NEWSLETTER N. 4/2023

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

D. Lgs. 10 marzo 2023, n. 24 recante “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”. (GU n. 63 del 15.3.2023) Vigente al: 30.3.2023

Il D.Lgs n. 24/2023, attuativo della direttiva europea sul cd. whistleblowing, introduce nell’ordinamento italiano disposizioni – in vigore a partire dal 15.07.2023 – a tutela dei soggetti, del settore sia pubblico sia privato, che effettuano segnalazioni di violazioni, interne o esterne, divulgazioni pubbliche o denunce all’autorità giudiziaria o contabile, al fine di garantire la riservatezza dell’identità della persona che compie la segnalazione, della persona coinvolta e di quella menzionata nella segnalazione, oltre al contenuto della segnalazione stessa e della relativa documentazione. Tre le principali direttrici su cui il decreto interviene.

Viene anzitutto modificato l’ambito di applicazione oggettivo e soggettivo della normativa. Il catalogo delle violazioni che possono essere oggetto di segnalazione non è più limitato all’elenco dei reati-presupposto di cui al D.Lgs n. 231/2001, ma comprende le violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’ente privato. Sotto un profilo soggettivo, si agisce sulla platea degli enti tenuti al rispetto della disciplina del whistleblowing, rendendola per la prima volta obbligatoria su larga scala nel settore privato.

Si registra altresì l’estensione del perimetro della protezione offerta, prevista non più solo in favore del whistleblower vero e proprio, ma anche di persone che hanno in qualche modo “facilitato” la segnalazione o, ancora, di chi ha effettuato una divulgazione pubblica della stessa.

Si interviene in secondo luogo sulla procedura di segnalazione, specificando nel dettaglio i requisiti per la predisposizione e la gestione del canale interno e prevedendo anche un coinvolgimento dei sindacati.

Il decreto arricchisce infine la tutela offerta al whistleblower e agli altri soggetti equiparati.

Il focus della protezione rimane quello garantito dalla normativa precedente, incentrato sulla tutela della riservatezza dell’identità del segnalante e sul divieto di ritorsioni.

Tali profili vengono, però, maggiormente valorizzati, financo modificando l’art. 4 della L. n. 604/1966 sul licenziamento.

INPS, circolare n. 32 del 20 marzo 2023 “Accesso alla prestazione di disoccupazione NASpI in caso di dimissioni da parte del lavoratore padre che ha fruito del congedo di paternità”.

Con circolare n. 32/2023 l’Inps chiarisce che, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs n. 105/2022 al Testo Unico in materia di tutela a sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs n. 151/2001), il lavoratore padre che fruisce del congedo di paternità obbligatorio e/o alternativo e che si dimette volontariamente entro un anno dalla nascita del figlio ha diritto all’indennità di disoccupazione NASpI, sempreché ricorrano tutti gli altri requisiti legislativamente previsti.

I lavoratori che si trovano nelle suddette condizioni, ai quali la domanda sia stata respinta nelle more della pubblicazione della circolare in commento, possono presentare istanza di riesame alla sede Inps territorialmente competente.

Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Interpello n. 2 del 14 marzo 2023 “Interpello ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni, in merito all’ “Art. 25 comma 1 lettera a) – Art 18 comma 1 lettera A – Art. 29 comma 1 del D. Lgs. 81/08”. Seduta della Commissione del 28 febbraio 2023.”.

La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza del Ministero del Lavoro ha pubblicato l’interpello n. 2 del 14.03.2023, con il quale ha fornito, all’ANP (Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola), alcuni chiarimenti sul se il combinato disposto degli articoli 25, comma 1, lettera a) – 18, comma 1, lettera a) – 29, comma 1, del D.Lgs. n. 81 /2008 “determini l’obbligo per il datore di lavoro di procedere, in tutte le aziende ed in particolare nelle Istituzioni Scolastiche, alla nomina preventiva del medico competente al fine del suo coinvolgimento nella valutazione dei rischi, anche nelle situazioni in cui la valutazione dei rischi non abbia evidenziato l’obbligo di sorveglianza sanitaria”.

La Commissione nell’interpello n. 2/2022 aveva ritenuto che: “(…) la sorveglianza sanitaria debba essere ricondotta nell’alveo del suddetto articolo 41” del T.U. Sicurezza sul Lavoro; la Commissione ritiene dunque che, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. a) del T.U., la nomina del medico competente sia obbligatoria per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dall’art. 41 del D.Lgs. n.81/2008 e che, pertanto, il medico competente collabori, se nominato, alla valutazione dei rischi di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n.81/2008.

Garante per protezione dati personali, Ordinanza ingiunzione nei confronti di Reweb s.r.l. – 11 gennaio 2023 (Registro dei provvedimenti n. 8 dell’11 gennaio 2023)

La difesa in giudizio non giustifica l’accesso alla posta elettronica del lavoratore

Il legittimo interesse a trattare dati personali per difendere un proprio diritto in giudizio non annulla il diritto dei lavoratori alla protezione dei dati personali.

Tanto più se riguarda una forma di corrispondenza, come i messaggi di posta elettronica, la cui segretezza è tutelata anche costituzionalmente.

Immagine che contiene testo

Descrizione generata automaticamenteÈ una delle motivazioni con cui il Garante privacy ha sanzionato un’azienda che, dopo l’interruzione della collaborazione con un’esponente di una cooperativa, ne aveva mantenuto attivo l’account di posta elettronica, prendendo visione del contenuto e impostando un sistema di inoltro verso un dipendente della società.

La collaboratrice, prima che si definisse il rapporto di lavoro con l’azienda, aveva raccolto, a nome dell’azienda stessa e tramite una casella mail aperta per l’occasione, i riferimenti di potenziali clienti incontrati a una fiera.

Secondo l’azienda poi, il successivo tentativo di contattarli a nome della propria cooperativa aveva in seguito portato a un contenzioso giudiziale.

Quindi, nel timore di perdere i rapporti coi potenziali clienti, l’azienda non si era limitata a scrivere per spiegare loro che la persona era stata rimossa, ma ne aveva anche visionato le comunicazioni. Secondo il Garante, né l’esigenza di mantenere i rapporti con i clienti né l’interesse a difendere un proprio diritto in giudizio, legittimano un tale trattamento di dati personali. Per realizzare un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco (necessità di prosecuzione dell’attività economica del titolare e diritto alla riservatezza dell’interessato) sarebbe stato sufficiente attivare un sistema di risposta automatico, con l’indicazione di indirizzi alternativi da contattare, senza prendere visione delle comunicazioni in entrata sull’account.

Nel corso del procedimento è inoltre emerso che l’azienda, in quanto titolare del trattamento, non aveva fornito all’interessata né idoneo riscontro alla richiesta di cancellazione della casella e-mail né l’informativa sul trattamento dati. A nulla vale il fatto che il contratto di assunzione non fosse stato ancora firmato. Come ricorda l’Autorità, nell’ambito di trattative precontrattuali, infatti, l’obbligo di informare gli interessati è espressione del principio generale di correttezza.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di cassazione, ordinanza 15 marzo 2023 n. 7467

Tempestività e conoscenza dei fatti oggetto della contestazione disciplinare.

Una dipendente era stata licenziata per giusta causa, in quanto la datrice di lavoro aveva rilevato all’inizio del 2017, in sede di approvazione del bilancio dell’anno precedente, un uso privato della carta di credito aziendale (affidatale per ragioni di servizio) nel 2016 e nel 2015. In giudizio, la dipendente aveva, tra l’altro, eccepito la tardività della contestazione, in quanto dai resoconti mensili da lei puntualmente comunicati alla società questa avrebbe potuto e dovuto accertare le pretese irregolarità e quindi contestarle tempestivamente.

Sia la Corte d’appello che la Cassazione disattendono questa deduzione, ribadendo che, in materia di licenziamento disciplinare, la tempestività della contestazione, elemento costitutivo della stessa, si misura sulla conoscenza completa ed effettiva e non sulla mera conoscibilità del fatti da parte del datore di lavoro, al quale non può essere infatti in buona fede richiesto di operare un controllo continuo sull’operato dei dipendenti, che rappresenterebbe la negazione del carattere fiduciario del rapporto di lavoro.

Corte di cassazione, ordinanza 13 marzo 2023 n. 7293

Frasi scurrili sul display dell’autobus di linea: il conducente va licenziato

Costituisce giusta causa di licenziamento il comportamento del dipendente che a) avvalendosi della propria condizione (autista con disponibilità del display del veicolo affidatogli in custodia) si è procurato un indebito vantaggio nell’esprimere in termini volgari una sua opinione sulle vaccinazioni; b) si è reso, con azione disonorevole, indegno della pubblica stima tanto è che sul medesimo social ove era stata postata la foto, un interlocutore gli aveva detto che meritava di essere licenziato; c) aveva sottratto scientemente dal suo uso naturale il display dell’autobus per adibirlo a strumento di manifestazione di un proprio pensiero in maniera peraltro scurrile.

Corte di cassazione, ordinanza 9 marzo 2023 n. 7029

GLI APPREZZAMENTI ALLA SFERA SESSUALE DELLA COLLEGA POSSONO ESSERE GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO

Un autista di mezzi pubblici fermo sotto una pensilina in attesa di prendere servizio su di un mezzo, vedendo una collega, anch’essa in attesa di prendere servizio e sapendo che era incinta, le si era rivolto in tono di scherno, fingendosi stupito che una lesbica fosse incinta e chiedendole come avesse fatto.

Il tutto, mentre ambedue erano in divisa e in presenza di alcuni utenti in attesa del mezzo pubblico.

Su denuncia della donna all’azienda, l’autista era stato licenziato e nel giudizio conseguentemente promosso aveva ottenuto dalla Corte d’appello, che aveva valutato l’episodio in termini di violazione di regole di buona educazione, una pronuncia di sproporzione della sanzione espulsiva, con applicazione della tutela indennitaria.

La Cassazione non condivide la riduzione della condotta, da parte dei giudici di appello, a mera maleducazione, rilevando la violazione della riservatezza relativamente a uno dei principali dati sensibili della persona, quello relativo all’orientamento sessuale, compiuta in presenza di altre persone e con modalità che l’ordinamento riconduce alle moleste e discriminazioni: su tale base la sentenza di merito viene cassata e il giudizio rinviato alla Corte d’appello perché valuti, alla luce di tali considerazioni, se sussistesse la possibile giusta causa di licenziamento.

Corte di cassazione, ordinanza 2 marzo 2023, n. 6336

Tutela meramente indennitaria se il licenziamento per superamento del comporto è genericamente motivato.

Sulla base di tale principio, la Cassazione ha confermato la sentenza d’appello che, a fronte di un licenziamento per superamento del periodo di comporto, nella cui comunicazione il datore di lavoro si era limitato a indicare il termine finale del comporto e il numero minimo complessivo dei giorni d’assenza, aveva dichiarato l’illegittimità del recesso per carenza di motivazione e conseguentemente riconosciuto alla lavoratrice un’indennità pari a 8 mensilità, escludendo l’applicabilità della tutela reintegratoria.

In motivazione, i giudici di legittimità rilevano che (i) la motivazione del licenziamento deve essere idonea a evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, dando atto del numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo; (ii) nel caso di specie, il datore di lavoro aveva mancato di fornire tale indicazione, e ciò determinava una violazione del requisito della motivazione, di cui all’art. 2, co. 2, L. n. 604/66; (iii) non poteva invece dirsi violata la disciplina di cui all’art. 2110 c.c. (che avrebbe comportato l’applicazione della tutela reintegratoria, ai sensi dell’art. 18, co. 7, L. n. 300/70) in quanto in giudizio era stato accertato un effettivo superamento del periodo di comporto nel corso del rapporto di lavoro tra le parti.

Corte di cassazione, ordinanza 28 febbraio 2023 n. 6008

Ancora sulla distribuzione dell’onere della prova in un caso di infortunio per superlavoro.

Si tratta del dirigente medico di una ASL, che lamentava di aver subito un infarto per il superlavoro cui era stato costretto per anni e chiedeva la condanna della datrice di lavoro a risarcirgli il danno biologico, temporaneo e permanente.

La Corte d’appello aveva respinto la domanda sotto diversi profili attinenti il mancato assolvimento dell’onere della prova, onerandone oltre misura il dipendente (in particolare, che oltre al danno, avrebbe dovuto indicare in giudizio le eventuali violazioni di misure di sicurezza da parte del datore di lavoro; che inoltre non avrebbe provato il nesso di causalità tra la nocività del lavoro svolto e il danno).

La Cassazione annulla la sentenza, ribadendo che nei giudizi di responsabilità del datore di lavoro per infortunio, il dipendente è onerato unicamente della prova del danno (qui l’infarto), della nocività del lavoro (il superlavoro) e il nesso causale tra i due elementi, mentre il datore di lavoro deve fornire la prova di aver adottare tutte le misure ragionevolmente possibili per evitare il danno.

Infine, a fronte della negazione di qualsiasi rilevanza, nel processo, dell’accertamento amministrativo della causa di servizio dell’infortunio, la Corte afferma che tale accertamento, pur non costituendo prova legale nel giudizio di responsabilità per danni, rappresenta comunque una prova da valutare, il cui contenuto può essere contestato, anche attraverso una prova contraria, gravante sul datore di lavoro, ma che, in mancanza, si impone come prova definitiva.

Corte di cassazione, sentenza 24 febbraio 2023 n. 5788; sentenza 24 febbraio 2023 n. 5796

Trasferimento di ramo d’azienda illegittimo: risarcimento solo con la costituzione in mora

Immagine che contiene testo

Descrizione generata automaticamenteCon le sentenze n. 5788 e 5796 dello scorso 24 febbraio, la Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sulla questione del trattamento economico del lavoratore in caso di trasferimento illegittimo del ramo d’azienda.

La Corte, in particolare, ha sottolineato un’importante novità: fino alla pubblicazione della decisione che dichiara illegittima la cessione e ordina il ripristino del rapporto con il cedente, il dipendente ha diritto al risarcimento del danno solo se ha costituito in mora il datore, sulla base dell’art. 1217 c.c., offrendo la prestazione lavorativa rifiutata in modo ingiustificato.

Corte di cassazione, ordinanza 23 febbraio 2023, n. 5598

Solo la convalida rende efficaci le dimissioni in gravidanza.

In una vicenda relativa a una lavoratrice che aveva rassegnato le dimissioni mentre era assente per maternità, senza la convalida del servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, prescritta dall’art. 55, co. 4, D.lgs. n. 151/01, si controverte in giudizio se la conseguente inefficacia delle dimissioni sia limitata al periodo protetto oppure sia definitiva.

La Cassazione confermando la sentenza che aveva adottato la seconda soluzione, osserva che (i) il testo dell’art. 55, co. 4, D.Lgs. n. 151/01, nel prevedere che la richiesta di dimissioni presentata nel periodo protetto deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, usa una formula ampia, di carattere generale, dalla quale non è in alcun modo dato inferire che la necessità della convalida sia destinata a venire meno una volta trascorso il periodo di protezione; (ii) con tale norma, il legislatore ha inteso salvaguardare la genuinità della volontà espressa dalla lavoratrice in un periodo particolarmente delicato contro eventuali abusi datoriali, e rispetto a tale finalità la cessazione del periodo protetto costituisce un fattore neutro, in quanto inidoneo a incidere, ora per allora, sulla modalità di formazione della volontà espressa dalla lavoratrice.

Corte di Cassazione, ordinanza 16 febbraio 2023, n. 4833

Ammissibile la domanda giudiziaria di mero accertamento dello status di handicap grave. L’INPS è l’unico legittimato passivo nelle cause di accertamento delle invalidità civili.

Il Tribunale aveva omologato l’accertamento tecnico preventivo che aveva riconosciuto lo stato di handicap grave di una signora, rigettando l’opposizione dell’INPS, che, nel proporre ricorso ai sensi dell’art. 445 bis, co. 6, c.p.c., aveva eccepito il difetto di legittimazione passiva e l’inammissibilità della domanda di mero accertamento, in quanto carente dell’indicazione dello specifico beneficio che la signora intendeva conseguire in relazione allo stato di handicap di cui chiedeva il riconoscimento.

La Cassazione, nel rigettare a sua volta le eccezioni dell’istituto, rileva che (i) in forza dell’art. 10, D.L. n. 203/05, come modificato dal D.L. n. 78/09, l’INPS è subentrato allo Stato nelle funzioni che allo stesso residuavano in materia di handicap e deve pertanto considerarsi l’unico legittimato passivo nei procedimenti giurisdizionali relativi all’accertamento di tale condizione sanitaria; (ii) secondo il più recente orientamento della Corte, l’azione per il riconoscimento dell’handicap grave non verte sull’accertamento di una mera condizione di invalidità, improduttiva di effetti, ma sull’accertamento di uno status, cui si correla una pluralità indeterminata di situazioni soggettive attive e passive, nonché una vasta gamma di misure volte a rimuovere le discriminazioni che l’handicap genera; per tale ragione, essa è ammessa a prescindere dalla specificazione del beneficio che, in forza di tale riconoscimento, si rivendica.

Corte di cassazione, ordinanza 8 febbraio 2023 n. 3804

Esente da IRPEF la transazione a titolo risarcitorio per la mancata attivazione del sistema “retribuzione di risultato”.

Lamentando la mancata attivazione del sistema incentivante della “retribuzione di risultato” previsto dal contratto collettivo “area dirigenza medica e veterinaria” della P.A., alcuni dirigenti medici di una ASL avevano ottenuto dal giudice del lavoro la condanna della datrice al risarcimento dei danni conseguenti, da liquidare in separata sede.

In sede di giudizio di liquidazione, i ricorrenti avevano raggiunto con la ASL un accordo transattivo per una determinata somma, che l’Agenzia delle entrate aveva in Tribunale vittoriosamente preteso assoggettare all’Irpef, come reddito di lavoro dipendente, in quanto corrisposta in ragione della perdita della retribuzione di risultato (nel sistema IRPEF, il reddito che sostituisce o ristora la perdita di un altro assume, ai fini fiscali, la stessa natura di quest’ultimo).

La Corte cassa la sentenza dei giudici di merito, ritenendo che nel danno da risarcire per inadempimento all’obbligo di attivazione del sistema “retribuzione di risultato” prevalga, sulla natura retributiva, il profilo di una lesione alla professionalità del dipendente, in ragione del fatto che la mancanza di determinazione annuale di programmi e obiettivi incentivanti comporta la perdita delle chances di accrescimento professionale; e quindi il risarcimento danni che ne consegue non è soggetto a Irpef.

Corte di cassazione, ordinanza 6 febbraio 2023 n. 3511

Il licenziamento collettivo limitato a una sola unità aziendale deve essere giustificato nella lettera di avvio della procedura.

Il caso è quello di un’impresa che, nell’avviare la procedura di licenziamento collettivo per dichiarate esigenze di ristrutturazione di tutto il complesso aziendale, aveva limitato la platea del personale interessato a una sola sede.

Nel confermare l’annullamento del licenziamento e la tutela reintegratoria, la Corte di cassazione ribadisce la propria giurisprudenza in proposito, secondo la quale: 1) la platea di personale dipendente interessata dal licenziamento collettivo può essere limitata a una sola parte dell’azienda solo se ciò è giustificato da oggettive esigenze aziendali; 2) tale limitazione deve essere enunciata e giustificata nella lettera di avvio della procedura di licenziamento collettivo per consentire un adeguato confronto con le OO.SS. e 3) la stessa deve essere coerente con il tipo di progetto di riduzione del personale avviato.

Tribunale di Arezzo, 7 marzo 2023

Illegittimo il licenziamento del dipendente che va allo stadio durante la malattia.

Con la sentenza n. 64 del 07.03.2023, il Tribunale di Arezzo afferma che è illegittimo il licenziamento del lavoratore che durante la malattia si reca allo stadio per assistere ad una partita di calcio, se la società non è in grado di dimostrare l’effettiva insussistenza della patologia lamentata dal dipendente.

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per essersi recato allo stadio per assistere ad una partita di calcio, durante un periodo di assenza dal lavoro per malattia legata ad una lombosciatalgia.

Il Tribunale rileva, preliminarmente, che la società fonda il licenziamento sull’assunto per cui il dipendente avrebbe ottenuto un certificato medico falso per attestare una lombosciatalgia in realtà non sussistenze, al solo fine di non recarsi nel luogo di lavoro e poter così presenziare alla partita di calcio.

In particolare, per la sentenza, l’indizio grave e concordante in base al quale l’azienda avrebbe desunto la non genuinità della condotta in questione – e, quindi, anche la falsità del certificato medico rilasciato al lavoratore – consisterebbe nell’acquisto dei biglietti dell’evento calcistico in epoca antecedente all’insorgere della malattia, ma successiva al momento in cui ha preso contezza dei turni lavorativi.

Secondo il Giudice, detto elemento è suscettibile di diverse interpretazioni e, quindi, non può essere ritenuto sufficiente per considerare assolto l’onere in capo all’azienda di provare l’insussistenza dello stato di malattia e la conseguente falsità della certificazione medica.

Su tali presupposti, il Tribunale di Arezzo dichiara illegittimo il licenziamento, non ritenendo la condotta del dipendente qualificabile alla stregua di un grave inadempimento tale da giustificare una sanzione espulsiva.

Tribunale di Ancona, 15 febbraio 2023

Il privato che ha acquisito una società a controllo pubblico non può far valere l’originaria nullità del contratto di lavoro per mancato espletamento di una procedura selettiva.

Il Tribunale accoglie il ricorso contro il licenziamento, presentato da una lavoratrice assunta senza concorso da una società a controllo pubblico, le cui quote di maggioranza sono state in seguito acquisite da un soggetto privato.

Secondo il Giudice, infatti, nonostante il contratto di lavoro con la società a controllo pubblico fosse originariamente nullo per vizio di costituzione del rapporto, il passaggio in mano privata del controllo della società esclude l’applicazione delle regole del D.lgs. n. 175/2016, che prevede che la scelta del personale avvenga per pubblici concorsi. Di conseguenza, la nuova compagine sociale non può invocare cause di nullità che varrebbero solo per le società a controllo pubblico, e non per datori di lavoro privati.

Tribunale di Lecco, 9 febbraio 2023

Il datore di lavoro può essere condannato ad adibire il lavoratore disabile e parzialmente inidoneo a mansioni coerenti con la sua professionalità, quando ciò sia possibile anche adottando ragionevoli accomodamenti.

Il Tribunale accoglie il ricorso per condotta discriminatoria, presentato da un lavoratore portatore di disabilità che, a seguito di un provvedimento di reintegrazione ottenuto dopo un licenziamento per superamento del comporto, era stato adibito a mansioni inferiori rispetto al suo inquadramento, lesive della dignità professionale.

Nel caso, il datore di lavoro non aveva dato prova di avere compiuto uno sforzo adeguato, nel senso di proporre al dipendente una mansione alternativa, adatta alla sua professionalità e diversa da quella per la quale era stato ritenuto inidoneo.

Tribunale di Teramo, 8 febbraio 2023

Va risarcito il danno in caso di ricorso abusivo a plurimi contratti di somministrazione a termine. Nullo l’accordo di prossimità che rimuove ogni limite legale ed europeo all’utilizzo del lavoro somministrato.

Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da un lavoratore somministrato presso una società a partecipazione pubblica, i cui contratti di lavoro a tempo determinato erano stati più volte prorogati nel tempo per lo svolgimento delle medesime mansioni. Il Giudice, sulla base dei principi enunciati dalla giurisprudenza europea in tema di lavoro somministrato, ha affermato che l’assunzione del lavoratore per lo svolgimento di mansioni ordinarie, e non per esigenze di carattere temporaneo, nonché la durata della prestazione per un totale di 34 mesi presso lo stesso utilizzatore si pongono in contrasto tanto con la Direttiva 2008/104, quanto con gli artt. 19 e 34 del D.Lgs. n. 81/2015.

L’utilizzatore deve essere pertanto condannato a versare al ricorrente un risarcimento del danno, nel caso di specie pari a sette mensilità della retribuzione globale di fatto. Il Tribunale ribadisce l’orientamento della giurisprudenza che ritiene valutabili i precedenti contratti di lavoro, anche se non tempestivamente impugnati alla scadenza, ai fini della valutazione come abuso della complessiva condotta dell’utilizzatore. Infine.

È stato ritenuto nullo l’accordo di prossimità che introduce un regime di totale derogabilità delle disposizioni normative in materia di limiti ai contratti a termine di lavoro somministrato (senza nemmeno prevedere alcuna controprestazione in termini di stabilizzazione occupazionale), non potendosi trasformare il potere di deroga riconosciuto alle parti sociali in un completo stravolgimento della disciplina nazionale e dei limiti derivanti dalla disciplina europea.

Leggi anche:

  • NEWSLETTER n. 5/2024 - Novità GIURISPRUDENZIALI Corte di Appello di Roma sentenza 2 aprile 2024, n. 1294. La Corte di Appello di Roma ha applicato il principio di recente chiarito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 22 del 22.02.2024, affermando che anche il dirigente licenziato in violazione della procedura disciplinare ex art. 7 Statuto dei lavoratori non ha diritto… Read More
  • NEWSLETTER n. 4/2024 - Novità normative e giurisprudenziali Novità NORMATIVE CCNL Terziario, distribuzione e servizi – Confcommercio: le novità del rinnovo Per i dipendenti del settore terziario, distribuzione e servizi, Confcommercio Imprese per l’Italia con Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil hanno sottoscritto in data 22 marzo 2024 l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL. Indicate le… Read More
  • NEWSLETTER n. 3/2024 - Novità normative e giurisprudenziali Novità NORMATIVE Legge 23 febbraio 2024 n. 18, in G.U. n. 49 del 28 febbraio 2024 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, recante disposizioni urgenti in materia di termini normativi. Nella Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28.02.2024 è stata pubblicata la legge n. 18/2024, di… Read More