La Riforma Cartabia nel Diritto del Lavoro. Profili processuali e sostanziali

✔Finalmente è uscito il mio libro La Riforma Cartabia nel Diritto del Lavoro. Profili processuali e sostanziali – Manuela Salvalaio edito da AMON.

Il volume rappresenta una guida pratica, utile strumento tecnico ad uso e consumo dei tanti professionisti che si trovano ad affrontare nel quotidiano le novità della Riforma Cartabia, con particolare attenzione alle modifiche introdotte nel diritto del lavoro e già entrate in vigore.
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NEWSLETTER n. 6/2023

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 10.05.2023 recante “Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 10 maggio 2023 volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione.

Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 17.05.2023, la direttiva si propone di colmare il divario salariale tra uomini e donne attraverso la trasparenza retributiva e regole procedurali che facciano ricadere l’onere della prova sul datore di lavoro che, se citato in giudizio per violazione della parità retributiva, sarà tenuto a dimostrare l’insussistenza della discriminazione retributiva diretta o indiretta.

La direttiva si applica ai datori di lavoro sia pubblici che privati e fissa prescrizioni minime per i Paesi membri dell’Unione, ma permette alle legislazioni nazionali interventi migliorativi per raggiungere l’obiettivo della parità di retribuzione.

Prevista anche una diretta incidenza sugli appalti perché gli Stati membri dovranno assicurare che, nell’esecuzione di appalti pubblici o concessioni, gli operatori economici rispettino gli obblighi sulla parità di retribuzione.

D. L. 4 maggio 2023, n. 48 recante ”Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro” (GU n. 103 del 4.5.2023) – Vigente al: 5.5.2023

ll Consiglio dei Ministri ha pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n. 103 del 4.05.2023, il D. L. n. 48/2023 con misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro.

Il decreto è entrato in vigore il 5.05.2023.

Le principali misure introdotte dal Governo riguardano in particolare:

  • modifiche alla disciplina del Reddito di cittadinanza, in scadenza il 31.12.2023;

• modifiche alla disciplina del Reddito di cittadinanza, in scadenza il 31.12.2023;
• il rafforzamento delle regole in materia di sicurezza sul lavoro e tutela contro gli infortuni;
• modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato;
• semplificazioni in materia di obblighi informativi sul rapporto di lavoro, come previsti dal cd. Decreto Trasparenza;
• incentivi all’occupazione giovanile e incentivi per il lavoro delle persone con disabilità;
• l’incremento di 4 punti percentuali dell’esonero sulla quota dei contributi previdenziali a carico del lavoratore, per i periodi di paga dal 1.07.2023 al 31.12.2023;
• l’aumento, per il periodo d’imposta 2023, a 3.000 euro della soglia dei fringe benefit per i lavoratori dipendenti con figli a carico.

INPS, circolare n. 46 del 17 maggio 2023“Cessazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato nelle ipotesi disciplinate dal decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”, e obbligo contributivo del c.d. ticket di licenziamento. Istruzioni operative”.

Con la circolare n. 46/2023 l’Inps fornisce chiarimenti in merito agli obblighi informativi e contributivi cui è tenuto il curatore nelle ipotesi di cessazione dei rapporti di lavoro nelle fattispecie disciplinate dal D.Lgs. n. 14/2019, prevedendo in particolare che le interruzioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato previste dall’articolo 189 del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (CCII) non fanno venire meno l’obbligo di versare il ticket di licenziamento introdotto dalla legge Fornero.

INAIL, circolare n. 18 del 19 maggio 2023” Strumenti tecnici e specialistici per la riduzione dei livelli di rischio ai sensi dell’articolo 28, comma 3-ter, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.”.

L’Inail ha pubblicato la circolare n. 18 del 19.05.2023, con la quale comunica la realizzazione un ambiente di consultazione interattivo (repository) allo scopo di rendere fruibili al datore di lavoro e alle imprese i prodotti e gli strumenti tecnici e specialistici per la riduzione dei livelli di rischio, permettendo così di individuare soluzioni tecniche specialistiche orientate alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Gli strumenti sono finalizzati a supportare il datore di lavoro nel processo di valutazione dei rischi e a fornire elementi utili all’eliminazione dei rischi stessi oppure, ove ciò non sia possibile, alla loro riduzione, in relazione alle conoscenze acquisite e in base al progresso tecnico.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, ordinanza 9 maggio 2023, n. 12244

Il rifiuto del part time non costituisce di per sé g.m.o. di licenziamento, ma solo se la richiesta datoriale è giustificata da esigenze obbiettive

In una causa in cui una dipendente, licenziata per giustificato motivo oggettivo in regime di tutela obbligatoria, sosteneva il carattere ritorsivo del recesso, per aver rifiutato la trasformazione del rapporto di lavoro in part time, negando che tale rifiuto potesse costituire giustificato motivo oggettivo di licenziamento, la Corte, conferma la valutazione dei giudici di merito di non ricorrenza del lamentato carattere ritorsivo, anche alla luce della considerazione che l’illegittimità del licenziamento per motivo oggettivo a causa del  rifiuto opposto dal dipendente al part time (art. 8, primo comma D. Lgs. n. 81/2015) non esclude la sua giustificatezza quando la richiesta di part time sia stata fatta al dipendente (e da questi rifiutata) per esigenze obbiettive dell’impresa.

Corte di Cassazione, ordinanza 9 maggio 2023, n. 11344

Giustificato il licenziamento del lavoratore che rifiuta di procedere a un aggiornamento professionale.

Nel confermare la decisione della Corte d’appello, che aveva riconosciuto la legittimità del licenziamento disciplinare di un tecnico informatico che si era rifiutato di approfondire la conoscenza di due sistemi operativi, come richiestogli dal suo diretto superiore gerarchico e di collaborare attivamente nell’aggiornamento di sistemi di un cliente, la Cassazione osserva che il comportamento tenuto dal dipendente integra gli estremi della grave insubordinazione, ponendosi in aperto contrasto con l’obbligo di diligenza, qui inteso anche con riguardo alle esigenze di formazione e accrescimento professionale necessarie per il proficuo impiego del dipendente.

Corte di cassazione, sentenza 3 maggio 2023, n. 11564

L’ordine giudiziale di ripristino del rapporto di lavoro comporta l’assegnazione alle originarie sede e mansioni, anche se nel frattempo occupate da altri.

Nel dare esecuzione all’ordine giudiziale di ripristino del rapporto con una lavoratrice interinale – a seguito della declaratoria di nullità del relativo contratto di fornitura di lavoro temporaneo –, una società aveva provvisoriamente assegnato la dipendente presso l’originaria sede di Roma, salvo poi disporne il trasferimento alla sede di Palermo, trasferimento che era stato rifiutato dalla lavoratrice, che era stata conseguentemente licenziata per giusta causa.

Tribunale e Corte d’appello avevano rigettato il ricorso di impugnazione del licenziamento proposto dalla lavoratrice, giudicando legittimo il trasferimento della stessa da Roma a Palermo, e quindi ingiustificato il suo rifiuto di presentarsi al lavoro, ritenendo che la società avesse dimostrato l’impossibilità di destinare in via definitiva la dipendente presso la sede di Roma, visto che, in tali uffici, già lavorava un’altra dipendente con le stesse mansioni ma con maggiore anzianità di servizio.

La Cassazione, nell’accogliere le doglianze della lavoratrice, osserva che: (i) l’ordine giudiziale di ripristino della posizione di lavoro deve essere adempiuto riassegnando il lavoratore nel posto precedentemente occupato e nelle mansioni originarie, e in via prioritaria rispetto ad altri dipendenti; (ii) è possibile per il datore di lavoro disporre il trasferimento del lavoratore reintegrato ad altra unità produttiva, purché questo sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, tra le quali non rientra l’avvenuta sostituzione del lavoratore con altro dipendente, anche se con maggiore anzianità.

Corte di Cassazione, ordinanza 2 maggio 2023, n. 11344

Licenziamento del dipendente che minaccia datore e colleghi in chat.

La sentenza 11344/2023 della Corte di Cassazione conferma il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che su una chat di WhatsApp con i colleghi aveva insultato e diffamato il datore di lavoro.

Nel caso in questione, con il dipendente che si era anche presentato in azienda in stato di alterazione e aveva proseguito in ingiurie e minacce una volta allontanato, sono state fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare materialmente i fatti nei quali il datore aveva ravvisato infrazioni disciplinari.

Corte di Cassazione, ordinanza 28 aprile 2023, n. 11248

Cassazione: quali conseguenze in caso di errata inidoneità alla mansione disposta da una struttura pubblica?

Con l’ordinanza n. 11248 del 28.04.2023, la Cassazione afferma che deve essere considerata limitata la responsabilità della società che irroga un licenziamento illegittimo, sulla scorta del giudizio (poi rivelatosi errato) di inidoneità fisica alla mansione formulato da una struttura sanitaria pubblica.

La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole per g.m.o., stante la sopravvenuta inidoneità fisica all’espletamento delle mansioni.

La Corte d’Appello accoglie solo parzialmente la predetta domanda, condannando la società a riconoscere alla ricorrente unicamente un’indennità risarcitoria, dal momento che il recesso era stato intimato sulla scorta del giudizio di inidoneità formulato da struttura sanitaria pubblica.

La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che il datore di lavoro non può ignorare il giudizio di inidoneità fisica del lavoratore allo svolgimento dell’attività se lo stesso è pervenuto, non già dal medico aziendale, ma direttamente dalla struttura sanitaria pubblica certificante (Dipartimento di medicina legale dell’ASL).

Invero, secondo i Giudici di legittimità, il datore non può non tener conto dell’autorità e della posizione di terzietà della struttura pubblica e non può certamente disattendere le relative valutazioni e adibire il dipendente alle mansioni cui (secondo la ASL) è risultato inidoneo, se non prestandosi evidentemente al grave rischio della responsabilità per danno alla salute.

Dunque, continua la sentenza, se detto giudizio risulta infondato, la responsabilità datoriale appare limitata e, come tale, non può essere punita con una sanzione più forte rispetto a quella indennitaria.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla lavoratrice, ritenendo che la stessa non abbia diritto alla reintegra.

Corte di Cassazione, ordinanza 27 aprile 2023, n. 11136

Non computabili nel periodo di comporto le assenze per infortunio solo se ne è responsabile il datore di lavoro.

L’addetta a una mensa aziendale aveva impugnato il licenziamento intimatole per superamento del periodo di comporto, lamentando che in tale periodo fossero state computate le giornate di assenza per un infortunio occorsole in azienda e sostenendo comunque che la responsabilità dell’infortunio doveva essere attribuita alla datrice di lavoro.

La Cassazione, confermando il rigetto delle domande disposto dai giudici di merito, (i) ribadisce la propria giurisprudenza, secondo cui le assenze del lavoratore dovute a infortunio sul lavoro o a malattia professionale sono in linea di principio riconducibili all’ampia e generale nozione contenuta nell’art. 2110 c.c. e sono pertanto normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro; (ii) perché l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto non basta, quindi, che si tratti di malattia di origine lavorativa, ma è altresì necessario che in relazione a tale malattia sussista la responsabilità del datore di lavoro; (iii) nel caso di specie, in giudizio era emersa l’assoluta imprevedibilità dell’evento (lo scoppio della vetrinetta termica), alla luce del grado di diligenza esigibile in base alle norme tecniche e precauzionali del tempo, per cui la Corte d’appello aveva correttamente escluso che la responsabilità dell’infortunio risalisse al datore di lavoro.

Corte di Cassazione, ordinanza 20 aprile 2023, n. 10623

Legittimo il licenziamento del lavoratore per mancata effettuazione di lavoro straordinario

La Cassazione Sez. Lavoro, con l’Ordinanza n. 10623 del 20.04.2023, ha confermato che può essere licenziato chi non fa gli straordinari.

Tuttavia, il recesso, operato dal datore di lavoro, non va qualificato per giusta causa ma per giustificato motivo oggettivo.

Di conseguenza al dipendente licenziato spetta il preavviso.

La sezione lavoro della Suprema Corte si è dovuta occupare del caso di un metalmeccanico che, non avendo rispettato la direttiva aziendale che stabiliva l’aumento dell’orario di lavoro per ragioni produttive, era stato licenziato.

I giudici hanno ritenuto che sia grave il rifiuto sistematico, opposto dal lavoratore all’orario supplementare, che crea disagi organizzativi all’impresa.

Peraltro il dipendente non era riuscito a provare che l’azienda avesse superato la quota esente di lavoro straordinario, oltre la quale è necessario consultare i sindacati.

Infatti l’art. 5 del D.lgs n.66 del 2003, dispone che il datore di lavoro, con preavviso di almeno 24 ore, può disporre il lavoro straordinario di due ore al giorno e otto ore settimanali, senza avvisare i sindacati.

Di conseguenza l’inadempimento del lavoratore è stato ritenuto grave perché lo stesso non ha dimostrato spirito di collaborazione, anzi non si è curato degli interessi dell’impresa in modo plateale.

Pertanto qualificato che il licenziamento è avvenuto per giustificato motivo oggettivo, lo stesso è stato dichiarato definitivo e il metalmeccanico ha ottenuto solo due stipendi e mezzo per mancato preavviso.

Corte di cassazione, sentenza 30 marzo 2023 n. 13291

Cassazione: obblighi informativi dell’appaltatore negli appalti intra aziendali.

Con sentenza n. 13291 del 30.03.2023, la IV sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che nel caso di lavoro appaltati all’interno dell’azienda committente, ogni obbligo specifico che la legge pone a carico dell’appaltatore, con riguardo ai rischi specifici dell’ambiente di lavoro di appannaggio del committente, non può che sorgere in seguito all’adempimento da parte del committente del primigenio dovere di informazione e nella misura in cui tale dovere sia stato assolto, fatti salvi i casi da accertare in concreto, sui quali sia provata la riconoscibilità aliunde di tali rischi, senza peraltro che la legge preveda alcun obbligo per l’appaltatore di attivarsi in tal senso.

Tribunale di Gorizia, 12 aprile 2023

La responsabilità solidale del committente opera a favore di tutti i lavoratori utilizzati dall’appaltatore, inclusi i somministrati.

Il lavoratore somministrato, impiegato dall’utilizzatore nell’ambito di un servizio in appalto, è coinvolto in una duplice operazione di decentramento e divaricazione tra datore di lavoro e beneficiario della prestazione: pertanto, affiancare alla responsabilità solidale dell’utilizzatore quella del committente non determina una duplicazione indebita delle tutele.

L’assenza di una relazione negoziale diretta tra somministratore e committente non esclude la responsabilità solidale di quest’ultimo, che sorge dalla relazione tra il committente e l’appaltatore che utilizza il lavoratore somministrato nell’ambito dell’appalto.

Tribunale di Bologna, 4 aprile 2022

E’ onere della cooperativa provare il carattere comparativamente più rappresentativo dei sindacati che hanno sottoscritto il contratto collettivo di riferimento per il trattamento economico dovuto al socio lavoratore.

Nel caso delle Cooperative la retribuzione del lavoratore, in osservanza dei criteri di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost, non può essere inferiore alle disposizioni del CCNL stipulato dalle associazioni comparativamente più rappresentative del settore, a prescindere dalla sua concreta applicazione allo specifico rapporto di lavoro.

Stante la presenza di una norma imperativa che attribuisce al socio lavoratore il diritto a una retribuzione minima, è onere della cooperativa dimostrare il carattere comparativamente più rappresentativo delle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL da questa applicato e l’adeguatezza della retribuzione accordata.

Tribunale di Forlì, 21 marzo 2023

La clausola penale per il lavoratore venuto meno all’impegno di assunzione opera anche se il contratto di lavoro prevede un periodo di prova.

Il Tribunale rigetta l’opposizione contro il decreto ingiuntivo con il quale un lavoratore era stato condannato a pagare la penale prevista dalla lettera di assunzione con data di decorrenza del rapporto differita, e assistita appunto da una clausola penale.

Il lavoratore, a seguito di un ripensamento, si era rifiutato di prendere servizio: per il Tribunale non rileva il fatto che il contratto prevedesse anche un periodo di prova di sei mesi dalla presa di servizio, durante il quale entrambe le parti avrebbero potuto recedere liberamente. La clausola penale opera in fase preassuntiva, mentre la clausola di prova ha efficacia solamente in seguito all’inizio del rapporto di lavoro.

Tribunale di Lecco, 30 gennaio 2023

Discriminatoria la trattenuta dell’indennità di preavviso a carico del lavoratore che si dimette, quando lo stesso non ha potuto effettuarlo in servizio a causa di una condizione di disabilità.

Il Tribunale accoglie il ricorso di un lavoratore disabile e condanna la società convenuta a restituire la somma illegittimamente trattenuta a titolo di indennità sostitutiva del preavviso.

La società aveva infatti trattenuto tre mensilità di stipendio al lavoratore, dopo che questi aveva rassegnato le dimissioni per accedere al pensionamento, per via del peggioramento delle condizioni di salute, ma non aveva potuto prestare attività lavorativa durante il periodo di preavviso.

Secondo il Tribunale il comportamento della società che applica la sospensione del termine di preavviso al lavoratore assente per malattia, quando quest’ultima è causata dallo stato di disabilità, integra una discriminazione indiretta.

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La Riforma Cartabia nel Diritto del Lavoro.
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Tanti i temi trattati, cercando di dare risposte e soluzioni ai tanti quesiti:

✔ negoziazione assistita estesa alle controversie di lavoro: quale procedura, quali diritti?

✔ quando entrano in vigore le novità?

✔ quali sono i nuovi riti speciali nel licenziamento?

✔ quali le novità in materia di appello e di cassazione nel rito lavoro?

✔ quali altre nuove norme si applicano alle controversie di lavoro?

Tanti i temi affrontati, che riguardano i profili processuali, ma che hanno comportato rilevanti modifiche anche sostanziali nel diritto del lavoro.
 
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NEWSLETTER n. 5/2023

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea PE-CONS 81/22 del 11.04.2023 recante “Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione.”

Il Consiglio dell’Unione europea ha adottato nuove norme per combattere la discriminazione retributiva e contribuire a colmare il divario retributivo di genere nell’UE.

Ai sensi della direttiva sulla trasparenza retributiva, le imprese dell’UE saranno tenute a fornire informazioni su quanto corrispondono alle donne e agli uomini per un lavoro di pari valore e a intervenire, se il divario retributivo di genere supera il 5%.

La nuova direttiva contiene inoltre disposizioni in materia di risarcimento per le vittime di discriminazione retributiva, come pure sanzioni, che comprendono ammende, per i datori di lavoro che non rispettano le norme.

Nell’UE le donne guadagnano in media il 13% in meno rispetto ai colleghi uomini e il divario retributivo di genere è rimasto sostanzialmente immutato nell’ultimo decennio.

Sebbene questa differenza sia imputabile a una serie di fattori, la discriminazione retributiva è riconosciuta come uno dei principali ostacoli al conseguimento della parità di retribuzione in base al genere.

La disparità retributiva espone le donne a un maggiore rischio di povertà e contribuisce al divario pensionistico dell’UE, che nel 2018 si attestava intorno al 30%.

In base alle nuove norme i datori di lavoro avranno l’obbligo di fornire alle persone in cerca di lavoro informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla fascia retributiva dei posti vacanti pubblicati, riportandole nel relativo avviso di posto vacante o comunicandole prima del colloquio di lavoro. Ai datori di lavoro sarà inoltre fatto divieto di chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro .

Una volta assunti, i lavoratori e le lavoratrici avranno il diritto di chiedere ai propri datori di lavoro informazioni sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Avranno inoltre accesso ai criteri utilizzati per determinare la progressione retributiva e di carriera, che devono essere oggettivi e neutri sotto il profilo del genere.

Le imprese con più di 250 dipendenti saranno tenute a riferire annualmente all’autorità nazionale competente in merito al divario retributivo di genere all’interno della propria organizzazione.

Per le imprese più piccole (inizialmente quelle con più di 150 dipendenti), l’obbligo di comunicazione avrà cadenza triennale.

Se dalla relazione emerge un divario retributivo superiore al 5% non giustificabile sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, le imprese saranno tenute ad agire svolgendo una valutazione congiunta delle retribuzioni in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori.

Ai sensi della nuova direttiva, i lavoratori e le lavoratrici che hanno subito una discriminazione retributiva basata sul genere possono ottenere un risarcimento, compreso il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura.

Sebbene l’onere della prova, nei casi di discriminazione retributiva, sia stato solitamente a carico del lavoratore o della lavoratrice, spetterà ora al datore di lavoro dimostrare di non aver violato le norme UE in materia di parità di retribuzione e trasparenza retributiva.

In caso di violazioni, le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive e comporteranno delle ammende.

Per la prima volta, la discriminazione intersezionale (ossia fondata su una combinazione di molteplici forme di disuguaglianza o svantaggio, come il genere e l’etnia o la sessualità) è stata inclusa nell’ambito di applicazione delle nuove norme.

La direttiva contiene inoltre disposizioni volte a garantire che si tenga conto delle esigenze delle persone con disabilità.

Il diritto alla parità di retribuzione tra donne e uomini per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore è sancito dall’articolo 157 TFUE e dalla direttiva 2006/54/CE sulla parità di retribuzione; tuttavia, l’attuazione e l’applicazione di questi principi si sono sempre rivelate difficili.

In parte, ciò si deve al fatto che la discriminazione retributiva spesso non è nemmeno rilevata proprio a causa di una mancanza di trasparenza retributiva, il che impedisce alle vittime di presentare ricorso.

La trasparenza retributiva basata sul genere è stata inclusa tra le priorità fondamentali della strategia dell’UE per la parità di genere 2020-2025 e il 4 marzo 2021 la Commissione ha pubblicato la sua proposta di direttiva. Il Parlamento europeo e il Consiglio, sotto la presidenza ceca, hanno raggiunto un accordo politico il 15 dicembre 2022. Il Parlamento europeo ha adottato la direttiva nella plenaria del 30 marzo 2022.

La direttiva sulla trasparenza retributiva entrerà in vigore al momento della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE. Successivamente, gli Stati membri dell’UE avranno tre anni per “recepire” la direttiva, adeguando la rispettiva legislazione nazionale per includere le nuove norme.

Due anni dopo il termine di recepimento, l’obbligo di comunicare informazioni sulle retribuzioni in base al genere ogni tre anni sarà esteso alle imprese con più di 100 dipendenti (inizialmente l’obbligo di comunicazione si applicherà solo alle imprese con almeno 150 dipendenti).

D. Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 recante “Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici.”. (GU n. 77 del 31.3.2023) Vigente al: 1.04.2023

Il D.Lgs n. 36/2023 reca profonde modifiche al previgente Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016) ed introduce strumenti, soglie e criteri di legge attuati dal Governo con la dichiarata volontà di garantire al sistema degli appalti pubblici semplificazione e velocizzazione procedurale nei tempi di gara, mettendo così le istituzioni e le imprese in condizione “di lavorare con celerità per fornire beni e servizi ai cittadini”.

L’esigenza, avvertita prioritariamente dal legislatore delegato, di valorizzare gli appalti pubblici come leva strategica per la ripresa dell’economia, il rilancio degli investimenti e l’attuazione del PNRR, lo ha condotto ad un radicale mutamento di prospettiva nella regolazione della materia, orientandola verso i nuovi principi del “risultato”, della “fiducia” e dell’“accesso al mercato”.

Il nuovo Codice appalti è entrato in vigore il 1.04.2023, ma le sue disposizioni troveranno applicazione a decorrere dal 1.07.2023. È inoltre previsto un periodo transitorio, fino al 31.12.2023, che prevede l’estensione della vigenza di alcune disposizioni del D.Lgs. n. 50/2016 e dei decreti cd. Semplificazioni (D.L. n. 76/2020) e Semplificazioni-bis (D.L. n. 73/2021).

Di seguito si segnalano le principali novità che avranno ricadute, dirette o indirette, sulle disposizioni in materia di lavoro:

Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 687 del 19 aprile 2023” istanza per la indicazione del CCNL del settore sorveglianza antincendio comparativamente più
rappresentativo
”.

Fornendo un parere all’Associazione Nazionale delle Imprese di Sorveglianza Antincendio in merito ai CCNL comparativamente più rappresentativi applicabili al personale nelle attività di sorveglianza antincendio, l’INL chiarisce in via generale che le imprese che impiegano personale nell’ambito di appalti pubblici e concessioni applicano il contratto collettivo stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro e quello il cui ambito di applicazione è strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.

Alternativamente, in caso di applicazione di un diverso contratto, vanno applicate le medesime tutele normative ed economiche oggetto della dichiarazione di equivalenza di cui all’articolo 11 e delle verifiche di cui all’articolo 110 del D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici).

Qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza svolta emergano circostanze diverse, ad esempio relative all’applicazione di contratti collettivi privi dei citati requisiti, il personale ispettivo informerà la stazione appaltante e provvederà ai necessari recuperi contributivi e retributivi.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 2572 del 14 aprile 2023” indicazioni operative in ordine al rilascio di provvedimenti autorizzativi ai sensi dell’art. 4 della legge n. 300/1970.”.

Con la nota in commento l’INL fornisce indicazioni operative in ordine al rilascio dei provvedimenti autorizzativi relativi all’installazione degli impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo (articolo 4 della legge n. 300/1970). 

In particolare, l’installazione di tali strumenti, dalla quale può derivare un controllo a distanza dei lavoratori, deve necessariamente e prioritariamente essere preceduta dall’accordo collettivo con le RSA e/o RSU presenti.

La procedura autorizzatoria pubblica infatti è solo eventuale (assenza RSA/RSU o mancato accordo con i sindacati).

La carenza di codeterminazione tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali o del successivo provvedimento autorizzativo non può essere colmata dall’eventuale consenso, seppur informato,

dei singoli lavoratori: l’installazione rimane illegittima e penalmente sanzionata.

Inoltre, l’Ispettorato si pronuncia riguardo a: aziende multi-localizzate e integrazioni alle autorizzazioni già rilasciate; nuove aziende e assunzioni successive all’installazione; sistemi di geolocalizzazione; disposizioni normative che favoriscono o impongono l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza; prestazioni lavorative tramite piattaforme digitali.

Garante per protezione dati personali, Ordinanza ingiunzione nei confronti di Sportitalia, società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata – 10 novembre 2022 (Registro dei provvedimenti n. 369 del 10 novembre 2022).

L’introduzione di un sistema di timbratura per rilevare le presenze con terminale biometrico (rilevamento delle impronte digitali), per dipendenti e collaboratori, con lo scopo di registrare l’accesso e la presenza in azienda, è un trattamento illegittimo di dati, perché privo di valida base giuridica, oltre che contrario ai principi di liceità, necessità e proporzionalità.

L’ordinanza ingiunzione del 10 novembre 2022, pronunciata a conclusione di un procedimento sanzionatorio contro una società titolare di numerose palestre a Milano a partire da una segnalazione presentata dalla Slc CGIL, ha offerto al Garante lo spunto per un’accurata analisi sull’uso di dati biometrici nell’ambito del rapporto di lavoro.

L’articolo 4 del Gdpr definisce biometrici i «dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quale l’immagine facciale o i dati dattiloscopici».

Il trattamento di dati biometrici, di regola vietato, è consentito solo se ricorre una delle condizioni indicate dall’articolo 9, paragrafo 2 del Gdpr e, riguardo ai trattamenti effettuati in ambito lavorativo, solo quando questo sia «necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale», nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri o da un contratto collettivo, in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato.

Per poter intraprendere lecitamente un trattamento di dati biometrici, questo deve trovare dunque il proprio fondamento in una disposizione normativa, che deve avere le caratteristiche richieste dalla disciplina sulla protezione dei dati personali, anche dal punto di vista della proporzionalità rispetto alle finalità da perseguire.

Quindi, in assenza di una normativa ad hoc, il Garante della Privacy dichiara illegittimo l’uso di dati biometrici per rilevare la presenza di dipendenti.

Il trattamento non può trovare un valido presupposto nemmeno nel consenso del lavoratore, data la asimmetria tra le parti.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, sentenza 11 aprile 2023, n. 9650

La procedura di licenziamento collettivo si applica anche in caso di cessazione di attività di un’impresa appaltatrice, salvo subentro nell’appalto, con riassunzione del personale a parità di condizioni.

In un caso di impugnazione come collettivo di un licenziamento totale del personale di un’impresa appaltatrice, cui era subentrata nell’appalto altra impresa che aveva assunto parte dei dipendenti, i giudici di merito avevano respinto la domanda, negando la natura di licenziamento collettivo (e quindi la necessaria applicazione della relativa procedura) al caso di cessazione totale di attività. L’assunto della Corte d’appello non supera il vaglio della Cassazione, che, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, osserva che (i) l’art. 24, co. 2, l. 223/91 prevede espressamente il licenziamento collettivo anche nel caso di cessazione totale dell’attività di impresa; (ii) in caso di subentro di un nuovo appaltatore, che acquisisca personale già impiegato nel medesimo appalto, la procedura sui licenziamenti collettivi può essere derogata – ai sensi dell’art. 7, co. 4 bis, dl 248/07 – solo allorché i lavoratori siano riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore; (iii) nel caso di specie, la Corte d’appello non ha compiuto alcun accertamento sull’effettiva rispondenza della proposta di riassunzione formulata dalla società subentrante nell’appalto ai requisiti indicati dall’art. 7, co. 4 bis, dl 248/07.

Corte di Cassazione, ordinanza 6 aprile 2023, n. 9453

Ancora sul licenziamento per scarso rendimento.

I giudici di merito, chiamati a valutare la legittimità di un licenziamento per giusta causa intimato al dipendente di una banca in relazione a diverse contestazioni disciplinari, avendo constatato la fondatezza del solo addebito di scarso rendimento, avevano convertito il recesso in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, riconoscendo al lavoratore l’indennità di mancato preavviso. La Cassazione, nel rigettare il ricorso del lavoratore, osserva che: (i) per costante giurisprudenza, in caso di licenziamento per scarso rendimento, il datore di lavoro non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso, ma deve anche dimostrare che la causa di esso è costituita dal negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione lavorativa; (ii) nel caso di specie, lo scarso rendimento e la sua gravità risultano adeguatamente dimostrati dalla palese sproporzione tra l’attività svolta dal lavoratore nel periodo oggetto di contestazione (poco più di una decina di visite a clienti nell’arco di un intero trimestre e un solo cliente acquisito) e i dati di produzione dei colleghi nel medesimo periodo, che erano risultati enormemente superiori.

Corte di cassazione, sentenza 31 marzo 2023 n. 9095

Discriminatorio applicare alle assenze per inabilità lo stesso comporto previsto per le assenze per malattia.

Un operatore ecologico, riconosciuto portatore di handicap con capacità lavorative ridotta del 75%, aveva impugnato il licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto (c.d. per sommatoria), sostenendone la natura discriminatoria. Sia i giudici di merito che la Cassazione riconoscono il carattere indirettamente discriminatorio del licenziamento, dichiarandolo pertanto nullo, con le conseguenze di legge. Secondo la Corte, infatti, per il personale disabile il rischio di accumulare giorni di assenza per malattia è maggiore di quello riferibile al restante personale; il che impone, alla stregua del diritto comunitario, prima ancora che del diritto interno di tutela dei disabili, una disciplina del comporto riferita a questi ultimi diversa e con un maggior numero di giorni tutelati. La sentenza in esame apre un grosso problema, dato che il Italia molti contratti collettivi prevedono un’unica disciplina del comporto per tutto il personale e sono pertanto a rischio di essere dichiarati parzialmente nulli, mentre l’alternativo ricorso all’equità, più che a usi in materia inesistenti, appare piuttosto problematico

Corte di cassazione, ordinanza 31 marzo 2023 n. 9128

Ancora sulla comparazione, nel licenziamento collettivo, tra dipendenti di un solo reparto.

In un giudizio in cui una lavoratrice, licenziata nell’ambito di una riduzione di personale, aveva lamentato che la comparazione per individuare il personale da avviare a mobilità era stata limitata nei suoi confronti ai soli colleghi del suo reparto, nonostante che ella vantasse precedenti esperienze lavorative in altri uffici dell’azienda, la Cassazione, accogliendo il ricorso per violazione dei criteri di scelta, ribadisce la propria giurisprudenza, alla stregua della quale se la riduzione investe un unico reparto aziendale è lecito limitare la scelta ai dipendenti di tale unità, salvo che questi dimostrino pregresse esperienze in altri reparti, nel qual caso la comparazione va effettuata coinvolgendo anche gli addetti ad essi, di pari livello professionale.

Corte di cassazione, ordinanza 29 marzo 2023 n. 8913

La rinuncia del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso non pregiudica il diritto dell’INPS ai relativi contributi.

L’affermazione della Corte, in una vicenda in cui le parti del rapporto di lavoro lo avevano risolto consensualmente, con rinuncia dei lavoratori all’indennità sostitutiva del preavviso e l’erogazione da parte della società di una somma a titolo di incentivo all’esodo, trova fondamento nella inopponibilità della rinuncia dei lavoratori all’INPS, il cui rapporto previdenziale è autonomo rispetto al rapporto di lavoro tra datore e lavoratore. In tale rapporto previdenziale vige la regola del minimo contributivo, secondo la quale la retribuzione da prendere a base del calcolo dei contributi è fissata per legge, per cui resta indifferente rispetto al mancato pagamento totale o parziale della retribuzione, la rinuncia a essa o l’accordo delle parti per una retribuzione inferiore. Con riferimento al caso esaminato, ciò comporta che se l’indennità sostitutiva fosse stata effettivamente dovuta (e ciò dovrà essere accertato dal giudice di rinvio), i contributi nel minimo di legge sarebbero comunque dovuti.

Corte di Cassazione, sentenza 28 marzo 2023, n. 8737

Ancora sui criteri di valutazione della giusta causa di licenziamento.

La Corte d’appello aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un lavoratore di elevato livello contrattuale, che avrebbe in più occasioni abbandonato il posto di lavoro in anticipo rispetto all’orario recentemente impostogli. Ciò avrebbe denotato disprezzo e sfida da parte del dipendente nei confronti del datore di lavoro, idonei a far venire meno il rapporto fiduciario. La Cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore contro la sentenza d’appello che gli aveva dato torto, osserva che gli episodi di mancato rispetto dell’orario di lavoro si erano in realtà protratti solo per pochi giorni, per cui i giudici di merito non avevano fatto buon governo dei principi fissati dalla giurisprudenza, che impongono di valutare la gravità della violazione imputata al lavoratore e la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una considerazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale, tra cui l’intensità dell’elemento intenzionale, il grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte e dalla qualifica ricoperta dal dipendente, le precedenti modalità di attuazione del rapporto e la sua particolare natura e tipologia: tutti elementi ignorati dalla Corte d’appello, la cui decisione viene conseguentemente annullata, con rinvio per una nuova valutazione.

Corte d’Appello di Trieste, 3 marzo 2023

Procedura di mobilità tra amministrazioni pubbliche: è discriminatoria la mancata nomina dovuta alla non piena idoneità fisica, se la stessa nomina era possibile adottando ragionevoli accomodamenti.

Una lavoratrice si era collocata utilmente nella graduatoria di un bando di mobilità presso un’azienda sanitaria, la quale non aveva però dato poi seguito alla nomina, per assenza della piena idoneità fisica alla mansione. La Corte d’Appello respinge la richiesta di rettifica del bando di mobilità avanzata dalla ricorrente, ritenendo non lesiva del principio di parità di trattamento tra lavoratori la previsione del possesso della “piena idoneità fisica al posto da ricoprire e di assenza di limitazioni psico-fisiche alle funzioni di appartenenza”. Tuttavia, stante la compatibilità delle limitazioni della ricorrente con la nozione eurounitaria di disabilità, la Corte accerta la portata discriminatoria dell’inosservanza dell’obbligo di verificare la possibilità di impiegare la lavoratrice mediante l’adozione di soluzioni ragionevoli, non essendo stato provato l’onere sproporzionato dei provvedimenti che avrebbero dovuto essere adottati in relazione alle specificità del posto di lavoro.

Tribunale di Forlì, 23 marzo 2023

Penale a carico del lavoratore per violazione impegno assunzione: legittima.

Con un’interessante sentenza del 13.03.2023, pronunciandosi in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale di Forlì ha ritenuto legittima una clausola penale apposta ad un contratto di lavoro ad esecuzione differita, in caso di mancata presa di servizio del dipendenti alla data pattuita.

Tale penale, quantificata in un importo pari all’indennità sostitutiva del preavviso (6 mensilità), è stata ritenuta congrua dal Giudice, in ragione dell’elevato profilo professionale e del conseguente danno organizzativo subito dal datore di lavoro a seguito dell’inadempimento del lavoratore.

Tribunale di Treviso, 15 marzo 2023

La data indicata sulla lettera di licenziamento per mancato superamento della prova è scorretta: il lavoratore lo dimostra per presunzioni e ottiene la nullità del licenziamento ritorsivo per malattia.

Il Tribunale accoglie la domanda del ricorrente e annulla il licenziamento ritorsivo da questi subito dopo che il periodo di prova era già trascorso. La Corte ha infatti ricostruito per presunzioni che la data indicata nella lettera con cui il lavoratore veniva licenziato per mancato superamento della prova era in realtà precedente a quella reale. Di conseguenza, riscontrata l’inconsistenza delle ragioni addotte dal datore di lavoro, il licenziamento è stato considerato motivato dallo stato di malattia del ricorrente, e quindi dichiarato nullo in quanto ritorsivo.

Tribunale di Padova, 3 marzo 2023

Interposizione illecita di manodopera nella logistica: rileva il potere direttivo esercitato direttamente dal committente tramite dispositivi informatici che impiegano algoritmi che di fatto guidano ogni fase della prestazione lavorativa dei dipendenti della cooperativa appaltatrice.

Il Tribunale di Padova aveva già emesso nel 2019 una innovativa pronuncia (vedi la segnalazione) in materia di appalti non genuini, rilevando che se l’organizzazione del lavoro è basata essenzialmente su software e strumenti automatizzati, il rapporto di lavoro va imputato al soggetto che abbia la disponibilità di tali sistemi e dei dati personali acquisiti tramite gli stessi. L’odierna pronuncia conferma tale linea su una fattispecie analoga, relativa al lavoro prestato da alcuni lavoratori formalmente soci di una cooperativa appaltatrice in uno stabilimento di logistica, ma nella realtà impiegati direttamente dalla committente grazie alla elevata digitalizzazione dell’organizzazione del lavoro, con strumenti nell’esclusiva disponibilità della stessa.

Tribunale di Catanzaro, 17 febbraio 2023

Esternalizzazione di servizi tra enti dello stesso gruppo: anche in assenza di un contratto scritto, costituisce trasferimento di ramo d’azienda il passaggio di attività economica organizzata tra un soggetto e l’altro.

Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da una lavoratrice, dipendente di una associazione sindacale di imprese e accerta l’illegittimità del licenziamento intimatole per motivi oggettivi: pur escludendo l’unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro tra l’associazione e una società di servizi dalla stessa controllata, riscontra un trasferimento di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c. a tale società nell’esternalizzazione delle attività di assistenza contabile. Secondo il Giudice non rileva che il passaggio dell’attività economica dal cedente al cessionario non sia stato sancito con un contratto in forma scritta, ben potendosi desumere dalle circostanze di fatto l’avvenuto trasferimento d’azienda. Di conseguenza, trovando applicazione l’art. 2112 c.c., il rapporto di lavoro si è trasferito automaticamente alla società controllata, con perdita del potere di intimare un licenziamento da parte dell’associazione già datrice di lavoro.

Tribunale di Roma, 31 gennaio 2023

È legittimo e proporzionato il licenziamento disciplinare del lavoratore che tiene una condotta gravemente scorretta verso una lavoratrice. L’insorgere di una relazione con una collega deve essere segnalato al datore di lavoro quando determini un potenziale conflitto di interessi

È legittimo il licenziamento irrogato al lavoratore che abbia intrattenuto una relazione con una collega del medesimo gruppo di lavoro e che abbia adottato nei confronti della stessa un contegno abusivo, al fine di non ostacolare la propria progressione di carriera, sfruttando la superiorità del

proprio profilo professionale. In particolare, nel caso di specie, è emerso come il lavoratore avesse omesso di comunicare al datore di lavoro una situazione di potenziale conflitto di interessi sul luogo di lavoro, anteponendo interessi personali a quelli aziendali. Tali comportamenti sono stati valutati contrastanti con il codice di comportamento adottato dalla società datrice, regolarmente affisso nei locali aziendali e pubblicato sul sito internet della stessa. La produzione in giudizio di conversazioni a mezzo Whatsapp, legittimamente acquisite, non costituisce violazione della disciplina sulla privacy, a fronte della prevalenza del diritto di difesa sulle esigenze di riservatezza.

NEWSLETTER N. 4/2023

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

D. Lgs. 10 marzo 2023, n. 24 recante “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”. (GU n. 63 del 15.3.2023) Vigente al: 30.3.2023

Il D.Lgs n. 24/2023, attuativo della direttiva europea sul cd. whistleblowing, introduce nell’ordinamento italiano disposizioni – in vigore a partire dal 15.07.2023 – a tutela dei soggetti, del settore sia pubblico sia privato, che effettuano segnalazioni di violazioni, interne o esterne, divulgazioni pubbliche o denunce all’autorità giudiziaria o contabile, al fine di garantire la riservatezza dell’identità della persona che compie la segnalazione, della persona coinvolta e di quella menzionata nella segnalazione, oltre al contenuto della segnalazione stessa e della relativa documentazione. Tre le principali direttrici su cui il decreto interviene.

Viene anzitutto modificato l’ambito di applicazione oggettivo e soggettivo della normativa. Il catalogo delle violazioni che possono essere oggetto di segnalazione non è più limitato all’elenco dei reati-presupposto di cui al D.Lgs n. 231/2001, ma comprende le violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’ente privato. Sotto un profilo soggettivo, si agisce sulla platea degli enti tenuti al rispetto della disciplina del whistleblowing, rendendola per la prima volta obbligatoria su larga scala nel settore privato.

Si registra altresì l’estensione del perimetro della protezione offerta, prevista non più solo in favore del whistleblower vero e proprio, ma anche di persone che hanno in qualche modo “facilitato” la segnalazione o, ancora, di chi ha effettuato una divulgazione pubblica della stessa.

Si interviene in secondo luogo sulla procedura di segnalazione, specificando nel dettaglio i requisiti per la predisposizione e la gestione del canale interno e prevedendo anche un coinvolgimento dei sindacati.

Il decreto arricchisce infine la tutela offerta al whistleblower e agli altri soggetti equiparati.

Il focus della protezione rimane quello garantito dalla normativa precedente, incentrato sulla tutela della riservatezza dell’identità del segnalante e sul divieto di ritorsioni.

Tali profili vengono, però, maggiormente valorizzati, financo modificando l’art. 4 della L. n. 604/1966 sul licenziamento.

INPS, circolare n. 32 del 20 marzo 2023 “Accesso alla prestazione di disoccupazione NASpI in caso di dimissioni da parte del lavoratore padre che ha fruito del congedo di paternità”.

Con circolare n. 32/2023 l’Inps chiarisce che, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs n. 105/2022 al Testo Unico in materia di tutela a sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs n. 151/2001), il lavoratore padre che fruisce del congedo di paternità obbligatorio e/o alternativo e che si dimette volontariamente entro un anno dalla nascita del figlio ha diritto all’indennità di disoccupazione NASpI, sempreché ricorrano tutti gli altri requisiti legislativamente previsti.

I lavoratori che si trovano nelle suddette condizioni, ai quali la domanda sia stata respinta nelle more della pubblicazione della circolare in commento, possono presentare istanza di riesame alla sede Inps territorialmente competente.

Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Interpello n. 2 del 14 marzo 2023 “Interpello ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni, in merito all’ “Art. 25 comma 1 lettera a) – Art 18 comma 1 lettera A – Art. 29 comma 1 del D. Lgs. 81/08”. Seduta della Commissione del 28 febbraio 2023.”.

La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza del Ministero del Lavoro ha pubblicato l’interpello n. 2 del 14.03.2023, con il quale ha fornito, all’ANP (Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola), alcuni chiarimenti sul se il combinato disposto degli articoli 25, comma 1, lettera a) – 18, comma 1, lettera a) – 29, comma 1, del D.Lgs. n. 81 /2008 “determini l’obbligo per il datore di lavoro di procedere, in tutte le aziende ed in particolare nelle Istituzioni Scolastiche, alla nomina preventiva del medico competente al fine del suo coinvolgimento nella valutazione dei rischi, anche nelle situazioni in cui la valutazione dei rischi non abbia evidenziato l’obbligo di sorveglianza sanitaria”.

La Commissione nell’interpello n. 2/2022 aveva ritenuto che: “(…) la sorveglianza sanitaria debba essere ricondotta nell’alveo del suddetto articolo 41” del T.U. Sicurezza sul Lavoro; la Commissione ritiene dunque che, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. a) del T.U., la nomina del medico competente sia obbligatoria per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dall’art. 41 del D.Lgs. n.81/2008 e che, pertanto, il medico competente collabori, se nominato, alla valutazione dei rischi di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n.81/2008.

Garante per protezione dati personali, Ordinanza ingiunzione nei confronti di Reweb s.r.l. – 11 gennaio 2023 (Registro dei provvedimenti n. 8 dell’11 gennaio 2023)

La difesa in giudizio non giustifica l’accesso alla posta elettronica del lavoratore

Il legittimo interesse a trattare dati personali per difendere un proprio diritto in giudizio non annulla il diritto dei lavoratori alla protezione dei dati personali.

Tanto più se riguarda una forma di corrispondenza, come i messaggi di posta elettronica, la cui segretezza è tutelata anche costituzionalmente.

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Descrizione generata automaticamenteÈ una delle motivazioni con cui il Garante privacy ha sanzionato un’azienda che, dopo l’interruzione della collaborazione con un’esponente di una cooperativa, ne aveva mantenuto attivo l’account di posta elettronica, prendendo visione del contenuto e impostando un sistema di inoltro verso un dipendente della società.

La collaboratrice, prima che si definisse il rapporto di lavoro con l’azienda, aveva raccolto, a nome dell’azienda stessa e tramite una casella mail aperta per l’occasione, i riferimenti di potenziali clienti incontrati a una fiera.

Secondo l’azienda poi, il successivo tentativo di contattarli a nome della propria cooperativa aveva in seguito portato a un contenzioso giudiziale.

Quindi, nel timore di perdere i rapporti coi potenziali clienti, l’azienda non si era limitata a scrivere per spiegare loro che la persona era stata rimossa, ma ne aveva anche visionato le comunicazioni. Secondo il Garante, né l’esigenza di mantenere i rapporti con i clienti né l’interesse a difendere un proprio diritto in giudizio, legittimano un tale trattamento di dati personali. Per realizzare un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco (necessità di prosecuzione dell’attività economica del titolare e diritto alla riservatezza dell’interessato) sarebbe stato sufficiente attivare un sistema di risposta automatico, con l’indicazione di indirizzi alternativi da contattare, senza prendere visione delle comunicazioni in entrata sull’account.

Nel corso del procedimento è inoltre emerso che l’azienda, in quanto titolare del trattamento, non aveva fornito all’interessata né idoneo riscontro alla richiesta di cancellazione della casella e-mail né l’informativa sul trattamento dati. A nulla vale il fatto che il contratto di assunzione non fosse stato ancora firmato. Come ricorda l’Autorità, nell’ambito di trattative precontrattuali, infatti, l’obbligo di informare gli interessati è espressione del principio generale di correttezza.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di cassazione, ordinanza 15 marzo 2023 n. 7467

Tempestività e conoscenza dei fatti oggetto della contestazione disciplinare.

Una dipendente era stata licenziata per giusta causa, in quanto la datrice di lavoro aveva rilevato all’inizio del 2017, in sede di approvazione del bilancio dell’anno precedente, un uso privato della carta di credito aziendale (affidatale per ragioni di servizio) nel 2016 e nel 2015. In giudizio, la dipendente aveva, tra l’altro, eccepito la tardività della contestazione, in quanto dai resoconti mensili da lei puntualmente comunicati alla società questa avrebbe potuto e dovuto accertare le pretese irregolarità e quindi contestarle tempestivamente.

Sia la Corte d’appello che la Cassazione disattendono questa deduzione, ribadendo che, in materia di licenziamento disciplinare, la tempestività della contestazione, elemento costitutivo della stessa, si misura sulla conoscenza completa ed effettiva e non sulla mera conoscibilità del fatti da parte del datore di lavoro, al quale non può essere infatti in buona fede richiesto di operare un controllo continuo sull’operato dei dipendenti, che rappresenterebbe la negazione del carattere fiduciario del rapporto di lavoro.

Corte di cassazione, ordinanza 13 marzo 2023 n. 7293

Frasi scurrili sul display dell’autobus di linea: il conducente va licenziato

Costituisce giusta causa di licenziamento il comportamento del dipendente che a) avvalendosi della propria condizione (autista con disponibilità del display del veicolo affidatogli in custodia) si è procurato un indebito vantaggio nell’esprimere in termini volgari una sua opinione sulle vaccinazioni; b) si è reso, con azione disonorevole, indegno della pubblica stima tanto è che sul medesimo social ove era stata postata la foto, un interlocutore gli aveva detto che meritava di essere licenziato; c) aveva sottratto scientemente dal suo uso naturale il display dell’autobus per adibirlo a strumento di manifestazione di un proprio pensiero in maniera peraltro scurrile.

Corte di cassazione, ordinanza 9 marzo 2023 n. 7029

GLI APPREZZAMENTI ALLA SFERA SESSUALE DELLA COLLEGA POSSONO ESSERE GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO

Un autista di mezzi pubblici fermo sotto una pensilina in attesa di prendere servizio su di un mezzo, vedendo una collega, anch’essa in attesa di prendere servizio e sapendo che era incinta, le si era rivolto in tono di scherno, fingendosi stupito che una lesbica fosse incinta e chiedendole come avesse fatto.

Il tutto, mentre ambedue erano in divisa e in presenza di alcuni utenti in attesa del mezzo pubblico.

Su denuncia della donna all’azienda, l’autista era stato licenziato e nel giudizio conseguentemente promosso aveva ottenuto dalla Corte d’appello, che aveva valutato l’episodio in termini di violazione di regole di buona educazione, una pronuncia di sproporzione della sanzione espulsiva, con applicazione della tutela indennitaria.

La Cassazione non condivide la riduzione della condotta, da parte dei giudici di appello, a mera maleducazione, rilevando la violazione della riservatezza relativamente a uno dei principali dati sensibili della persona, quello relativo all’orientamento sessuale, compiuta in presenza di altre persone e con modalità che l’ordinamento riconduce alle moleste e discriminazioni: su tale base la sentenza di merito viene cassata e il giudizio rinviato alla Corte d’appello perché valuti, alla luce di tali considerazioni, se sussistesse la possibile giusta causa di licenziamento.

Corte di cassazione, ordinanza 2 marzo 2023, n. 6336

Tutela meramente indennitaria se il licenziamento per superamento del comporto è genericamente motivato.

Sulla base di tale principio, la Cassazione ha confermato la sentenza d’appello che, a fronte di un licenziamento per superamento del periodo di comporto, nella cui comunicazione il datore di lavoro si era limitato a indicare il termine finale del comporto e il numero minimo complessivo dei giorni d’assenza, aveva dichiarato l’illegittimità del recesso per carenza di motivazione e conseguentemente riconosciuto alla lavoratrice un’indennità pari a 8 mensilità, escludendo l’applicabilità della tutela reintegratoria.

In motivazione, i giudici di legittimità rilevano che (i) la motivazione del licenziamento deve essere idonea a evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, dando atto del numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo; (ii) nel caso di specie, il datore di lavoro aveva mancato di fornire tale indicazione, e ciò determinava una violazione del requisito della motivazione, di cui all’art. 2, co. 2, L. n. 604/66; (iii) non poteva invece dirsi violata la disciplina di cui all’art. 2110 c.c. (che avrebbe comportato l’applicazione della tutela reintegratoria, ai sensi dell’art. 18, co. 7, L. n. 300/70) in quanto in giudizio era stato accertato un effettivo superamento del periodo di comporto nel corso del rapporto di lavoro tra le parti.

Corte di cassazione, ordinanza 28 febbraio 2023 n. 6008

Ancora sulla distribuzione dell’onere della prova in un caso di infortunio per superlavoro.

Si tratta del dirigente medico di una ASL, che lamentava di aver subito un infarto per il superlavoro cui era stato costretto per anni e chiedeva la condanna della datrice di lavoro a risarcirgli il danno biologico, temporaneo e permanente.

La Corte d’appello aveva respinto la domanda sotto diversi profili attinenti il mancato assolvimento dell’onere della prova, onerandone oltre misura il dipendente (in particolare, che oltre al danno, avrebbe dovuto indicare in giudizio le eventuali violazioni di misure di sicurezza da parte del datore di lavoro; che inoltre non avrebbe provato il nesso di causalità tra la nocività del lavoro svolto e il danno).

La Cassazione annulla la sentenza, ribadendo che nei giudizi di responsabilità del datore di lavoro per infortunio, il dipendente è onerato unicamente della prova del danno (qui l’infarto), della nocività del lavoro (il superlavoro) e il nesso causale tra i due elementi, mentre il datore di lavoro deve fornire la prova di aver adottare tutte le misure ragionevolmente possibili per evitare il danno.

Infine, a fronte della negazione di qualsiasi rilevanza, nel processo, dell’accertamento amministrativo della causa di servizio dell’infortunio, la Corte afferma che tale accertamento, pur non costituendo prova legale nel giudizio di responsabilità per danni, rappresenta comunque una prova da valutare, il cui contenuto può essere contestato, anche attraverso una prova contraria, gravante sul datore di lavoro, ma che, in mancanza, si impone come prova definitiva.

Corte di cassazione, sentenza 24 febbraio 2023 n. 5788; sentenza 24 febbraio 2023 n. 5796

Trasferimento di ramo d’azienda illegittimo: risarcimento solo con la costituzione in mora

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Descrizione generata automaticamenteCon le sentenze n. 5788 e 5796 dello scorso 24 febbraio, la Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sulla questione del trattamento economico del lavoratore in caso di trasferimento illegittimo del ramo d’azienda.

La Corte, in particolare, ha sottolineato un’importante novità: fino alla pubblicazione della decisione che dichiara illegittima la cessione e ordina il ripristino del rapporto con il cedente, il dipendente ha diritto al risarcimento del danno solo se ha costituito in mora il datore, sulla base dell’art. 1217 c.c., offrendo la prestazione lavorativa rifiutata in modo ingiustificato.

Corte di cassazione, ordinanza 23 febbraio 2023, n. 5598

Solo la convalida rende efficaci le dimissioni in gravidanza.

In una vicenda relativa a una lavoratrice che aveva rassegnato le dimissioni mentre era assente per maternità, senza la convalida del servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, prescritta dall’art. 55, co. 4, D.lgs. n. 151/01, si controverte in giudizio se la conseguente inefficacia delle dimissioni sia limitata al periodo protetto oppure sia definitiva.

La Cassazione confermando la sentenza che aveva adottato la seconda soluzione, osserva che (i) il testo dell’art. 55, co. 4, D.Lgs. n. 151/01, nel prevedere che la richiesta di dimissioni presentata nel periodo protetto deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, usa una formula ampia, di carattere generale, dalla quale non è in alcun modo dato inferire che la necessità della convalida sia destinata a venire meno una volta trascorso il periodo di protezione; (ii) con tale norma, il legislatore ha inteso salvaguardare la genuinità della volontà espressa dalla lavoratrice in un periodo particolarmente delicato contro eventuali abusi datoriali, e rispetto a tale finalità la cessazione del periodo protetto costituisce un fattore neutro, in quanto inidoneo a incidere, ora per allora, sulla modalità di formazione della volontà espressa dalla lavoratrice.

Corte di Cassazione, ordinanza 16 febbraio 2023, n. 4833

Ammissibile la domanda giudiziaria di mero accertamento dello status di handicap grave. L’INPS è l’unico legittimato passivo nelle cause di accertamento delle invalidità civili.

Il Tribunale aveva omologato l’accertamento tecnico preventivo che aveva riconosciuto lo stato di handicap grave di una signora, rigettando l’opposizione dell’INPS, che, nel proporre ricorso ai sensi dell’art. 445 bis, co. 6, c.p.c., aveva eccepito il difetto di legittimazione passiva e l’inammissibilità della domanda di mero accertamento, in quanto carente dell’indicazione dello specifico beneficio che la signora intendeva conseguire in relazione allo stato di handicap di cui chiedeva il riconoscimento.

La Cassazione, nel rigettare a sua volta le eccezioni dell’istituto, rileva che (i) in forza dell’art. 10, D.L. n. 203/05, come modificato dal D.L. n. 78/09, l’INPS è subentrato allo Stato nelle funzioni che allo stesso residuavano in materia di handicap e deve pertanto considerarsi l’unico legittimato passivo nei procedimenti giurisdizionali relativi all’accertamento di tale condizione sanitaria; (ii) secondo il più recente orientamento della Corte, l’azione per il riconoscimento dell’handicap grave non verte sull’accertamento di una mera condizione di invalidità, improduttiva di effetti, ma sull’accertamento di uno status, cui si correla una pluralità indeterminata di situazioni soggettive attive e passive, nonché una vasta gamma di misure volte a rimuovere le discriminazioni che l’handicap genera; per tale ragione, essa è ammessa a prescindere dalla specificazione del beneficio che, in forza di tale riconoscimento, si rivendica.

Corte di cassazione, ordinanza 8 febbraio 2023 n. 3804

Esente da IRPEF la transazione a titolo risarcitorio per la mancata attivazione del sistema “retribuzione di risultato”.

Lamentando la mancata attivazione del sistema incentivante della “retribuzione di risultato” previsto dal contratto collettivo “area dirigenza medica e veterinaria” della P.A., alcuni dirigenti medici di una ASL avevano ottenuto dal giudice del lavoro la condanna della datrice al risarcimento dei danni conseguenti, da liquidare in separata sede.

In sede di giudizio di liquidazione, i ricorrenti avevano raggiunto con la ASL un accordo transattivo per una determinata somma, che l’Agenzia delle entrate aveva in Tribunale vittoriosamente preteso assoggettare all’Irpef, come reddito di lavoro dipendente, in quanto corrisposta in ragione della perdita della retribuzione di risultato (nel sistema IRPEF, il reddito che sostituisce o ristora la perdita di un altro assume, ai fini fiscali, la stessa natura di quest’ultimo).

La Corte cassa la sentenza dei giudici di merito, ritenendo che nel danno da risarcire per inadempimento all’obbligo di attivazione del sistema “retribuzione di risultato” prevalga, sulla natura retributiva, il profilo di una lesione alla professionalità del dipendente, in ragione del fatto che la mancanza di determinazione annuale di programmi e obiettivi incentivanti comporta la perdita delle chances di accrescimento professionale; e quindi il risarcimento danni che ne consegue non è soggetto a Irpef.

Corte di cassazione, ordinanza 6 febbraio 2023 n. 3511

Il licenziamento collettivo limitato a una sola unità aziendale deve essere giustificato nella lettera di avvio della procedura.

Il caso è quello di un’impresa che, nell’avviare la procedura di licenziamento collettivo per dichiarate esigenze di ristrutturazione di tutto il complesso aziendale, aveva limitato la platea del personale interessato a una sola sede.

Nel confermare l’annullamento del licenziamento e la tutela reintegratoria, la Corte di cassazione ribadisce la propria giurisprudenza in proposito, secondo la quale: 1) la platea di personale dipendente interessata dal licenziamento collettivo può essere limitata a una sola parte dell’azienda solo se ciò è giustificato da oggettive esigenze aziendali; 2) tale limitazione deve essere enunciata e giustificata nella lettera di avvio della procedura di licenziamento collettivo per consentire un adeguato confronto con le OO.SS. e 3) la stessa deve essere coerente con il tipo di progetto di riduzione del personale avviato.

Tribunale di Arezzo, 7 marzo 2023

Illegittimo il licenziamento del dipendente che va allo stadio durante la malattia.

Con la sentenza n. 64 del 07.03.2023, il Tribunale di Arezzo afferma che è illegittimo il licenziamento del lavoratore che durante la malattia si reca allo stadio per assistere ad una partita di calcio, se la società non è in grado di dimostrare l’effettiva insussistenza della patologia lamentata dal dipendente.

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per essersi recato allo stadio per assistere ad una partita di calcio, durante un periodo di assenza dal lavoro per malattia legata ad una lombosciatalgia.

Il Tribunale rileva, preliminarmente, che la società fonda il licenziamento sull’assunto per cui il dipendente avrebbe ottenuto un certificato medico falso per attestare una lombosciatalgia in realtà non sussistenze, al solo fine di non recarsi nel luogo di lavoro e poter così presenziare alla partita di calcio.

In particolare, per la sentenza, l’indizio grave e concordante in base al quale l’azienda avrebbe desunto la non genuinità della condotta in questione – e, quindi, anche la falsità del certificato medico rilasciato al lavoratore – consisterebbe nell’acquisto dei biglietti dell’evento calcistico in epoca antecedente all’insorgere della malattia, ma successiva al momento in cui ha preso contezza dei turni lavorativi.

Secondo il Giudice, detto elemento è suscettibile di diverse interpretazioni e, quindi, non può essere ritenuto sufficiente per considerare assolto l’onere in capo all’azienda di provare l’insussistenza dello stato di malattia e la conseguente falsità della certificazione medica.

Su tali presupposti, il Tribunale di Arezzo dichiara illegittimo il licenziamento, non ritenendo la condotta del dipendente qualificabile alla stregua di un grave inadempimento tale da giustificare una sanzione espulsiva.

Tribunale di Ancona, 15 febbraio 2023

Il privato che ha acquisito una società a controllo pubblico non può far valere l’originaria nullità del contratto di lavoro per mancato espletamento di una procedura selettiva.

Il Tribunale accoglie il ricorso contro il licenziamento, presentato da una lavoratrice assunta senza concorso da una società a controllo pubblico, le cui quote di maggioranza sono state in seguito acquisite da un soggetto privato.

Secondo il Giudice, infatti, nonostante il contratto di lavoro con la società a controllo pubblico fosse originariamente nullo per vizio di costituzione del rapporto, il passaggio in mano privata del controllo della società esclude l’applicazione delle regole del D.lgs. n. 175/2016, che prevede che la scelta del personale avvenga per pubblici concorsi. Di conseguenza, la nuova compagine sociale non può invocare cause di nullità che varrebbero solo per le società a controllo pubblico, e non per datori di lavoro privati.

Tribunale di Lecco, 9 febbraio 2023

Il datore di lavoro può essere condannato ad adibire il lavoratore disabile e parzialmente inidoneo a mansioni coerenti con la sua professionalità, quando ciò sia possibile anche adottando ragionevoli accomodamenti.

Il Tribunale accoglie il ricorso per condotta discriminatoria, presentato da un lavoratore portatore di disabilità che, a seguito di un provvedimento di reintegrazione ottenuto dopo un licenziamento per superamento del comporto, era stato adibito a mansioni inferiori rispetto al suo inquadramento, lesive della dignità professionale.

Nel caso, il datore di lavoro non aveva dato prova di avere compiuto uno sforzo adeguato, nel senso di proporre al dipendente una mansione alternativa, adatta alla sua professionalità e diversa da quella per la quale era stato ritenuto inidoneo.

Tribunale di Teramo, 8 febbraio 2023

Va risarcito il danno in caso di ricorso abusivo a plurimi contratti di somministrazione a termine. Nullo l’accordo di prossimità che rimuove ogni limite legale ed europeo all’utilizzo del lavoro somministrato.

Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da un lavoratore somministrato presso una società a partecipazione pubblica, i cui contratti di lavoro a tempo determinato erano stati più volte prorogati nel tempo per lo svolgimento delle medesime mansioni. Il Giudice, sulla base dei principi enunciati dalla giurisprudenza europea in tema di lavoro somministrato, ha affermato che l’assunzione del lavoratore per lo svolgimento di mansioni ordinarie, e non per esigenze di carattere temporaneo, nonché la durata della prestazione per un totale di 34 mesi presso lo stesso utilizzatore si pongono in contrasto tanto con la Direttiva 2008/104, quanto con gli artt. 19 e 34 del D.Lgs. n. 81/2015.

L’utilizzatore deve essere pertanto condannato a versare al ricorrente un risarcimento del danno, nel caso di specie pari a sette mensilità della retribuzione globale di fatto. Il Tribunale ribadisce l’orientamento della giurisprudenza che ritiene valutabili i precedenti contratti di lavoro, anche se non tempestivamente impugnati alla scadenza, ai fini della valutazione come abuso della complessiva condotta dell’utilizzatore. Infine.

È stato ritenuto nullo l’accordo di prossimità che introduce un regime di totale derogabilità delle disposizioni normative in materia di limiti ai contratti a termine di lavoro somministrato (senza nemmeno prevedere alcuna controprestazione in termini di stabilizzazione occupazionale), non potendosi trasformare il potere di deroga riconosciuto alle parti sociali in un completo stravolgimento della disciplina nazionale e dei limiti derivanti dalla disciplina europea.

NEWSLETTER n. 3/2023

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare n. 1 del 17 gennaio 2023 “Fondi di solidarietà di cui agli articoli 26, 27 e 40 del decreto legislativo n. 148 del 2015. Regime e disciplina della c.d. “staffetta generazionale”.

Con la Circolare n. 1 del 17 gennaio 2023 la Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali fornisce indicazioni in materia di “staffetta generazionale”, istituto introdotto nell’ordinamento giuridico con la finalità di favorire le transizioni occupazionali e produttive, assicurandosi il versamento mensile di contributi previdenziali a favore dei lavoratori a cui mancano non più di 36 mesi al raggiungimento della pensione anticipata o di vecchiaia, consentendo per ogni lavoratore in uscita almeno un’assunzione contestuale di giovani con non più di 35 anni compiuti, cui deve essere assicurato un rapporto di lavoro di almeno 3 anni.

Nell’ambito della Circolare sono chiarite le modalità applicative dell’istituto e il relativo finanziamento.

INPS, circolare n. 4 del 16 gennaio 2023 “Anno 2023. Sintesi delle principali disposizioni in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro e di sostegno al reddito e alle famiglie.”.

Con circolare n. 4/2023 l’INPS fornisce un quadro riepilogativo delle disposizioni in materia di ammortizzatori sociali e di sostegno al reddito e alle famiglie operanti nel 2023.

La circolare, che richiama in particolare le disposizioni contenute nella l. n. 197/2022 (legge di Bilancio 2023) e nel D. L. n. 198/2022 (decreto Milleproroghe), analizza tra l’altro:

INPS, circolare n. 6 del 19 gennaio 2023 “Nuove disposizioni in materia di Libretto Famiglia e contratto di prestazione occasionale.”

Con la circolare n. 6/2023 l’INPS fornisce indicazioni in merito all’applicazione delle nuove norme introdotte dall’articolo 1, commi da 342 a 354, della legge di Bilancio 2023 (legge n. 197/2022) in materia di prestazioni occasionali.

In particolare, l’Istituto illustra i seguenti profili: i limiti economici per l’accesso al Libretto Famiglia ed al contratto di prestazione occasionale; il nuovo limite dimensionale degli utilizzatori del contratto di prestazione occasionale; le modifiche al regime per le aziende alberghiere e per le strutture ricettive del settore turismo.

La novità più incisiva introdotta investe tuttavia il settore agricolo, nel quale è stato da un lato introdotto un divieto di ricorrere alle ordinarie prestazioni occasionali (PrestO), dall’altro si è dato vita ad un particolare contratto per il biennio 2023-2024, di durata non superiore a 12 mesi e nel limite di 45 giornate annue per lavoratore.

Questo peculiare rapporto di lavoro è attivabile soltanto nei confronti di pensionati, disoccupati, titolari di reddito di cittadinanza e ammortizzatori sociali, studenti under 25, detenuti.

INPS, circolare n. 14 del 3 febbraio 2023 “Importi massimi dei trattamenti di integrazione salariale, dell’assegno di integrazione salariale del FIS, dell’assegno di integrazione salariale e dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del Credito, dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del Credito cooperativo, dei trattamenti di disoccupazione NASpI, DIS-COLL e ALAS, dell’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO), dell’indennità di disoccupazione agricola e dell’assegno per le attività socialmente utili relativi all’anno 2023”.

In base a quanto stabilito dall’INPS, con la circolare 14/2023, questo il calcolo del Ticket per i licenziamenti del 2023.

Il contributo, per l’anno 2023, è pari a 603,10* euro (41% di 1.470,99* euro) per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di 3 anni (l’importo massimo del contributo è pari a 1.809,30* euro – arrotondato alle 2 cifre – per rapporti di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi).

Il contributo deve essere calcolato in proporzione ai mesi di anzianità aziendale e senza operare alcuna distinzione tra tempo pieno e part-time. Infine, vanno calcolati i mesi superiori a 15 giorni: la quota mensile è pari a 50,26* euro/mese (603,10/12).

Contrattazione collettiva e welfare per i lavoratori della Piccola e Media industria meccanica.

In base all’accordo sottoscritto da Unionmeccanica Confapi con le OO.SS., del 26 maggio 2021, le aziende che applicano il CCNL Metalmeccanici (piccola industria) CONFAPI dovranno, entro il 28 febbraio 2023, mettere a disposizione dei propri lavoratori strumenti di welfare del valore di 200 euro da utilizzare entro il 31 dicembre 2023 (articolo 52).

Il valore di 200 euro dovrà essere riconosciuto, senza alcuna riproporzione per i lavoratori part-time, una sola volta all’anno in caso di reiterazione del rapporto di lavoro con il lavoratore presso la medesima azienda.

Detta disposizione varrà anche per il 2024.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, ordinanza 16 febbraio 2023 n. 4831

Non va licenziato il dipendente che rifiuta di eseguire gli ordini usando un linguaggio scurrile

Ove la contrattazione collettiva ancori l’irrogazione della massima sanzione alla gravità della condotta nei confronti dei superiori, allora non qualunque comportamento può essere causa di licenziamento ma solo quello che, per le sue caratteristiche proprie, si palesi ingiustificatamente in netto contrasto con gli ordini impartiti.

Corte di Cassazione, ordinanza 15 febbraio 2023, n. 2991.

Infortunio sul lavoro: il committente non è responsabile in re ipsa.

La Cassazione, con Ordinanza n. 2991 del 15 febbraio 2023, in tema di responsabilità civile in caso di infortunio di dipendenti di imprese appaltatrici, precisa che la responsabilità del committente, nell’ipotesi di violazione dell’obbligo di tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro, si configura “ove lo stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alla misura da adottare in concreto e si sia riservato i poteri tecnico-organizzativi dell’opera da eseguire“.  Inoltre, seppur l’articolo 26 del D.Lgs. 81/2008 stabilisce che il dovere di sicurezza grava sia sul datore di lavoro che sul committente, tuttavia, tale principio non può trovare automatica applicazione. Sul punto, la Suprema Corte evidenzia che “non è configurabile una responsabilità del committente in re ipsa e cioè per il solo fatto di aver affidato in appalto determinati lavori ovvero un servizio”. Nel caso in esame, gli Ermellini rigettano il ricorso del subappaltatore, escludendo la responsabilità del committente in quanto il comportamento posto in essere risulta conforme alla norma. Quest’ultimo infatti ha verificato le “capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori” e “le modalità di espletamento della stessa“.

Corte di Cassazione, ordinanza 7 febbraio 2023, n. 3692

Danno da atti persecutori colposi in una vicenda di prolungato isolamento di un dipendente.

In un caso di accertamento giudiziario del prolungato demansionamento di un dipendente, i giudici di merito, oltre alla reintegra nelle mansioni originarie, avevano accolto la domanda di risarcimento del danno biologico, ma non di quelle da mobbing, ritenuto insussistente e alla professionalità, per la mancata specificazione, da parte del lavoratore, del bagaglio professionale perduto e dei corsi di aggiornamento rifiutati, che gli avrebbero consentito di accrescere le competenze. La Cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore, censura il ragionamento dei giudici di merito, rilevando che il danno professionale può essere dimostrato anche in via presuntiva e che, nel caso di specie, l’accertamento degli elementi allegati e provati (l’elevato contenuto professionale dei compiti svolti sino al demansionamento; la prolungata e ingiustificata emarginazione, il mancato invio a corsi di formazione e soprattutto la pressoché totale inoperosità in cui era stato lasciato il dipendente) erano senz’altro idonei a presumere in maniera univoca il degrado della professionalità acquisita. Quanto al mobbing, la Corte riconosce la ricorrenza della minore ipotesi di atti di persecuzione compiuti o tollerati colposamente, riconducendo anch’essi alla violazione dell’art. 2087 cod. civ., con possibile lesione della salute della vittima.

Corte di Cassazione, ordinanza 3 febbraio 2023, n. 3361

Un caso di possibile discriminazione in ragione del sesso.

La dipendente apprendista di una banca, il cui contratto era stato disdetto (unico tra 200 stipulati, tutti trasformati a tempo indeterminato) 17 mesi dopo la seconda gravidanza, aveva agito ai sensi dell’art. 38, d.lgs. 198/06, per ottenere l’accertamento e la repressione della condotta datoriale, in quanto discriminatoria, in ragione del sesso della dipendente. Il rigetto per insufficienza di prove della domanda da parte della Corte d’appello non supera il vaglio di legittimità della Cassazione, che, nell’accogliere il ricorso della lavoratrice, osserva che (i) alla luce della disciplina prevista dall’art. 40, d.lgs. 198/06, la dipendente è gravata da un onere probatorio attenuato in quanto deve provare unicamente di essere portatrice di un fattore di rischio tipizzato di discriminazione e di avere subito un trattamento svantaggioso in connessione con detto fattore, mentre il datore di lavoro deve provare circostanze che escludano univocamente la discriminazione; (ii) la suddetta connessione, da ricostruirsi in via presuntiva, può essere dimostrata anche sulla base di dati statistici; (iii) ciò non è avvenuto nel caso di specie: il giudice d’appello, infatti, pur dando atto dell’allegazione del dato statistico relativo al rapporto percentuale tra la mancata assunzione della lavoratrice e l’assunzione di tutti gli altri 200 apprendisti, ha del tutto omesso di verificare, secondo la regola enunciata, se tale dato potesse essere considerato rivelatore di una possibile discriminazione legata alle gravidanze portate a termine nel periodo di apprendistato

Corte di Cassazione, sentenza 27 gennaio 2023, n. 2517

Sub-committente e sub-appaltatore sono tenuti a coordinarsi per la salvaguardia della sicurezza dei lavoratori.

In un procedimento avente a oggetto l’infortunio occorso nel 2007 (prima, dunque, dell’entrata in vigore del d.lgs. 81/08 e nella vigenza del d.lgs. 626/94) al dipendente di una ditta sub-appaltatrice, che aveva subito la lesione a una gamba a seguito del rovesciamento della trave precariamente appoggiata al terreno sulla quale lavorava, Tribunale e Corte d’appello avevano riconosciuto la responsabilità del solo datore di lavoro sub-appaltatore (nel frattempo fallito) ed escluso quella del sub-committente, in ragione della riscontrata assenza in capo a quest’ultimo di un effettivo potere di controllo e tanto meno di direzione operativa sul sub-appaltatore, nonché del fatto che l’evento si era verificato in un’area recintata, posta all’interno dello stabilimento di proprietà del committente e affidata in custodia al sub-appaltatore, senza che il sub-committente ne avesse alcuna disponibilità. I giudici di legittimità, accogliendo il ricorso del lavoratore e cassando con rinvio la sentenza impugnata, osservano che le disposizioni normative in materia di ripartizione degli obblighi prevenzionistici tra committente e appaltatore vigenti all’epoca dell’infortunio (a partire dall’art. 7, d.lgs. 626/94) imponevano anche al sub-committente l’obbligo di coordinarsi col sub-appaltatore per la predisposizione e l’attuazione di misure necessarie ad assicurare la sicurezza, l’igiene e la salute dei lavoratori, siccome ambedue tenuti a collaborare nella realizzazione di una medesima opera. Nel caso di specie, osserva ancora la Corte, occorre allora che la responsabilità del sub-committente sia rivalutata alla luce di tale principio (che i giudici di legittimità ritengono essere stato disatteso dalla sentenza impugnata), tenendo altresì in debito conto il potere direttivo che il contratto d’appalto espressamente riconosceva nel caso in esame al sub-committente e l’esercizio del potere di controllo a esso necessariamente connesso.

Corte di cassazione, sentenza 20 gennaio 2023 n. 1771

Sulla decorrenza della prescrizione annuale del diritto del lavoratore a ottenere dal Fondo di garanzia, in caso d’insolvenza del datore, le ultime tre mensilità di retribuzione.

La vicenda che ha dato luogo alla pronuncia della Corte è relativa a un ex dipendente che, nella situazione di insolvenza del datore di lavoro, si era visto respingere la domanda – rivolta al Fondo di garanzia gestito dall’INPS – di pagamento delle ultime tre mensilità di retribuzione, con la motivazione che il suo credito era prescritto, essendo trascorso più di un anno dalla redazione del verbale di esito negativo dell’esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro (non soggetto a fallimento). La Corte conferma la pronuncia dei giudici dell’appello di accoglimento della domanda del dipendente, rilevando che, nel caso di insolvenza di un datore di lavoro non soggetto a procedura concorsuale, il diritto del dipendente può essere fatto valere (e quindi la prescrizione decorrere) unicamente al momento della conoscibilità circa l’esito dell’esecuzione forzata, che, in una corretta valutazione della diligenza attendibile dall’interessato, non coincide con quello della redazione del verbale relativo, ma in quello successivo di consegna all’interessato di esso.

Corte di Cassazione, sentenza 19 gennaio 2023 n. 1581

L’indennità sostitutiva del preavviso non concorre alla formazione della base di calcolo del T.F.R.

In un caso in cui un dirigente, licenziato con esonero del preavviso e corresponsione della relativa indennità sostitutiva, aveva chiesto, tra le altre numerose domande, l’inclusione dell’indennità nella base di calcolo del T.F.R., la Corte di cassazione ribadisce la propria ormai consolidata giurisprudenza, secondo la quale il preavviso non ha efficacia “reale”, ma meramente “obbligatoria”, sicché in caso di recesso immediato, il rapporto di lavoro si estingue, per cui non residua la possibilità di una sua sospensione, ad es. per malattia, nel periodo di “teorico” preavviso non dato e alla parte che ha ricevuto la comunicazione di  recesso spetta unicamente l’indennità sostitutiva, ininfluente ai fini sia delle mensilità aggiuntive, ferie e permessi che del t.f.r.

Corte di Cassazione, ordinanza 19 gennaio 2023, n. 1584

Illegittimo l’esonero definitivo del ferroviere per scarso rendimento fondato esclusivamente su precedenti disciplinari.

Un ferroviere era stato licenziato (esonerato definitivamente dal servizio) dalla società datrice di lavoro per scarso rendimento (previsto dalla relativa disciplina del personale, ancorché in una parte diversa da quella dei provvedimenti disciplinari), in ragione del fatto che nel corso del suo lungo rapporto di lavoro aveva subito numerosissime sanzioni disciplinari. Nel conseguente giudizio promosso dal dipendente, la Corte, confermando la decisone dei giudici di merito, annulla il licenziamento applicando la tutela reintegratoria c.d. minore. In proposito, osserva che (i) la fattispecie di esonero per scarso rendimento di cui alla norma si connota per caratteri oggettivi e soggettivi analoghi all’omologo illecito disciplinare previsto dalla disciplina comune del rapporto di lavoro e a essa va pertanto applicato il divieto, più volte affermato dalla giurisprudenza in materia di procedimento disciplinare, di esercitare due volte il relativo potere in relazione allo stesso fatto; (ii) nel caso di specie, all’atto della formale contestazione del comportamento complessivamente tenuto dal lavoratore, che ha motivato l’esonero definitivo, la società datrice di lavoro risultava avere già consumato il proprio potere disciplinare; (iii) la consumazione del potere disciplinare è ipotesi equiparabile alla mancanza di antigiuridicità del fatto contestato e, in quanto tale, è meritevole della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, co. 4, l. 300/70.

Corte di Cassazione, ordinanza interlocutoria 24 gennaio 2023 n. 2121

La disciplina dell’impresa familiare può ritenersi applicabile ai conviventi di fatto anche prima del 2016?

Ritenendo inapplicabile la disciplina dell’art. 230 bis c.c. ai conviventi di fatto (prima dell’introduzione, da parte del legislatore del 2016, dell’art. 230-ter c.c., che attribuisce diritti anche al convivente di fatto partecipe a un’impresa familiare) i giudici di merito avevano respinto la richiesta di una donna che dal 2004 al 2012 aveva prestato stabilmente la propria opera all’interno dell’azienda agricola di proprietà del compagno convivente e vantava il diritto a vedersi riconosciuta la partecipazione a un’impresa familiare e a ottenere dagli eredi del defunto compagno la liquidazione del 50% del valore dei beni acquisiti e degli utili conseguiti dall’impresa. La Cassazione, su ricorso della donna, pronuncia ordinanza interlocutoria, con la quale chiede l’intervento delle Sezioni Unite, formulando il quesito sopra indicato e osservando a tal proposito che, sebbene la lettera del terzo comma dell’art. 230 c.c. non nomini il convivente di fatto tra i soggetti destinatari della disciplina, non può tuttavia non considerarsi l’evoluzione che si è avuta nella società, con la sempre maggiore diffusione della convivenza more uxorio, evoluzione di cui ha tenuto conto sia il legislatore, allorché nel 2016 ha introdotto l’art. 230 ter c.c., sia le Sezioni unite penali, che nel 2021 hanno riconosciuto l’applicabilità della causa di esclusione della colpevolezza prevista dall’art. 384, co. 1, c.p., a chi ha commesso uno dei reati ivi previsti per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il convivente more uxorio da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore, sia, infine, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che da tempo fa rientrare la vita dei conviventi di fatto nella nozione di “vita familiare” di cui all’art. 8 CEDU.

Corte di Cassazione, ordinanza 30 dicembre 2022 n. 38151

Appalto di servizi: entro quanto l’INPS deve agire per recuperare i contributi non corrisposti?

La Corte di Cassazione, con una recente pronuncia, ha confermato il principio per cui, in materia di appalto, l’azione intentata dall’INPS per il recupero dei contributi previdenziali ed assistenziali non corrisposti dall’appaltatore non è soggetta al termine di decadenza biennale di cui all’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, ma al termine di prescrizione. Il Tribunale, a seguito di opposizione, revocava il decreto ingiuntivo emesso a favore dell’INPS per contributi previdenziali e assistenziali non corrisposti da una Società, dichiarando che nulla era dovuto dall’opponente, quale obbligata solidale, poiché era maturata la decadenza di cui all’ art. 29 d.lgs. n. 276/2003 in quanto l’azione era stata proposta oltre il biennio dalla cessazione dell’appalto. La Corte d’appello escludeva sia l’applicabilità del termine di decadenza sia la maturazione della prescrizione; pertanto, rideterminava l’importo dovuto dalla Società obbligata solidalmente. Quest’ultima ricorreva per la cassazione della sentenza di secondo grado sostenendo che l’art. 29 debba interpretarsi del senso di estendere all’INPS la decadenza dal diritto di agire nei confronti del committente quale responsabile solidale; ciò in base al tenore della norma che, diversamente dalla previgente l. n. 1369/1960, non contiene alcuna esclusione in riferimento agli enti previdenziali. La Suprema Corte ha tuttavia ritenuto infondato il ricorso e a tal proposito ha richiamato diversi precedenti (tra i quali, più recentemente, Cass. civ. n. 14700/2021, Cass. civ. n. 18562/2022).

Corte d’appello di Roma, 17 gennaio 2023

Nullo il patto di prova nel caso in cui si limiti a richiamare la declaratoria del contratto collettivo e questa non sia sufficientemente specifica.

La Corte romana accoglie il ricorso presentato da una lavoratrice licenziata per mancato superamento del periodo di prova, dichiarando la nullità del relativo patto e quindi l’illegittimità del recesso intimato dalla datrice di lavoro. Il Collegio, riformando la sentenza di primo grado, ha affermato che il semplice richiamo, all’interno del contratto, alla qualifica di “addetto di negozi o filiali di esposizione” contenuta nel CCNL applicato, non sia idonea a integrare una chiara e specifica indicazione delle mansioni oggetto della prova e, pertanto, non consenta alle parti e al Giudice di effettuare una verifica concreta.

Corte d’appello di Napoli, 17 gennaio 2023

Anche per la Corte d’appello di Napoli costituisce discriminazione indiretta computare ai fini del comporto di malattia le assenze determinate dalla disabilità.

La Corte partenopea respinge il reclamo del datore di lavoro avverso la sentenza con la quale il Giudice aveva ritenuto nullo il licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore affetto da una condizione di handicap, in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza europea in tema. Il Collegio conferma la sentenza di primo grado affermando altresì che, vista la richiesta da parte del lavoratore della fruizione di un periodo di ferie, poi accolta dal datore di lavoro, i giorni di ferie dovevano essere scomputati dal complessivo periodo di assenza ai fini del comporto in quanto – prosegue la Corte – deve ritenersi prevalente l’interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per superamento del periodo di comporto.

Corte d’appello di Venezia, 23 giugno 2022

Il ricorso al lavoro accessorio nell’ambito della esecuzione di appalti di opere o servizi per l’epoca successiva al D.L. 81/2015 costituisce un’ipotesi di evasione contributiva. Tale disciplina non è tuttavia applicabile ai servizi in concessione, che non rientrano nella fattispecie degli appalti.

La Corte conferma la sentenza appellata nella parte in cui accerta la legittimità dell’utilizzo dei voucher nel periodo antecedente il 2015, in presenza del limite quantitativo del compenso annuo massimo stabilito per legge, a prescindere dalla qualificazione del rapporto di lavoro. Per il periodo successivo al 2015, invece, l’introduzione del divieto di utilizzo del lavoro accessorio negli appalti di opere e servizi comporta un’ipotesi di occultamento del rapporto di lavoro subordinato, con relativa evasione contributiva. Il divieto di utilizzo del lavoro accessorio negli appalti non si estende a ipotesi di servizi gestiti in concessione, erogati a favore degli utenti e con corrispettivo a carico di essi.

Consiglio di stato, adunanza plenaria, sentenza 28 dicembre 2022 n. 17

I permessi giornalieri durante il primo anno di vita del figlio spettano incondizionatamente al padre lavoratore in ogni caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.

Com’è noto, la legge prevede, per la madre lavoratrice dipendente, il diritto a due permessi giornalieri, normalmente di un’ora ciascuno, durante il primo anno di vita del figlio. Tale diritto è fruito viceversa dal padre lavoratore in alcuni casi in cui la madre non possa o non voglia goderne, tra i quali quello in cui “la madre non sia lavoratrice dipendente”. Sorto in un giudizio avanti ai giudici amministrativi il problema di stabilire se l’espressione indicata possa essere riferita a ogni caso in cui la madre non svolga lavoro dipendente (ma, secondo una tesi intermedia, il padre subentrerebbe solo in caso di impedimento di fatto o invalidità della madre) oppure, più rigorosamente, sia lavoratrice autonoma o professionista – con esclusione quindi della donna che svolge unicamente attività nell’ambito familiare (che era il caso esaminato in giudizio) –, la questione, in appello, è stata rimessa, in ragione del contrasto giurisprudenziale esistente in materia, all’adunanza plenaria del Consiglio di stato. Questa, valorizzando il dato testuale della norma e con un inquadramento storico-giuridico dell’istituto, di rilievo costituzionale, dichiara di aderire alla tesi dell’incondizionata spettanza del diritto al padre in ogni caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, quindi anche quando si tratti di casalinga.

Tribunale di Trani, 2 febbraio 2023

Va risarcito il danno da abuso di contratti precari nel caso di utilizzo abusivo di contratti di collaborazione autonoma da parte di una pubblica amministrazione, in aggiunta alle differenze retributive.

Il Giudice accoglie il ricorso di una lavoratrice con cui un Ente pubblico locale aveva stipulato una serie di contratti di collaborazione autonoma adibendola alla gestione del proprio ufficio stampa, riconoscendo la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sin dall’instaurazione del rapporto di lavoro. Riconosciute alla lavoratrice le differenze retributive rispetto al trattamento che avrebbe percepito se fosse stata regolarmente assunta, e il risarcimento del danno per l’abuso di contratti di collaborazione da parte della pubblica amministrazione nella misura richiesta dalla lavoratrice e nei termini di cui all’art. 32, d.lgs. 183/2010.

Il Tribunale dichiara tuttavia prescritta parte dei crediti retributivi maturati dalla lavoratrice, aderendo all’orientamento secondo cui la prescrizione decorre in corso di rapporto quando il lavoratore, in casi come quello della abusiva collaborazione autonoma per una pubblica amministrazione, non potrebbe comunque ottenere la stabilizzazione del rapporto di lavoro.

NEWSLETTER N. 2/2023

Novità normative e giurisprudenziali

NOVITÀ NORMATIVE

Legge 13 gennaio 2023 n. 6, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, recante misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica“ (G.U. n. 13 del 17 gennaio 2023) Vigente dal 18.01.2023
In sede di conversione del cd. decreto Aiuti-quater, la L. n. 6/2023 ha confermato tutte le principali misure in materia di lavoro, in particolare:
• l’innalzamento, per il periodo d’imposta 2022, da euro 600 ad euro 3.000, del limite di non concorrenza alla formazione del reddito imponibile del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori nonché delle somme erogate o rimborsate agli stessi per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale;
• lo slittamento dal 16 dicembre 2022 al 22 dicembre 2022 del termine di versamento degli importi sospesi a favore degli organismi sportivi, ulteriormente prorogato, con specifiche indicazioni, dalla legge di Bilancio 2023.

Decreto-legge 14 gennaio 2023 n. 5, recante “Disposizioni urgenti in materia di trasparenza dei prezzi dei carburanti e di rafforzamento dei poteri di controllo del Garante per la sorveglianza dei prezzi, nonché di sostegno per la fruizione del trasporto pubblico.“(G.U. n. 11 del 14 gennaio 2023) Vigente dal 15.01.2023
Il D.L. n. 5/2023 (cd. decreto “Trasparenza”) prevede la possibilità, per i datori di lavoro privati, di erogare ai propri lavoratori dipendenti, anche nel periodo dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, buoni benzina o analoghi titoli per l’acquisto di carburanti esenti, ai fini della formazione del reddito (sia fiscale che previdenziale), fino ad un massimo di 200 euro.
Il limite di esenzione di 200 euro è aggiuntivo rispetto a quello di 258,23 euro fissato dal comma 3, art. 51 del TUIR per la generalità dei beni ceduti e dei servizi prestati ai dipendenti. Il suo superamento comporta la tassazione dell’intero valore del buono carburante.
Di fatto si è inteso prorogare, per il 2023, la misura agevolativa introdotta originariamente dal decreto-legge n. 21/2022 per il periodo d’imposta 2022.
È pertanto presumibile che, in materia, continuino a trovare applicazione i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 27/E del 14 luglio 2022.
Il decreto prevede inoltre misure di sostegno per la fruizione dei servizi di trasporto pubblico.
In particolare viene istituito il Fondo che dovrà riconoscere un buono da utilizzare per l’acquisto di abbonamenti per i servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale o per i servizi di trasporto ferroviario nazionale, in favore delle persone fisiche che nel 2022 hanno conseguito un reddito complessivo non superiore a 20.000 euro.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 162 del 24 gennaio 2023 “Art. 14, D.Lgs. n. 81/2008 – adozione provvedimento di sospensione e microimpresa – richiesta parere.”.
Con Nota n. 162 del 24 gennaio 2023 l’INL ha fornito chiarimenti in relazione alla possibilità di procedere alla sospensione nei confronti di un’impresa che occupi un solo dipendente in nero, con violazione prevenzionistica relativa alla mancanza del DVR e della nomina del RSPP.
Sebbene il Testo Unico per la sicurezza sul lavoro (D.Lgs. n. 81/2008), come modifica dal D. L. n. 146/2021, escluda il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare se il lavoratore in nero risulti l’unico occupato dall’impresa, l’Ispettorato osserva che tale esclusione non possa trovare applicazione qualora vengano contestualmente rilevate anche gravi violazioni in materia di prevenzione indicate nell’allegato 1 al D.Lgs. n. 81/2008, tra le quali sono comprese la mancanza del Documento di valutazione dei rischi (DVR) e/o la mancata nomina del RSPP, da sole sufficienti a giustificare l’adozione del provvedimento cautelare.
In ogni caso, aggiunge l’INL, qualora il provvedimento di sospensione non sia adottato per via della citata eccezione, l’ispettore dovrà comunque imporre ulteriori e specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza e per la salute dei lavoratori.

INPS, circolare n. 4 del 16 gennaio 2023 “Anno 2023. Sintesi delle principali disposizioni in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro e di sostegno al reddito e alle famiglie.”.
Con circolare n. 4/2023 l’INPS fornisce un quadro riepilogativo delle disposizioni in materia di ammortizzatori sociali e di sostegno al reddito e alle famiglie operanti nel 2023.
La circolare, che richiama in particolare le disposizioni contenute nella l. n. 197/2022 (legge di Bilancio 2023) e nel D. L. n. 198/2022 (decreto Milleproroghe), analizza tra l’altro:
• i trattamenti di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti da imprese operanti in aree di crisi industriale complessa;
• le misure di sostegno del reddito per i lavoratori dipendenti delle imprese del settore dei call center;
• la proroga dell’integrazione della CIGS per i lavoratori ILVA;
• la proroga del trattamento straordinario di integrazione salariale per cessazione di attività; il congedo parentale.

INPS, circolare n. 137 del 27 dicembre 2022 “Esonero contributivo per i datori di lavoro privati che siano in possesso della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del decreto legislativo n. 198/2006.”
Con la Circolare n. 137/2022 l’INPS fornisce indicazioni per la fruizione dell’esonero contributivo previsto in favore dei datori di lavoro del settore privato in possesso della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. n. 198/2006, come modificato dall’art. 4 della L. n. 162/2021).
Per l’anno 2022 le domande volte al riconoscimento del beneficio possono essere presentate fino al 15.02.2023.
Resta fermo che, ai fini dell’ammissibilità all’esonero, i datori di lavoro dovranno essere in possesso della certificazione entro il 31.12.2022.

Garante Privacy “Questioni interpretative e applicative in materia di protezione dei dati connesse all’entrata in vigore del d. lgs. 27 giugno 2022, n. 104 in materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili (c.d. “Decreto trasparenza”).” (Nota del 13.12.2022).
Il Garante per la protezione dei dati personali ha fornito, al Ministero del Lavoro e all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, le prime indicazioni sul Decreto trasparenza, in risposta ai numerosi quesiti ricevuti da Pa e imprese.
Inoltre, il Garante ha manifestato la propria disponibilità ad avviare un tavolo di confronto volto a definire una corretta interpretazione delle norme introdotte dal cosiddetto Decreto Trasparenza.
Nella nota, il decreto, che si applica ai contratti di tipo subordinato e ad altre forme di lavoro, ha introdotto, tra l’altro, l’obbligo per il datore di lavoro di informare adeguatamente i lavoratori nel caso utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, o per altre attività collegate al rapporto di lavoro e alla sua gestione.
I dipendenti, ad esempio, dovranno poter conoscere i parametri principali utilizzati per programmare o addestrare i sistemi automatizzati, inclusi i meccanismi di valutazione delle prestazioni nonché la robustezza e la cybersicurezza dei sistemi.
Tali obblighi informativi, ha chiarito il Garante, non sostituiscono quelli già previsti dal Gdpr.
L’Autorità ha anche ricordato che l’introduzione delle nuove garanzie non modifica le tutele già previste dal Regolamento UE per la protezione dei dati personali e dallo Statuto dei lavoratori. L’adozione di sistemi di monitoraggio nel contesto lavorativo deve quindi sempre essere oggetto di una preliminare verifica, da parte del datore di lavoro, delle condizioni di liceità stabilite dalla disciplina in materia di controlli a distanza, nonché di una valutazione dei rischi per verificarne l’impatto sui diritti e sulle libertà degli interessati.
Riguardo infine a sistemi particolarmente invasivi, come gli strumenti di machine learning, di rating e ranking, il Garante ha sottolineato che il loro impiego pone criticità in termini di proporzionalità e rischia di porsi in contrasto con i principi di protezione dei dati e con le norme nazionali di settore a tutela della libertà, della dignità e della sfera privata del lavoratore.

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

Corte di giustizia UE, sentenza 12 gennaio 2023, in causa n. C-356/21
Il divieto di discriminazione nel lavoro (qui fondata sull’orientamento sessuale) vale anche per il lavoro autonomo. La discriminazione vietata può manifestarsi nei rapporti di lavoro autonomo anche col rifiuto di concludere un contratto d’opera.
Nella causa di risarcimento danni promossa da un montatore di audiovisivi polacco, la cui collaborazione autonoma con un canale televisivo (articolata in contratti di breve durata) era stata bruscamente interrotta quando il lavoratore aveva pubblicato su YouTube un video che aveva lo scopo di promuovere la tolleranza verso le coppie omosessuali, i giudici nazionali, dubitando della conformità della legge polacca (che non prevede il divieto di discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale) rispetto alla direttiva comunitaria sul divieto di discriminazione in materia di condizioni di lavoro e di occupazione, avevano interpellato la Corte di giustizia UE per sapere se la situazione descritta rientrasse in essa.
La Corte di giustizia afferma che la direttiva comunitaria garantisce espressamente la tutela contro le discriminazioni per tutte le attività professionali, a prescindere dalla forma giuridica adottata e valuta come equivalente a un licenziamento discriminatorio vietato la cessazione involontaria dell’attività di un lavoratore autonomo. La Corte aggiunge che si pone in contrasto con la direttiva comunitaria qualunque legge nazionale che non sanzioni un rifiuto discriminatorio di concludere o rinnovare un contratto di lavoro autonomo.

Corte di giustizia UE, sentenza 22 dicembre 2022, in causa n. C-392/21
Corte di Giustizia Europea: il datore deve pagare gli occhiali ai dipendenti che lavorano al pc.
Con la sentenza emessa, il 22.12.2022, nella causa C-392/21, la Corte di Giustizia UE afferma che il datore deve farsi carico del costo dei dispositivi per la vista acquistati dai propri dipendenti addetti al videoterminale, attraverso il rimborso delle spese sostenute o mediante la fornitura diretta di lenti o occhiali.
Il dipendente ricorre giudizialmente al fine ottenere dal datore la fornitura di occhiali resisi necessari a causa del peggioramento della sua vista ricollegabile all’uso continuo del videoterminale nel luogo di lavoro.
Il Tribunale rumeno – investito della questione – chiede alla CGUE, mediante un rinvio pregiudiziale, se tale diritto sia contemplato dalla Direttiva 89/392 (che promuove il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori) e/o dalla Direttiva 90/270 (che richiede il rispetto delle prescrizioni minime finalizzate a garantire un migliore livello di sicurezza per i posti di lavoro dotati di videoterminali).
La Corte di Giustizia rileva, preliminarmente, che l’art. 9 della Direttiva 90/270 prevede che i lavoratori addetti ai videoterminali beneficino di un adeguato esame degli occhi e della vista, sia prima di iniziare l’attività che durante l’esecuzione della stessa, in modalità periodica e nel caso in cui subentrino disturbi visivi.
Per la sentenza, al diritto di visita agli occhi, se occorre, è necessario associare la fornitura di dispositivi di correzione, senza oneri a carico dei dipendenti interessati.
Su tali presupposti, la CGUE afferma che, in tali circostanze, il datore è obbligato a fornire direttamente il dispositivo di correzione (lenti o occhiali) resosi necessario o a rimborsare il relativo costo nel caso in cui la spesa sia stata già sostenuta dal lavoratore.

Corte di giustizia UE, sentenza 15 dicembre 2022, in causa n. C-311/21
Riducibile la retribuzione dei lavoratori interinali a patto di adeguate compensazioni sul piano delle altre condizioni di lavoro e dell’occupazione.
In Germania, per i lavoratori del settore del commercio al dettaglio (come probabilmente in altri settori), un contratto collettivo separato stabilisce per i lavoratori inviati da agenzie interinali una retribuzione nettamente inferiore rispetto a quella dei lavoratori comparabili dell’impresa utilizzatrice.
Ciò è infatti consentito in materia di “condizioni di base del lavoro e dell’occupazione” dalla direttiva comunitaria riguardante il lavoro interinale, come deroga al principio di parità di trattamento, “a condizione che sia garantito ai lavoratori tramite agenzia interinale un livello adeguato di protezione”.
Nella causa promossa da una lavoratrice interinale tedesca per rivendicare le differenze retributive rispetto a un lavoratore dell’impresa, la Corte di giustizia, su richiesta dei giudici nazionali, ha interpretato il significato dell’espressione “protezione globale dei lavoratori tramite agenzia interinale” nel senso che alla possibilità di stabilire per questi lavoratori condizioni di base deteriori rispetto a quelle dei lavoratori dell’impresa deve essere associato un vantaggio equivalente sullo stesso piano (retribuzione, orario di lavoro, ore di straordinario, pause, periodi di riposo, lavoro notturno, ferie e giorni festivi).

Corte di Cassazione, ordinanza 12 gennaio 2023, n. 770
Illegittimo il licenziamento della lavoratrice che non esegue diligentemente la prestazione perché il datore di lavoro non garantisce la sua sicurezza.
La cassiera di un supermercato era stata licenziata per giusta causa per aver consentito a tre clienti di non pagare una parte della merce prelevata. Nel giudizio di impugnazione del licenziamento, la Corte d’appello aveva reintegrato la dipendente, avendo accertato che i tre clienti avevano agito con atteggiamento minaccioso e che alla cassiera, che pure aveva richiesto l’intervento della guardia giurata, non era stato fornito in realtà alcun supporto da parte dell’impresa.
La Cassazione, nel confermare la decisione, rileva come il datore di lavoro, lasciando la cassiera da sola a fronteggiare i comportamenti minacciosi dei tre clienti, sia venuto meno al generale obbligo di protezione previsto dall’art. 2087 c.c., con la conseguenza che l’inadempimento posto in essere dalla dipendente (non aver obbligato i clienti a riporre tutta la merce sul nastro trasportatore) deve considerarsi legittimo e giustificato. Alla conferma che la condotta contestata non assume rilievo disciplinare, è correttamente conseguita, secondo la Corte, l’applicazione della tutela reintegratoria c.d. minore.

Corte di Cassazione, sentenza 11 gennaio 2023, n. 569
Licenziato l’impiegato che si allontana senza timbrare il badge.
Tra le ipotesi di assenza ingiustificata, in tema di licenziamento disciplinare, rientra l’allontanamento del lavoratore nel periodo intermedio tra la timbratura di entrata e di uscita, al pari dell’alterazione del sistema di rilevamento delle presenze.
Lo precisa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 569/2023.
Viene così confermato, in via definitiva, il licenziamento di un dipendente pubblico per assenza ingiustificata e falsa attestazione della presenza in servizio.
Per i giudici, si palesa un comportamento fraudolento, volto a nascondere l’allontanamento indebito nel periodo tra le due timbrature e quindi diretto far emergere falsamente la presenza in ufficio.

Corte di Cassazione, sentenza 10 gennaio 2023, n. 375
Smottamento mortale delle pareti di uno scavo e azione di regresso dell’INAIL. Responsabilità in caso di appalto
Con l’ordinanza 375/2023, la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, fa chiarezza in merito alle responsabilità di committente e appaltatore nel caso di infortuni sul luogo di lavoro.
Nello specifico, la Corte sottolinea come, ferma restando la responsabilità dell’appaltatore, il committente sia solidalmente responsabile tranne se l’infortunio derivi da rischi specifici delle attività proprie dell’appaltatore o del lavoratore.
Il committente, anche nei casi di subappalto, è responsabile sia nella scelta dell’impresa subappaltatrice sia nel caso in cui non controlli che l’appaltatore abbia adottato tutte le misure generali di tutela della salute e della sicurezza, specie se tale inadeguatezza può essere percepita senza particolari approfondimenti.
I giudici inoltre si soffermano sulla posizione del direttore dei lavori, che può essere chiamato a rispondere dell’infortunio se sovrintende all’esecuzione dei lavori e impartisce ordini, in base al contratto di appalto o per fatti concludenti.

Corte di Cassazione, sentenza 30 dicembre 2022, n. 38183
Spetta il risarcimento anche se il licenziamento illegittimo è privo di effetti.
Con la sentenza 38183/2022, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, segnala che il risarcimento del danno previsto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori si applica in tutte le ipotesi in cui il recesso datoriale sia stato riconosciuto come illegittimo, quindi anche quando il rapporto di lavoro, nei fatti, non si sia mai interrotto e non sia insorta la necessità di un intervento reintegratorio.
Riconosciuto illegittimo il licenziamento, va condannato il datore di lavoro a pagare il risarcimento in questione, pur nelle ipotesi in cui egli abbia scelto di non eseguire il licenziamento medesimo e di rinnovarlo per altra causale
Il licenziamento, ricordano i giudici, è un atto unilaterale recettizio che si perfeziona quando il lavoratore viene a conoscenza della volontà del datore di recedere unilateralmente dal rapporto lavorativo.
Per questo motivo, secondo la Cassazione, la condanna al pagamento del risarcimento del danno può scattare legittimamente anche se l’effetto risolutivo viene concretamente differito a una data successiva.

Corte di Cassazione, sentenza 27 dicembre 2022, n. 37789
Ammissione del credito per TFR allo stato passivo esecutivo e operatività del Fondo di garanzia INPS.
L’ammissione allo stato passivo del credito per TFR, con provvedimento definitivo, non preclude all’INPS quale gestore del Fondo di garanzia, di contestare i presupposti di operatività dell’intervento del Fondo, incentrati sull’insolvenza di chi è datore di lavoro al momento in cui cessa definitivamente il rapporto di lavoro e il credito per TFR diviene definitivamente esigibile in base alla disciplina applicabile ratione temporis.
Corte di Cassazione, ordinanza 16 dicembre 2022, n. 37019
L’art. 2087 c.c. si applica anche agli associati in partecipazione.
Tribunale e Corte d’appello avevano respinto la domanda di risarcimento formulata da un associato in partecipazione per i danni conseguenti a un grave infortunio occorsogli durante la dimostrazione pratica di un tosaerba nel corso di una fiera.
I giudici di merito avevano ritenuto inapplicabile nei confronti degli associati in partecipazione l’art. 2087 c.c. e il connesso regime probatorio di favore per l’infortunato, che pertanto nel caso in esame era gravato dell’onere di dimostrare che l’incidente era stato causato da fatto doloso o colposo di terzi, onere ritenuto non assolto.
La Cassazione accoglie il ricorso del lavoratore, osservando, in particolare, come l’espressione “prestatori di lavoro” adoperata dall’art. 2087 c.c. per identificare i beneficiari dell’obbligo generale di protezione abbia una portata ampia, che non coincide con la sola categoria dei lavoratori subordinati, ma che viceversa include tutti i soggetti che svolgono attività lavorativa nell’ambito di un contesto professionale organizzato da un datore di lavoro, ivi inclusi, dunque, gli associati in partecipazione.
Al giudice del rinvio, pertanto, il compito di procedere a una nuova valutazione del caso, da condurre nel rispetto del regime probatorio previsto dall’art. 2087 c.c., in base al quale il lavoratore è tenuto (esclusivamente) a provare il fatto da cui sia desumibile l’inadempimento del datore di lavoro e il nesso causale tra tale fatto e il danno, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie a impedire l’evento dannoso, ivi incluse quelle finalizzate a neutralizzare le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza e imperizia del lavoratore.

Corte di Cassazione, ordinanza 15 dicembre 2022, n. 36841
Liquidazione distinta del danno biologico terminale e del danno catastrofale in caso di decesso ritardato da malattia professionale.
Nell’ambito di un procedimento avente a oggetto il risarcimento del danno a favore dei congiunti ed eredi di un operaio deceduto per mesotelioma di origine professionale, la Corte d’appello aveva, quanto al risarcimento iure hereditatis, ricondotto ad unità il danno, qualificato come danno biologico terminale, ricomprendente anche il danno morale catastrofale.
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso proposto al riguardo dagli eredi, ricorda, in particolare, che (i) in caso di malattia professionale che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), si somma una componente di sofferenza psichica, patita dalla vittima che lucidamente e consciamente assiste allo spegnersi della propria vita (il c.d. danno catastrofale); (ii) si tratta di danni che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi: per il danno biologico terminale, la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, con l’applicazione di opportuni fattori di personalizzazione; per il danno catastrofale, invece, la liquidazione avviene affidandosi a un criterio equitativo “puro”, che deve tenere conto dell’enormità del pregiudizio psichico derivante dalla consapevolezza dell’approssimarsi della fine della vita; (iii) per ottenere uniformità di trattamento a livello nazionale, per il danno catastrofale è opportuno fare riferimento al criterio di liquidazione fatto proprio dal Tribunale di Milano, salvo che non ricorrano circostanze idonee giustificarne l’abbandono o l’integrazione.

Corte di cassazione, sentenza 1° dicembre 2022 n. 35421
Applicabile al dipendente di una società pubblica la disciplina dell’art. 2103 cod. civ.
La questione riguardava il dipendente di una società per azioni a totale partecipazione pubblica, il quale rivendicava la qualifica superiore in ragione delle mansioni concretamente svolte per anni. I giudici di merito avevano riconosciuto solo le differenze retributive conseguenti alle più elevate mansioni svolte, ma non la qualifica superiore, in base alla considerazione che leggi dello Stato e regionali avevano recentemente esteso alle società partecipate alcuni vincoli procedurali delle Amministrazioni pubbliche per l’assunzione del personale e ritenendo, alla luce di ciò, incompatibile l’applicazione dell’art. 2103 c.c.
La Cassazione dà atto che in materia esistono nella giurisprudenza di merito e nella dottrina orientamenti contrastanti e opta decisamente per la soluzione dell’applicabilità dell’art. 2103 c. c., ricordando che la società a partecipazione pubblica non muta per ciò natura e disciplina, ma resta assoggettata al regime privatistico, anche per quanto riguarda il rapporto di lavoro, salvo esplicite deroghe, presenti per ciò che riguarda il reclutamento del personale, ma inesistenti nella materia delle qualifiche e mansioni.
Né tale applicabilità si pone, secondo la Corte, in contrasto con gli obblighi gravanti in materia di assunzione, data l’ontologica diversità dei due istituti.

Corte di cassazione penale, sentenza 4 ottobre 2022 n. 570
La Cassazione traccia i confini della “colpa di organizzazione”
La responsabilità dell’amministratore non va confusa con quella della società, ragion per cui i giudici devono valutare la colpa con estrema attenzione prima di infliggere una sanzione sulla base del decreto 231/2001.
Lo sottolinea la Corte di Cassazione, Quarta sezione penale, con la sentenza 570/2023.
Viene così annullato il pronunciamento della Corte d’Appello di Milano che condannava una società ad una misura pecuniaria, tra l’altro, per la violazione di norme di sicurezza sul luogo di lavoro, in seguito alla morte di un lavoratore a causa di una caduta, per l’assenza di sponde laterali su un ponteggio.
La società era stata ritenuta responsabile per il vantaggio derivante dall’impiego di lavoratori solo formalmente dipendenti da un’altra società e per non averli dotati di strumenti di protezione adeguati.
Per i giudici, però, la sentenza impugnata confondeva “i profili di responsabilità da reato dell’amministratore/datore di lavoro dai profili di responsabilità da illecito amministrativo della società”, rimarcando che la responsabilità dell’amministratore non si riflette, nel caso in questione, sull’ente.

Corte d’Appello di Brescia, 24 novembre 2022
L’indennità di trasferta prevista dal CCNL Logistica ha natura retributiva e deve essere computata nella base di calcolo del TFR.
La Corte ha parzialmente accolto il ricorso di alcuni lavoratori, ai cui rapporti di lavoro era applicato il CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizioni, che chiedevano che nella base di calcolo del TFR, nonché delle mensilità aggiuntive venissero computate sia l’indennità di trasferta sia i compensi per lavoro straordinario.
Il Collegio, analizzando gli artt. 37 e 72 del CCNL, ha affermato con riferimento all’indennità di trasferta che se la contrattazione collettiva aziendale o territoriale non ha fissato la misura restitutoria dell’indennità, come lo stesso CCNL invitava a fare, quest’ultima ha natura retributiva e pertanto deve rientrare nella base di calcolo del TFR.
I Giudici hanno altresì affermato che la possibilità di prevedere che una quota dell’indennità abbia natura restitutoria dipende dal fatto che quest’ultima sia inferiore al valore esente da IRPEF; la parte in eccesso ha sempre natura retributiva a prescindere dalla volontà delle parti.
Al contrario, l’indennità di trasferta non può essere computata nel calcolo delle mensilità aggiuntive, sulle quali invece incide il compenso per lavoro straordinario.

Tribunale di Parma, 9 gennaio 2023
Si realizza una discriminazione indiretta quando ai fini del comporto di malattia non si distingue tra assenze dovute alla condizione di disabilità del lavoratore e assenze per malattia.
Il Giudice accoglie l’opposizione presentata da una lavoratrice invalida contro la precedente ordinanza di rigetto e, discostandosi dall’orientamento adottato in precedenza dal medesimo Tribunale, dichiara discriminatorio rispetto alla condizione di handicap il licenziamento da questa subito per superamento del periodo di comporto.
Se, infatti, il criterio di computo delle assenze ai fini del comporto individuato dal contratto collettivo non distingue tra le assenze per malattia legate alla specifica condizione di disabilità e le generiche assenze per malattia, ha luogo una discriminazione indiretta basata sul fattore dell’handicap quando, in concreto, sia dimostrato che almeno parte delle assenze sono direttamente riconducibili all’handicap stesso.

Tribunale di Modena, 9 gennaio 2023
Grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare la genuinità dell’utilizzo della manodopera attraverso la produzione dei contratti di appalto.
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da vari lavoratori impiegati nell’ambito di un appalto e, dichiarando l’illiceità dello stesso, accerta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i ricorrenti e la società committente, condannando quest’ultima al pagamento delle differenze retributive e contributive
Il Giudice modenese, richiamando l’orientamento della Cassazione, ritiene non assolto l’onere probatorio gravante sul datore di lavoro circa la sussistenza di un genuino rapporto di intermediazione di manodopera, stante la mancata produzione dei contratti di appalto da parte di quest’ultimo.
Ciò, unitamente alla prova dell’esercizio del potere direttivo da parte della committente e dell’assenza di rischio in capo alle appaltatrici, è risultato decisivo ai fini dell’accoglimento del ricorso.

Tribunale di Napoli, 30 novembre 2022
Invalido per vizio della volontà il verbale di conciliazione sottoscritto per la necessità di mantenere il posto di lavoro. Va considerato pacifico il diritto all’applicazione dell’art. 2112 c.c. nel caso di cessione di attività da una ad altra società, entrambe “in house”.
Il Tribunale annulla il verbale di conciliazione sottoscritto da una dipendente che, in occasione di una cessione di azienda, era stata di fatto costretta a rinunciare a far valere qualsiasi diritto maturato verso la cedente nei confronti della cessionaria, per ottenere l’assunzione alle dipendenze di quest’ultima, cui aveva comunque diritto ex art. 2112 c.c.
Secondo il Giudice partenopeo, non è condivisibile l’eccezione di parte datoriale basata sul fatto che tali rinunce siano avvenute nel contesto di una sede protetta ai sensi dell’art. 2113 c.c. (nel caso specifico presso la Direzione Territoriale del Lavoro) in quanto in ogni caso non idonea a sanare le cause di annullabilità del verbale. Di conseguenza, il rapporto di lavoro della ricorrente si deve considerare proseguito alle dipendenze della cessionaria senza soluzione di continuità; cedente e cessionaria sono state dichiarate solidalmente responsabili per i crediti retributivi maturati fino alla data di trasferimento dell’azienda.

NEWSLETTER LEGGE DI BILANCIO 2023

Legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante ”Attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025.”. (GU n. 303 del 29.12.2022) – Vigente dal 1.01.2023.

Pubblicata in Gazzetta Ufficiale la L. n. 197/2022 recante il “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025“.

Numerose le novità introdotte in materia di lavoro e di previdenza sociale, con particolare riguardo con riferimento all’ambito giuslavoristico a:

  • detassazione dei premi di produttività;
  • taglio del cuneo fiscale;
  • lavoratori dello spettacolo;
  • pensione anticipata;
  • APE sociale;
  • trattamento pensionistico anticipato a favore delle lavoratrici;
  • esoneri contributivi;
  • smart working;
  • perequazione dei trattamenti pensionistici;
  • incremento delle pensioni minime;
  • investimenti degli enti previdenziali;
  • riforma del reddito di cittadinanza;
  • semplificazione in materia di ISEE;
  • prestazioni occasionali;
  • assegno unico universale per i figli a carico;
  • congedo parentale;
  • trattamenti di integrazione salariale;
  • fondi sociali;
  • buono portuale;
  • pubblici dipendenti e personale di INL e ANPAL;

La manovra mette in campo 35 miliardi di euro suddivisi nei 21 articoli e 1.017 commi, di cui 903 concentrati nell’articolo 1.

Vediamo, in sintesi, tutte le caratteristiche delle misure introdotte in favore di lavoratori, imprese e famiglie.

Detassazione premi produttività – Riduzione dell’imposta sostitutiva applicabile ai lavoratori dipendenti (art. 1, comma 63)

La disposizione stabilisce la riduzione al 5%, in luogo del vigente 10%, dell’aliquota sostitutiva applicabile alle somme erogate nel 2023 sotto forma di premi di risultato o di partecipazione agli utili d’impresa.

Ai sensi dell’art. 1, comma 182 della L. n. 208/2015 ( Legge di stabilità 2016 ), i premi di risultato di ammontare variabile, erogati in esecuzione dei contratti collettivi aziendali e territoriali, la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili, sono soggetti a una imposta sostitutiva dell’ IRPEF pari al 10 per cento, entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro lordi (4.000,00 euro se l’azienda coinvolge pariteticamente i lavoratori nella organizzazione del lavoro).

Tali disposizioni trovano applicazione nel settore privato ai soli titolari di reddito di lavoro dipendente di importo non superiore a 80.000 euro.

Considerato il mancato gettito fiscale, il costo totale dell’ulteriore detassazione è stimato in 222,3 milioni di euro nel 2023 e 6,9 milioni nel 2024.

Taglio del cuneo fiscale – Esonero parziale dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti (art. 1, comma 281).

La norma, modificata nel corso della discussione alla Camera, conferma per i periodi di paga dal 1.01.2023 al 31.12.2023, un esonero sulla quota di contributi previdenziali dovuti dai lavoratori dipendenti pubblici e privati, esclusi i lavoratori domestici, già previsto per il 2022.

Tale esonero è pari al 2% se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 2.692,00 euro (RAL 35.000,00 euro) e al 3% se la medesima retribuzione non eccede l’importo mensile di 1.923,00 euro (RAL 25.000,00 euro, in luogo dei 1.538,00 euro originariamente previsti prima della discussione alla Camera.

In entrambi i casi la retribuzione imponibile è parametrata su base mensile per tredici mensilità, e i limiti di importo mensile sono maggiorati del rateo di tredicesima per la competenza del mese di dicembre (per la corretta individuazione dell’imponibile cfr. Circolare INPS n. 43 del 22.03.2022 e Messaggio INPS n. 3499 del 26.09.2022).

Gli oneri di finanza pubblica sono stimati in 3.899 milioni di euro per il 2023 e in 869 milioni di euro per il 2024.

Indennità di discontinuità per i lavoratori dello spettacolo (art. 1, comma 282).

Il nuovo comma introdotto dalla Camera stanzia delle risorse per il triennio 2023 – 2025 pari a 60 milioni di euro per la prima annualità, 6 per la seconda e 8 per la terza, per il finanziamento di un’indennità di discontinuità a favore dei lavoratori dello spettacolo.

Quota 103 – Disposizioni in materia di pensione anticipata (art. 1 commi 283 – 285).

In via sperimentale per il 2023 la Legge di Bilancio introduce un’ulteriore fattispecie di pensionamento anticipato al raggiungimento di un’età anagrafica di 62 anni di età e un’anzianità contributiva di almeno 41 anni (c.d. quota 103).

Possono accedervi i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, e i lavoratori autonomi e parasubordinati se iscritti alle gestioni previdenziali INPS.

E’ escluso dal canale di accesso anticipato il personale militare, quello delle forze dell’ordine e del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco.

Il trattamento è riconosciuto per un valore lordo mensile massimo non superiore a cinque volte il trattamento minimo (2.818,70 euro).

Il massimale così definito trova applicazione sino al raggiungimento dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia.

Raggiunti i requisiti per il pensionamento anticipato con quota 103, il trattamento decorre trascorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti.

Per i dipendenti pubblici la richiesta di collocamento a riposo deve giungere con un preavviso minimo di 6 mesi.

Regole specifiche sono previste per i lavoratori del comparto scuola che dovranno presentare domanda entro il 28 febbraio per ricevere il primo accredito dall’inizio del nuovo anno scolastico/accademico.

Ai fini del conseguimento del requisito contributivo, i periodi assicurativi maturati nelle diverse gestioni pensionistiche sono cumulabili gratuitamente (cfr. Circolare INPS n. 11 del 29.01.2019

), a condizione che i periodi non siano tra loro coincidenti o che il soggetto non sia già titolare di altro trattamento pensionistico diretto.

Per quanto concerne il cumulo con redditi di lavoro dipendente, il trattamento liquidato con quota 103 non è cumulabile con redditi da lavoro dipendente o autonomo sino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, ad eccezione di quelli da lavoro autonomo occasionale nel limite di 5.000 euro lordi annui, limite che corrisponde alla soglia di esclusione dalla contribuzione pensionistica.

Incentivo alla prosecuzione dell’attività lavorativa (art. 1, commi 286 – 287).

Per il lavoratore dipendente, pubblico e privato, che abbia raggiunto, o raggiunga entro il 31.12.2023, i requisiti per il trattamento pensionistico anticipato quota 103 è riconosciuta la facoltà di richiedere al datore di lavoro la corresponsione in busta paga dell’importo di contribuzione a proprio carico, con conseguente esclusione del versamento della quota contributiva.

Entro trenta giorni dall’approvazione della Legge di bilancio è prevista l’adozione da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di un decreto per la definizione delle modalità attuative della norma.

Proroga APE Sociale (art. 1, commi 288 – 291).

La Legge di bilancio proroga l’applicazione sperimentale dell’istituto a tutto il 2023.

Possono accedere all’ APE Sociale i soggetti con un’età anagrafica minima di 63 anni, che non siano già titolari di pensione diretta.

L’indennità di Ape Sociale è concessa fino al raggiungimento dei requisiti della pensione di vecchiaia o anticipata a lavoratori che svolgono mansioni gravose, invalidi civili al 74%, lavoratori dipendenti in stato di disoccupazione che abbiano esaurito il trattamento di NASpI (o equivalente) e caregivers.

Opzione donna (art. 1, commi 292).

La norma estende la possibilità di accedere al trattamento pensionistico anticipato a favore delle lavoratrici che abbiano maturato entro il 31.12.2022 un’anzianità contributiva pari almeno a 35 anni, con età anagrafica di almeno 60 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni) e siano in possesso, alternativamente, di uno dei seguenti requisiti:

Quanto al regime delle decorrenze, viene confermato quanto previsto nella previgente normativa con il conseguimento al diritto al trattamento pensionistico trascorsi diciotto mesi dalla maturazione dei requisiti perle lavoratrici autonome e dodici per le lavoratrici dipendenti.

Regole specifiche sono invece previste per le lavoratrici del comparto scuola che, in una fase di prima applicazione, dovranno presentare domanda di collocamento a riposo entro il 28.02.2023, per vedersi erogato il primo assegno dalla data di inizio del nuovo anno scolastico o accademico.

Esoneri contributivi per l’assunzione di beneficiari di reddito di cittadinanza (art. 1 comma 294).

Ai datori di lavoro privati che nel 2023 assumono con contratto di lavoro a tempo indeterminato beneficiari del reddito di cittadinanza è riconosciuto l’esonero dal versamento del 100% dei contributi previdenziali a loro carico con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Inail, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.

Tale esonero è subordinato all’autorizzazione della Commissione europea ed è riconosciuto anche per le trasformazioni dei contratti a tempo determinato.

L’incentivo è riconosciuto per un periodo massimo di dodici mesi e nel limite massimo di importo pari a 8.000 euro su base annua (importo così modificato dalla Camera, in luogo dei 6.000 euro originariamente previsti dal DDL di legge in esame), riparametrato e applicato su base mensile. L’esonero in commento si pone in alternativa all’ulteriore esonero dal versamento della contribuzione a carico del lavoratore e del datore di lavoro, previsto dall’articolo 8 del D.L. n. 4/2019, nel limite dell’importo mensile del reddito di cittadinanza percepito dal lavoratore e, comunque, non superiore a 780 euro mensili.

Esonero contributivo per assunzioni di giovani al di sotto di 36 anni (art. 1, commi 297).

La norma estende alle nuove assunzioni a tempo indeterminato di soggetti che non hanno compiuto il 36° anno di età l’esonero contributivo totale già previsto dall’articolo 1, comma 10, della L. n. 178/2020:

L’esonero totale dal versamento dei contributi non si applica:

Esonero contributivo per promuovere l’occupazione femminile (art. 1 comma 289).

La Legge di bilancio estende alle nuove assunzioni di donne lavoratrici svantaggiate, effettuate nel corso del 2023, l’esonero contributivo totale già previsto per le assunzioni delle medesime donne effettuate nel biennio 2021- 2022 dall’articolo 1, comma 16, della L. n. 178/2020 per le medesime assunzioni effettuate nel biennio 2021-2022.

Subordinato all’autorizzazione della Commissione europea, è riconosciuto nella misura del 100% dei contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro e nel limite massimo di importo pari a 8.000 euro su base annua, per la durata di dodici mesi in caso di contratto a tempo determinato e di 18 mesi in caso di assunzioni o trasformazioni a tempo indeterminato.

L’assunzione deve riguardare donne che si trovano in una delle seguenti condizioni:

Smart working proroga lavoratori fragili (art. 1, commi 306).

Per il primo trimestre del 2023 è prorogato per i dipendenti, sia pubblici che privati, che versano in condizioni di fragilità accertate secondo i criteri del D.M. 4 febbraio 2022, il diritto a rendere la propria prestazione lavorativa in modalità agile.

I datori di lavoro saranno pertanto tenuti nell’arco dei primi tre mesi del 2023 ad assicurare lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definita dai contratti collettivi applicati, senza alcuna decurtazione dello stipendio.

Resta ferma l’applicazione delle disposizioni di maggior favore eventualmente previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

Disposizioni in materia di perequazione dei trattamenti pensionistici (art. 1, comma 309).

In base alla disciplina generale, gli incrementi a titolo di perequazione automatica dei trattamenti pensionistici– ivi compresi i trattamenti di natura assistenziale – si basano sulla variazione dell’indice del costo della vita e decorrono dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento.

Nel 2022 la variazione misurata in termini percentuali si attesta al 7,3%.

Per gli anni 2023 – 2024 viene introdotta una disciplina speciale che prevede in via transitoria termini più restrittivi per i soggetti che percepiscono trattamenti superiori a quattro volte il trattamento minimo (525,38 euro).

E’ previsto infatti che:

La revisione assicura una minore spesa pensionistica di circa 2,1 miliardi nel 2023, che arriveranno a circa 4,1miliardi nel 2024.

Incremento transitorio delle pensioni minime (art. 1, comma 310).

Al fine di contrastare gli effetti negativi dell’inflazione, è previsto in via eccezionale dal 1° gennaio un incremento di 1,5 punti percentuali per l’anno 2023, elevati a 6,4 punti percentuali per i soggetti di età pari o superiore a settantacinque anni, e di 2,7 punti percentuali per l’anno 2024, delle pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo INPS.

L’incremento si traduce in aumento dell’assegno delle pensioni minime che passa a 600,00 euro per i pensionati da75 anni in su e da 525,38 euro a 571,6 euro per i pensionati al di sotto della soglia.

L’incremento non rileva ai fini del superamento dei limiti reddituali previsti per il riconoscimento di tutte le prestazioni collegate al reddito.

Ai fini della rivalutazione delle pensioni per gli anni 2023 e 2024, il trattamento pensionistico complessivo di riferimento è da considerare al netto dell’incremento transitorio.

Disposizioni relative agli investimenti degli enti previdenziali (Art. 1, comma 311).

Il comma apporta modifiche alla L. n. 111/2011 che ad oggi demanda ad un decreto ministeriale mai adottato la definizione di disposizioni in materia di investimenti delle risorse finanziarie degli enti digestione delle forme di previdenza obbligatorie.

Nello specifico la nuova norma stabilisce un nuovo termine ordinatorio al 30.06.2023 per l’emanazione del decreto.

Entro questa data il Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sentita la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, dovrà adottare il decreto secondo la nuova procedura.

I singoli enti previdenziali avranno ulteriori sei mesi, dall’emanazione del decreto,

per adottare regolamenti attuativi interni che prevedano un adeguata informazione nei confronti degli iscritti in merito alla gestione del rischio e la governance degli investimenti, nonché la regolazione del conflitto di interessi e della banca depositaria.

Riforma del reddito di cittadinanza (art. 1, comma 313).

Nelle more di una più ampia riforma delle misure di sostegno alla povertà e inclusione lavorativa, la Legge di bilancio prevede alcune modifiche alla disciplina del reddito di cittadinanza, in vista della sua soppressione dal 1.01.2024.

Le economie così realizzate confluiranno nel “Fondo per il sostegno alla povertà e all’inclusione attiva “istituito nello stato di previsione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Dal 1.01.2023 è previsto che il reddito di cittadinanza sia riconosciuto per un massimo di sette mensilità, a fronte dei diciotto mesi attuali.

La riduzione non si applica ai nuclei familiari al cui interno siano presenti componenti con disabilità, minorenni o persone con almeno sessant’anni di età.

Sempre dal 1° gennaio, per i beneficiari tenuti all’adesione ad un percorso di accompagnamento all’inserimento lavorativo, è disposto l’obbligo di frequentare corsi di formazione e/o riqualificazione professionale di durata semestrale, pena la decadenza dal beneficio per l’intero nucleo.

Sulla stessa direttiva si pone l’intervento che condiziona l’erogazione del reddito ai beneficiari di età compresa tra i 18 e i 29 anni all’adempimento dell’obbligo scolastico.

Viene meno il concetto di “offerta congrua “definito sulla base di criteri che tengono conto della coerenza con le esperienze e le competenze maturate dall’utente, della distanza della sede di lavoro dalla propria abitazione e di altri parametri retributivi e contrattuali.

Con questa modifica viene rivisto poi il regime della decadenza dalla prestazione.

Attualmente la decadenza interviene se non viene accettata la seconda offerta congrua nei primi diciotto mesi di fruizione o la prima dopo il rinnovo del beneficio.

Con le nuove regole la decadenza dalla misura di sostegno è prevista già dalla prima offerta di lavoro senza parametri di congruità.

Altre modifiche prevedono che la componente di reddito pari all’ammontare del canone annuo previsto nel contratto di locazione, corrisposta ad integrazione del reddito dei nuclei familiari, sia erogata direttamente al locatore fino ad un massimo di 3.360 € annui.

E’ inoltre previsto che i redditi da lavoro stagionale o intermittente non concorrano alla determinazione del beneficio economico entro il limite massimo di 3.000 euro lordi.

La norma infine dispone che i comuni debbano impiegare tutti, e non più almeno un terzo dei beneficiari, nell’ambito dei progetti di utilità collettiva.

Misure di semplificazione in materia di ISEE (Art. 1, comma 323).

La Legge di bilancio prevede un intervento legislativo volto a favorire la presentazione della DSU in modalità precompilata.

A tal fine è previsto che fino al 31.12.2022 permanga la possibilità di presentare la DSU nella modalità non precompilata, ma che, a decorrere dal 1.07.2023, la presentazione della DSU avvenga prioritariamente in modalità precompilata.

Ad un successivo decreto è demandata l’individuazione delle ulteriori semplificazioni e le modalità operative per consentire al cittadino la gestione della dichiarazione precompilata resa disponibile in via telematica dall’INPS.

L’erogazione di molti servizi e prestazioni sociali è effettuata in base alla situazione economica del nucleo familiare del richiedente ponderata attraverso l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), calcolato sulla base della Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) caratterizzata, nella versione precompilata, dalla coesistenza di dati autodichiarati da parte del cittadino con dati forniti direttamente dall’Agenzia delle Entrate e dall’ INPS.

Modifiche alla disciplina delle prestazioni occasionali (art. 1, commi 342 – 354).

Le modifiche apportate alla disciplina delle prestazioni occasionali sono volte a consentire un più ampio ricorso all’istituto.

Viene aumentato da 5.000 a 10.000 euro il limite massimo di compensi che, nel corso di un anno, possono essere corrisposti da ciascun utilizzatore in riferimento alla totalità dei prestatori.

Resta, invece, fermo a 5.000 euro il compenso massimo annuale che può essere percepito da ciascun prestatore.

La platea dei datori di lavoro che possono acquisire le prestazioni di lavoro occasionale viene ampliata.

In base alla nuova previsione, non è ammesso il ricorso al contratto di prestazione lavoro occasionale ai datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze più di 10 (invece che più 5, come previsto dalla disciplina previgente) lavoratori subordinati a tempo indeterminato.

La disciplina è, altresì, estesa alle attività lavorative di natura occasionale svolte nell’ambito delle attività di discoteche, sale da ballo, night-club.

Per il settore agricolo è prevista l’introduzione di una disciplina sperimentale, valida per il biennio 2023-2024, che consente il ricorso alle prestazioni occasionali da parte delle imprese agricole per un massimo di 45 giornate lavorative per ciascun lavoratore.

Tale disciplina prevede che le prestazioni di lavoro occasionale possono riguardare solo specifiche categorie di lavoratori:

Prevista inoltre una durata massima di 12 mesi, con limite di 45 giorni di effettivo lavoro, e la trasformazione del rapporto di lavoro occasionale in contratto a tempo indeterminato come sanzione per il superamento del limite dei 45 giorni.

Prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad acquisire un’autocertificazione resa dal lavoratore in ordine alla propria condizione ed è poi obbligato a darne comunicazione al competente Centro per l’impiego.

Le violazioni degli obblighi di comunicazione, o l’utilizzo di soggetti diversi da quelli che possono erogare le prestazioni occasionali, comportano l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a 2.500 euro per ogni giornata per cui risulta accertata la violazione, salvo che la violazione da parte dell’impresa agricola non derivi dalle informazioni incomplete o non veritiere contenute nell’autocertificazione resa dal lavoratore.

L’instaurazione del rapporto di lavoro agricolo occasionale a tempo determinato resta preclusa ai datori di lavoro agricoli che non rispettano i contratti collettivi nazionali e provinciali di lavoro stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

L’iscrizione dei lavoratori che erogano prestazioni occasionali di lavoro agricolo nel libro unico del lavoro può avvenire in un’unica soluzione, tenuto conto della scadenza del rapporto di lavoro, fermo restando che i compensi dovuti possono essere erogati anche anticipatamente, su base settimanale, quindicinale o mensile.

In ogni caso il compenso erogato per prestazioni di lavoro occasionale in agricoltura è esente da qualsiasi imposizione fiscale, non incide sullo stato di disoccupazione ed è cumulabile con qualsiasi tipologia di trattamento pensionistico.

Assegno unico universale per i figli a carico (art. 1 commi 357 e 358).

Con decorrenza dal 1.01.2023, la Legge di bilancio revisiona i criteri di calcolo degli importi dell’assegno unico universale per supportare maggiormente le famiglie numerose e i nuclei familiari che accolgono al proprio interno figli disabili.

Nello specifico:

Congedo parentale (art. 1, comma 359).

Il comma 359 apporta modifiche alle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità per quanto concerne il congedo parentale.

Con la novella viene riconosciuto un ulteriore mese di congedo da utilizzare entro il sesto anno di vita del bambino riconosciuto in alternativa, anche per frazioni di periodo, alla madre o al padre. Viene inoltre innalzata dal 30 all’80% l’indennità corrisposta durante l’astensione.

La disposizione si applica con riferimento ai lavoratori che terminano il periodo di congedo di maternità o di paternità successivamente al 31.12.2022.

Risorse finanziarie per trattamenti di integrazione salariale (art. 1, commi 325 – 329).

Sono stanziati 70 milioni di euro a favore dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria e di mobilità in deroga in favore dei lavoratori delle imprese operanti in aree di crisi industriale (comma 325).

Per le misure di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti delle imprese del settore dei call center in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa vengono destinati 10 milioni (comma 327).

Spettano invece 19 milioni di euro all’integrazione economica del trattamento di integrazione salariale straordinaria in favore dei lavoratori dipendenti dalle imprese del Gruppo Ilva (comma 328) e 50 milioni di euro per il trattamento straordinario di integrazione salariale per crisi aziendale delle imprese che cessano l’attività produttiva (comma 329).

Fondo per la sperimentazione del reddito alimentare (art. 1, comma 434).

Nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali è istituito il “Fondo per la sperimentazione del reddito alimentare”, con la dotazione di 1,5 milioni di euro per l’anno 2023 e di 2 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2024.

Il Fondo è destinato a finanziare, nelle città metropolitane, la sperimentazione del reddito alimentare, quale misura per contrastare lo spreco e la povertà alimentare, mediante l’erogazione, a soggetti in condizioni di povertà assoluta, di pacchi alimentari realizzati con l’invenduto della distribuzione alimentare, da prenotare mediante una applicazione e ritirare presso un centro di distribuzione ovvero ricevere presso il proprio domicilio nel caso di soggetti appartenenti a categorie fragili.

Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità attuative del trattamento, la platea dei beneficiari, nonché le forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore.

Fondo per le periferie inclusive (art. 1, comma 362).

Al fine di favorire e promuovere l’inclusione sociale delle persone con disabilità, contrastando, al contempo, i fenomeni di marginalizzazione nelle aree periferiche urbane delle grandi città, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un fondo denominato “Fondo per le periferie inclusive“.

I criteri di gestione saranno previsti con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o dell’Autorità politica delegata in materia di disabilità, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza unificata, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Fondo per accrescere il livello professionale nel turismo (art. 1, comma 603).

Nello stato di previsione del Ministero del Turismo è istituito il “Fondo per accrescere il livello professionale nel turismo”, al fine di favorire il miglioramento della competitività dei lavoratori del comparto del turismo, nonché di agevolare l’inserimento di alti professionisti del settore nel mercato del lavoro.

Il Fondo avrà una dotazione pari a 5 milioni di euro per l’anno 2023 e a 8 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025.

Fondo per l’incentivazione alla qualificazione del lavoro portuale (art. 1, comma 471).

Nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito il “Fondo per l’incentivazione alla qualificazione del lavoro portuale”, con una dotazione di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2023 al 2026, destinato alla concessione, per il periodo dal 1.01.2023 al 31.12.2026, di un contributo, denominato “buono portuale”, pari all’80% della spesa sostenuta, per le imprese titolari di autorizzazione o di concessione, finalizzato inter alia ad incentivare modelli di formazione funzionali alla riqualificazione dei lavoratori e al mantenimento dei livelli occupazionali rispetto all’avvio di processi di automazione e digitalizzazione.

Con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro del lavoro e politiche sociali, sentite le parti sociali maggiormente rappresentative, sono stabiliti termini e modalità di presentazione delle domande per la concessione del beneficio e della sua erogazione.

Una tantum per i pubblici dipendenti. (art. 1, comma 330).

Nel solo anno 2023, sarà erogato un emolumento accessorio una tantum, da corrispondere per tredici mensilità, nella misura dell’1,5 per cento dello stipendio con effetti ai soli fini del trattamento di quiescenza.

NEWSLETTER N. 1/2023 Novità normative e giurisprudenziali

NOVITÀ NORMATIVE

Governo: approvato il decreto Milleproroghe.
Nella seduta n. 11 del 21.12.2022, il Governo ha approvato il cd. decreto Milleproroghe, che introduce disposizioni urgenti in materia di termini legislativi.
Queste le novità in materia di lavoro.
Contratto di espansione:
• proroga per il biennio 2024-2025;
• per gli accordi stipulati dal 1.01.2023, si amplia la platea delle imprese ammesse al contratto di espansione e si riduce da 1.000 a 500 la soglia occupazionale necessaria la maggior riduzione dei versamenti a carico del datore in caso di incremento delle assunzioni;
• qualora il datore di lavoro effettui almeno una assunzione per ogni tre lavoratori che abbiano prestato il consenso alla stipula del contratto di espansione, la riduzione dei versamenti a carico del datore di lavoro, opererà per ulteriori dodici mesi. Nel caso in cui almeno il 50% dei lavoratori così assunti non abbia compiuto il 35°anno di età, l’ulteriore riduzione opererà per ulteriori 24 mesi.
Ammortizzatori sociali:
• proroga, per gli anni 2024 e 2025, della riduzione oraria e dell’integrazione salariale per determinate categorie di lavoratori, anche in favore delle aziende che occupano oltre 50 dipendenti, per un periodo non superiore a 18 mesi, anche non continuativi;
• proroga, al 31.12.2023, della sospensione dei termini di prescrizione degli obblighi contributivi riferiti alle gestioni previdenziali dei pubblici dipendenti;
• proroga, al 31.12.2023, del termine entro il quale le pubbliche amministrazioni che abbiano instaurato rapporti di co.co.co sono tenute a versare i contributi per la gestione separata;
• proroga, al 31.12.2023, della competenza attribuita in via esclusiva ai consulenti del lavoro e alle associazioni datoriali comparativamente più rappresentative per quel che riguarda la verifica dei requisiti concernenti l’osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro e la congruità del numero delle richieste di ingresso di cittadini non comunitari;
• proroga, al 31.12.2023, entro un limite di spesa, del termine di presentazione delle domande di cassa integrazione guadagni straordinaria per le aziende rientranti nel campo di applicazione del Fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale e relativo ai periodi di CIGS concessi per l’anno 2022.
Autorizzazione all’assunzione nelle pubbliche amministrazioni, con particolare riguardo:
• al comparto sicurezza-difesa;
• al Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
• al Ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare;
• al Ministero dell’economia e delle finanze;
• al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica;
• alle agenzie, incluse le agenzie fiscali e l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo;
• agli enti pubblici.
Agenzia italiana del farmaco
• possibilità di prorogare, al 31.12.2023, il rinnovo dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa e i contratti di prestazione di lavoro flessibile in scadenza, fermi restando gli effetti delle proroghe eventualmente già intervenute per le medesime finalità. Per tali rinnovi è previsto uno stanziamento di risorse per le quali viene indicata la copertura finanziaria.
Scuole/Università
• proroga, per l’anno scolastico 2023/2024, della possibilità di conferire incarichi temporanei nelle scuole dell’infanzia paritarie attingendo anche alle graduatorie degli educatori dei servizi educativi per l’infanzia in possesso di titolo idoneo;
• proroga, per l’anno accademico 2023-2024, della validità delle graduatorie nazionali utili per il conferimento di incarichi di docenza a tempo indeterminato e determinato nel comparto AFAM. Inoltre, si rinvia all’anno accademico 2023/2024 l’entrata in vigore del regolamento per il reclutamento del personale docente e amministrativo del comparto.
Enti sportivi professionistici e dilettantistici
• differita al 1° luglio 2023 l’applicazione delle norme relative al riordino e alla riforma in materia.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Interpello n. 3 del 20 dicembre 2022 “Interpello ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni, in merito alla “nomina RSPP”. Seduta della Commissione del 15 dicembre 2022.”.
La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza del Ministero del Lavoro ha pubblicato l’interpello n. 3 del 20.12.2022, con il quale ha fornito, alla Segreteria DICCAP (Dipartimento autonomie locali e polizie locali) e SULPL, alcuni chiarimenti in merito al seguente quesito: “un datore di lavoro può nominare più di un responsabile del servizio prevenzione e protezione?”.
La risposta del Ministero del Lavoro:
“Al riguardo, premesso che:
• l’articolo 2, del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008, rubricato “Definizioni”, al comma 1, lettera f) definisce il “responsabile del servizio di prevenzione e protezione” come: “persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi” e alla successiva lettera l) definisce il “servizio di prevenzione e protezione dai rischi” come “insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori”;
• il medesimo articolo 2, del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008, al comma 1, lettera t), definisce l’“unità produttiva” come “stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”;
• l’articolo 17 del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008 rubricato “Obblighi del datore di lavoro non delegabili” al comma 1 dispone che: “Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività: a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28; b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi”;
• l’articolo 31 del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008, rubricato “Servizio di prevenzione e protezione”, al comma 1, stabilisce che: “Salvo quanto previsto dall’articolo 34, il datore di lavoro organizza il servizio di prevenzione e protezione prioritariamente all’interno della azienda o della unità produttiva, o incarica persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici, secondo le regole di cui al presente articolo”;
• il medesimo articolo 31 del decreto legislativo 81 del 9 aprile 2008, al comma 8, prevede che “Nei casi di aziende con più unità produttive nonché nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione. I datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile”.
La Commissione ritiene che la citata normativa preveda la designazione per ogni azienda o unità produttiva di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi e che il Servizio di prevenzione e protezione si intenda costituito quando sono stati nominati il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP) e gli eventuali addetti (ASPP).
Nel caso di aziende con più unità produttive (come definite dall’art. 2, comma 1, lettera t), del D.Lgs. n. 81/2008), nonché nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione.
I datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 2414 del 6 dicembre 2022 “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio” – sistema sanzionatorio.
Con la nota n. 2414/2022 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce alcuni chiarimenti in merito alla corretta applicazione ed ai profili di carattere sanzionatorio della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 105/2022 la quale, recependo la direttiva UE 2019/1158, ha modificato il D.Lgs. n. 151/2001 e la L. n. 104/1992, introducendo misure dirette a realizzare un migliore contemperamento tra l’attività lavorativa e professionale e la vita familiare dei genitori e dei prestatori di assistenza (c.d. caregiver familiari), nonché una più equa condivisione tra uomini e donne delle responsabilità di cura e la parità di genere in ambito lavorativo e familiare.
Ai casi di rifiuto, opposizione od ostacolo all’esercizio dei diritti di assenza dal lavoro – fra i quali l’INL segnala anzitutto il congedo di paternità obbligatorio, riconosciuto al padre lavoratore dipendente per un periodo di 10 giorni lavorativi (20 in caso di parto plurimo), previsto dal nuovo art. 27-bis del D.Lgs n. 151/2001 – si applica la nuova sanzione amministrativa da 516 a 2.582 euro, oltre al possibile impedimento al datore di lavoro del conseguimento delle certificazioni per la parità di genere.
Secondo l’Ispettorato non può ritenersi di ostacolo la richiesta datoriale di fruire del congedo in tempi compatibili con il preavviso di cinque giorni stabilito dal legislatore, salvo l’eventuale parto anticipato.
Spetta anche un congedo di paternità alternativo alla madre nelle situazioni particolarmente gravi e il rifiuto, l’opposizione o l’ostacolo da parte del datore è punito con la sanzione penale dell’arresto fino a sei mesi.
Viene esteso il divieto di licenziamento ai papà fino al compimento di un anno di età del bambino, pena la nullità del licenziamento e la sanzione amministrativa da 1.032 a 2.582 euro.
Scatta inoltre la sanzione amministrativa da 516 a 2.582 euro nei casi di inosservanza dei riposi giornalieri per madre e padre (compresi i parti plurimi), nonché dei riposi per figli portatori di handicap.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, decreto 20 ottobre 2022
Esonero contributivo riconosciuto ai datori di lavoro privati con certificazione sulla parità di genere.
Con la pubblicazione il 29.11.2022 sul sito istituzionale del Ministero del Lavoro è stato emanato il decreto 20.10.2022, che definisce criteri e modalità di concessione dell’esonero contributivo in favore delle aziende private che abbiano conseguito la certificazione di parità di genere di cui all’art. 46 bis, D.Lgs n. 198/2006, come modificato dall’art. 4 della L. n. 162/2021.
La L. n. 162/2021, contenente importanti disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, ha previsto a decorrere dall’anno 2022 un esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali per i datori di lavoro del settore privato che conseguano la certificazione della parità di genere, quale attestazione del loro concreto impegno per la riduzione delle disparità di genere.
L’esonero è pari all’1 per cento nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna azienda, riparametrato e applicato su base mensile. Il beneficio è fruito dai datori di lavoro in riduzione dei contributi previdenziali a loro carico in relazione alle mensilità di validità della certificazione della parità di genere, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

Corte Europea dei diritti dell’uomo, Sez. IV, 15 dicembre 2022, n. 26968/16
Licenziato perché il GPS svela l’uso dell’auto aziendale per fini privati: CEDU non violata
La sentenza giudica legittimo il licenziamento di un dipendente per dati ottenuti con GPS sull’auto aziendale ed analizza tipo e livello di sorveglianza accettabile da parte di un datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, nonché la questione della necessità di preservare la privacy individuale in un contesto professionale: il caso in esame si differenzia dai casi già esaminati dalla Corte europea per i diritti dell’Uomo in merito al rispetto della privacy nell’ambito dei rapporti di lavoro, in quanto le informazioni in questione non erano immagini, messaggi elettronici o file informatici, ma dati di geolocalizzazione.
La Corte europea dei diritti dell’Uomo, con la recente sentenza del 13 dicembre 2022, ha dichiarato legittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente che, scoperto attraverso i movimenti del GPS dell’auto aziendale, tentava di eludere il proprio onere di rimborso spese.
Il protagonista della vicenda è un lavoratore assunto come rappresentante presso un’azienda farmaceutica. In ragione della mobilità associata al lavoro svolto, l’azienda aveva assegnato un’auto aziendale, consentendo l’uso del veicolo per viaggi privati e al di fuori dell’orario di lavoro, chiedendo solo un rimborso per il carburante impiegato per uso personale. A distanza di qualche tempo, l’azienda aveva installato un sistema di posizionamento globale via satellite (GPS) nelle auto aziendali dei propri lavoratori. A seguito di un controllo dei dati raccolti dal GPS installato sul veicolo del lavoratore, la società aveva avviato un procedimento disciplinare nei suoi confronti per aver aumentato il numero di chilometri percorsi per motivi di lavoro al fine di diluire i chilometri percorsi nell’ambito di viaggi privati nei fine settimana o nei giorni festivi, per non doverli rimborsare. Al termine del procedimento disciplinare, la società ha comunicato al dipendente che i fatti attribuiti erano stati ritenuti accertati e, di conseguenza, ne ha disposto il licenziamento.
Secondo la CGUE lo scopo dell’articolo 8 CEDU è essenzialmente quello di proteggere l’individuo da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche, ma esso non si limita a richiedere allo Stato di astenersi da tali interferenze: oltre a questo obbligo negativo, possono esistere obblighi positivi inerenti al rispetto effettivo della vita privata o familiare.
Tali obblighi possono richiedere l’adozione di misure volte al rispetto della vita privata anche nelle relazioni tra individui. La responsabilità dello Stato può quindi essere chiamata in causa se gli atti in questione derivano dall’incapacità di garantire agli interessati il godimento dei diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione. La Corte ha già affermato che, in determinate circostanze, il rispetto degli obblighi positivi imposti dall’articolo 8 richiede che lo Stato adotti un quadro legislativo che protegga il diritto in questione. Per la sorveglianza dei lavoratori sul posto di lavoro, gli Stati possono scegliere se adottare o meno una legislazione specifica.
Tuttavia, spetta ai tribunali nazionali garantire che l’introduzione da parte di un datore di lavoro di misure di sorveglianza che incidono sul diritto alla vita privata sia proporzionata e accompagnata da garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi.
Il giudice portoghese ha bilanciato il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata con il diritto del suo datore di lavoro di garantire il corretto funzionamento dell’azienda, tenendo conto dello scopo legittimo perseguito dall’azienda, ossia il diritto di controllare le spese.
Il margine di apprezzamento a disposizione dello Stato in questo caso non è stato quindi superato. La Corte conclude che le autorità nazionali non sono venute meno all’obbligo positivo di tutelare il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata.
I giudici nazionali devono prendere in considerazione i seguenti fattori nel bilanciare i vari interessi in gioco:
(i) Il lavoratore è stato informato della possibilità che il datore di lavoro adotti misure di sorveglianza e dell’introduzione di tali misure? Anche se in pratica questo può essere comunicato al personale in vari modi, a seconda delle circostanze di fatto di ciascun caso, l’avvertimento dovrebbe in linea di principio essere chiaro riguardo alla natura della sorveglianza e dovrebbe essere dato prima della sua attuazione.
ii) Qual è stata la portata della sorveglianza del datore di lavoro e il grado di intrusione nella vita privata del dipendente? A questo proposito, occorre tenere conto della privacy del luogo in cui avviene la sorveglianza, dei limiti spaziali e temporali della sorveglianza e del numero di persone che hanno accesso ai risultati della sorveglianza.
iii) Il datore di lavoro ha giustificato l’uso della sorveglianza e la portata della stessa per motivi legittimi? A questo proposito, quanto più intrusiva è la sorveglianza, tanto più seria è la giustificazione richiesta.
iv) Era possibile istituire un sistema di sorveglianza basato su mezzi e misure meno intrusivi? A questo proposito, occorre valutare, alla luce delle circostanze particolari di ciascun caso, se l’obiettivo legittimo perseguito dal datore di lavoro potrebbe essere raggiunto con una minore ingerenza nella vita privata del dipendente.
v) Quali sono state le conseguenze della sorveglianza per il dipendente che vi è stato sottoposto? In particolare, occorre esaminare come il datore di lavoro abbia utilizzato i risultati della misura di sorveglianza e se questi siano serviti allo scopo dichiarato della misura.
vi) Sono state fornite adeguate garanzie al dipendente, soprattutto quando le misure di sorveglianza del datore di lavoro erano intrusive? Tali garanzie possono essere attuate, tra l’altro, informando i dipendenti interessati o i rappresentanti del personale sull’introduzione e sull’estensione della sorveglianza, segnalando l’adozione di tale misura ad un organismo indipendente, o con la possibilità di presentare un reclamo.
Per quanto riguarda il controllo delle azioni di un individuo per mezzo di apparecchiature fotografiche o video, le istituzioni della Convenzione hanno ritenuto che la sorveglianza dei movimenti di una persona in un luogo pubblico per mezzo di un dispositivo fotografico che non memorizza dati visivi non costituisce di per sé una forma di interferenza con la vita privata.
Nel determinare l’applicazione dell’articolo 8, la Corte considera rilevante anche la questione se l’individuo in questione sia stato preso di mira dalla misura di sorveglianza o se i dati personali sono stati trattati, utilizzati o resi pubblici in un modo o in una misura superiore a quanto gli interessati potevano ragionevolmente aspettarsi.
Nel caso di specie, i dati raccolti tramite il sistema di geolocalizzazione installato nell’auto aziendale del ricorrente sono stati registrati e trattati al fine di ottenere informazioni aggiuntive, quali la durata di utilizzo del veicolo, i chilometri percorsi, l’ora in cui il veicolo è stato avviato e fermato e la velocità di marcia.
La Corte osserva che i dipendenti non erano autorizzati a disattivare questo sistema e che era attivo 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, come riconosce il Governo.
Era quindi permanente e sistematica e consentiva di ottenere dati di geolocalizzazione sia durante che al di fuori dell’orario di lavoro del ricorrente, violando così innegabilmente la sua vita privata; inoltre, le informazioni di geolocalizzazione relative ai chilometri percorsi hanno costituito la base per il licenziamento del ricorrente, poiché questa misura ha innegabilmente avuto un grave impatto sulla sua vita privata.

Corte di Giustizia UE, sentenza 17 novembre 2022, in causa n. C-304/21.
Discriminatorio il limite massimo di età di 30 anni per diventare commissario di polizia.
Nel 2019 il Ministero dell’interno italiano aveva indetto un concorso per il conferimento di 120 posti di commissario di polizia di Stato indicando, tra i requisiti di ammissione, un limite massimo di età pari a 30 anni.
Nell’ambito di un procedimento avviato da un cittadino italiano che non aveva potuto presentare la propria candidatura proprio perché, al momento della domanda, risultava già ultratrentenne, il Consiglio di Stato, ritenendo che il requisito anagrafico in questione costituisca una discriminazione basata sull’età, ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/78, decideva di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia, la quale, confermando di fatto le valutazioni del giudice del rinvio, osserva che (i) se, come si sostiene nella domanda pregiudiziale di rinvio, risultasse confermato che le funzioni abitualmente esercitate dai commissari italiani non richiedano il possesso di capacità fisiche particolari, non trattandosi di funzioni operative o esecutive, il limite di età non costituirebbe un requisito proporzionato alle necessità del ruolo; (ii) il fatto che la normativa italiana preveda una riserva di posti agli agenti già in servizio che non abbiano più di 40 anni consente di affermare che il raggiungimento di tale età alla data di iscrizione al concorso non sia incompatibile con l’esercizio delle funzioni di commissario di polizia, e ciò corrobora il carattere sproporzionato del requisito anagrafico previsto nel caso di specie; (iii) la previsione, all’occorrenza, di una prova fisica eliminatoria nell’ambito del concorso in esame costituirebbe una misura adeguata e meno restrittiva rispetto alla fissazione di un limite massimo di età.

Corte di Cassazione, sentenza 5 dicembre 2022, n. 35644
Si al volantinaggio sindacale elettronico, senza pregiudizio per l’attività aziendale.
Lo ha stabilito la Cassazione in due sentenze gemelle, con le quali la Corte ha confermato l’antisindacalità della sanzione disciplinare inflitta da una società a una componente della RSU che, in orario di lavoro, aveva inviato comunicazioni di carattere sindacale all’indirizzo di posta elettronica aziendale di circa duecento dipendenti.
In motivazione, la Cassazione, inquadrata la questione nell’ambito del c.d. volantinaggio elettronico, osserva che (i) l’evoluzione delle modalità di comunicazione che è andata affermandosi negli ultimi anni anche nell’ambito delle comunità aziendali impone di ricomprendere la posta elettronica tra gli spazi deputati alle comunicazioni sindacali, ciò anche al fine di garantire reale efficacia all’attività sindacale; (ii) l’obbligo di predisporre “appositi spazi” da mettere a disposizione delle rappresentanze sindacali, previsto dall’art. 25 SL, può essere adeguatamente attuato anche attraverso la previsione di una specifica casella di posta elettronica dedicata alle sole comunicazioni di natura sindacale; (iii) in assenza di canali informatici appositamente dedicati, l’uso della rete di posta elettronica aziendale per finalità di proselitismo sindacale deve considerarsi legittimo, a condizione che si svolga senza pregiudizio per la normale attività aziendale (art. 26 S.L.).

Corte di Cassazione, sentenza 1° dicembre 2022, n. 35416
Un’accurata ricostruzione del danno biologico temporaneo e permanente.
Il caso esaminato dalla Corte riguarda un lavoratore portuale che, in ragione della prolungata esposizione professionale a fibre di amianto, aveva contratto un adenocarcinoma e al quale i giudici di primo e secondo grado avevano riconosciuto il diritto al risarcimento del danno biologico temporaneo e permanente differenziale, danno che la Corte d’appello aveva liquidato applicando le c.d. tabelle milanesi.
Nel ricorso per cassazione, la società aveva censurato la pronuncia della corte territoriale, sostenendo che avrebbe erroneamente liquidato un danno da invalidità permanente in occasione di una patologia che, pur stabilizzatasi, risultava ancora in atto.
La Cassazione, analizzando approfonditamente la tematica del danno biologico temporaneo e di quello permanente e pur ribadendo che il danno biologico permanente deve essere determinato a partire dalla cessazione di quello temporaneo, osserva che (i) nel caso delle patologie ingravescenti caratterizzate da alta probabilità di esito sfavorevole, tra cui la neoplasia polmonare contratta dal lavoratore, l’incapacità biologica temporanea viene a cessare – oltre che con la piena guarigione o con il decesso, anche – con l’adattamento dell’organismo alle mutate e degradate condizioni di salute (c.d. stabilizzazione); (ii) in caso di (mera) stabilizzazione della patologia ingravescente, il carattere permanente dell’invalidità è dato anche dal rischio di ripresa della malattia, il quale, infatti, contribuisce a integrare il complessivo stato invalidante del soggetto; (iii) coerentemente con tale impostazione, i barèmes elaborati dalla comunità scientifica e usati in medicina legale considerano nella scala dei gradi invalidità il maggior rischio cui è esposto il paziente di subire, anche a distanza di tempo, una ripresa e sviluppo del fattore patogeno, che potrebbe condurre al decesso, ovvero di incorrere in ulteriori complicanze in grado di incidere peggiorativamente sullo stato di salute.

Corte di Cassazione, ordinanza 30 novembre 2022, n. 35233
Licenziamento per giusta causa e prova del fatto addebitato al dipendente.
Se in sede impugnativa il datore non riesce a provare i fatti addebitati al dipendente, il licenziamento per giusta causa è illegittimo: lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 35233/2022.
L’ordinanza si riferisce al caso di una segretaria, licenziata dall’avvocato per cui lavorava, alla quale era stato contestato di non aver avvisato il legale del pagamento ricevuto da un cliente, lasciando incustodita la somma.
In sede istruttoria, tuttavia, la consegna del denaro non era stata.
Il fatto contestato, dunque, non veniva provato.

Corte di Cassazione, ordinanza 28 novembre 2022, n. 34968
Sull’onere della prova nel giudizio di responsabilità contrattuale del datore per danno da superlavoro del dipendente.
Tribunale e Corte d’appello avevano rigettato la domanda risarcitoria formulata da un ex dipendente del Ministero della Giustizia per i danni alla salute (sindrome depressiva e successivo infarto) che il lavoratore imputava al fatto di essere stato sottoposto a ritmi lavorativi insostenibili, dovuti all’assenza di un’adeguata pianificazione e distribuzione dei carichi di lavoro.
In motivazione, i giudici di merito avevano evidenziato come il lavoratore avesse omesso di contestare la violazione di una specifica norma, nonché di produrre una prova documentale in grado di attestare il sottodimensionamento dell’organico.
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, pronuncia il principio succitato, rilevando come la sentenza d’appello, nel richiamare l’assenza di un documento attestante il numero di lavoratori in organico all’epoca dei fatti, abbia imputato al lavoratore – tenuto unicamente a specificare l’inadempimento posto in essere dal datore e il rapporto causale di esso con il danno – una carenza probatoria che in realtà attiene alla prova liberatoria cui è tenuto il datore di lavoro in ordine all’adeguatezza della propria organizzazione.
Per altro verso, i giudici di legittimità osservano che quando un lavoratore lamenta di avere subito un danno per avere svolto prestazioni oltre il limite di tollerabilità, è implicita la contestazione di un inesatto adempimento del generale obbligo di sicurezza che, ai sensi dell’art. 2087 c.c., grava sul datore lavoro, senza che sia necessaria l’indicazione da parte del lavoratore della violazione di una specifica norma prevenzionistica.

Corte di cassazione, ordinanza 21 novembre 2022 n. 34181
Senza licenziamento da parte del committente di un appalto illecito non operano i termini di decadenza dell’azione di interposizione vietata.
Nella causa promossa da due lavoratori per accertare la non genuinità dell’appalto intercorso tra due società e la loro effettiva dipendenza dalla società committente, la Corte d’appello aveva respinto le domanda applicando la decadenza stabilita dall’art. 32, comma 4°, lett. d) della legge n. 183/2010, rilevando che il ricorso giudiziale era stato depositato solo 553 giorni dopo l’impugnazione stragiudiziale.
Annullando la sentenza di merito, la Cassazione ribadisce la necessità dell’esistenza di una comunicazione scritta di licenziamento (da parte del committente interponente) affinché diventino operativi i termini di decadenza stabiliti dalla legge citata, anche nel caso considerato.

Corte di Cassazione, sentenza 18 novembre 2022, n. 34051
Si consolida l’orientamento per cui l’assenza di repêchage nel licenziamento per ragioni obiettive comporta la reintegrazione
A pochi giorni dall’ordinanza 11 novembre 2022, n. 33341/22 (v. Newsletter n. 21), la Cassazione ribadisce il principio sopra richiamato e conseguentemente annulla la sentenza d’appello che, nel dichiarare l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a un dipendente di un’associazione, aveva applicato – in ossequio a quanto previsto dal comma 7 dell’art. 18 S.L. come modificato dalla legge Fornero – la tutela indennitaria, anziché quella reintegratoria, in quanto il datore di lavoro aveva dimostrato l’effettività delle ragioni organizzative alla base del provvedimento espulsivo ma non l’impossibilità di ricollocare il dipendente in diversa posizione.
In motivazione, la Cassazione rileva in particolare che, a seguito delle sentenze n. 59/21 e 125/22 della Corte Costituzionale, che sono intervenute sul testo del comma 7 dell’art. 18 S.L., la tutela reintegratoria risulta ora applicabile a qualsiasi ipotesi di insussistenza dei presupposti che legittimano il licenziamento (mentre in precedenza si richiedeva il carattere manifesto di tale insussistenza), e poiché tra tali presupposti rientra, per costante giurisprudenza, anche l’obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro, la sua insussistenza va sanzionata con la reintegra del lavoratore.

Corte di Cassazione, sentenza 3 novembre 2022, n. 41349
Lesioni personali colpose in caso di mancata formazione preventiva obbligatoria.
Con sentenza n. 41349 del 3 novembre 2022, la quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che in caso di infortunio verificatosi nel primo giorno di utilizzazione di un lavoratore somministrato, il datore risponde del delitto di lesione personale colposa nel caso in cui abbia omesso ogni tipo di formazione preventiva prima dell’inizio della prestazione per le mansioni a cui lo stesso doveva essere adibito, senza che tale attività di formazione sia esclusa dal bagaglio di conoscenze personali del lavoratore , né dal travaso di conoscenze che si realizza nella collaborazione tra lavoratori, pur posti tra di loro in rapporto gerarchico.

Corte di Cassazione, sentenza 25 ottobre 2022, n. 40187
Apposizione di magneti per impedire il corretto funzionamento del disco cronotachigrafo di bordo. Prescrizione.
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 40187/2022, si è pronunciata sulla fattispecie di manomissione del cronotachigrafo di bordo di un mezzo di trasporto.
Il datore di lavoro che imponga l’alterazione di un apparecchio avente finalità di prevenzione degli infortuni, risponde del reato di cui all’articolo 437 c.p., atteso che tale condotta rientra nella previsione tipica della “rimozione”: perché’ per rimozione può intendersi anche l’attività diretta a frustrare il funzionamento dell’apparecchio.
Sicche’ la punibilità ex articolo 437 c.p. deriva dalla semplice attività di rimozione e prescinde, come nel caso in esame, dal fatto che il soggetto agente circoli o meno su strada con il mezzo di trasporto.
Nel caso di specie, il ricorrente, nella qualità di titolare di più società di cui era amministratore, aveva utilizzato specifici accorgimenti (magneti) per impedire il corretto funzionamento del disco cronotachigrafo di bordo, così impedendo la registrazione della velocità dei veicoli, dei tempi di guida e sosta.
In sostanza consentiva ai dipendenti la guida degli articolati per un numero di ore superiore a quello di legge, determinando, peraltro, un’incidenza della condotta sui periodi di riposo dei conducenti dei veicoli e, quindi, secondo i giudici di merito, determinando maggior rischio di causare incidenti, a danno della propria incolumità e della sicurezza pubblica.

Corte d’Appello di Brescia, 2 dicembre 2022
Discriminazione per orientamento sessuale da parte di un Comune: pesa tra gli indici presuntivi anche l’avversione alle unioni civili pubblicamente dichiarata dagli assessori.
Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso presentato in appello dalla dipendente di un Comune e dichiara discriminatoria sulla base dell’orientamento sessuale la condotta dell’Ente che non ne aveva confermato la nomina a responsabile di un ufficio, a seguito dell’unione civile della ricorrente con la Comandante della polizia locale, condannando l’Ente al risarcimento del danno. A sostegno della presunzione di discriminazione nei confronti della lavoratrice, la Corte considera sia i contenuti pubblicati sui social network da parte degli assessori del Comune, sia il mancato rinnovo dell’incarico alla moglie della dipendente, a sua volta dipendente comunale.
Valutati come precisi e concordanti gli elementi allegati a dimostrazione della discriminazione, la Corte d’Appello ritiene insufficienti le giustificazioni dell’Ente, basate sul criterio di rotazione degli incarichi, tenuto conto che in nessun altro caso, precedente o successivo, il Comune ha applicato il medesimo criterio.

Tribunale di Vicenza, 22 novembre 2022
Antisindacale la condotta del datore di lavoro che receda unilateralmente dal CCNL, anche se scaduto, se quest’ultimo contiene una clausola di ultrattività fino al rinnovo.
Il Tribunale rigetta l’opposizione avverso il decreto ex art. 28 Stat. lav. con cui era stata dichiarata antisindacale la condotta del datore consistita nel recedere unilateralmente dal CCNL UNIC in favore del CCNL Federconcia e, di conseguenza, nell’aver negato la convocazione dell’assemblea da parte delle organizzazioni sindacali non firmatarie di quest’ultimo.
Il Giudice in parte motiva afferma che la decisione di recedere unilateralmente e retroattivamente dal CCNL pacificamente applicato per fatti concludenti, non può essere giustificata sulla base del fatto che il precedente contratto collettivo fosse scaduto da tempo. La sentenza riprende quanto affermato dalla più recente giurisprudenza di legittimità in tema di efficacia temporale del contratto collettivo, specificando che quest’ultimo rimane vincolante anche oltre il termine di scadenza indicato se contiene una clausola di ultrattività sino al rinnovo.

Tribunale di Milano, 11 novembre 2022
Conciliazione sindacale ‘frettolosa’ nell’ambito di un appalto: non è valido l’accordo transattivo, se manca la prova della consapevolezza del contenuto delle rinunce. La responsabilità solidale del committente copre anche l’indennità per ferie non godute.
Il Tribunale accoglie il ricorso di un lavoratore che agiva per sentire condannare in solido, ai sensi dell’art. 29 d.lgs. 276/2003, le società committente e appaltatrici al pagamento di differenze retributive.
Il Giudice, messo di fronte al fatto che in precedenza era stata sottoscritta tra le parti un verbale di conciliazione sindacale, nel quale il dipendente rinunciava a ogni pretesa di eventuali differenze retributive, ha ritenuto mancante la prova dell’effettiva consapevolezza del contenuto e dell’estensione dei diritti dismessi con il negozio transattivo, in quanto non gli era stato concesso sufficiente tempo per leggere e capire il contenuto dell’atto.
Il Tribunale, nel merito, aderisce all’orientamento che ritiene che la responsabilità solidale dell’impresa committente si estende anche all’indennità per ferie non godute, in quanto corrispettivo del lavoro reso in un periodo che avrebbe dovuto essere destinato alle ferie.

NEWSLETTER n. 12/2022

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Decreto Legge 18 novembre 2022, n. 176 – “Misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica.” (GU n.270 del 18.11.2022). Vigente al: 19.11.2022

Il Consiglio dei Ministri ha pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n. 270 del 18 novembre 2022, il D.L. n. 176/2022 (c.d. decreto Aiuti quater), con misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica.

Per quanto riguarda la materia lavoro, di particolare interesse l’aumento dei fringe benefit, per l’anno 2022, a 3.000,00 euro.

Questo il nuovo articolo 12, comma 1, del decreto legge 115/2022:

Art. 12 Misure fiscali per il welfare aziendale 1. Limitatamente al periodo d’imposta 2022, in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del  Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non concorrono a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestatiai lavoratori  dipendenti nonché le somme erogate o  rimborsate  ai  medesimi dai datori  di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del  servizio  idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale entro il  limite complessivo di euro 3.000.

Decreto Legislativo 5 ottobre 2022, n. 163 – “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, in attuazione dell’articolo 5 della legge 8 agosto 2019, n. 86, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché’ di lavoro sportivo.” (GU n. 256 del 2.11.2022). Vigente al: 17.11.2022

È stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 256 del 2 novembre 2022, il D. Lgs. n. 163/2022, riguardante disposizioni integrative e correttive del D. Lgs. n. 36/2021, in attuazione dell’articolo 5 della L. n. 86/2019, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo.

Il Decreto è entrato in vigore il 17.11.2022, ma le disposizioni in materia di rapporto di lavoro sportivo si applicheranno a partire dal 1.01.2023.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Decreto 2 agosto 2022 – “Criteri e modalità per l’accertamento sanzionatorio di mancata attuazione dell’obbligo formativo da parte del lavoratore in costanza delle integrazioni salariali straordinarie.” (GU n. 253 del 28.10.2022). Vigente al: 29.10.2022

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 28 ottobre 2022, il decreto 2 agosto 2022 del Ministero del Lavoro, in vigore dal 29.10.2022, determina le sanzioni per i lavoratori percettori dell’indennità di integrazione salariale straordinaria che non adempiono senza giustificato motivo agli obblighi in materia di formazione e riqualificazione.

La mancata partecipazione, senza giustificato motivo fornito dal lavoratore, alle iniziative di formazione e di riqualificazione di cui all’art. 25-ter, comma 1, del D.Lgs. n. 148/2015, comporta l’irrogazione di una sanzione pari ad una misura percentuale variabile della mensilità del trattamento di integrazione salariale.

Il decreto ministeriale elenca inoltre espressamente i casi al ricorrere dei quali può ritenersi sussistente un giustificato motivo per la mancata partecipazione alle iniziative di formazione e di riqualificazione professionale, quali il documentato stato di malattia o di infortunio, gravi motivi familiari documentati o uno stato di gravidanza, per i periodi di astensione previsti dalla legge.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Interpello n. 2 del 26 ottobre 2022 – “Interpello ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni, in merito all’ “obbligo di sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex art. 18 comma 1 lettera c) ed art. 41 Dlgs 81/08 e smi”. Seduta della Commissione del 20 ottobre 2022.”

In risposta ad un interpello posto dalla Regione Lazio, il Ministero del Lavoro ha chiarito se l’obbligo di sorveglianza sanitaria vada ricollegato solo agli obblighi connessi all’applicazione dei giudizi di idoneità del medico competente, o se invece il datore di lavoro abbia un obbligo generale di garantire ai propri dipendenti e collaboratori una sorveglianza sanitaria programmata a seconda dei rischi per la specifica mansione svolta.

Al riguardo, a parere del Ministero sussistono degli specifici obblighi in carico al datore di lavoro ed al medico competente ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro: la sorveglianza sanitaria afferisce a quest’ambito di responsabilità più esteso e continuativo.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Interpello n. 1 del 17 ottobre 2022 – “Interpello relativo all’articolo 37-bis del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2022, n. 79, in sostituzione dell’articolo 1677-bis del Codice civile.”

Rispondendo all’interpello n. 1/2022, promosso dalle organizzazioni sindacali FILT-CGIL e FIT-CISL, fornisce chiarimenti in merito all’applicazione del regime di solidarietà, di cui all’art. 29, comma 2 del D.Lgs n. 276/2003, nell’ipotesi di appalto di prestazioni di più servizi disciplinata dall’art. 1677 bis c.c.

Al riguardo il Ministero afferma che, anche in caso di appalti di più servizi di logistica relativi alle attività di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni, trova pienamente applicazione la tutela generale di cui all’art. 29, comma 2 del D.Lgs n. 276/2003 in materia di responsabilità solidale verso i crediti dei lavoratori e non le norme relative al contratto di trasporto. Le previsioni contenute nell’art. 1677 bis c.c., infatti, non superano né fanno venir meno la predetta forma di tutela nello specifico ambito degli appalti multiservizi.

I.N.P.S., Messaggio n. 4159 del 17 novembre 2022: “Indennità una tantum pari a 150 euro per i lavoratori dipendenti, prevista dall’articolo 18 del decreto-legge n. 144/2022. Precisazione sulla determinazione della retribuzione imponibile”.

L’INPS, con il messaggio n. 4159 del 17 novembre 2022, fornisce le precisazioni sulla determinazione della retribuzione imponibile nella competenza del mese di novembre 2022, in relazione al limite retributivo previsto dall’articolo 18 del D.L. n. 144/2022, per l’erogazione Indennità una tantum pari a 150 euro da parte dei lavoratori dipendenti.

La retribuzione imponibile è da considerare al netto della tredicesima mensilità, o ratei della stessa, stante la particolare natura di tale mensilità aggiuntiva, laddove l’erogazione avvenga nella competenza del mese di novembre 2022.

Il lavoratore titolare di più rapporti di lavoro (anche a tempo parziale) dovrà presentare la dichiarazione di cui all’articolo 18 del D.L. n. 144/2022 al solo datore di lavoro che provvederà al pagamento dell’indennità. L’indennità, infatti, spetta nella misura di 150 euro una volta sola e la verifica della retribuzione imponibile, nella competenza del mese di novembre 2022, che non deve eccedere l’importo di 1.538 euro, è da effettuare in relazione al singolo rapporto di lavoro per il quale la dichiarazione è resa.

Nelle ipotesi in cui i datori di lavoro non avessero erogato l’indennità con la retribuzione di novembre 2022 per motivi gestionali, nonostante il diritto dei lavoratori a percepirla, potranno esporre il conguaglio anche sul flusso di competenza di dicembre 2022.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, ordinanza 26 ottobre 2022, n. 31683

Ancora sull’accertamento della natura subordinata del rapporto tra cooperativa e soci lavoratori.

All’esito di una serie di atti ispettivi, l’INPS aveva riqualificato come subordinato il rapporto di lavoro dei soci di una cooperativa di servizi di pulizia e facchinaggio, contestando a quest’ultima l’omesso versamento dei relativi contributi. Vedendosi rigettate dal Tribunale e dalla Corte d’appello le impugnazioni di tali atti, la cooperativa aveva proposto ricorso avanti alla Corte di Cassazione, la quale, nel confermare le decisioni dei giudici di merito, rileva che (i) per costante giurisprudenza, ai fini dell’accertamento della subordinazione, risulta decisiva l’indagine sull’effettivo atteggiarsi del rapporto di lavoro, a prescindere dal nome giuridico che le parti hanno attribuito allo stesso; (ii) nei lavori semplici, che non richiedono l’espressione costante del potere conformativo del datore di lavoro, occorre fare riferimento, per la qualificazione, a una serie di elementi sussidiari, quali la continuità, la durata del rapporto, l’osservanza di un orario di lavoro, le modalità di determinazione della retribuzione in base alle ore effettivamente lavorate, l’assenza nel prestatore di una pur minima organizzazione imprenditoriale etc.

Corte di Cassazione, ordinanza 25 ottobre 2022, n. 31514

È malattia professionale indennizzabile anche quella derivante da modalità organizzative del lavoro.

Tribunale e Corte d’appello avevano negato a un lavoratore il diritto all’indennizzo da parte dell’INAIL per il disturbo post-traumatico da stress cronico, con depressione e ansia, conseguente al mobbing subito dal datore di lavoro. Secondo i giudici di merito, che in appello avevano riconosciuto il nesso causale tra la condotta mobbizzante e la patologia sofferta dal lavoratore, la copertura assicurativa INAIL opererebbe infatti solo per le tecnopatie conseguenti alle lavorazioni indicate dalla legge e non per quelle dipese da modalità organizzative del rapporto di lavoro. Nell’accogliere il ricorso del lavoratore, valutato manifestamente fondato, la Cassazione rileva come, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, la giurisprudenza di legittimità abbia in più occasioni riconosciuto l’indennizzabilità della malattia provocata non da specifiche lavorazioni ma dalle modalità di organizzazione del lavoro, in quanto ciò che rileva, ai fini dell’operatività della copertura assicurativa, è che la malattia derivi dal fatto oggettivo dell’esecuzione della prestazione in un determinato ambiente di lavoro.

Corte di Cassazione, sentenza 20 ottobre 2022, n. 30957

Si consolida l’orientamento per cui i crediti di lavoro post legge Fornero non si prescrivono in corso di rapporto.

Poche settimane dopo la sentenza 6 settembre 2022, n. 26246, la Cassazione, in un caso avente a oggetto il mancato pagamento di maggiorazioni retributive derivanti da lavoro notturno e festivo, torna a pronunciarsi sul problema della decorrenza della prescrizione (quinquennale) dei crediti di lavoro nei contratti di lavoro a tempo indeterminato, consolidando l’orientamento secondo cui (i) a seguito delle modifiche introdotte dalla legge Fornero (l. 92/12) e dal c.d. Jobs Act (d.lgs. 23/15), il rapporto di lavoro a tempo indeterminato non può più considerarsi assistito da un regime di stabilità, essendo la reintegrazione ormai relegata a strumento di tutela recessivo rispetto all’indennità risarcitoria; (ii) la nuova disciplina sui licenziamenti manca pertanto dei presupposti necessari a scongiurare il timore di un licenziamento ingiusto in capo al lavoratore che intenda far valere i propri diritti in costanza del rapporto di lavoro; (iii) conseguentemente, fintantoché il rapporto di lavoro non sia cessato, la prescrizione dei crediti da lavoro non può iniziare a decorrere.

Corte di Cassazione, ordinanza 20 ottobre 2022, n. 30971

Recesso dichiarato discriminatorio se intimato nei confronti di un dipendente divenuto disabile a causa della malattia

La Cassazione – con ordinanza del 20 ottobre 2022, n. 30971 – ha ribadito che il licenziamento intimato nei confronti di un dipendente divenuto disabile a causa della malattia è discriminatorio, quindi nullo.

Al riguardo, nel caso in specie, la Suprema Corte ha ricordato che la ragione del recesso deve essere posta in stretto rapporto alla mail ricevuta in cui si faceva riferimento alla patologia: pertanto, la mancata sostituzione del dipendente e la riorganizzazione aziendale, appaiono privi di valore e accessori rispetto alla causa discriminatoria, motivo di recesso.

Corte Appello di Torino, 5 agosto 2022

In mancanza di un effettivo superamento del periodo di comporto, anche in regime di “tutele crescenti” il licenziamento è nullo e si applica la tutela reintegratoria.

Il Collegio accoglie il ricorso di un lavoratore che si era visto intimare il recesso per superamento del periodo di comporto senza che ve ne fossero i presupposti. Per tale motivo aveva ottenuto dal Giudice di primo grado una sentenza dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, ma con applicazione della sola tutela indennitaria ai sensi dell’art. 3, c. 1, del d.lgs. 23/2015. In parziale riforma della sentenza appellata la Corte, richiamando il principio espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione secondo cui il licenziamento, adottato senza che vi sia un effettivo superamento del periodo di comporto indicato nel CCNL, è nullo per violazione della norma imperativa contenuta nell’art. 2110 cod. civ., ha applicato la tutela reintegratoria di cui all’art. 2 del d.lgs. 23/2015.

Tribunale di Milano, 11 ottobre 2022

Il Tribunale meneghino conferma l’orientamento che nega al datore di lavoro la possibilità di addebitare al lavoratore le spese di gestione delle pratiche di cessione del quinto dello stipendio.

Il Tribunale accoglie il ricorso di un lavoratore che, dopo aver avviato con una società terza un finanziamento tramite cessione del quinto dello stipendio, si era visto trattenere mensilmente in busta paga dal proprio datore di lavoro un importo per asserite spese di gestione della relativa pratica. Richiamando quanto già espresso dalla Corte d’appello, il Giudice afferma che il datore di lavoro ha l’onere di dotarsi di una idonea struttura amministrativa che possa far fronte alla gestione del personale, e che per addebitare eventuali costi avrebbe dovuto allegare e provare la maggiore gravosità delle prestazioni rispetto alla propria organizzazione aziendale, tale da determinare costi ingiusti, intollerabili e/o sproporzionati.

Tribunale di Nocera Inferiore, 5 ottobre 2022

Ammissibile la simultanea sussistenza di due distinti rapporti di lavoro in capo allo stesso prestatore con il medesimo datore.

E’ possibile che in capo ad un unico prestatore di lavoro sussistano due distinti rapporti caratterizzati da contemporaneità?

E’ questo il caso che il Tribunale di Nocera Inferiore, sez. lavoro, con pronuncia n. 1423/2022 del 5.10.2022, si è visto sottoporre alla propria cognizione.

In particolare, la vicenda è sorta a seguito del giudizio promosso da un prestatore nei confronti del datore, con il quale richiedeva il pagamento di retribuzioni dallo stesso maturate per lo svolgimento di due attività lavorative ben distinte, nel medesimo arco temporale, l’una riguardante la direzione commerciale della società, l’altra quella di guardia giurata.

Sul punto, il Tribunale di Nocera, pur dichiarando l’inammissibilità del ricorso, ha evidenziato che configurare un rapporto, contraddistinto da due diverse ed incompatibili mansioni di fatto svolte, rappresenta situazione inconsueta ma, probabilmente, superabile.

Ed infatti, pur volendo ritenere ammissibile, in capo ad uno stesso lavoratore, la contemporaneità di due diverse e distinte mansioni e/o livelli di inquadramento, a giudizio del Tribunale, il prestatore deve assolvere all’onere probatorio processuale che chiarisca, in termini pratici, quale impegno temporale eventualmente concerna il primo rapporto e quale il secondo.

Non solo, il dipendente deve, altresì, specificare le diverse connotazioni che caratterizzano l’uno e l’altro rapporto tanto in termini di sottoposizione al potere datoriale quanto di concreta dinamica della vicenda lavorativa.

Pertanto, la massima da trarre dal recente pronunciamento del Tribunale può così sintetizzarsi: in astratto può considerarsi ammissibile la sussistenza contemporanea di due distinti rapporti di lavoro in capo allo stesso prestatore, con il medesimo datore, a condizione che il dipendente fornisca in giudizio prova delle modalità di concreta ripartizione temporale tra le due attività, ovvero quanto tempo era dedicato all’una e quanto all’altra, nonché prova degli elementi caratterizzanti le attività e/o mansioni, in relazione al potere datoriale ed alla dinamica della complessiva vicenda lavorativa.

Tribunale di Napoli, 15 settembre 2022

L’eccessiva morbilità del dipendente, in assenza di superamento del periodo di comporto o della prova di un utilizzo fraudolento della malattia, non può giustificare il licenziamento.

Il Tribunale ha accolto il ricorso di un lavoratore licenziato per giusta causa a fronte dell’eccessivo numero di assenze per malattia, secondo il datore di lavoro troppo spesso concomitanti con i giorni di riposo, festività, permessi o periodi di ferie. Secondo la società datrice, un simile comportamento aveva provocato gravi e disagi alla produttività aziendale, cagionando una lesione irreparabile del vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro. Determinante, per il Giudice, è risultato il mancato superamento del periodo di comporto. Secondo il Tribunale, infatti, il periodo di comporto costituisce un limite congruo e idoneo a garantire un bilanciamento tra i bisogni del lavoratore e del datore, superato il quale può legittimamente procedersi al licenziamento anche in mancanza di ripercussioni negative sugli equilibri aziendali. Viceversa, l’eccessiva morbilità del lavoratore rimasta nei limiti del comporto non può integrare di per sé gli estremi dello scarso rendimento, e tanto meno assumere rilevanza disciplinare in assenza della prova di una condotta scorretta del lavoratore.

Tribunale di Milano, 8 agosto 2022

Il danno non patrimoniale per il mancato godimento dei riposi obbligatori può essere presunto e si liquida in via equitativa, tenuto conto delle previsioni del CCNL sul lavoro straordinario.

Il Giudice accoglie il ricorso presentato da un lavoratore per il riconoscimento della subordinazione e delle differenze retributive in un rapporto di lavoro sviluppatosi di fatto, condannando altresì l’azienda convenuta a risarcire il lavoratore per danni non patrimoniali subiti per non aver mai goduto, nell’arco di mesi, delle ferie e del riposo settimanale obbligatorio, e per avere osservato un orario di oltre 90 ore settimanali. Il Tribunale, condividendo l’orientamento della Suprema Corte, ritiene che il danno in questione possa essere presunto, in quanto deriva dalla lesione del diritto costituzionalmente tutelato, e indisponibile, al riposo dal lavoro. Per determinare in via equitativa la somma da risarcire, si possono tenere in considerazione le previsioni del CCNL applicabile in materia di maggiorazioni per lavoro straordinario e riposi.