Con la ripresa dell’anno scolastico molti datori di lavoro potrebbero dover affrontare e gestire il problema delle assenze di alcuni dipendenti dovute in casi di contagio dei figli studenti.
In aiuto è intervenuto il Decreto Legge n. 111, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 223 dell’8.09.2020 ed in vigore dal 9.09.2020, recante disposizioni urgenti per far fronte ad identificabili esigenze finanziarie e di sostegno per l’avvio dell’anno scolastico, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Di particolare interesse è l’art. 5, il quale prevede alcuni strumenti utili per chi ha figli minori di 14 anni:
per tutta o parte della quarantena del figlio convivente,il genitore lavoratore dipendente potrà svolgere la prestazione di lavoro da remoto;
ove non sia possibile lavorare in modalità agile o, comunque, in alternativa all’ipotesi di cui al punto che precede, uno dei genitori, alternativamente all’altro, potrà astenersi dal lavoro per tutto o parte del periodo di quarantena del figlio. Per questo periodo di congedo straordinario Covid-19 è riconosciuta un’indennità erogata dall’INPS pari al 50% della retribuzione, calcolata secondo quanto previsto per il congedo di maternità ed i periodi di congedo saranno coperti da contribuzione figurativa.
Il beneficio del congedo straordinario in esame è riconsciuto nel limite di spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2020, pertanto laddove dal monitoraggio effettuato dall’INPS emerga che il suddetto limite è stato raggiunto, l’Istituto non prenderà in considerazione altre domande.
Il congedo o lo smart working non vengono concessi per il periodo di quarantena del figlio se l’altro genitore
già lavora in modalità agile,
usufruisce del suddetto congedo straordinario o
non svolge alcuna attività lavorativa.
I benefici previsti dall’art. 5 possono essere riconsociuti per periodi in ogni caso compresi entro il 31.12.2020.
? Qualche dubbio ?
In primo luogo, la norma sembra non prevedere un periodo massimo di congedo straordinario, essendo questo collegato alla durata della quarantena.
Non sembra nemmeno obbligatoria la presentazione al datore di lavoro (in caso di smart working) o all’INPS (in caso di richiesta di congedo) della documentrazione attestante lo stato di quarantena disposto dal Dipartimento di prevenzione della ASL.
Inoltre, la richiesta del lavoro agile non viene definita quale diritto del lavoratore e, dunque, pare potrebbe essere considerata una mera possibilità che dovrebbeessere avvallata dall’azienda.
Si attendono ulteriori provvedimenti chiarificatori al fine di meglio comprendere la portata normativa della disposizione in esame.
CASI PARTICOLARI
Caso confermato da COVID-19
Qualora vi sia un caso confermato da COVID-19, il Dipartimento di Prevenzione prescriverà agli alunni, individuati come contatti stretti, la quarantena per i 14 giorni successivi all’ultima esposizione.
Positivo ma asintomatico: come comportarsi al lavoro?
L’INPS ha già chiarito che il periodo di quarantena, che scatta con il riconsocimento della positività al virus, è equiparato alla malattia. In presenza di caso asintomatico è possibile lavorare in smart working? Attualmente la risposta sembra essere negativa: se c’è un certificato medico che dispone la malattia non si può lavorare da casa in quanto un peggioramento del caso clinico potrebbe determinare una responsabilità in capo al datore di lavoro.
Contatto stretto di un contatto stretto
Qualora un alunno o un operatore scolastico risultasse contatto stretto di un contatto stretto (ovvero nessun contatto diretto con il caso), non vi è alcuna precauzione da prendere a meno che il contatto stretto del caso non risulti successivamente positivo ad eventuali test diagnostici disposti dal Dipartimento di Prevenzione e che quest’ultimo abbia accertato una possibile esposizione.
ALTRI STRUMENTI UTILI
Congedo parentale ex art. 32 del D.Lgs. n. 151 del 2001
Qualora il figlio abbia meno di 12 anni, è possibile richiedere il congedo parentale di cui all’art. 32 del D.Lgs. n. 151 del 2001 per un periodo massimo, complessivamente da entrambi i genitori, non superiore a 10 mesi.
Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi, il limite complessivo dei congedi parentali dei genitori è elevato a 11 mesi.
Ai genitori dipendenti spetta:
un’indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera, calcolata in base alla retribuzione del mese precedente l’inizio del congedo, entro i primi 6 anni di età del bambino (dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) e per un periodo massimo complessivo di 6 mesi;
un’indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera, calcolata in base alla retribuzione del mese precedente l’inizio del congedo, dai 6 agli 8 anni di età del bambino (dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) solo se il reddito individuale del genitore richiedente è inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione ed entrambi i genitori non ne abbiano fruito nei primi sei anni o per la parte non fruita anche eccedente il periodo massimo complessivo di sei mesi;
nessuna indennità dagli 8 ai 12 anni di età del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento).
Congedo per malattia ex art. 42 del D.Lgs. n. 151 DEL 2001
Si potrebbe ricorrere anche al congedo per malattia del figlio di cui all’art. 47 del D.Lgs. n. 151 del 2001, ossia quell’astensione facoltativa dal lavoro del genitore qualora il figlio, di età compresa tra i 3 e gli 8 anni, contragga una malattia. È tuttavia necessario in quetso caso ottenere un certificato rilasciato da un medico specialista del SSN o con esso convenzionato, nonché un’autocertificazione in cui si dichiari che l’altro genitore non si è assentato dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo.
Il beneficio, però, è di massimo 5 giorni lavorativi all’anno.
È stato pubblicato sulla G.U. n. 223 dell’8 settembre 2020 il decreto-legge 8 settembre 2020, n. 111 recante “Disposizioni urgenti per far fronte a indifferibili esigenze finanziarie e di sostegno per l’avvio dell’anno scolastico, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.” Il DL ha previsto specifiche misure per gestire l’assenza dei lavoratori genitori in caso di contagio dei figli.
Per venire incontro alle esigenze dei genitori/lavoratori dipendenti che dovessero trovarsi a fronteggiare il problema di avere un figlio posto in quarantena per aver avuto un contatto con un soggetto positivo al SARS-CoV-2, il Governo ha ribadito la possibilità di lavorare in smart-working e introdotto dei congedi straordinari per i genitori con figli minori di 14 anni.
Le misure sono contenute nell’art. 5 del D.L. n. 111/2020:
1. un genitore lavoratore dipendente potrà lavorare in modalità agile per tutta o parte della quarantena del figlio (convivente);
2. se non è possibile lo smart-working, o in alternativa, uno dei genitori alternativamente potrà astenersi dal lavoro;
3. per il periodo di congedo è riconosciuta un’indennità pari al 50 per cento della retribuzione e i periodi sono coperti da contribuzione figurativa;
4. lo smart-working o il congedo non vengono concessi per il periodo di quarantena se già l’altro genitore lavora in modalità agile o non svolge alcuna attività;
5. il beneficio può essere riconosciuto per quarantene entro il 31 dicembre 2020.
Il Team Labour dello Studio rimane a disposizione per qualsivoglia chiarimento.
LICENZIAMENTO E CONTRATTI A TERMINE DURANTE IL COVID-19
PROROGHE O RINNOVI DEI CONTRATTI A TERMINE: art. 8 “Disposizioni in materia di proroga o rinnovo di contratti a termine” (modifica all’art. 93 del D.L. n. 34 del 2020, conv. in L. n. 77 del 2020).
In base al disposto normativo introdotto con il DL AGOSTO (D.L. del 14.08.2020, n. 104) è stata prevista la possibilità di rinnovare o prorogare, fino al 31.12.2020, per un periodo massimo di 12 mesi (nel rispetto del principio della durata massima complessiva dei 24 mesi) e per una sola volta, i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato anche in assenza delle esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori, nonché esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Modificando l’art. 93, l’art. 8 del DL AGOSTO ha eliminato i riferimenti relativi a:
facilitazione al “riavvio delle attività” a seguito della crisi epidemiologica dovuta al Covid-19: espressione che aveva suscitato dubbi interpretativi;
contratti in essere alla data del 23.02.2020: con tale riferimento veniva esclusa la possibilità di assumere con un nuovo contratto a termine, o in somministrazione a tempo determinato, senza causale, quei lavoratori che non erano in forza a quella data, o che lo erano stati prima di quella data, ovvero successivamente.
Il 31.12.2020 rappresenta, pertanto, il giorno ultimo entro il quale può essere concluso il rinnovo o la proroga di un contratto a termine. La norma parla di proroghe o rinnovi facendo quindi riferimento a contratti a termine in corso, o che, se scaduti, possono essere rinnovati. La disposizione, tuttavia, trova applicazione anche ai contratti che vengono stipulati tra le parti per la prima volta, atteso che il rapporto, sottoscritto, ad esempio, il 20.08.2020 (senza causale) con scadenza il 30.12.2020, potrebbe, legittimamente essere prorogato per 12 mesi, senza causale, cosa che, in via ordinaria non accade in quanto il superamento della soglia dei 12 mesi comporta l’apposizione di una condizione, pena la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Il contratto a termine (con le modifiche introdotte per esigenza sanitaria a causa del Covid-19) può essere prorogato una sola volta entro il 31.12.2020 e per un periodo massimo di 12 mesi.
La disciplina trova applicazione anche alla somministrazione di lavoro, in forza dell’espresso rinvio alle disposizioni del lavoro a tempo determinato.
PROROGA DIVIETO DI LICENZIAMENTO: art. 14 “Proroga delle disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo”.
La disposizione ha previsto la proroga delle disposizioni in materia di licenziamento prolungando il divieto per i datori di lavoro di procedere a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604 del 1966, e di avviare procedure di licenziamento collettivo ex artt. 4, 5 e 24 della L. n. 223 del 1991.
L’art. 14 ha disposto che il divieto si applica a tutti i datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 o dall’esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali.
Il divieto di licenziamento, introdotto dapprima dal Decreto Cura Italia e poi prorogato dal Decreto Rilancio fino al 17 agosto 2020, diventa ora “mobile” e legato alla messa a disposizione degli ammortizzatori sociali e, nello specifico, della cassa integrazione e degli sgravi contributivi.
In base alla nuova disposizione, infatti, fino a quando i datori di lavoro potranno fruire delle 18 settimane ulteriori di integrazione salariale e dei 4 mesi di sgravi contributivi concessi per il “rientro” in azienda dei lavoratori precedentemente in cassa integrazione, ossia almeno fino al 16 novembre 2020, continuerà ad essere vietato:
iniziare procedure di licenziamento collettivo (salvo in caso di immediata riassunzione per cambio appalto);
recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo “ai sensi dell’art. 3 L. 604/1966” (sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso ex art. 7 della medesima Legge).
La data in cui viene meno la sospensione del divieto di licenziamento non è uguale per tutti i datori, essendo correlata alla fruizione delle ulteriori 18 settimane o, in alternativa, all’esenzione contributiva quadrimestrale per chi rinuncia agli ammortizzatori COVID-19 (a proposito, particolare non secondario: occorrerà chiarire se ciò avverrà in automatico o, come crediamo e come sempre è avvenuto, attraverso una procedura telematica di richiesta). Tale esonero, però, non è uguale
per tutti nel senso che, come ricorda l’art. 3, esso è pari al doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei mesi di maggio e giugno.
Quindi, un’interpretazione letterale della norma porta a ritenere che, per i datori di lavoro che non abbiano utilizzato Cassa COVID a maggio e giugno 2020 e continueranno a non utilizzarla, il blocco dei licenziamenti resterà in forza fino al 31 dicembre 2020 (sul punto, restiamo in attesa peraltro di un chiarimento ministeriale, anche all’esito della futura conversione del d.l.).
Ad oggi, pertanto, la durata minima del divieto di licenziamento da considerare è solo quella del 16 novembre 2020 perché (i) una durata dell’Esenzione Contributiva che non ecceda il 15 novembre è puramente teorica (in termini pratici, il doppio delle ore di Cassa COVID utilizzate in maggio e giugno 2020 da quasi tutti i datori di lavoro, riparametrate e applicate su base mensile, porterà probabilmente a una data pari o successiva al 15 novembre); e (ii) la norma non chiarisce sulla base di quale logica l’importo massimo dell’Esonero Contributivo deve essere ripartito nel periodo massimo di 4 mesi (si attendono dunque interpretazioni degli enti per capire se l’importo massimo dell’Esonero Contributivo spettante a ciascun datore di lavoro potrà essere in concreto fruito in un periodo inferiore a 4 mesi).
Inoltre, anche il termine del 16 novembre 2020 per integrale utilizzo continuativo di Cassa COVID a partire dal 13 luglio 2020 appare una soluzione praticabile, di fatto, solo per aziende che avevano già in corso una Cassa COVID o avevano già presentato la relativa richiesta per sospendere l’attività lavorativa nei mesi di luglio e agosto 2020 (ad esempio, anche tramite richiesta di CIGO oppure CIGS). Infatti, se i lavoratori dal 13 luglio 2020 a oggi hanno regolarmente lavorato, il datore di lavoro non potrà chiedere una Cassa COVID retroattiva a partire dal 13 luglio, ma soltanto dalla prima data utile successiva all’emanazione del Decreto Agosto in cui l’attività lavorativa può essere sospesa.
Ad esempio, se la sospensione dell’attività per Cassa COVID è richiesta a partire dal 24 agosto 2020, il blocco dei licenziamenti terminerà il 27 dicembre 2020, approdando sostanzialmente alla durata massima del divieto di licenziamento. La possibilità concreta di ridurre la durata massima del divieto è, quindi, di fatto ulteriormente limitata.
Un termine intermedio variabile tra il 15 novembre e il 31 dicembre 2020 può essere individuato:
se l’azienda fruisce della Cassa COVID in maniera integrale ma non consecutiva fino al 31 dicembre: ad esempio ipotizziamo che un’azienda usufruisca di 17 settimane consecutive di Cassa COVID (i.e. 13 luglio – 8 novembre) e di un’ulteriore settimana di Cassa COVID dal 23 al 29 novembre. In questo caso, il divieto di licenziamento termina il 29 novembre 2020;
se l’azienda sceglie l’Esenzione Contributiva e la fruizione dell’importo massimo di Esenzione Contributiva termina tra il 16 novembre e il 30 dicembre 2020.
Se quindi un’impresa finisce di utilizzare tutto il periodo di Cassa con causale Covid-19 a fine novembre potrebbe procedere con il licenziamento. È tuttavia auspicabile e si attende un contributo interpretativo da parte degli Enti per capire se il datore di lavoro potrà procedere o meno con il licenziamento prima della data del 31.12.2020.
Quali sono le fattispecie escluse dal divieto, oltre alla ipotesi di successione nell’appalto?
cessazione definitiva della attività di impresa a causa di fallimento o messa in liquidazione, senza esercizio provvisorio dell’attività né continuazione parziale mediante trasferimento di ramo d’azienda;
ipotesi di accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale che prevedano la risoluzione, a fronte di un incentivo alla risoluzione dei rapporti di lavoro intercorrenti con i lavoratori che decidano di aderirvi ed ai quali viene riconosciuto il diritto alla NASpI.
Continuano a restare esclusi dal divieto:
il licenziamento individuale del dirigente;
recesso durante il periodo di prova;
licenziamento per il superamento del periodo di comporto.
La disposizione prevede infine che, il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero di dipendenti, nell’anno 2020, abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo, può revocare in ogni tempo il recesso a condizione che faccia richiesta di trattamento di integrazione salariale a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. Il rapporto, pertanto, si intenderà ripristinato senza soluzione di continuità.
Conversione in Legge n. 77 del 2020 del D.L. n. 34 del 2020, c.d. Decreto Rilancio.
Coronavirus blocked with one hand with a rejection gesture.Concept of Corona virus prevention.Vector flat illustration.
È stata pubblicata in G.U. la Legge di conversione n. 77 del 2020, con la quale è stato convertito in Legge con modificazioni il D.L. n. 34 del 2020, recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
Quali sono le novità principali in materia di lavoro?
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato la nota n. 468 del 21.07.2020, con la quale fornisce alcune indicazioni relative ad alcune modifiche introdotte dalla Legge “Rilancio” (Legge n. 77/2020, di conversione del Decreto Legge n. 34/2020).
In particolare, le modifiche hanno
➢ art. 1, comma 2, L. n. 77/2020 – abrogazione del D.L. n. 52/2020.
La disposizione abroga il D.L. n. 52/2020, “assorbendo” al suo interno le disposizioni in materia di trattamento di integrazione salariale, di proroga di termini in materia di reddito di emergenza e di emersione di rapporti di lavoro, ferma restando la validità degli atti e dei provvedimenti adottati, degli effetti prodottisi e dei i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto legge. In particolare, in materia di ammortizzatori sociali disciplinati dagli artt. da 19 a 22 del D.L. n. 18/2020, si confermano le modifiche introdotte agli artt. da 68 a 71 del D.L. n. 34/2020 ora convertito. In proposito si fa rinvio alla circolare INPS n. 84 del 10 luglio u.s. In relazione alle modifiche apportate al D.L. n. 34/2020 si evidenziano i seguenti articoli già presenti o di nuova introduzione nel testo dello stesso decreto legge.
➢ art. 43 bis (Contratto di rete con causale di solidarietà).
Tale disposizione ha aggiunto all’art. 3 del D.L. n. 5/2009 (conv. da L. n. 33/2009), i commi dal 4 sexies al 4 octies che disciplinano la possibilità di stipulare un contratto di rete per favorire il mantenimento dei livelli occupazionali delle imprese appartenenti alle filiere che si sono trovate in particolare difficoltà economica a causa dello stato di crisi o di emergenza dichiarati con provvedimento delle autorità competenti.
Pertanto, le imprese che stipulano il contratto di rete per lo svolgimento di prestazioni lavorative presso le partecipanti potranno ricorrere agli istituti del distacco e della codatorialità, ai sensi dell’art. 30, comma 4 ter, del D.Lgs. n. 276/2003, per perseguire le seguenti finalità:
impiego di lavoratori delle imprese partecipanti alla rete che sono a rischio di perdita del posto di lavoro;
inserimento di persone che hanno perso il posto di lavoro per chiusura di attività o per crisi di impresa;
assunzione di figure professionali necessarie a rilanciare le attività produttive nella fase di uscita dalla crisi.
La normativa introdotta deroga inoltre alle disposizioni generali in ordine all’obbligo di pubblicità previsto dal comma 4 quater (obbligo di iscrizione del contratto di rete nel registro delle imprese ove hanno sede le imprese contraenti). Tale obbligo viene assolto mediante sottoscrizione del contratto, in deroga alle modalità previste dal comma 4 ter del citato art. 3, ai sensi dell’art. 24 del CAD, “con l’assistenza di organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro rappresentative a livello nazionale presenti nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ai sensi della legge 30 dicembre 1986, n. 936, che siano espressione di interessi generali di una pluralità di categorie e di territori”.
Con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sono definite le modalità di comunicazione, a cura dell’impresa referente, necessarie per dare attuazione alla codatorialità.
Per ogni altro aspetto di disciplina trova applicazione quanto già previsto dall’art. 3 del D.L. n. 5/2009.
➢ Con l’art. 66 del D.L. n. 34 del 2020 era stato modificato l’art. 16 del D.L. n. 18 del 2020 che prevedeva l’obbligo di indossare i dispositivi di protezione individuale per tutti i lavoratori e i volontari, sanitari e non. La L. n. 77 del 2020 di conversione del D.L. n. 34 del 2020 ha introdotto l’art. 66bis che prevede la semplificazione dei procedimenti di importazione e di validazione delle mascherine c.d. chirurgiche e dei dispositivi di protezione individuale, da utilizzare nelle imprese per la ripresa in sicurezza dell’attività produttiva, a seguito del Covid-19.
➢ art. 67 bis (Inserimento al lavoro dei care leavers).
La disposizione prevede che la quota di riserva di cui all’art. 18, comma 2, della L. n. 68/1999 – ossia la quota attribuita in favore di orfani, coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio ecc. – è attribuita anche in favore di coloro che, al compimento della maggiore età, vivono fuori della famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria.
➢All’art. 68 (in materia di trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario) la L. di conversione ha introdotto il comma 2bis prevedendo che il termine di presentazione delle domande riferite ai periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa che hanno avuto inizio tra il 23.02.2020 ed il 30.04.2020, è fissato a pena di decadenza al 15.07.2020. Stabilisce poi che, indipendentemente dal periodo di riferimento, i datori di lavoro che abbiano erroneamente presentato domanda per trattamenti diversi da quelli a cui avrebbero avuto diritto o comunque con errori od omissioni che ne hanno impedito l’accettazione, possono presentare la domanda nelle modalità corrette entro 30 giorni dalla comunicazione dell’errore.
➢ L’art. 70bis “Norme speciali in materia di trattamenti di integrazione salariale” è stato introdotto con la L. di conversione, prevedendo, esclusivamente per i datori di lavoro che abbiano interamente fruito del periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di 14 settimane, la possibilità di usufruire di ulteriori 4 settimane di erogazione di trattamenti di integrazione salariale e assegno ordinario, anche per periodi decorrenti antecedentemente il 1°.09.2020. Resta ferma la durata massima di 18 settimane.
➢ art. 80 (Modifiche all’articolo 46 in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo)
In sede di conversione dell’art. 80 – che ha modificato l’art. 46 del D.L. n. 18/2020 (conv. da L. n. 27/2020, cfr. in proposito nota INL n. 160 del 3 giugno u.s.) – è stato aggiunto un ulteriore comma 1 bis.
In particolare, il citato comma stabilisce che, fino al 17.08.2020 e con riferimento alla procedura prevista dall’art. 47, comma 2, L. n. 428/1990 in materia di trasferimenti di azienda o di parte di essa ai sensi dell’art. 2112 c.c. in cui siano occupati più di 15 dipendenti, laddove non sia raggiunto un accordo in sede sindacale, la durata della relativa procedura non può essere inferiore a 45 giorni (il comma 2 dell’art. 47 citato prevede invece che “la consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo”).
➢ art. 80 bis (Interpretazione autentica del comma 3 dell’articolo 38 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81).
L’art. 80 bis, introdotto dalla legge di conversione, ha ad oggetto l’interpretazione autentica del comma 3 dell’art. 38 del D.Lgs. n. 81/2015.
Come noto, nelle ipotesi di somministrazione irregolare previste dal medesimo art. 38, comma 2, la costituzione del rapporto di lavoro in capo al soggetto che utilizza la prestazione lavorativa comporta che “tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata” (comma 3 primo periodo).
Inoltre, “tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione” (comma 3 secondo periodo).
L’art. 80 bis interviene proprio su tale ultima disposizione stabilendo che la stessa “si interpreta nel senso che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro non è compreso il licenziamento”.
Ne consegue che non può ritenersi compiuto né imputato in capo all’utilizzatore l’eventuale licenziamento effettuato dal somministratore; pertanto, ove lo stesso sia intervenuto, non produrrà effetti nei confronti del lavoratore il cui rapporto di lavoro è costituito con l’utilizzatore.
➢ art. 81 (Modifiche all’art. 103 in materia di sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli atti amministrativi in scadenza)
In sede di conversione, è stato soppresso il comma dell’art. 81 del D.L. n. 34/2020 che aveva introdotto una eccezione per il DURC alla regola generale dell’art. 103, comma 2, del D.L. n. 18/2020 (conv. da L. n. 27/2020) ai sensi del quale “tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza”.
Pertanto, anche i documenti unici di regolarità contributiva (DURC) in scadenza nel predetto periodo rientrano nella disciplina generale dettata dal citato art. 103.
➢Il nuovo art. 90 prevede che fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, il medesimo diritto allo svolgimento delle prestazioni di lavoro in modalità agile è riconosciuto ai lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio in ragione dell’età o della condizione di rischio purché tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa.
➢ art. 93 (Disposizioni in materia di proroga o rinnovo di contratti a termine e di proroga di contratti di apprendistato).
In sede di conversione è stato inserito il comma 1 bis all’art. 93 del D.L. n. 34/2020 (cfr. INL nota. prot. n. 160/2020), secondo cui “il termine dei contratti di lavoro degli apprendisti di cui agli articoli 43 e 45 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e dei contratti di lavoro a tempo determinato, anche in regime di somministrazione, è prorogato di una durata pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa, prestata in forza dei medesimi contratti, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19″.
Il regime di proroga automatica previsto dalla disposizione riguarda i contratti di apprendistato di cui agli artt. 43 e 45 del D.Lgs. n. 81/2015 con esclusione pertanto dell’apprendistato professionalizzante, nonché i contratti a termine anche in regime di somministrazione.
È intervenuto il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali chiarendo che tale previsione si applica a tutti i rapporti di lavoro subordinato che non siano a tempo indeterminato, proprio al fine di evitare che la loro durata iniziale risulti di fatto ridotta per effetto di circostanze non imputabili al lavoratore. Ad esempio, ricadono nella proroga della durata:
i contratti di lavoro a termine, ivi inclusi quelli stagionali;
i contratti in somministrazione a tempo determinato, intendendosi il rapporto di lavoro che intercorre tra l’Agenzia per il lavoro e il lavoratore;
i contratti di apprendistato, intendendosi quelli per il conseguimento di una qualifica e il diploma professionale e quelli di alta formazione e ricerca, limitatamente alla durata del periodo che precede la qualificazione.
Nel “periodo di sospensione” vanno compresi sia i periodi di fruizione di un ammortizzatore sociale Covid-19, sia l’inattività del lavoratore in considerazione della sua sospensione dall’attività lavorativa in ragione delle misure di emergenza epidemiologica da Covid-19 (es. fruizione di ferie).
In tutti questi casi il datore di lavoro, entro cinque giorni dalla data di scadenza originaria, deve effettuare la comunicazione obbligatoria di proroga, modificando il termine inizialmente previsto per un periodo equivalente a quello di sospensione dell’attività lavorativa.
➢ art. 103 (Emersione di rapporti di lavoro)
In sede di conversione il termine di scadenza per la presentazione dell’istanza di emersione è stato differito dal 15 luglio al 15 agosto.
➢ art. 221 (Modifica all’articolo 83 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020 n 27 e disposizioni in materia di processo civile e penale)
L’art. 221 aveva già apportato una modifica all’art. 83 del D.L. n. 18/2020 (come conv. da L. n. 27/2020) – in relazione al quale si fa rinvio alla nota n. 2465 del 7 aprile u.s. – stabilendo che “per il periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 si considera sospeso il decorso del termine di cui all’articolo 124 del codice penale”, ossia il termine per proporre querela. Ora all’art. 221 sono stati inseriti i commi dal 3 al 10 riguardanti l’organizzazione e la gestione delle udienze fino al 31 ottobre. Di seguito si riportano, in sintesi, i passaggi di maggiore interesse:
negli uffici che hanno la disponibilità del servizio di deposito telematico, anche gli atti e i documenti introduttivi del giudizio (art. 16 bis, comma 1 bis, del D.L. n. 179/2012 conv. da L. n. 221/2012), sono depositati esclusivamente con le “modalità telematiche” previste dal comma 1 del medesimo articolo;
il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. Il giudice comunica alle parti almeno trenta giorni prima della data fissata per l’udienza che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte e assegna alle parti un termine fino a cinque giorni prima della predetta data per il deposito delle note scritte. Ciascuna delle parti può presentare istanza di trattazione orale entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento. Il giudice provvede entro i successivi cinque giorni. Se nessuna delle parti effettua il deposito telematico di note scritte, il giudice provvede ai sensi del primo comma dell’art. 181 c.p.c. che disciplina la “mancata comparizione delle parti”;
la partecipazione alle udienze civili di una o più parti o di uno o più difensori può avvenire, su istanza dell’interessato, mediante collegamenti audiovisivi a distanza, individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. La parte può partecipare all’udienza solo dalla medesima postazione da cui si collega il difensore. Lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione. L’istanza di partecipazione mediante collegamento a distanza è depositata almeno quindici giorni prima della data fissata per lo svolgimento dell’udienza. Il giudice dispone la comunicazione alle parti dell’istanza, dell’ora e delle modalità del collegamento almeno cinque giorni prima dell’udienza. All’udienza il giudice dà atto delle modalità con cui accerta l’identità dei soggetti partecipanti a distanza e, ove si tratta delle parti, la loro libera volontà. Di questa e di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale;
il giudice, con il consenso preventivo delle parti, può disporre che l’udienza civile che non richieda la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice, anche se finalizzata all’assunzione di informazioni presso la pubblica amministrazione, si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. L’udienza è tenuta con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario e con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice dispone la comunicazione ai procuratori delle parti e al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, del giorno, dell’ora e delle modalità del collegamento. All’udienza il giudice dà atto a verbale delle modalità con cui accerta l’identità dei soggetti partecipanti e, ove si tratta delle parti, la loro libera volontà. Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale;
in luogo dell’udienza fissata per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio ai sensi dell’art. 193 c.p.c., il giudice può disporre che il consulente, prima di procedere all’inizio delle operazioni peritali, presti giuramento con dichiarazione sottoscritta con firma digitale da depositare nel fascicolo telematico.
Circolare INPS n. 86 del 15.07.2020.
Con la Circolare in commento, l’INPS fornisce istruzioni relativamente alle modalità nonché ai termini di accesso ai trattamenti di cassa integrazione in deroga, alla luce degli ultimi D.L. emanati in materia (D.L. n. 34 del 2020 e 52 del 2020).
L’art. 70 del D.L. n. 34 del 2020 (modificando l’art. 22 del D.L. n. 18 del 2020) ha esteso il periodo di trattamento di integrazione salariale in deroga per la durata della riduzione o sospensione del rapporto di lavoro per una durata massima di 9 settimane per periodi decorrenti dal 23.02.2020 al 31.08.2020, incrementate di ulteriori 5 settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro ai quali sia stato interamente già autorizzato un periodo di 9 settimane. È inoltre prevista la possibilità di riconoscere un eventuale ulteriore periodo di durata massima di 4 settimane per il periodo dal 1°.09.2020 al 31.10.2020.
È intervenuto, poi, il D.L. 52 del 2020 stabilendo che tutti i datori di lavoro che hanno interamente utilizzato il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di 14 settimane, possono usufruire di ulteriori 4 settimane anche per periodi antecedenti il 1°.09.2020.
Circolare INPS n. 84 del 10.07.2020.
Con la Circolare in commento, l’INPS illustra le novità apportate dal D.L. n. 34 del 2020 alle misure di sostegno al reddito previste dal D.L. n. 18 del 2020 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24.04.2020, n. 27) relativamente alle ipotesi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
L’art. 68 del D.L. n. 34 del 2020 (che ha modificato l’art. 19 del D.L. n. 18 del 2020) ha esteso il periodo di trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario richiedibile dai datori di lavoro che hanno dovuto interrompere o ridurre l’attività produttiva per eventi riconducibili al COVID-19. Quest’ultimi possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale “COVID-19 nazionale”, per una durata di 9 settimane per periodi decorrenti dal 23.02.2020 al 31.08.2020, incrementate di ulteriori 5 settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro che abbiamo interamente fruito il periodo precedentemente concesso di 9 settimane.
Secondo il disposto normativo le istanze finalizzate alla richiesta di interventi devono essere inviate, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa. Per i datori di lavoro che debbano inoltrare domanda per eventi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa iniziati a decorrere dal 1° giugno 2020, la scadenza è fissata al 31 luglio 2020, mentre, per i periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa iniziati dal 1° luglio 2020 la scadenza per la presentazione delle domande è fissata al 31 agosto 2020.
novità giurisprudenziali
LICENZIAMENTO E TUTELE CRESCENTI.
La Corte Costituzionale con sentenza 16.07.2020, n. 150 ha previsto che “se il licenziamento è illegittimo per vizi di forma o procedimentale, l’indennità non può essere ancorata unicamente all’anzianità di servizio”.
L’art. 4 del D. Lgs n. 23 del 2005 (per il personale assunto successivamente alla sua entrata in vigore) prevede unicamente il criterio dell’anzianità di servizio per la determinazione, tra un minimo di 2 e un massimo di 12 mensilità della retribuzione, dell’indennità dovuta al lavoratore in caso di illegittimità del licenziamento per difetto della forma o del procedimento. La Corte, in questa sede investita unicamente della valutazione della legittimità costituzionale della norma indicata (non avendo potuto esaminare, perché tardivamente dedotta, la questione della disparità di trattamento rispetto ai maggiori importi di indennità previsti in caso di licenziamento ingiustificato), dichiara l’art. 4 D. Lgs. n. 23 del 2005 incostituzionale perché viola i canoni della ragionevolezza e della parità di trattamento, trattando unitariamente situazioni che nel concreto possono essere molto differenziate. Conseguentemente, nel determinare l’indennità in questione tra il minimo e il massimo indicati dalla legge, il giudice dovrà tener conto principalmente dell’anzianità di servizio, ma, in chiave correttiva, anche dei criteri della gravità della violazione, del numero degli occupati, della dimensione dell’impresa, del comportamento e delle condizioni delle parti, nonché di altri criteri desumibili dal sistema.
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO
Il Tribunale di Teramo con sentenza del 23.07.2020, n. 226, ha dichiarato che il lavoratore che voglia rivendicare la illegittimità del termine dei contratti di somministrazione è tenuto ad impugnarli nel termine di 60 giorni dalla loro scadenza.
Il Tribunale nel caso di specie si era trovato ad accertare la illegittimità del termine dei contratti di somministrazione di lavoro per genericità delle causali apposte e delle relative proroghe e la illegittimità per superamento delle percentuali di utilizzo di tali contratti.
Il Giudice del Lavoro, nel respingere integralmente il ricorso, ha affermato il principio per cui qualora il lavoratore intenda richiedere la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a partire dalla data di prima assunzione o a decorrere dalla scadenza dei singoli contratti di somministrazione, per pretesa illegittimità della causale apposta, eccependo la nullità dei contratti stessi, deve procedere alla impugnazione entro il termine di 60 giorni dalla scadenza di ogni singolo contratto.
La conclusione di un nuovo contratto di lavoro somministrato da parte del lavoratore costituisce una rinuncia a far valere ogni diritto e pretesa relativa al contratto precedente, venendosi a integrare la novazione del rapporto di lavoro, con conseguente caducazione di ogni eventuale diritto relativo alla prosecuzione del rapporto di lavoro precedente ed alla sua conversione a tempo indeterminato.
Il Tribunale di Como con sentenza 15.07.2020, n. 124, dichiara l’applicazione della tutela reintegratoria nel caso di un licenziamento illegittimo per motivo illecito determinante anche nei rapporti di lavoro a tutele crescenti.
Il Tribunale nel caso di specie accertava la sussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., a fronte delle prove presuntive allegate da un lavoratore il quale, pochi giorni dopo la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, aveva iniziato un periodo di malattia a causa di un infortunio sul lavoro. Il Giudiceaccertava come il reale motivo del recesso adottato dal datore di lavoro a seguito di tali assenze, e motivato formalmente da una presunta insubordinazione del lavoratore, fosse da individuarsi nel preteso “tradimento” che la società riteneva di avere subito sull’affidamento riposto nel lavoro del dipendente per il quale aveva deciso di confermare il rapporto a tempo indeterminato. Accertata la natura ritorsiva di tale recesso, il Giudice condannava il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore ai sensi dell’art. 2 del D. Lgs. n. 23 del 2015.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 24.06.2020, n. 462, dichiarava “illegittimo il licenziamento di un lavoratore per problemi organizzativi aziendali dovuti alle reiterate assenze per malattia, prima del termine del periodo di comporto”.
La Corte d’appello, chiamata a pronunciarsi a seguito di cassazione della sentenza con rinvio, affermava l’illegittimità del licenziamento, adottato da una società nei confronti di un lavoratore per disagi organizzativi dovuti alle reiterate e discontinue assenze per malattia, per violazione dell’art. 2110 c.c.
Il periodo di comporto è posto a garanzia della salute del dipendente, indipendentemente dalle difficoltà, anche reali, che la malattia possa arrecare all’azienda, le quali non possono legittimare un recesso prima del termine di tale periodo. Solo una volta spirato il relativo termine, la società potrà recedere per superamento del periodo di comporto, senza la necessità di addurre una giustificazione oggettiva.
INFORTUNIO SUL LAVORO
La Corte di Cassazione, con sentenza del 7.07.2020, n. 14082, si è pronunciata nuovamente sulla distribuzione dell’onere della prova in materia di infortunio sul lavoro.
Nel caso in esame, la Corte affermava che, in caso di infortunio sul lavoro, l’infortunato deve provare il danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e in nesso di causalità tra i due elementi, mentre il datore di lavoro deve poi provare di avere adottato tutte le misure idonee a salvaguardare la salute del dipendente.
Cos’è la nocività che l’infortunato deve provare?
Essa non può che riguardare il contesto in cui è maturato l’infortunio e allora si risolve nella prova del nesso di causalità tra il fatto come si è svolto e il danno: nel caso di specie il lavoratore era caduto scivolando da una scala a pioli dalla quale scendeva per compiere un certo lavoro nel sotterraneo. Spetterà poi al datore di lavoro dimostrare che la scala era saldamente ancorata e sicura e che comunque era l’unico mezzo possibile per scendere nel sotterraneo.
Se invece si intendesse accollare al lavoratore l’onere di dimostrare che la scala era instabile, che i gradini erano scivolosi e che, invece della pericolosa scala a pioli, l’impresa avrebbe potuto adottare altri mezzi sicuri di discesa, allora lo si graverebbe dell’onere di provare la colpa del datore di lavoro, in contrasto con i principi che viceversa vengono normalmente affermati.
INSUBORDINAZIONE
La Corte di Cassazione, con sentenza del 1°.07.2020, n. 13411 ha stabilito che “la nozione di insubordinazione riguarda, oltre al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori gerarchici, anche comportamenti atti a pregiudicare il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale.”
Secondo la Suprema Corte è erronea in diritto la tesi per cui l’insubordinazione dovrebbe essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori gerarchici; la violazione dei doveri del prestatore riguarda non solo la diligenza in rapporto alla natura della prestazione, ma anche l’inosservanza delle disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore o dai suoi collaboratori.
Nel caso di specie, la condotta oggetto dell’addebito disciplinare, quale ricostruita nella sentenza impugnata, seppure realizzatasi al di fuori dell’orario di lavoro, era stata tenuta dal lavoratore in locali aziendali e si era rivolta in danno di una dipendente che, nel particolare contesto organizzativo, era preposta a rappresentare l’azienda in veste di responsabile amministrativo.
Il 24.06.2020 è intervenuto l’INPS, con Messaggio n. 2584, per fornire indicazioni operative in merito al riconoscimento della tutela previdenziale della malattia, in attuazione dell’art. 26 del D.L. n. 18 del 2020 (conv. in L. n. 27 del 2020) rubricato “Misure urgenti per la tutela del periodo di sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato”.
Preliminarmente, si precisa che, nell’ambito della categoria dei lavoratori privati aventi diritto alla tutela previdenziale della malattia, l’art. 26 è rivolto ai soli lavoratori dipendenti, con esclusione quindi dei lavoratori iscritti alla Gestione separata istituita presso l’Inps.
Il comma 1 dispone l’equiparazione della quarantena alla malattia ai fini del trattamento economico. Il periodo al quale si fa riferimento è quello della quarantena con sorveglianza attiva o permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva e della quarantena precauzionale.
Pertanto, la tutela viene riconosciuta a fronte di un procedimento di natura sanitaria dal quale non è possibile prescindere, stante sia l’equiparazione della stessa alla malattia sia l’obbligo per il lavoratore di produrre idonea certificazione sanitaria.
Ai lavoratori aventi diritto alla tutela previdenziale della malattia a carico dell’Istituto, viene riconosciuta l’indennità economica previdenziale (con correlata contribuzione figurativa), sulla base del settore aziendale e della qualifica del lavoratore; a ciò si aggiunge l’eventuale integrazione retributiva, dovuta dal datore di lavoro, secondo gli specifici contratti di riferimento (con la conseguente copertura contributiva). Tali periodi non sono da computare per il raggiungimento del limite massimo previsto per il comporto nell’ambito del rapporto di lavoro (periodo durante il quale il lavoratore assente dal lavoro ha diritto alla conservazione del posto).
Ai fini del riconoscimento della tutela di cui al comma 1, il lavoratore deve produrre il certificato di malattia attestante il periodo di quarantena nel quale il medico curante dovrà indicare gli estremi del provvedimento emesso dall’operatore di sanità pubblica. Il certificato deve essere redatto sin dal primo giorno di malattia in modalità telematica.
Qualora al momento del rilascio del certificato, il medico non disponga delle informazioni relative al provvedimento, queste verranno acquisite direttamente dal lavoratore interessato presso l’operatore di sanità pubblica e comunicate successivamente all’Inps, mediante i consueti canali di comunicazione.
Il comma 2 dispone che per i lavoratori dei settori privato e pubblico in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità (art. 3, co. 3, L. n. 104 del 1992) o in possesso del riconoscimento di disabilità (art. 3, co. 1, L. n. 104 del 1992), l’intero periodo di assenza dal servizio debitamente certificato, fino al termine del 31 luglio 2020, è equiparato a degenza ospedaliera.
In caso di malattia conclamata da COVID-19 il lavoratore deve farsi rilasciare il certificato di malattia dal proprio medico curante senza necessità di alcun provvedimento da parte dell’operatore di sanità pubblica. Tale fattispecie rientra nella consueta gestione della malattia comune e viene riconosciuta, ovviamente, anche ai lavoratori iscritti alla Gestione separata.
Per tutelare i lavoratori nel periodo precedente all’entrata in vigore del D.L. n. 18 del 2020sonoconsiderati validi, per il riconoscimento dell’indennità di cui al comma 1, i certificati medici prodotti anche in assenza del prescritto provvedimento dell’operatore di sanità pubblica.
D.L. 16 GIUGNO 2020, N. 52 “Ulteriori misure urgenti in materia di trattamento di integrazione salariale, nonché proroga di termini in materia di reddito di emergenza e di emersione dei rapporti di lavoro”.
L’art. 1, D.L. n. 52 del 2020 prevede la possibilità per i datori di lavoro, che abbiano interamente fruito del trattamento di integrazione salariale ordinario, straordinario o in deroga, per l’intero periodo precedentemente concesso di 14 settimane, di usufruire di ulteriori 4 settimane anche per periodi decorrenti antecedentemente all’1.09.2020. Resta, in ogni caso, ferma la durata massima di 18 settimane.
Indipendentemente dal periodo di riferimento, i datori di lavoro che abbiano erroneamente presentato domanda per trattamenti diversi da quelli a cui avrebbero avuto diritto o comunque con errori o omissioni che ne hanno impedito l’accettazione, possono presentare la domanda nelle modalità corrette entro trenta giorni dalla comunicazione dell’errore nella precedente istanza da parte dell’amministrazione competente.
Trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario: le aziende che hanno sospeso o ridotto l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza COVID-19, possono richiedere la concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o dell’assegno ordinario per una durata massima di 9 settimane, per periodi decorrenti dal 23.02.2020 al 31.08.2020, incrementate di ulteriori 5 settimane, nel medesimo arco temporale, per i soli datori di lavoro che abbiamo interamente fruito del periodo di 9 settimane; solamente le aziende che abbiano fruito del trattamento di integrazione salariale ordinario o di assegno ordinario per l’intero periodo massimo di 14 settimane (9+5), possono richiedere ulteriori 4 settimane di interventi anche per periodi antecedenti al 1° settembre 2020;
Assegno al nucleo familiare (ANF) per il periodo di percezione dell’assegno ordinario in relazione alla causale Covid-19: ai beneficiari dell’assegno ordinario, concesso a seguito della sospensione o riduzione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza da COVID-19, limitatamente alla causale ivi indicata, è concesso l’assegno per il nucleo familiare (ANF) in rapporto al periodo di paga adottato e alle medesime condizioni dei lavoratori ad orario normale;
Termini di trasmissione delle domande: le istanze finalizzate alla richiesta di interventi devono essere inviate, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa. Le istanze riferite ai periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa che hanno avuto inizio nel periodo ricompreso tra il 23.02.2020 e il 30.04.2020 devono essere inviate, a pena di decadenza, entro il 15.07.2020. Al fine di consentire un graduale adeguamento al nuovo regime, il medesimo decreto stabilisce che, in sede di prima applicazione della norma, i suddetti termini sono spostati al 17.07.2020 (trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore del D.L. n. 52 del 2020) se tale ultima data è posteriore a quella prevista per la scadenza dell’invio delle domande.
Cassa integrazione guadagni in deroga: Tutti i datori di lavoro che hanno interamente utilizzato il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di 14 settimane (9+5 autorizzate dall’Inps), possono usufruire di ulteriori 4 settimane anche per periodi antecedenti al 1.09.2020. La durata massima complessiva dei trattamenti di CIGD globalmente riconosciuti non può, in ogni caso, superare le diciotto settimane complessive.
Pagamento diretto delle integrazioni salariali a cura dell’INPS: La nuova disciplina dell’anticipo può essere applicata esclusivamente alle domande di CIGO, Assegno ordinario e CIGD presentate a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del D.L. n. 18 del 2020, vale a dire dal prossimo 18.06.2020. In fase di prima applicazione della norma, se il periodo di sospensione o di riduzione ha avuto inizio prima del 18.06.2020, l’istanza è presentata entro il quindicesimo giorno successivo alla medesima data, vale a dire entro il 3.07.2020.
D.P.C.M. 11 giugno 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del D.L. 25.03.2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, e del D.L. 16.05.2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
Il Decreto conferma le raccomandazioni già predisposte dai precedenti provvedimenti emanati nel corso dell’emergenza epidemiologica.
Tutte le attività di impresa commerciali ed industriali devono far rispettare la distanza interpersonale di almeno un metro tra le persone; per quanto attiene le attività di commercio al dettaglio è necessario che gli ingressi avvengano in modo dilazionato e che venga impedito di sostare all’interno dei locali più del tempo necessario all’acquisto dei beni.
Per quanto riguarda le attività professionali, viene raccomandato il massimo utilizzo del lavoro agile per lo svolgimento della prestazione, l’incentivo delle ferie o dei congedi retribuiti e l’adozione dei dispositivi di protezione individuale nell’ipotesi in cui non sia possibile far mantenere la distanza di almeno un metro.
ANTICIPO TFS/TFR – D.P.C.M. 22.04.2020, n. 51
E’ stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 150 del 15.06.2020, in vigore dal 30.06.2020, il D.P.C.M. n. 51 del 22.04.2020, recante il Regolamento in materia di anticipo del TFS/TFR (indennità di fine servizio e trattamento di fine rapporto), in attuazione dell’art. 23, co. 7, del D.L. n. 4 del 2019 (conv., con modificazioni, in L. n. 26 del 2019).
Possono chiedere l’anticipo TFS/TFR (non ancora liquidato): i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 nonché’ il personale degli enti pubblici di ricerca, cui e’ liquidata la pensione in quota 100; i soggetti che accedono, o che hanno avuto accesso, prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, al trattamento di pensione, ai sensi dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
L’anticipo del TFS/TFR rientra tra i contratti di credito, pertanto, in relazione alla richiesta di finanziamento la banca renderà disponibile al richiedente l’informativa precontrattuale e contrattuale. Entro 3 mesi dalla maturazione del diritto al pagamento della prima rata o dell’importo in unica soluzione del TFS/TFR, il soggetto erogatore rimborsa alla banca il relativo ammontare dell’importo dell’anticipo TFS/TFR, comunicato dalla stessa banca in sede di perfezionamento dell’operazione. Entro 30 giorni dalla data di maturazione delle rate di TFS/TFR successive alla prima, l’ente erogatore provvede a rimborsare il cessionario.
La domanda di certificazione del diritto all’anticipo TFS/TFR è presentata dal richiedente all’ente erogatore. Per gli iscritti alle casse previdenziali gestite dall’INPS la domanda è presentata secondo le modalità indicate nell’apposita sezione del sito INPS. La domanda on line può essere presentata direttamente dall’utente munito di PIN dispositivo rilasciato dall’Istituto. Gli enti di patronato e gli altri intermediari dell’INPS saranno espressamente delegati dal richiedente alla presentazione della domanda di certificazione. Una volta ottenuta la certificazione il richiedente dovrà presentare la domanda di anticipo del TFS/TFR alla banca indicando anche il c/c a lui intestato o cointestato sul quale accreditare l’importo finanziato. L’ente erogatore entro il termine perentorio di 30 giorni, effettuate le necessarie verifiche e acquisita la garanzia del Fondo, comunica alla banca la presa d’atto dell’avvenuta conclusione del contratto di anticipo TFS/TFR e rende indisponibile l’importo dell’anticipo del TFS/TFR. Qualora, in esito alle proprie verifiche, l’ente erogatore comunichi alla banca un diverso importo cedibile o l’impossibilità di perfezionare l’operazione di anticipo TFS/TFR, la proposta di contratto di anticipo TFS/TFR decade e il richiedente potrà eventualmente presentare una successiva proposta di contratto di anticipo TFS/TFR.
I.N.L., Nota del 3.06.2020 n. 160: divieto di licenziamenti e proroga dei contratti a termine
Con la nota n. 160/2020 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce alcune precisazioni relativamente alle modifiche apportate dal DL n. 34/2020 (decreto Rilancio) al precedente DL n. 18/2020 (decreto Cura Italia), di rilievo per le attività di competenza delle proprie articolazioni territoriali. In particolare, vengono poste in evidenza, oltre alle modifiche volte a protrarre sino al 17 agosto 2020 il divieto di operare licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo, quelle intervenute in materia di proroghe o rinnovi “acausali” dei contratti di lavoro a tempo determinato. Riguardo a quest’ultimo tema, è interessante osservare come l’Ispettorato proponga una lettura restrittiva della disposizione contenuta nell’art. 93 del DL n. 34/2020 (“è possibile rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato”), interpretandola nel senso che sono consentiti il rinnovo o la proroga acausali dei contratti in corso a condizione che la loro durata non superi la data del 30 agosto 2020
CIG in deroga per aziende plurilocalizzate
L’INPS ha emanato il Messaggio n. 2503 del 18.06.2020, con il quale fa presente che, per la presentazione delle domande per il trattamento di cassa integrazione in deroga per aziende plurilocalizzate, l’azienda provvede ad inviare la domanda di integrazione salariale con il sistema del ticket all’INPS accedendo ai servizi per aziende e consulenti, utilizzando il linkCIG e Fondi di Solidarietà – CIG Straordinaria e Deroga, selezionando CIG Straordinaria e Deroga.
Le suddette domande dovranno essere trasmesse dalle aziende in relazione alle singole unità produttive censite dall’INPS, anche qualora il decreto concessorio abbia autorizzato unità operative.
L’INPS evidenzia che il flusso di gestione è stato così delineato al fine di consentire il monitoraggio del rispetto del limite massimo del periodo di sospensione concedibile di cassa integrazione in deroga pari a 9 o 13 settimane, il cui conteggio viene effettuato per singola unità produttiva dell’azienda.
INPS – BONUSBABY-SITTING
L’INPS è intervenuto prima con Messaggio n. 2350 del 5.06.2020, poi con Circolare n. 73 del 17.06.2020, esplicando l’avvio di una nuova procedura per la presentazione delle domande per i nuovi bonus per i servizi di baby-sitting. L’INPS ha confermato l’alternatività delle misure rispetto alla fruizione del congedo specifico COVID e con riferimento all’altro genitore l’INPS ha precisato che non deve essere percettore di NASpI o di altro strumento a sostegno al reddito, né essere disoccupato o non lavoratore alla data della domanda.
NOTA INL n. 64 del 15.05.2020 – CIGO Covid-19 anche per i lavoratori in nero accertati dagli ispettori.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato la Nota n. 64 del 15.05.2020, con la quale ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla compatibilità della richiesta di cassa integrazione con causale CIGO COVID-19anche in relazione a dipendenti regolarizzati a seguito di accesso ispettivo.
L’accesso ai trattamenti di integrazione salariale appare essere condizionato alla circostanza che il lavoratore sia stato regolarizzato entro il termine del 17.03.2020.
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È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 6.06.2020 la Legge n. 40 del 2020 di conversione del D.L. n. 23 dell’8.04.2020 (c.d. decreto “Liquidità”), recante “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”.
Tra le principali novità si segnala l’art. 29-bis, che detta “Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19”, il quale ha lo scopo di chiarire la responsabilità dei datori di lavoro per il rischio di contagio dei dipendenti. Si tratta di un intervento fortemente richiesto, specialmente in seguito alle preoccupazioni indotte dall’art. 42 del D.L. 18 del 2020 (decreto “Cura Italia”, convertito in Legge n. 27 del 2020) che equipara il contagio da COVID-19 ad un infortunio sul lavoro.
Tale norma aveva immediatamente scatenato una serie di polemiche, incentrate sulla incongruenza tra la natura di rischio generico del COVID-19 e la qualificazione come infortunio sul lavoro e sulle potenziali conseguenze del riconoscimento dell’infortunio da parte dell’INAIL ai fini della responsabilità penale e civile. In tale acceso dibattito sulle conseguenti responsabilità civili e penali del datore di lavoro, più volte è intervenuto l’INAIL stesso, in particolare con le circolari n. 13 del 3.04.2020 e n. 22 del 20.05.2020.
Proprio la circolare INAIL n. 22 del 20.05.2020, concludeva chiarendo che “la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n. 33”.
Sulla stessa linea si pone il decreto Liquidità convertito in legge: il citato art. 29-bis afferma infatti che “Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste”.
La norma prosegue poi specificando che “Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente piu’ rappresentative sul piano nazionale”.
La disposizione dunque sembra evidenziare che, in caso di contagio di un lavoratore, il datore di lavoro non può essere considerato responsabile laddove abbia applicato le prescrizioni previste dai suddetti protocolli e linee guida. L’adozione delle prescrizioni previste da detti Protocolli è obbligatoria ma anche sufficiente a considerare soddisfatto il dovere di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c.
Inoltre, con l’espressione “adozione e mantenimento” si torna a valorizzare il ruolo del Comitato ed a sollecitare il datore di lavoro alla fondamentale e progressiva integrazione e modifica delle misure che dovesse rendersi necessaria nel corso del tempo.
L’effetto decisivo dell’art. 29-bis è, dunque, quello di riempire di contenuto l’art. 2087 cod. civ. con previsioni conoscibili ex ante da parte dei soggetti obbligati: da un lato, si fa puntuale riferimento ai contenuti del Protocollo e, dall’altro, si esclude l’esistenza di obblighi ulteriori rispetto a quelli contenuti nello stesso.
È bene ribadire che, sebbene l’adozione delle misure prescritte dal Protocollo sia da considerarsi sufficiente, l’impresa deve recepirne scrupolosamente i contenuti secondo le proprie caratteristiche, ossia adattando tali misure al proprio contesto aziendale. In questo modo si riuscirà a dimostrare un’adozione non solo formale del Protocollo, ma anche volta a perseguire una efficace attuazione di dette misure.
L’art. 46 del Decreto “Cura Italia” aveva introdotto, per il periodo dal 17.03.2020 al 16.05.2020, il divieto di avviare procedure di riduzione collettiva del personale e aveva sospeso le procedure pendenti avviate successivamente al 23.02.2020; inoltre, sino al 16.05.2020, indipendentemente dal numero di dipendenti non era possibile per il datore di lavoro intimare i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Era stato, perciò, introdotto il DIVIETO DI LICENZIAMENTO.
Dal 19.05.2020 è entrato in vigore il c.d. “Decreto Rilancio” (D.L. n. 34 del 2020), ed all’art. 80 ha modificato il precedente art. 46 del D.L. n. 18 del 2020, conv. in L. n. 27 del 2020, prolungando il divieto di licenziamento per ragioni economiche sino al17.08.2020. Ha, pertanto, portato a 5 mesi, a decorrere dal 17.03.2020, il divieto di procedere a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della L. n. 604 del 1966, e il divieto di avviare procedure di licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4, 5 e 24 della L. n. 223 del 1991.
L’art. 80 del D. L. n. 34 del 2020 ha poi apportato le seguenti modificazioni:
“Sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.” prevedendo la sospensione delle procedure relative all’esperimento del tentativo di conciliazione;
ha introdotto il comma 1-bis “Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri ne’ sanzioni per il datore di lavoro” prevedendo la possibilità per il datore di lavoro di revocare i licenziamenti intimati tra il 23.02.2020 ed il 17.03.2020 purché attivi gli ammortizzatori sociali.
Il divieto di licenziamento vale per tutti i lavoratori?
NO!
Il divieto non vale per:
lavoratori assunti in prova;
lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia;
lavoratori domestici;
gli apprendisti che hanno compiuto il periodo di formazione;
Quali sono, inoltre, le tipologie di licenziamento escluse dal divieto in esame?
licenziamento per motivi disciplinari per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo. Non possono, tuttavia, essere licenziati i lavoratori con figli tra i 12 e i 16 anni che si astengono dal lavoro senza retribuzione nel periodo di sospensione dei servizi educativi;
licenziamento per superamento del periodo di comporto;
licenziamento per scarso rendimento.
In caso di licenziamento, l’INPS, con Messaggio n. 2261 dell’1.06.2020, ha chiarito alcuni aspetti in materia di tutela NASpI e licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 46 del decreto “Cura Italia”.
La disposizione di cui all’art. 46 del decreto Cura Italia, come modificato e integrato dall’art. 80 del decreto Rilancio, ha assunto rilievo infatti in ordine alla possibilità di accesso alla prestazione di disoccupazione NASpI da parte dei lavoratori che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro con la causale di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nonostante il divieto posto dal legislatore nella richiamata disposizione normativa.
L’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con nota prot. n. 5481 del 26.05.2020, chiarisce che l’indennità di disoccupazione NASpI è una prestazione riconosciuta ai lavoratori che hanno perduto involontariamente la propria occupazione, specificando che “non rileva dunque, a tal fine, il carattere nullo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo – intimato da datore di lavoro nel periodo soggetto a divieto – atteso che l’accertamento sulla legittimità o meno del licenziamento spetta al giudice di merito, così come l’individuazione della corretta tutela dovuta al prestatore”.
È dunque possibile procedere, qualora sussistano tutti i requisiti legislativamente previsti, all’accoglimento delle domande di indennità di disoccupazione NASpI presentate dai lavoratori il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito di licenziamento – con le causali di cui al citato art. 46 del D.L. n. 18 del 2020 – intimato anche in data successiva al 17 marzo 2020. Tuttavia, l’Istituto precisa che l’erogazione dell’indennità NASpI a favore dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo – nonostante il divieto posto dall’art. 46 del decreto Cura Italia – sarà effettuata con riserva di ripetizione di quanto erogato nella ipotesi in cui il lavoratore medesimo, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, dovesse essere reintegrato nel posto di lavoro. In tale ipotesi, pertanto, il lavoratore è tenuto a comunicare all’INPS, attraverso il modello NASpI-Com, l’esito del contenzioso ai fini della restituzione di quanto erogato e non dovuto per effetto del licenziamento illegittimo che ha dato luogo al pagamento dell’indennità di disoccupazione.
In caso di revoca del recesso ai sensi dell’art. 46, co. 1-bis del D.L. n. 18 del 2020, quanto eventualmente già erogato a titolo di indennità NASpI sarà oggetto di recupero da parte dell’Istituto.
Si precisa che l’art. 46 di cui al D.L. n. 18 del 2020 non trova applicazione al rapporto di lavoro domestico e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
Nell’ipotesi in cui il lavoratore licenziato voglia ricorrere all’Ispettorato Territoriale del Lavoro per la conciliazione, con nota n. 192 del 18.05.2020 l’Ispettorato Nazionale comunica ai propri uffici periferici (ITL) la prossima adozione di specifici applicativi che consentiranno di svolgere “da remoto” le procedure conciliative previste dal legislatore. Tali modalità potranno costituire una valida alternativa anche al termine dell’emergenza epidemiologica.
Le modalità di svolgimento delle procedure di conciliazione da remoto dovranno assicurare la possibilità di identificare con certezza i soggetti partecipanti e l’unicità del verbale originale, in ragione del particolare effetto che il verbale produce, sotto il profilo delle rinunzie di cui all’art. 2113 c.c. o in ragione della idoneità dello stesso a costituire titolo esecutivo.
Novità giurisprudenziali
SMART WORKING O FERIE?
Tribunale di Grosseto, sez. lavoro, ordinanza n. 502 del 23.04.2020
Il Tribunale di Grosseto, con ordinanza resa a definizione di un procedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., ha dichiarato l’illegittimità della condotta datoriale che obbliga il lavoratore a fruire di ferie “anticipate”, da computarsi su un monte ferie non ancora maturato, invece di adibirlo a modalità di lavoro agile in ragione della previsione di cui all’art. 39, co. 2, D.L. n. 18 del 2020.
Nel caso di specie un lavoratore, affetto da una patologia polmonare da cui era derivato il riconoscimento di un’invalidità civile con riduzione della capacità lavorativa, addetto a mansioni impiegatizie di back office era stato escluso dal c.d. lavoro agile, a cui invece erano stati autorizzati i colleghi di reparto. L’azienda gli aveva prospettato il ricorso alle ferie, da computarsi su un monte ferie non ancora maturato quale alternativa alla sospensione non retribuita dal rapporto fino alla cessazione della sua incompatibilità al lavoro.
La società datrice si difendeva sostenendo che l’individuazione dei dipendenti da porre in smart working era avvenuta quando il ricorrente era assente dal lavoro per malattia e che non era possibile riprogrammare il lavoro in seguito alla sua richiesta in quanto ciò avrebbe comportato costi significativi a livello economico e organizzativo.
Il Tribunale ha dapprima ritenuto implausibili e inconsistenti le difese datoriali, considerate le dimensioni della società e i costi sostenibili per mettere il lavoratore in condizione di operare da remoto. Inoltre, la richiesta del lavoratore era stata inoltrata alla società prima della programmazione organizzativa dello smart working. Il certificato di inidoneità alla mansione, infine, prescriveva l’allontanamento dal posto di lavoro in quanto, a causa della particolare patologia, il lavoratore non poteva essere sottoposto al rischio di contrarre il Covid-19. Per luogo di lavoro doveva, perciò, intendersi la sede operativa della società, ovvero il luogo in cui abitualmente veniva svolta la prestazione, non l’ambiente domestico.
Il Giudice prosegue richiamando l’art. 1, lett. hh) del DPCM 10.04.2020, per cui si “raccomanda in ogni caso ai datori di lavoro pubblici o privati di promuovere la fruizione di periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dalla lettera precedente e dall’art. 2, comma 2”. Dunque, “laddove il datore di lavoro privato sia nelle condizioni di applicare il lavoro agile, e ne abbia dato prova, il ricorso alle ferie non può essere indiscriminato, ingiustificato o penalizzante, soprattutto laddove vi siano titoli di priorità per ragioni di salute”.
Pertanto “la promozione del godimento delle ferie appare, del resto, una misura comunque subordinata – o quantomeno equiparata, non certo primaria – laddove vi siano le concrete possibilità di ricorrere al lavoro agile e il datore di lavoro privato vi abbia fatto ricorso”.
Il diritto alle ferie maturate non può, dunque, essere subordinato alle sole esigenze aziendali se non nei limiti di cui all’art. 2109, comma 2, c.c. e comunque nel rispetto delle previsioni dei singoli contratti collettivi. Per quanto concerne le ferie maturande, il Tribunale ha stigmatizzato la condotta aziendale, richiamando il principio generale per cui la regola è quella per la quale devono essere usufruite le ferie maturate, con lo scopo di consentire annualmente il recupero delle energie psico-fisiche.
TERMINI DI DECADENZA E LAVORO CON SOGGETTO DIVERSO DALL’APPALTATORE
Tribunale di Tivoli, sez. lavoro, sentenza n. 237 del 19.05.2020
Nel caso di specie il Tribunale afferma che la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal formale datore, titolare del contratto, ricade nel doppio regime decadenziale di cui all’art. 6 della L. n. 604 del 1966 (impugnativa stragiudiziale entro 60 giorni dalla cessazione del rapporto cui deve seguire, nei successivi 180 giorni, il deposito del ricorso giudiziale).
La lavoratrice, dipendente di una cooperativa appaltatrice di servizi di pulizia all’interno di un palazzo comunale, deducendo di aver svolto orari e mansioni diverse da quelle contrattualmente stabilite, secondo direttive impartite dai dirigenti del Comune, aveva fatto ricorso per richiedere, oltre al riconoscimento delle differenze retributive, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’Ente pubblico.
Il Tribunale di Tivoli ha affermato che la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto ricade nel doppio regime decadenziale previsto dall’art. 6 della L. n. 604 del 1966. Il giorno dal quale decorre il primo termine di 60 giorni per l’impugnativa va individuato nella data di cessazione del rapporto con l’effettivo utilizzatore o con il soggetto che il lavoratore sostiene essere il datore effettivo, secondo quanto stabilito dall’art. 39 del D.Lgs. n. 81 del 2015. Tale norma è da interpretarsi quale comprensiva anche di quelle fattispecie in cui il lavoratore chieda la costituzione del rapporto in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto.
SPESE DI TRASFERTA DEL DIPENDENTE
Corte di Cassazione, sez. tributaria, ordinanza n. 8489 del 6.05.2020
In tema di imposte sui redditi, il rimborso delle spese di trasfertaex art. 51, comma 5, D.P.R. n. 917 del 1986 può essere analitico, se ancorato agli esborsi, per vitto, alloggio e viaggio effettivamente sostenuti e adeguatamente documentati dal dipendente, ovvero forfetario, se operato attraverso il riconoscimento di una provvista di denaro per sostenere le spese di vitto e alloggio, con la conseguenza che, mentre nel primo caso il rimborso non determina alcuna tassazione in capo al dipendente, nel secondo l’importo che oltrepassi il limite massimo previsto dall’art. 51 cit. concorre alla formazione del reddito di lavoro.
D.L. 19 maggio 2020, n. 34, c.d. DECRETO RILANCIO, recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
In data 19 maggio 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34 recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
Quali sono le novità normative?
Innanzitutto il c.d. decreto “Rilancio” ha apportato alcune modifiche al testo del D.L. n. 18 del 2020, chiarendo, modificando o prorogando molte disposizioni in esso contenute ed inoltre ha introdotto nuove disposizioni di natura giuslavoristica per tutelare i lavoratori e salvaguardare le imprese in questo contesto emergenziale.
Di seguito i principali interventi.
DPI – L’art. 66 ha modificato quanto disposto dall’art. 16 del D.L. n. 18 del 2020, prevedendo che, per contenere il diffondersi del virus Covid-19, tutti i lavoratori e i volontari, sanitari e non, che nello svolgimento della loro attività lavorativa sono impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono tenuti ad indossare i dispositivi di protezione individuale quali le mascherine chirurgiche. Tale previsione si applica anche ai lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari.
Licenziamenti – L’art. 80 ha modificato quanto disposto dall’art. 46 del D.L. n. 18 del 2020, il quale stabiliva la sospensione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo per due mesi a decorrere dal 23 febbraio 2020. La proroga della sospensione è ora prevista stabilita retroattivamente per cinque mesi. Viene introdotto il comma 1-bis: il datore di lavoro che, dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020, abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo, può revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale dalla data in cui abbia avuto efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.
Contratti a termine – L’art. 93 stabilisce che è possibile rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020 anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
CIGO e FIS – L’art. 68 ha modificato quanto disposto dall’art. 19 del D.L. n. 18 del 2020, prevedendo che i datori di lavoro che hanno sospeso l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19, possono presentare domanda di cassa integrazione ordinaria (CIGO) o di assegno ordinario, con causale “emergenza COVID-19”, per una durata massima di 9 settimane nel corso del periodo tra il 23.02.2020 e il 31.08.2020. C’è, inoltre, la possibilità di incrementare il periodo di ammortizzazione per un periodo di ulteriori 5 settimane per i datori di lavoro che hanno già usufruito integralmente delle suddette 9 settimane. Inoltre, per il periodo compreso tra il 1.09.2020 ed il 31.10.2020, è riconosciuto un eventuale ulteriore periodo di durata massima di 4 settimane di trattamento.
Per i datori di lavoro dei settori turismo, fiere, congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche, è possibile usufruire delle predette 4 settimane anche per periodi decorrenti antecedentemente il 1.09.2020 a condizione che i medesimi abbiano fruito il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di 14 settimane.
Si potrà dare domanda di cassa integrazione entro la fine del mese in cui è iniziato il periodo di riduzione o sospensione dell’attività. Tuttavia, il termine di presentazione delle domande riferite a periodi che hanno avuto inizio tra il 23.02.2020 e il 30.04.2020 è fissato al 31.05.2020. Qualora la domanda sia presentata dopo il termine il trattamento di integrazione salariale non potrà aver luogo per periodi anteriori di una settimana rispetto alla data di presentazione.
Inoltre, i destinatari dell’assegno ordinario del Fondo di Integrazione Salariale (FIS) saranno legittimati a ricevere l’assegno per il nucleo familiare.
CIGS – L’art. 69 ha modificato quanto disposto nell’art. 19 del D.L. n. 18 del 2020, prevedendo che le aziende in cassa integrazione straordinaria hanno la possibilità di usufruire della cassa integrazione ordinaria o dell’assegno ordinario per “emergenza Covid-19” per la durata di 9 settimane per i periodi decorrenti dal 23.02.2020 al 31.08.2020. Tale periodo può essere incrementato di 5 settimane qualora il datore di lavoro abbia già usufruito delle 9 settimane concesse. È altresì riconosciuto un eventuale ulteriore periodo di durata massima di 4 settimane di trattamento per i periodi decorrenti dal 1.09.2020 al 31.10.2020.
Cassa integrazione in deroga – L’art. 70 ha modificato quanto disposto nell’art. 22 del D.L. n. 18 del 2020, prevedendo che tale ammortizzatore possa essere concesso per ulteriori 5 settimane per i datori di lavoro che tra il 23.02.2020 ed il 31.08.2020 abbiano esaurito le 9 settimane di ammortizzatore previste dal D.L. “Cura Italia”, nonché di ulteriori 4 settimane per il periodo compreso tra il 1.09.2020 ed il 31.10.2020. Per i datori di lavoro dei settori del turismo,fiere, congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche, è possibile usufruire delle predette 4 settimane anche per periodi decorrenti antecedentemente il 1.09.2020 a condizione che i medesimi abbiano fruito il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di 14 settimane.
NASPI e DIS-COLL – L’art. 92 prevede la proroga di due mesi per i lavoratori in Naspi o Dis-Coll scaduta nei mesi di marzo e aprile. Nello specifico, la proroga dell’assegno di disoccupazione si applicherà esclusivamente qualora il periodo di fruizione sia terminato tra il 1° marzo 2020 ed il 30 aprile 2020 e il termine di due mesi decorre dalla data di scadenza. L’importo dell’assegno di disoccupazione riconosciuto per gli ulteriori due mesi sarà pari all’ultima indennità mensile spettante per la prestazione originaria. Tale proroga non troverà applicazione per chi già beneficiario delle indennità di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, 38 e 44 del DL 17 marzo 2020 n. 1 8, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, né di quelle di cui agli articoli 84, 85 e 98 del Decreto Rilancio.
Congedi per i dipendenti – L’art. 72 ha modificato quanto disposto dall’art. 23 del D.L. n. 18 del 2020, prevedendo per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 30 giorni, i giorni di permesso per cui viene riconosciuta una indennità sino al 50% della retribuzione per tutti i genitori lavoratori dipendenti del settore privato con figli fino a 12 anni. Queste 30 giornate, coperte da contribuzione figurativa, potranno essere utilizzate a decorrere dal 5.03.2020 al 31.07.2020.
Per i genitori con figli minori di 16 anni è prevista la possibilità di astensione dal lavoro senza la corresponsione di alcuna indennità o riconoscimento di contribuzione figurativa, con diritto alla conservazione del posto di lavoro e con divieto di licenziamento, per tutto il periodo di sospensione di servizi educativi per l’infanzia e/o delle attività didattiche di ogni ordine e grado.
Viene poi prevista la possibilità di usufruire del “bonus baby sitter” per poter pagare l’iscrizione a servizi integrativi per l’infanzia, centri con funzione educativa o ricreativa o servizi integrativi o innovativi per la prima infanzia. L’importo del bonus è aumentato ad Euro 1.200,00 da erogarsi tramite il libretto famiglia. Per i dipendenti del settore sanitario il bonus è aumentato ad Euro 2.000,00.
Permessi retribuiti – L’art. 73 ha modificato quanto disposto dall’art. 24 del D.L. n. 18 del 2020 prevedendo la possibilità di usufruire di ulteriori 12 giornate nei mesi di maggio e giugno 2020, per tutti coloro che beneficiano dei permessi di cui all’art. 33 della L. n. 104 del 1992.
Sorveglianza sanitaria – L’art. 83 ha previsto che, per garantire lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive e commerciali in relazione al rischio di contagio da virus Covid-19, fino alla data di cessazione dello stato di emergenza per rischio sanitario sul territorio nazionale, i datori di lavoro devono assicurare la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio derivante da altri fattori, quali la presenza di altre malattie, patologie oncologiche, o dalla infezione da Covid-19.
Per i datori di lavoro che non sono tenuti alla nomina del medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria, la sorveglianza sanitaria eccezionale può essere richiesta ai servizi territoriali dell’INAIL che vi provvedono con propri medici del lavoro.
L’inidoneità alla mansione accertata dal medico competente non giustifica il recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro.
Smart working – L’art. 90 ha previsto che fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di 14 anni, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali. Condizione è che non vi sia un altro genitore che sia beneficiario di strumenti di sostegno al reddito dovuti alla sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o in ogni caso che non lavori.
Indennità lavoratori danneggiati dall’emergenza COVID-19 – Accanto ai professionisti e lavoratori già beneficiari dell’indennità di marzo di Euro 600 ex artt. 27, 28, 29, 30, 38 del decreto Cura Italia, gli artt. 84 (nuove indennità per i lavoratori danneggiati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19), 85 (lavoratori domestici) e 98 (lavoratori sportivi) del decreto Rilancio prevedono nuove categorie di soggetti beneficiari dei contributi. Di seguito una tabella illustrativa dei bonus previsti dall’art. 84.
CATEGORIA
APRILE 2020
MAGGIO 2020
Liberi professionisti e collaboratori coordinati continuativi già beneficiari per il mese di marzo dell’indennità pari ad Euro 600
Euro 600
–
Liberi professionisti iscritti alla Gestione Separata INPS titolari di partita IVA attiva al 19 maggio 2020, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, che abbiano subito una comprovata riduzione di almeno il 33% cento del reddito del secondo bimestre 2020, rispetto al reddito del secondo bimestre 2019
–
Euro 1000
Lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, iscritti alla Gestione separata, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, che abbiano cessato il rapporto di lavoro al 19 maggio 2020
–
Euro 1.000
Lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’AGO già beneficiari per il mese di marzo 2020 dell’indennità pari ad Euro 600
Euro 600
–
Lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali già beneficiari per il mese di marzo 2020 dell’indennità pari ad Euro 600
Euro 600
–
Lavoratori in somministrazione, impiegati presso imprese utilizzatrici operanti nel settore del turismo e degli stabilimenti termali, che abbiano cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 17 marzo 2020, non titolari di pensione, né di rapporto di lavoro dipendente, né di NASPI, al 19 maggio 2020
Euro 600
–
Lavoratori dipendenti stagionali del settore turismo e degli stabilimenti termali che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 17 marzo 2020, non titolari di pensione, né di rapporto di lavoro dipendente, né di NASPI, al 19 maggio 2020
–
Euro 1.000
Lavoratori in somministrazione, impiegati presso imprese utilizzatrici operanti nel settore del turismo e degli stabilimenti termali, che abbiano cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 17 marzo 2020, non titolari di pensione, né di rapporto di lavoro dipendente, né di NASPI, al 19 maggio 2020
–
Euro 1.000
Lavoratori del settore agricolo già beneficiari per il mese di marzo dell’indennità pari ad Euro 600
Euro 500
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Lavoratori dipendenti stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 31 gennaio 2020 e che abbiano svolto la prestazione lavorativa per almeno trenta giornate nel medesimo periodo
Euro 600
Euro 600
Lavoratori intermittenti, che abbiano svolto la prestazione lavorativa per almeno trenta giornate nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 31 gennaio 2020
Euro 600
Euro 600
Lavoratori autonomi, privi di partita IVA, non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, che nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 23 febbraio 2020 siano stati titolari di contratti autonomi occasionali e che non abbiano un contratto in essere alla data del 23 febbraio 2020. Gli stessi, per tali contratti, devono essere già iscritti alla data del 23 febbraio 2020 alla Gestione separata INPS, con accredito nello stesso arco temporale di almeno un contributo mensile
Euro 600
Euro 600
Incaricati alle vendite a domicilio con reddito annuo 2019 derivante dalle medesime attività superiore ad Euro 5.000 e titolari di partita IVA attiva e iscritti alla Gestione Separata e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie
Euro 600
Euro 600
Lavoratori iscritti al Fondo pensioni Lavoratori dello spettacolo, con almeno trenta contributi giornalieri versati nell’anno 2019 al medesimo Fondo, cui deriva un reddito non superiore ad Euro 50.000
Euro 600
Euro 600
Lavoratori iscritti al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo con almeno sette contributi giornalieri versati nel 2019, cui deriva un reddito non superiore ad Euro 35.000
Euro 600
Euro 600
COVID-19: TUTELA INFORTUNISTICA E RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO
L’INAIL è intervenuto nuovamente in materia di responsabilità del datore di lavoro nei casi accertati di infezione da Covid-19 in occasione di lavoro. Con la circolare n. 22 del 20 maggio 2020l’Istituto integra e precisa quanto precedentemente indicato con la circolare n. 13 del 3 aprile 2020.
In particolare, si ribadisce che l’infezione da SARS-Cov-2, come accade per tutte le infezioni da agenti biologici se contratte in occasione di lavoro, è tutelata dall’INAIL quale infortunio sul lavoro. Ciò in quanto le patologie infettive contratte in occasione di lavoro sono da sempre inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro poiché la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio. Si ricorda, inoltre, che viene riconsociuto anche l’infortunio in itinere e che gli oneri degli eventi infortunistici del contagio non incidono sull’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico, come stabilito dall’art. 42, co. 2 del Decreto Cura Italia convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27.
L’indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria (sempre che il contagio sia riconducibile all’attività lavorativa), con la conseguente astensione dal lavoro.
Circa l’accertamento dell’infortunio da contagio da SARS-CoV-2, l’Istituto specifica che occorre in ogni caso accertare la sussistenza dei fatti noti, cioè di indizi gravi, precisi e concordanti sui quali deve fondarsi la presunzione semplice di origine professionale, ferma restando la possibilità di prova contraria a carico dell’Istituto. In tale contesto, l’Istituto valuta tutti gli elementi acquisiti d’ufficio, quelli forniti dal lavoratore nonché quelli prodotti dal datore di lavoro, in sede di invio della denuncia d’infortunio contenente tutti gli elementi utili sulle cause e circostanze dell’evento denunciato.
Infine l’Istituto chiarisce che non possono confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo INAIL con i presupposti per la responsabilità penale e civile del datore di lavoro, che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative: oltre alla prova del nesso di causalità, infatti, occorre anche la prova dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro. Ne consegue che il riconoscimento del diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto non può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale e civile. Pertanto, in questo contesto emergenziale, la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n. 33. L’eventuale azione di regresso si deve basare sul rapporto di causalità tra omissione ed evento verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, pertanto l’Istituto ammette che, in assenza di una comprovata violazione, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro.