NEWSLETTER N. 2/2023

Novità normative e giurisprudenziali

NOVITÀ NORMATIVE

Legge 13 gennaio 2023 n. 6, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, recante misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica“ (G.U. n. 13 del 17 gennaio 2023) Vigente dal 18.01.2023
In sede di conversione del cd. decreto Aiuti-quater, la L. n. 6/2023 ha confermato tutte le principali misure in materia di lavoro, in particolare:
• l’innalzamento, per il periodo d’imposta 2022, da euro 600 ad euro 3.000, del limite di non concorrenza alla formazione del reddito imponibile del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori nonché delle somme erogate o rimborsate agli stessi per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale;
• lo slittamento dal 16 dicembre 2022 al 22 dicembre 2022 del termine di versamento degli importi sospesi a favore degli organismi sportivi, ulteriormente prorogato, con specifiche indicazioni, dalla legge di Bilancio 2023.

Decreto-legge 14 gennaio 2023 n. 5, recante “Disposizioni urgenti in materia di trasparenza dei prezzi dei carburanti e di rafforzamento dei poteri di controllo del Garante per la sorveglianza dei prezzi, nonché di sostegno per la fruizione del trasporto pubblico.“(G.U. n. 11 del 14 gennaio 2023) Vigente dal 15.01.2023
Il D.L. n. 5/2023 (cd. decreto “Trasparenza”) prevede la possibilità, per i datori di lavoro privati, di erogare ai propri lavoratori dipendenti, anche nel periodo dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, buoni benzina o analoghi titoli per l’acquisto di carburanti esenti, ai fini della formazione del reddito (sia fiscale che previdenziale), fino ad un massimo di 200 euro.
Il limite di esenzione di 200 euro è aggiuntivo rispetto a quello di 258,23 euro fissato dal comma 3, art. 51 del TUIR per la generalità dei beni ceduti e dei servizi prestati ai dipendenti. Il suo superamento comporta la tassazione dell’intero valore del buono carburante.
Di fatto si è inteso prorogare, per il 2023, la misura agevolativa introdotta originariamente dal decreto-legge n. 21/2022 per il periodo d’imposta 2022.
È pertanto presumibile che, in materia, continuino a trovare applicazione i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 27/E del 14 luglio 2022.
Il decreto prevede inoltre misure di sostegno per la fruizione dei servizi di trasporto pubblico.
In particolare viene istituito il Fondo che dovrà riconoscere un buono da utilizzare per l’acquisto di abbonamenti per i servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale o per i servizi di trasporto ferroviario nazionale, in favore delle persone fisiche che nel 2022 hanno conseguito un reddito complessivo non superiore a 20.000 euro.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 162 del 24 gennaio 2023 “Art. 14, D.Lgs. n. 81/2008 – adozione provvedimento di sospensione e microimpresa – richiesta parere.”.
Con Nota n. 162 del 24 gennaio 2023 l’INL ha fornito chiarimenti in relazione alla possibilità di procedere alla sospensione nei confronti di un’impresa che occupi un solo dipendente in nero, con violazione prevenzionistica relativa alla mancanza del DVR e della nomina del RSPP.
Sebbene il Testo Unico per la sicurezza sul lavoro (D.Lgs. n. 81/2008), come modifica dal D. L. n. 146/2021, escluda il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare se il lavoratore in nero risulti l’unico occupato dall’impresa, l’Ispettorato osserva che tale esclusione non possa trovare applicazione qualora vengano contestualmente rilevate anche gravi violazioni in materia di prevenzione indicate nell’allegato 1 al D.Lgs. n. 81/2008, tra le quali sono comprese la mancanza del Documento di valutazione dei rischi (DVR) e/o la mancata nomina del RSPP, da sole sufficienti a giustificare l’adozione del provvedimento cautelare.
In ogni caso, aggiunge l’INL, qualora il provvedimento di sospensione non sia adottato per via della citata eccezione, l’ispettore dovrà comunque imporre ulteriori e specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza e per la salute dei lavoratori.

INPS, circolare n. 4 del 16 gennaio 2023 “Anno 2023. Sintesi delle principali disposizioni in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro e di sostegno al reddito e alle famiglie.”.
Con circolare n. 4/2023 l’INPS fornisce un quadro riepilogativo delle disposizioni in materia di ammortizzatori sociali e di sostegno al reddito e alle famiglie operanti nel 2023.
La circolare, che richiama in particolare le disposizioni contenute nella l. n. 197/2022 (legge di Bilancio 2023) e nel D. L. n. 198/2022 (decreto Milleproroghe), analizza tra l’altro:
• i trattamenti di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti da imprese operanti in aree di crisi industriale complessa;
• le misure di sostegno del reddito per i lavoratori dipendenti delle imprese del settore dei call center;
• la proroga dell’integrazione della CIGS per i lavoratori ILVA;
• la proroga del trattamento straordinario di integrazione salariale per cessazione di attività; il congedo parentale.

INPS, circolare n. 137 del 27 dicembre 2022 “Esonero contributivo per i datori di lavoro privati che siano in possesso della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del decreto legislativo n. 198/2006.”
Con la Circolare n. 137/2022 l’INPS fornisce indicazioni per la fruizione dell’esonero contributivo previsto in favore dei datori di lavoro del settore privato in possesso della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. n. 198/2006, come modificato dall’art. 4 della L. n. 162/2021).
Per l’anno 2022 le domande volte al riconoscimento del beneficio possono essere presentate fino al 15.02.2023.
Resta fermo che, ai fini dell’ammissibilità all’esonero, i datori di lavoro dovranno essere in possesso della certificazione entro il 31.12.2022.

Garante Privacy “Questioni interpretative e applicative in materia di protezione dei dati connesse all’entrata in vigore del d. lgs. 27 giugno 2022, n. 104 in materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili (c.d. “Decreto trasparenza”).” (Nota del 13.12.2022).
Il Garante per la protezione dei dati personali ha fornito, al Ministero del Lavoro e all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, le prime indicazioni sul Decreto trasparenza, in risposta ai numerosi quesiti ricevuti da Pa e imprese.
Inoltre, il Garante ha manifestato la propria disponibilità ad avviare un tavolo di confronto volto a definire una corretta interpretazione delle norme introdotte dal cosiddetto Decreto Trasparenza.
Nella nota, il decreto, che si applica ai contratti di tipo subordinato e ad altre forme di lavoro, ha introdotto, tra l’altro, l’obbligo per il datore di lavoro di informare adeguatamente i lavoratori nel caso utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, o per altre attività collegate al rapporto di lavoro e alla sua gestione.
I dipendenti, ad esempio, dovranno poter conoscere i parametri principali utilizzati per programmare o addestrare i sistemi automatizzati, inclusi i meccanismi di valutazione delle prestazioni nonché la robustezza e la cybersicurezza dei sistemi.
Tali obblighi informativi, ha chiarito il Garante, non sostituiscono quelli già previsti dal Gdpr.
L’Autorità ha anche ricordato che l’introduzione delle nuove garanzie non modifica le tutele già previste dal Regolamento UE per la protezione dei dati personali e dallo Statuto dei lavoratori. L’adozione di sistemi di monitoraggio nel contesto lavorativo deve quindi sempre essere oggetto di una preliminare verifica, da parte del datore di lavoro, delle condizioni di liceità stabilite dalla disciplina in materia di controlli a distanza, nonché di una valutazione dei rischi per verificarne l’impatto sui diritti e sulle libertà degli interessati.
Riguardo infine a sistemi particolarmente invasivi, come gli strumenti di machine learning, di rating e ranking, il Garante ha sottolineato che il loro impiego pone criticità in termini di proporzionalità e rischia di porsi in contrasto con i principi di protezione dei dati e con le norme nazionali di settore a tutela della libertà, della dignità e della sfera privata del lavoratore.

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

Corte di giustizia UE, sentenza 12 gennaio 2023, in causa n. C-356/21
Il divieto di discriminazione nel lavoro (qui fondata sull’orientamento sessuale) vale anche per il lavoro autonomo. La discriminazione vietata può manifestarsi nei rapporti di lavoro autonomo anche col rifiuto di concludere un contratto d’opera.
Nella causa di risarcimento danni promossa da un montatore di audiovisivi polacco, la cui collaborazione autonoma con un canale televisivo (articolata in contratti di breve durata) era stata bruscamente interrotta quando il lavoratore aveva pubblicato su YouTube un video che aveva lo scopo di promuovere la tolleranza verso le coppie omosessuali, i giudici nazionali, dubitando della conformità della legge polacca (che non prevede il divieto di discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale) rispetto alla direttiva comunitaria sul divieto di discriminazione in materia di condizioni di lavoro e di occupazione, avevano interpellato la Corte di giustizia UE per sapere se la situazione descritta rientrasse in essa.
La Corte di giustizia afferma che la direttiva comunitaria garantisce espressamente la tutela contro le discriminazioni per tutte le attività professionali, a prescindere dalla forma giuridica adottata e valuta come equivalente a un licenziamento discriminatorio vietato la cessazione involontaria dell’attività di un lavoratore autonomo. La Corte aggiunge che si pone in contrasto con la direttiva comunitaria qualunque legge nazionale che non sanzioni un rifiuto discriminatorio di concludere o rinnovare un contratto di lavoro autonomo.

Corte di giustizia UE, sentenza 22 dicembre 2022, in causa n. C-392/21
Corte di Giustizia Europea: il datore deve pagare gli occhiali ai dipendenti che lavorano al pc.
Con la sentenza emessa, il 22.12.2022, nella causa C-392/21, la Corte di Giustizia UE afferma che il datore deve farsi carico del costo dei dispositivi per la vista acquistati dai propri dipendenti addetti al videoterminale, attraverso il rimborso delle spese sostenute o mediante la fornitura diretta di lenti o occhiali.
Il dipendente ricorre giudizialmente al fine ottenere dal datore la fornitura di occhiali resisi necessari a causa del peggioramento della sua vista ricollegabile all’uso continuo del videoterminale nel luogo di lavoro.
Il Tribunale rumeno – investito della questione – chiede alla CGUE, mediante un rinvio pregiudiziale, se tale diritto sia contemplato dalla Direttiva 89/392 (che promuove il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori) e/o dalla Direttiva 90/270 (che richiede il rispetto delle prescrizioni minime finalizzate a garantire un migliore livello di sicurezza per i posti di lavoro dotati di videoterminali).
La Corte di Giustizia rileva, preliminarmente, che l’art. 9 della Direttiva 90/270 prevede che i lavoratori addetti ai videoterminali beneficino di un adeguato esame degli occhi e della vista, sia prima di iniziare l’attività che durante l’esecuzione della stessa, in modalità periodica e nel caso in cui subentrino disturbi visivi.
Per la sentenza, al diritto di visita agli occhi, se occorre, è necessario associare la fornitura di dispositivi di correzione, senza oneri a carico dei dipendenti interessati.
Su tali presupposti, la CGUE afferma che, in tali circostanze, il datore è obbligato a fornire direttamente il dispositivo di correzione (lenti o occhiali) resosi necessario o a rimborsare il relativo costo nel caso in cui la spesa sia stata già sostenuta dal lavoratore.

Corte di giustizia UE, sentenza 15 dicembre 2022, in causa n. C-311/21
Riducibile la retribuzione dei lavoratori interinali a patto di adeguate compensazioni sul piano delle altre condizioni di lavoro e dell’occupazione.
In Germania, per i lavoratori del settore del commercio al dettaglio (come probabilmente in altri settori), un contratto collettivo separato stabilisce per i lavoratori inviati da agenzie interinali una retribuzione nettamente inferiore rispetto a quella dei lavoratori comparabili dell’impresa utilizzatrice.
Ciò è infatti consentito in materia di “condizioni di base del lavoro e dell’occupazione” dalla direttiva comunitaria riguardante il lavoro interinale, come deroga al principio di parità di trattamento, “a condizione che sia garantito ai lavoratori tramite agenzia interinale un livello adeguato di protezione”.
Nella causa promossa da una lavoratrice interinale tedesca per rivendicare le differenze retributive rispetto a un lavoratore dell’impresa, la Corte di giustizia, su richiesta dei giudici nazionali, ha interpretato il significato dell’espressione “protezione globale dei lavoratori tramite agenzia interinale” nel senso che alla possibilità di stabilire per questi lavoratori condizioni di base deteriori rispetto a quelle dei lavoratori dell’impresa deve essere associato un vantaggio equivalente sullo stesso piano (retribuzione, orario di lavoro, ore di straordinario, pause, periodi di riposo, lavoro notturno, ferie e giorni festivi).

Corte di Cassazione, ordinanza 12 gennaio 2023, n. 770
Illegittimo il licenziamento della lavoratrice che non esegue diligentemente la prestazione perché il datore di lavoro non garantisce la sua sicurezza.
La cassiera di un supermercato era stata licenziata per giusta causa per aver consentito a tre clienti di non pagare una parte della merce prelevata. Nel giudizio di impugnazione del licenziamento, la Corte d’appello aveva reintegrato la dipendente, avendo accertato che i tre clienti avevano agito con atteggiamento minaccioso e che alla cassiera, che pure aveva richiesto l’intervento della guardia giurata, non era stato fornito in realtà alcun supporto da parte dell’impresa.
La Cassazione, nel confermare la decisione, rileva come il datore di lavoro, lasciando la cassiera da sola a fronteggiare i comportamenti minacciosi dei tre clienti, sia venuto meno al generale obbligo di protezione previsto dall’art. 2087 c.c., con la conseguenza che l’inadempimento posto in essere dalla dipendente (non aver obbligato i clienti a riporre tutta la merce sul nastro trasportatore) deve considerarsi legittimo e giustificato. Alla conferma che la condotta contestata non assume rilievo disciplinare, è correttamente conseguita, secondo la Corte, l’applicazione della tutela reintegratoria c.d. minore.

Corte di Cassazione, sentenza 11 gennaio 2023, n. 569
Licenziato l’impiegato che si allontana senza timbrare il badge.
Tra le ipotesi di assenza ingiustificata, in tema di licenziamento disciplinare, rientra l’allontanamento del lavoratore nel periodo intermedio tra la timbratura di entrata e di uscita, al pari dell’alterazione del sistema di rilevamento delle presenze.
Lo precisa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 569/2023.
Viene così confermato, in via definitiva, il licenziamento di un dipendente pubblico per assenza ingiustificata e falsa attestazione della presenza in servizio.
Per i giudici, si palesa un comportamento fraudolento, volto a nascondere l’allontanamento indebito nel periodo tra le due timbrature e quindi diretto far emergere falsamente la presenza in ufficio.

Corte di Cassazione, sentenza 10 gennaio 2023, n. 375
Smottamento mortale delle pareti di uno scavo e azione di regresso dell’INAIL. Responsabilità in caso di appalto
Con l’ordinanza 375/2023, la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, fa chiarezza in merito alle responsabilità di committente e appaltatore nel caso di infortuni sul luogo di lavoro.
Nello specifico, la Corte sottolinea come, ferma restando la responsabilità dell’appaltatore, il committente sia solidalmente responsabile tranne se l’infortunio derivi da rischi specifici delle attività proprie dell’appaltatore o del lavoratore.
Il committente, anche nei casi di subappalto, è responsabile sia nella scelta dell’impresa subappaltatrice sia nel caso in cui non controlli che l’appaltatore abbia adottato tutte le misure generali di tutela della salute e della sicurezza, specie se tale inadeguatezza può essere percepita senza particolari approfondimenti.
I giudici inoltre si soffermano sulla posizione del direttore dei lavori, che può essere chiamato a rispondere dell’infortunio se sovrintende all’esecuzione dei lavori e impartisce ordini, in base al contratto di appalto o per fatti concludenti.

Corte di Cassazione, sentenza 30 dicembre 2022, n. 38183
Spetta il risarcimento anche se il licenziamento illegittimo è privo di effetti.
Con la sentenza 38183/2022, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, segnala che il risarcimento del danno previsto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori si applica in tutte le ipotesi in cui il recesso datoriale sia stato riconosciuto come illegittimo, quindi anche quando il rapporto di lavoro, nei fatti, non si sia mai interrotto e non sia insorta la necessità di un intervento reintegratorio.
Riconosciuto illegittimo il licenziamento, va condannato il datore di lavoro a pagare il risarcimento in questione, pur nelle ipotesi in cui egli abbia scelto di non eseguire il licenziamento medesimo e di rinnovarlo per altra causale
Il licenziamento, ricordano i giudici, è un atto unilaterale recettizio che si perfeziona quando il lavoratore viene a conoscenza della volontà del datore di recedere unilateralmente dal rapporto lavorativo.
Per questo motivo, secondo la Cassazione, la condanna al pagamento del risarcimento del danno può scattare legittimamente anche se l’effetto risolutivo viene concretamente differito a una data successiva.

Corte di Cassazione, sentenza 27 dicembre 2022, n. 37789
Ammissione del credito per TFR allo stato passivo esecutivo e operatività del Fondo di garanzia INPS.
L’ammissione allo stato passivo del credito per TFR, con provvedimento definitivo, non preclude all’INPS quale gestore del Fondo di garanzia, di contestare i presupposti di operatività dell’intervento del Fondo, incentrati sull’insolvenza di chi è datore di lavoro al momento in cui cessa definitivamente il rapporto di lavoro e il credito per TFR diviene definitivamente esigibile in base alla disciplina applicabile ratione temporis.
Corte di Cassazione, ordinanza 16 dicembre 2022, n. 37019
L’art. 2087 c.c. si applica anche agli associati in partecipazione.
Tribunale e Corte d’appello avevano respinto la domanda di risarcimento formulata da un associato in partecipazione per i danni conseguenti a un grave infortunio occorsogli durante la dimostrazione pratica di un tosaerba nel corso di una fiera.
I giudici di merito avevano ritenuto inapplicabile nei confronti degli associati in partecipazione l’art. 2087 c.c. e il connesso regime probatorio di favore per l’infortunato, che pertanto nel caso in esame era gravato dell’onere di dimostrare che l’incidente era stato causato da fatto doloso o colposo di terzi, onere ritenuto non assolto.
La Cassazione accoglie il ricorso del lavoratore, osservando, in particolare, come l’espressione “prestatori di lavoro” adoperata dall’art. 2087 c.c. per identificare i beneficiari dell’obbligo generale di protezione abbia una portata ampia, che non coincide con la sola categoria dei lavoratori subordinati, ma che viceversa include tutti i soggetti che svolgono attività lavorativa nell’ambito di un contesto professionale organizzato da un datore di lavoro, ivi inclusi, dunque, gli associati in partecipazione.
Al giudice del rinvio, pertanto, il compito di procedere a una nuova valutazione del caso, da condurre nel rispetto del regime probatorio previsto dall’art. 2087 c.c., in base al quale il lavoratore è tenuto (esclusivamente) a provare il fatto da cui sia desumibile l’inadempimento del datore di lavoro e il nesso causale tra tale fatto e il danno, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie a impedire l’evento dannoso, ivi incluse quelle finalizzate a neutralizzare le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza e imperizia del lavoratore.

Corte di Cassazione, ordinanza 15 dicembre 2022, n. 36841
Liquidazione distinta del danno biologico terminale e del danno catastrofale in caso di decesso ritardato da malattia professionale.
Nell’ambito di un procedimento avente a oggetto il risarcimento del danno a favore dei congiunti ed eredi di un operaio deceduto per mesotelioma di origine professionale, la Corte d’appello aveva, quanto al risarcimento iure hereditatis, ricondotto ad unità il danno, qualificato come danno biologico terminale, ricomprendente anche il danno morale catastrofale.
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso proposto al riguardo dagli eredi, ricorda, in particolare, che (i) in caso di malattia professionale che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), si somma una componente di sofferenza psichica, patita dalla vittima che lucidamente e consciamente assiste allo spegnersi della propria vita (il c.d. danno catastrofale); (ii) si tratta di danni che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi: per il danno biologico terminale, la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, con l’applicazione di opportuni fattori di personalizzazione; per il danno catastrofale, invece, la liquidazione avviene affidandosi a un criterio equitativo “puro”, che deve tenere conto dell’enormità del pregiudizio psichico derivante dalla consapevolezza dell’approssimarsi della fine della vita; (iii) per ottenere uniformità di trattamento a livello nazionale, per il danno catastrofale è opportuno fare riferimento al criterio di liquidazione fatto proprio dal Tribunale di Milano, salvo che non ricorrano circostanze idonee giustificarne l’abbandono o l’integrazione.

Corte di cassazione, sentenza 1° dicembre 2022 n. 35421
Applicabile al dipendente di una società pubblica la disciplina dell’art. 2103 cod. civ.
La questione riguardava il dipendente di una società per azioni a totale partecipazione pubblica, il quale rivendicava la qualifica superiore in ragione delle mansioni concretamente svolte per anni. I giudici di merito avevano riconosciuto solo le differenze retributive conseguenti alle più elevate mansioni svolte, ma non la qualifica superiore, in base alla considerazione che leggi dello Stato e regionali avevano recentemente esteso alle società partecipate alcuni vincoli procedurali delle Amministrazioni pubbliche per l’assunzione del personale e ritenendo, alla luce di ciò, incompatibile l’applicazione dell’art. 2103 c.c.
La Cassazione dà atto che in materia esistono nella giurisprudenza di merito e nella dottrina orientamenti contrastanti e opta decisamente per la soluzione dell’applicabilità dell’art. 2103 c. c., ricordando che la società a partecipazione pubblica non muta per ciò natura e disciplina, ma resta assoggettata al regime privatistico, anche per quanto riguarda il rapporto di lavoro, salvo esplicite deroghe, presenti per ciò che riguarda il reclutamento del personale, ma inesistenti nella materia delle qualifiche e mansioni.
Né tale applicabilità si pone, secondo la Corte, in contrasto con gli obblighi gravanti in materia di assunzione, data l’ontologica diversità dei due istituti.

Corte di cassazione penale, sentenza 4 ottobre 2022 n. 570
La Cassazione traccia i confini della “colpa di organizzazione”
La responsabilità dell’amministratore non va confusa con quella della società, ragion per cui i giudici devono valutare la colpa con estrema attenzione prima di infliggere una sanzione sulla base del decreto 231/2001.
Lo sottolinea la Corte di Cassazione, Quarta sezione penale, con la sentenza 570/2023.
Viene così annullato il pronunciamento della Corte d’Appello di Milano che condannava una società ad una misura pecuniaria, tra l’altro, per la violazione di norme di sicurezza sul luogo di lavoro, in seguito alla morte di un lavoratore a causa di una caduta, per l’assenza di sponde laterali su un ponteggio.
La società era stata ritenuta responsabile per il vantaggio derivante dall’impiego di lavoratori solo formalmente dipendenti da un’altra società e per non averli dotati di strumenti di protezione adeguati.
Per i giudici, però, la sentenza impugnata confondeva “i profili di responsabilità da reato dell’amministratore/datore di lavoro dai profili di responsabilità da illecito amministrativo della società”, rimarcando che la responsabilità dell’amministratore non si riflette, nel caso in questione, sull’ente.

Corte d’Appello di Brescia, 24 novembre 2022
L’indennità di trasferta prevista dal CCNL Logistica ha natura retributiva e deve essere computata nella base di calcolo del TFR.
La Corte ha parzialmente accolto il ricorso di alcuni lavoratori, ai cui rapporti di lavoro era applicato il CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizioni, che chiedevano che nella base di calcolo del TFR, nonché delle mensilità aggiuntive venissero computate sia l’indennità di trasferta sia i compensi per lavoro straordinario.
Il Collegio, analizzando gli artt. 37 e 72 del CCNL, ha affermato con riferimento all’indennità di trasferta che se la contrattazione collettiva aziendale o territoriale non ha fissato la misura restitutoria dell’indennità, come lo stesso CCNL invitava a fare, quest’ultima ha natura retributiva e pertanto deve rientrare nella base di calcolo del TFR.
I Giudici hanno altresì affermato che la possibilità di prevedere che una quota dell’indennità abbia natura restitutoria dipende dal fatto che quest’ultima sia inferiore al valore esente da IRPEF; la parte in eccesso ha sempre natura retributiva a prescindere dalla volontà delle parti.
Al contrario, l’indennità di trasferta non può essere computata nel calcolo delle mensilità aggiuntive, sulle quali invece incide il compenso per lavoro straordinario.

Tribunale di Parma, 9 gennaio 2023
Si realizza una discriminazione indiretta quando ai fini del comporto di malattia non si distingue tra assenze dovute alla condizione di disabilità del lavoratore e assenze per malattia.
Il Giudice accoglie l’opposizione presentata da una lavoratrice invalida contro la precedente ordinanza di rigetto e, discostandosi dall’orientamento adottato in precedenza dal medesimo Tribunale, dichiara discriminatorio rispetto alla condizione di handicap il licenziamento da questa subito per superamento del periodo di comporto.
Se, infatti, il criterio di computo delle assenze ai fini del comporto individuato dal contratto collettivo non distingue tra le assenze per malattia legate alla specifica condizione di disabilità e le generiche assenze per malattia, ha luogo una discriminazione indiretta basata sul fattore dell’handicap quando, in concreto, sia dimostrato che almeno parte delle assenze sono direttamente riconducibili all’handicap stesso.

Tribunale di Modena, 9 gennaio 2023
Grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare la genuinità dell’utilizzo della manodopera attraverso la produzione dei contratti di appalto.
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da vari lavoratori impiegati nell’ambito di un appalto e, dichiarando l’illiceità dello stesso, accerta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i ricorrenti e la società committente, condannando quest’ultima al pagamento delle differenze retributive e contributive
Il Giudice modenese, richiamando l’orientamento della Cassazione, ritiene non assolto l’onere probatorio gravante sul datore di lavoro circa la sussistenza di un genuino rapporto di intermediazione di manodopera, stante la mancata produzione dei contratti di appalto da parte di quest’ultimo.
Ciò, unitamente alla prova dell’esercizio del potere direttivo da parte della committente e dell’assenza di rischio in capo alle appaltatrici, è risultato decisivo ai fini dell’accoglimento del ricorso.

Tribunale di Napoli, 30 novembre 2022
Invalido per vizio della volontà il verbale di conciliazione sottoscritto per la necessità di mantenere il posto di lavoro. Va considerato pacifico il diritto all’applicazione dell’art. 2112 c.c. nel caso di cessione di attività da una ad altra società, entrambe “in house”.
Il Tribunale annulla il verbale di conciliazione sottoscritto da una dipendente che, in occasione di una cessione di azienda, era stata di fatto costretta a rinunciare a far valere qualsiasi diritto maturato verso la cedente nei confronti della cessionaria, per ottenere l’assunzione alle dipendenze di quest’ultima, cui aveva comunque diritto ex art. 2112 c.c.
Secondo il Giudice partenopeo, non è condivisibile l’eccezione di parte datoriale basata sul fatto che tali rinunce siano avvenute nel contesto di una sede protetta ai sensi dell’art. 2113 c.c. (nel caso specifico presso la Direzione Territoriale del Lavoro) in quanto in ogni caso non idonea a sanare le cause di annullabilità del verbale. Di conseguenza, il rapporto di lavoro della ricorrente si deve considerare proseguito alle dipendenze della cessionaria senza soluzione di continuità; cedente e cessionaria sono state dichiarate solidalmente responsabili per i crediti retributivi maturati fino alla data di trasferimento dell’azienda.

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