questo caso notificherà al richiedente (e ai richiedenti “accodati”) la formazione dell’esito.