NEWSLETTER n. 3/2023

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare n. 1 del 17 gennaio 2023 “Fondi di solidarietà di cui agli articoli 26, 27 e 40 del decreto legislativo n. 148 del 2015. Regime e disciplina della c.d. “staffetta generazionale”.

Con la Circolare n. 1 del 17 gennaio 2023 la Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali fornisce indicazioni in materia di “staffetta generazionale”, istituto introdotto nell’ordinamento giuridico con la finalità di favorire le transizioni occupazionali e produttive, assicurandosi il versamento mensile di contributi previdenziali a favore dei lavoratori a cui mancano non più di 36 mesi al raggiungimento della pensione anticipata o di vecchiaia, consentendo per ogni lavoratore in uscita almeno un’assunzione contestuale di giovani con non più di 35 anni compiuti, cui deve essere assicurato un rapporto di lavoro di almeno 3 anni.

Nell’ambito della Circolare sono chiarite le modalità applicative dell’istituto e il relativo finanziamento.

INPS, circolare n. 4 del 16 gennaio 2023 “Anno 2023. Sintesi delle principali disposizioni in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro e di sostegno al reddito e alle famiglie.”.

Con circolare n. 4/2023 l’INPS fornisce un quadro riepilogativo delle disposizioni in materia di ammortizzatori sociali e di sostegno al reddito e alle famiglie operanti nel 2023.

La circolare, che richiama in particolare le disposizioni contenute nella l. n. 197/2022 (legge di Bilancio 2023) e nel D. L. n. 198/2022 (decreto Milleproroghe), analizza tra l’altro:

INPS, circolare n. 6 del 19 gennaio 2023 “Nuove disposizioni in materia di Libretto Famiglia e contratto di prestazione occasionale.”

Con la circolare n. 6/2023 l’INPS fornisce indicazioni in merito all’applicazione delle nuove norme introdotte dall’articolo 1, commi da 342 a 354, della legge di Bilancio 2023 (legge n. 197/2022) in materia di prestazioni occasionali.

In particolare, l’Istituto illustra i seguenti profili: i limiti economici per l’accesso al Libretto Famiglia ed al contratto di prestazione occasionale; il nuovo limite dimensionale degli utilizzatori del contratto di prestazione occasionale; le modifiche al regime per le aziende alberghiere e per le strutture ricettive del settore turismo.

La novità più incisiva introdotta investe tuttavia il settore agricolo, nel quale è stato da un lato introdotto un divieto di ricorrere alle ordinarie prestazioni occasionali (PrestO), dall’altro si è dato vita ad un particolare contratto per il biennio 2023-2024, di durata non superiore a 12 mesi e nel limite di 45 giornate annue per lavoratore.

Questo peculiare rapporto di lavoro è attivabile soltanto nei confronti di pensionati, disoccupati, titolari di reddito di cittadinanza e ammortizzatori sociali, studenti under 25, detenuti.

INPS, circolare n. 14 del 3 febbraio 2023 “Importi massimi dei trattamenti di integrazione salariale, dell’assegno di integrazione salariale del FIS, dell’assegno di integrazione salariale e dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del Credito, dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del Credito cooperativo, dei trattamenti di disoccupazione NASpI, DIS-COLL e ALAS, dell’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO), dell’indennità di disoccupazione agricola e dell’assegno per le attività socialmente utili relativi all’anno 2023”.

In base a quanto stabilito dall’INPS, con la circolare 14/2023, questo il calcolo del Ticket per i licenziamenti del 2023.

Il contributo, per l’anno 2023, è pari a 603,10* euro (41% di 1.470,99* euro) per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di 3 anni (l’importo massimo del contributo è pari a 1.809,30* euro – arrotondato alle 2 cifre – per rapporti di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi).

Il contributo deve essere calcolato in proporzione ai mesi di anzianità aziendale e senza operare alcuna distinzione tra tempo pieno e part-time. Infine, vanno calcolati i mesi superiori a 15 giorni: la quota mensile è pari a 50,26* euro/mese (603,10/12).

Contrattazione collettiva e welfare per i lavoratori della Piccola e Media industria meccanica.

In base all’accordo sottoscritto da Unionmeccanica Confapi con le OO.SS., del 26 maggio 2021, le aziende che applicano il CCNL Metalmeccanici (piccola industria) CONFAPI dovranno, entro il 28 febbraio 2023, mettere a disposizione dei propri lavoratori strumenti di welfare del valore di 200 euro da utilizzare entro il 31 dicembre 2023 (articolo 52).

Il valore di 200 euro dovrà essere riconosciuto, senza alcuna riproporzione per i lavoratori part-time, una sola volta all’anno in caso di reiterazione del rapporto di lavoro con il lavoratore presso la medesima azienda.

Detta disposizione varrà anche per il 2024.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, ordinanza 16 febbraio 2023 n. 4831

Non va licenziato il dipendente che rifiuta di eseguire gli ordini usando un linguaggio scurrile

Ove la contrattazione collettiva ancori l’irrogazione della massima sanzione alla gravità della condotta nei confronti dei superiori, allora non qualunque comportamento può essere causa di licenziamento ma solo quello che, per le sue caratteristiche proprie, si palesi ingiustificatamente in netto contrasto con gli ordini impartiti.

Corte di Cassazione, ordinanza 15 febbraio 2023, n. 2991.

Infortunio sul lavoro: il committente non è responsabile in re ipsa.

La Cassazione, con Ordinanza n. 2991 del 15 febbraio 2023, in tema di responsabilità civile in caso di infortunio di dipendenti di imprese appaltatrici, precisa che la responsabilità del committente, nell’ipotesi di violazione dell’obbligo di tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro, si configura “ove lo stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alla misura da adottare in concreto e si sia riservato i poteri tecnico-organizzativi dell’opera da eseguire“.  Inoltre, seppur l’articolo 26 del D.Lgs. 81/2008 stabilisce che il dovere di sicurezza grava sia sul datore di lavoro che sul committente, tuttavia, tale principio non può trovare automatica applicazione. Sul punto, la Suprema Corte evidenzia che “non è configurabile una responsabilità del committente in re ipsa e cioè per il solo fatto di aver affidato in appalto determinati lavori ovvero un servizio”. Nel caso in esame, gli Ermellini rigettano il ricorso del subappaltatore, escludendo la responsabilità del committente in quanto il comportamento posto in essere risulta conforme alla norma. Quest’ultimo infatti ha verificato le “capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori” e “le modalità di espletamento della stessa“.

Corte di Cassazione, ordinanza 7 febbraio 2023, n. 3692

Danno da atti persecutori colposi in una vicenda di prolungato isolamento di un dipendente.

In un caso di accertamento giudiziario del prolungato demansionamento di un dipendente, i giudici di merito, oltre alla reintegra nelle mansioni originarie, avevano accolto la domanda di risarcimento del danno biologico, ma non di quelle da mobbing, ritenuto insussistente e alla professionalità, per la mancata specificazione, da parte del lavoratore, del bagaglio professionale perduto e dei corsi di aggiornamento rifiutati, che gli avrebbero consentito di accrescere le competenze. La Cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore, censura il ragionamento dei giudici di merito, rilevando che il danno professionale può essere dimostrato anche in via presuntiva e che, nel caso di specie, l’accertamento degli elementi allegati e provati (l’elevato contenuto professionale dei compiti svolti sino al demansionamento; la prolungata e ingiustificata emarginazione, il mancato invio a corsi di formazione e soprattutto la pressoché totale inoperosità in cui era stato lasciato il dipendente) erano senz’altro idonei a presumere in maniera univoca il degrado della professionalità acquisita. Quanto al mobbing, la Corte riconosce la ricorrenza della minore ipotesi di atti di persecuzione compiuti o tollerati colposamente, riconducendo anch’essi alla violazione dell’art. 2087 cod. civ., con possibile lesione della salute della vittima.

Corte di Cassazione, ordinanza 3 febbraio 2023, n. 3361

Un caso di possibile discriminazione in ragione del sesso.

La dipendente apprendista di una banca, il cui contratto era stato disdetto (unico tra 200 stipulati, tutti trasformati a tempo indeterminato) 17 mesi dopo la seconda gravidanza, aveva agito ai sensi dell’art. 38, d.lgs. 198/06, per ottenere l’accertamento e la repressione della condotta datoriale, in quanto discriminatoria, in ragione del sesso della dipendente. Il rigetto per insufficienza di prove della domanda da parte della Corte d’appello non supera il vaglio di legittimità della Cassazione, che, nell’accogliere il ricorso della lavoratrice, osserva che (i) alla luce della disciplina prevista dall’art. 40, d.lgs. 198/06, la dipendente è gravata da un onere probatorio attenuato in quanto deve provare unicamente di essere portatrice di un fattore di rischio tipizzato di discriminazione e di avere subito un trattamento svantaggioso in connessione con detto fattore, mentre il datore di lavoro deve provare circostanze che escludano univocamente la discriminazione; (ii) la suddetta connessione, da ricostruirsi in via presuntiva, può essere dimostrata anche sulla base di dati statistici; (iii) ciò non è avvenuto nel caso di specie: il giudice d’appello, infatti, pur dando atto dell’allegazione del dato statistico relativo al rapporto percentuale tra la mancata assunzione della lavoratrice e l’assunzione di tutti gli altri 200 apprendisti, ha del tutto omesso di verificare, secondo la regola enunciata, se tale dato potesse essere considerato rivelatore di una possibile discriminazione legata alle gravidanze portate a termine nel periodo di apprendistato

Corte di Cassazione, sentenza 27 gennaio 2023, n. 2517

Sub-committente e sub-appaltatore sono tenuti a coordinarsi per la salvaguardia della sicurezza dei lavoratori.

In un procedimento avente a oggetto l’infortunio occorso nel 2007 (prima, dunque, dell’entrata in vigore del d.lgs. 81/08 e nella vigenza del d.lgs. 626/94) al dipendente di una ditta sub-appaltatrice, che aveva subito la lesione a una gamba a seguito del rovesciamento della trave precariamente appoggiata al terreno sulla quale lavorava, Tribunale e Corte d’appello avevano riconosciuto la responsabilità del solo datore di lavoro sub-appaltatore (nel frattempo fallito) ed escluso quella del sub-committente, in ragione della riscontrata assenza in capo a quest’ultimo di un effettivo potere di controllo e tanto meno di direzione operativa sul sub-appaltatore, nonché del fatto che l’evento si era verificato in un’area recintata, posta all’interno dello stabilimento di proprietà del committente e affidata in custodia al sub-appaltatore, senza che il sub-committente ne avesse alcuna disponibilità. I giudici di legittimità, accogliendo il ricorso del lavoratore e cassando con rinvio la sentenza impugnata, osservano che le disposizioni normative in materia di ripartizione degli obblighi prevenzionistici tra committente e appaltatore vigenti all’epoca dell’infortunio (a partire dall’art. 7, d.lgs. 626/94) imponevano anche al sub-committente l’obbligo di coordinarsi col sub-appaltatore per la predisposizione e l’attuazione di misure necessarie ad assicurare la sicurezza, l’igiene e la salute dei lavoratori, siccome ambedue tenuti a collaborare nella realizzazione di una medesima opera. Nel caso di specie, osserva ancora la Corte, occorre allora che la responsabilità del sub-committente sia rivalutata alla luce di tale principio (che i giudici di legittimità ritengono essere stato disatteso dalla sentenza impugnata), tenendo altresì in debito conto il potere direttivo che il contratto d’appalto espressamente riconosceva nel caso in esame al sub-committente e l’esercizio del potere di controllo a esso necessariamente connesso.

Corte di cassazione, sentenza 20 gennaio 2023 n. 1771

Sulla decorrenza della prescrizione annuale del diritto del lavoratore a ottenere dal Fondo di garanzia, in caso d’insolvenza del datore, le ultime tre mensilità di retribuzione.

La vicenda che ha dato luogo alla pronuncia della Corte è relativa a un ex dipendente che, nella situazione di insolvenza del datore di lavoro, si era visto respingere la domanda – rivolta al Fondo di garanzia gestito dall’INPS – di pagamento delle ultime tre mensilità di retribuzione, con la motivazione che il suo credito era prescritto, essendo trascorso più di un anno dalla redazione del verbale di esito negativo dell’esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro (non soggetto a fallimento). La Corte conferma la pronuncia dei giudici dell’appello di accoglimento della domanda del dipendente, rilevando che, nel caso di insolvenza di un datore di lavoro non soggetto a procedura concorsuale, il diritto del dipendente può essere fatto valere (e quindi la prescrizione decorrere) unicamente al momento della conoscibilità circa l’esito dell’esecuzione forzata, che, in una corretta valutazione della diligenza attendibile dall’interessato, non coincide con quello della redazione del verbale relativo, ma in quello successivo di consegna all’interessato di esso.

Corte di Cassazione, sentenza 19 gennaio 2023 n. 1581

L’indennità sostitutiva del preavviso non concorre alla formazione della base di calcolo del T.F.R.

In un caso in cui un dirigente, licenziato con esonero del preavviso e corresponsione della relativa indennità sostitutiva, aveva chiesto, tra le altre numerose domande, l’inclusione dell’indennità nella base di calcolo del T.F.R., la Corte di cassazione ribadisce la propria ormai consolidata giurisprudenza, secondo la quale il preavviso non ha efficacia “reale”, ma meramente “obbligatoria”, sicché in caso di recesso immediato, il rapporto di lavoro si estingue, per cui non residua la possibilità di una sua sospensione, ad es. per malattia, nel periodo di “teorico” preavviso non dato e alla parte che ha ricevuto la comunicazione di  recesso spetta unicamente l’indennità sostitutiva, ininfluente ai fini sia delle mensilità aggiuntive, ferie e permessi che del t.f.r.

Corte di Cassazione, ordinanza 19 gennaio 2023, n. 1584

Illegittimo l’esonero definitivo del ferroviere per scarso rendimento fondato esclusivamente su precedenti disciplinari.

Un ferroviere era stato licenziato (esonerato definitivamente dal servizio) dalla società datrice di lavoro per scarso rendimento (previsto dalla relativa disciplina del personale, ancorché in una parte diversa da quella dei provvedimenti disciplinari), in ragione del fatto che nel corso del suo lungo rapporto di lavoro aveva subito numerosissime sanzioni disciplinari. Nel conseguente giudizio promosso dal dipendente, la Corte, confermando la decisone dei giudici di merito, annulla il licenziamento applicando la tutela reintegratoria c.d. minore. In proposito, osserva che (i) la fattispecie di esonero per scarso rendimento di cui alla norma si connota per caratteri oggettivi e soggettivi analoghi all’omologo illecito disciplinare previsto dalla disciplina comune del rapporto di lavoro e a essa va pertanto applicato il divieto, più volte affermato dalla giurisprudenza in materia di procedimento disciplinare, di esercitare due volte il relativo potere in relazione allo stesso fatto; (ii) nel caso di specie, all’atto della formale contestazione del comportamento complessivamente tenuto dal lavoratore, che ha motivato l’esonero definitivo, la società datrice di lavoro risultava avere già consumato il proprio potere disciplinare; (iii) la consumazione del potere disciplinare è ipotesi equiparabile alla mancanza di antigiuridicità del fatto contestato e, in quanto tale, è meritevole della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, co. 4, l. 300/70.

Corte di Cassazione, ordinanza interlocutoria 24 gennaio 2023 n. 2121

La disciplina dell’impresa familiare può ritenersi applicabile ai conviventi di fatto anche prima del 2016?

Ritenendo inapplicabile la disciplina dell’art. 230 bis c.c. ai conviventi di fatto (prima dell’introduzione, da parte del legislatore del 2016, dell’art. 230-ter c.c., che attribuisce diritti anche al convivente di fatto partecipe a un’impresa familiare) i giudici di merito avevano respinto la richiesta di una donna che dal 2004 al 2012 aveva prestato stabilmente la propria opera all’interno dell’azienda agricola di proprietà del compagno convivente e vantava il diritto a vedersi riconosciuta la partecipazione a un’impresa familiare e a ottenere dagli eredi del defunto compagno la liquidazione del 50% del valore dei beni acquisiti e degli utili conseguiti dall’impresa. La Cassazione, su ricorso della donna, pronuncia ordinanza interlocutoria, con la quale chiede l’intervento delle Sezioni Unite, formulando il quesito sopra indicato e osservando a tal proposito che, sebbene la lettera del terzo comma dell’art. 230 c.c. non nomini il convivente di fatto tra i soggetti destinatari della disciplina, non può tuttavia non considerarsi l’evoluzione che si è avuta nella società, con la sempre maggiore diffusione della convivenza more uxorio, evoluzione di cui ha tenuto conto sia il legislatore, allorché nel 2016 ha introdotto l’art. 230 ter c.c., sia le Sezioni unite penali, che nel 2021 hanno riconosciuto l’applicabilità della causa di esclusione della colpevolezza prevista dall’art. 384, co. 1, c.p., a chi ha commesso uno dei reati ivi previsti per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il convivente more uxorio da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore, sia, infine, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che da tempo fa rientrare la vita dei conviventi di fatto nella nozione di “vita familiare” di cui all’art. 8 CEDU.

Corte di Cassazione, ordinanza 30 dicembre 2022 n. 38151

Appalto di servizi: entro quanto l’INPS deve agire per recuperare i contributi non corrisposti?

La Corte di Cassazione, con una recente pronuncia, ha confermato il principio per cui, in materia di appalto, l’azione intentata dall’INPS per il recupero dei contributi previdenziali ed assistenziali non corrisposti dall’appaltatore non è soggetta al termine di decadenza biennale di cui all’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, ma al termine di prescrizione. Il Tribunale, a seguito di opposizione, revocava il decreto ingiuntivo emesso a favore dell’INPS per contributi previdenziali e assistenziali non corrisposti da una Società, dichiarando che nulla era dovuto dall’opponente, quale obbligata solidale, poiché era maturata la decadenza di cui all’ art. 29 d.lgs. n. 276/2003 in quanto l’azione era stata proposta oltre il biennio dalla cessazione dell’appalto. La Corte d’appello escludeva sia l’applicabilità del termine di decadenza sia la maturazione della prescrizione; pertanto, rideterminava l’importo dovuto dalla Società obbligata solidalmente. Quest’ultima ricorreva per la cassazione della sentenza di secondo grado sostenendo che l’art. 29 debba interpretarsi del senso di estendere all’INPS la decadenza dal diritto di agire nei confronti del committente quale responsabile solidale; ciò in base al tenore della norma che, diversamente dalla previgente l. n. 1369/1960, non contiene alcuna esclusione in riferimento agli enti previdenziali. La Suprema Corte ha tuttavia ritenuto infondato il ricorso e a tal proposito ha richiamato diversi precedenti (tra i quali, più recentemente, Cass. civ. n. 14700/2021, Cass. civ. n. 18562/2022).

Corte d’appello di Roma, 17 gennaio 2023

Nullo il patto di prova nel caso in cui si limiti a richiamare la declaratoria del contratto collettivo e questa non sia sufficientemente specifica.

La Corte romana accoglie il ricorso presentato da una lavoratrice licenziata per mancato superamento del periodo di prova, dichiarando la nullità del relativo patto e quindi l’illegittimità del recesso intimato dalla datrice di lavoro. Il Collegio, riformando la sentenza di primo grado, ha affermato che il semplice richiamo, all’interno del contratto, alla qualifica di “addetto di negozi o filiali di esposizione” contenuta nel CCNL applicato, non sia idonea a integrare una chiara e specifica indicazione delle mansioni oggetto della prova e, pertanto, non consenta alle parti e al Giudice di effettuare una verifica concreta.

Corte d’appello di Napoli, 17 gennaio 2023

Anche per la Corte d’appello di Napoli costituisce discriminazione indiretta computare ai fini del comporto di malattia le assenze determinate dalla disabilità.

La Corte partenopea respinge il reclamo del datore di lavoro avverso la sentenza con la quale il Giudice aveva ritenuto nullo il licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore affetto da una condizione di handicap, in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza europea in tema. Il Collegio conferma la sentenza di primo grado affermando altresì che, vista la richiesta da parte del lavoratore della fruizione di un periodo di ferie, poi accolta dal datore di lavoro, i giorni di ferie dovevano essere scomputati dal complessivo periodo di assenza ai fini del comporto in quanto – prosegue la Corte – deve ritenersi prevalente l’interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per superamento del periodo di comporto.

Corte d’appello di Venezia, 23 giugno 2022

Il ricorso al lavoro accessorio nell’ambito della esecuzione di appalti di opere o servizi per l’epoca successiva al D.L. 81/2015 costituisce un’ipotesi di evasione contributiva. Tale disciplina non è tuttavia applicabile ai servizi in concessione, che non rientrano nella fattispecie degli appalti.

La Corte conferma la sentenza appellata nella parte in cui accerta la legittimità dell’utilizzo dei voucher nel periodo antecedente il 2015, in presenza del limite quantitativo del compenso annuo massimo stabilito per legge, a prescindere dalla qualificazione del rapporto di lavoro. Per il periodo successivo al 2015, invece, l’introduzione del divieto di utilizzo del lavoro accessorio negli appalti di opere e servizi comporta un’ipotesi di occultamento del rapporto di lavoro subordinato, con relativa evasione contributiva. Il divieto di utilizzo del lavoro accessorio negli appalti non si estende a ipotesi di servizi gestiti in concessione, erogati a favore degli utenti e con corrispettivo a carico di essi.

Consiglio di stato, adunanza plenaria, sentenza 28 dicembre 2022 n. 17

I permessi giornalieri durante il primo anno di vita del figlio spettano incondizionatamente al padre lavoratore in ogni caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.

Com’è noto, la legge prevede, per la madre lavoratrice dipendente, il diritto a due permessi giornalieri, normalmente di un’ora ciascuno, durante il primo anno di vita del figlio. Tale diritto è fruito viceversa dal padre lavoratore in alcuni casi in cui la madre non possa o non voglia goderne, tra i quali quello in cui “la madre non sia lavoratrice dipendente”. Sorto in un giudizio avanti ai giudici amministrativi il problema di stabilire se l’espressione indicata possa essere riferita a ogni caso in cui la madre non svolga lavoro dipendente (ma, secondo una tesi intermedia, il padre subentrerebbe solo in caso di impedimento di fatto o invalidità della madre) oppure, più rigorosamente, sia lavoratrice autonoma o professionista – con esclusione quindi della donna che svolge unicamente attività nell’ambito familiare (che era il caso esaminato in giudizio) –, la questione, in appello, è stata rimessa, in ragione del contrasto giurisprudenziale esistente in materia, all’adunanza plenaria del Consiglio di stato. Questa, valorizzando il dato testuale della norma e con un inquadramento storico-giuridico dell’istituto, di rilievo costituzionale, dichiara di aderire alla tesi dell’incondizionata spettanza del diritto al padre in ogni caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, quindi anche quando si tratti di casalinga.

Tribunale di Trani, 2 febbraio 2023

Va risarcito il danno da abuso di contratti precari nel caso di utilizzo abusivo di contratti di collaborazione autonoma da parte di una pubblica amministrazione, in aggiunta alle differenze retributive.

Il Giudice accoglie il ricorso di una lavoratrice con cui un Ente pubblico locale aveva stipulato una serie di contratti di collaborazione autonoma adibendola alla gestione del proprio ufficio stampa, riconoscendo la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sin dall’instaurazione del rapporto di lavoro. Riconosciute alla lavoratrice le differenze retributive rispetto al trattamento che avrebbe percepito se fosse stata regolarmente assunta, e il risarcimento del danno per l’abuso di contratti di collaborazione da parte della pubblica amministrazione nella misura richiesta dalla lavoratrice e nei termini di cui all’art. 32, d.lgs. 183/2010.

Il Tribunale dichiara tuttavia prescritta parte dei crediti retributivi maturati dalla lavoratrice, aderendo all’orientamento secondo cui la prescrizione decorre in corso di rapporto quando il lavoratore, in casi come quello della abusiva collaborazione autonoma per una pubblica amministrazione, non potrebbe comunque ottenere la stabilizzazione del rapporto di lavoro.

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