NEWSLETTER N. 4 DEL 2020

COVID 19 -Protocollo aziendale sicurezza anti covid-19:

obblighi e sanzioni per il datore di lavoro e l’azienda

Misure a tutela dei lavoratori da applicarsi nelle aziende per cui l’attività non sia sospesa e conseguenze sanzionatorie.

Con i provvedimenti susseguitisi dal 23.02.2020 ad oggi, il Governo ha introdotto specifiche misure volte a contrastare il contagio anche negli ambienti lavorativi.

Con il DPCM del 22.03.2020 il Governo ha stabilito la sospensione della maggior parte delle attività produttive, prevedendo, invece, per quelle la cui attività non è sospesa, l’identificazione di misure precauzionali finalizzate a contenere il rischio di contagio.

Con DPCM dell’11.03.2020, è stato richiesto alle imprese di applicare, ove possibile, la modalità di lavoro agile (c.d. smart working). Qualora non fosse stato possibile eseguire l’attività lavorativa mediante lo strumento dello smart working, il Governo, ha decretato l’incentivo della fruizione delle ferie e dei congedi retribuiti per i propri dipendenti.

Per proteggere la salute dei lavoratori, è stata imposta (si trattava di una RACCOMANDAZIONE) alle aziende l’adozione di protocolli di sicurezza anti contagio, la sanificazione dei luoghi di lavoro ed, infine, la limitazione degli spostamenti all’interno dei siti produttivi e l’accesso ai luoghi comuni.

Tali raccomandazioni sono state poi implementate (il 14.03.2020) dal Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid-19 che ha fornito indicazioni operative per l’implementazione delle necessarie misure precauzionali a tutela della salute dei lavoratori. È stato stabilito in 13 punti (dove la informazione del lavoratore e la responsabilizzazione dello stesso sono fondamentali):

  • l’obbligo di rimanere presso il proprio domicilio qualora si manifestassero sintomi influenzali, avvisando inoltre il proprio medico e il datore di lavoro;
  • il divieto di ingresso in azienda per coloro che, nei 14 giorni precedenti, sono stati in contatto con persone affette da Covid-19;
  • la eliminazione o riduzione di contatto con i dipendenti dell’azienda da parte dei fornitori esterni;
  • la pulizia giornaliera e sanificazione periodica degli ambienti di lavoro. Qualora ci fosse stata all’interno del luogo di lavoro una persona affetta da Covid-19, il datore dovrà sanificare l’azienda secondo le modalità indicate nella Circolare del Ministero della Salute n. 5443 del 22.03.2020;
  • precauzioni igieniche sanitarie mettendo a disposizione dei dipendenti igienizzanti mani;
  • DPI, quali: mascherine, occhiali, guanti, tute, cuffie, camici. L’utilizzo è maggiormente obbligatorio soprattutto qualora non si riuscisse a far mantenere ai dipendenti la distanza interpersonale di un metro e mezzo;
  • gli spazi comuni devono essere ventilati, puliti e sanificati;
  • entrata ed uscita dei dipendenti ad orari scaglionati, prevedendo anche percorsi distinti per evitare il contatto tra essi;
  • in caso di persona sintomatica in azienda il datore deve: isolare tale soggetto ed i colleghi presenti all’interno del medesimo locale. Inoltre deve collaborare con le autorità sanitarie affinché si possano identificare le persone a stretto contatto con il contagiato;
  • costituzione in azienda di un “comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione” a cui devono partecipare le rappresentanze sindacali aziendali ed il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Nell’ipotesi di inosservanza delle misure di contenimento del virus inizialmente il Governo aveva disposto l’applicazione dell’art. 650 c.p. (“Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”), che prevede l’arresto fino a 3 mesi e l’applicazione di una ammenda fino a 206,00 Euro.

Con il D.L. n. 19 del 25.03.2020, art. 4, il Governo ha sostituito la precedente contravvenzione con la sanzione amministrativa da Euro 400,00 ad Euro 3.000,00 oltre alla chiusura dell’attività da 5 a 30 giorni.

Accanto all’organo prefettizio, l’attività di vigilanza e verifica si occuperanno SPISAL e ITL.

Qualora si verificassero casi di contagio in azienda, il datore di lavoro e tutti i soggetti titolari di poteri e doveri in materia di tutela della salute dei lavoratori potrebbero essere chiamati a rispondere del delitto di lesioni colpose, ovvero di omicidio colposo in caso di decesso dei contagiati, anche laddove venga rilevato che l’azienda non ha tempestivamente adottato ed attuato in maniera efficace tutte le misure precauzionali previste nel Protocollo del 14.03.2020. Tali fattispecie possono fondare anche la responsabilità dell’azienda ai sensi dell’art. 25septies del D. Lgs. n. 231 del 2001.

Altrettanto significativa potrebbe essere la circostanza che il datore di lavoro non abbia costituito il comitato di controllo affinché lo stesso verificasse la corretta adozione delle misure di contenimento del virus nei locali aziendali.

novitÀ’ giurisprudenziali

MALATTIA DEL LAVORATORE

Con sentenza n. 7566 del 27.03.2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata in ambito di visita medica precedente alla ripresa del lavoro da parte del dipendente a seguito del periodo di malattia superiore a 60 giorni.

L’art. 41 del D. Lgs. n. 81 del 2008 prevede tra gli strumenti della sorveglianza sanitaria anche l’effettuazione di una visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute superiore ai 60 giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità della mansione.

Secondo la Suprema Corte, la norma va letta nel senso che la “ripresa del lavoro” è costituita dalla concreta assegnazione del lavoratore, quand’egli faccia ritorno in azienda dopo un’assenza per motivi di salute prolungatasi per oltre 60 giorni, alle medesime mansioni già svolte in precedenza, essendo queste soltanto le mansioni per le quali sia necessario compiere una verifica di idoneità e cioè accertare se il lavoratore possa sostenerle senza pregiudizio o rischio per la sua integrità psicofisica.

Si rileva che nella situazione di emergenza sanitaria, il lavoratore che rientri al lavoro dopo un periodo di malattia cagionata dal Covid-19 o sia stato assente dal servizio in quanto in quarantena per periodi superiori a 60 giorni, dovrà essere sottoposto a visita medica.

MOBILITÀ IN DEROGA

La Corte di Cassazione, con sentenza del 19.03.2020 n. 7470, ha disposto che è “dovuta la corresponsione anticipata dell’intera indennità in deroga, anche se il finanziamento è disposto anno per anno”.

La Corte di Cassazione aveva già affermato in passato che, poiché l’art. 7, co. 5, L. n. 223 del 1991 consente ai lavoratori in mobilità di richiedere la corresponsione anticipata della indennità di mobilità al fine di intraprendere una attività autonoma o di associarsi in cooperativa e, poiché l’erogazione in un’unica soluzione in via anticipata di più ratei della indennità di mobilità determina il mutamento della natura dell’indennità stessa, la quale assume la natura di contributo finanziario destinato a sopperire alle spese iniziali di una attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio, l’erogazione anticipata della indennità può essere richiesta anche per intraprendere una attività di natura imprenditoriale. La ratio dell’art. 7 della L. n. 223 del 1991 è quella di agevolare l’inserimento nel lavoro dei lavoratori collocati in mobilità. Perde, pertanto, la sua connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale e si configura come un contributo finanziario destinato a sopperire le spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio.

PATTO DI PROVA

La Corte di Cassazione con ordinanza del 9.03.2020 n. 6633 ha stabilito che è “nullo il patto di prova dopo altri rapporti di lavoro a termine”.

La causa del patto di prova va individuata nella tutela dell’interesse comune alle parti del rapporto di lavoro in quanto diretto ad attuare un esperimento attraverso il quale, sia il datore di lavoro sia il lavoratore possono saggiare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto.

Nel caso di specie il lavoratore era stato licenziato per mancato superamento della prova, nonostante in precedenza avesse trattenuto con lo stesso datore di lavoro per mansioni identiche altri rapporti a termine contenenti patti di prova superati.

Pertanto, la Corte ha ribadito il principio della nullità del patto di prova apposto ad un contratto a tempo indeterminato se lo stesso era stato preceduto da altri rapporti di lavoro a tempo determinato con la medesima impresa per lo svolgimento delle medesime mansioni.

SOLIDARIETÀ COMMITTENTE E SUBFORNITORE

Secondo quanto disposto nell’ordinanza n. 6299 del 5.03.2020 della Corte di Cassazione, il committente risponde solidalmente con il subfornitore dei crediti retributivi previdenziali dei dipendenti di quest’ultimo.

La L. n. 192 del 1998 risponde ad una funzione regolativa dell’integrazione della prestazione del subfornitore nel processo produttivo dell’impresa committente in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa medesima.

Riguardo al dubbio circa l’applicabilità della regola della solidarietà anche ai rapporti tra committente e al subfornitore era già intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza n. 254 del 2017. Il Giudice delle Leggi – cui la Cassazione si allinea – ha ritenuto che l’estensione della responsabilità solidale del committente ai crediti di lavoro dei dipendenti del subfornitore costituisse il naturale corollario della tesi che configura la subfornitura come “sottotipo” dell’appalto. La ratio dell’introduzione della responsabilità solidale del committente sta nel fatto di voler evitare il rischio che i meccanismi di decentramento e di dissociazione tra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale.

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