NEWSLETTER N. 11/2022

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 – “Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonche’ in materia di esecuzione forzata.“ (GU n. 243 del 17-10-2022) – Vigente dal: 18.10.2022

È stato pubblicato, sul Supplemento Ordinario n. 38 della Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 settembre 2022, il D. Lgs. n. 149/2022, riguardante l’attuazione della L. n. 206/2021, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata.

Il Decreto è entrato in vigore il 18.10.2022.

All’interno del D. Lgs. n. 149/2022, è presente una norma (art. 9) che inserisce l’art. 2-ter al D.L. n. 132/2014, in materia di strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

In particolare, l’art. 2-ter introduce la negoziazione assistita nelle controversie di lavoro (di cui all’art. 409 c.p.c.).

La norma prevede la possibilità per le parti (datore di lavoro/committente e lavoratore/collaboratore) di ricorrere alla negoziazione assistita, attraverso l’aiuto di avvocati e consulenti del lavoro.

L’accordo è equiparato ad una conciliazione in cd. “sede protetta” e, come tale, rappresenta un titolo esecutivo.

L’accordo dovrà essere trasmesso, a cura di una delle due parti, ad una Commissione di Certificazione entro i dieci giorni successivi.

L’articolo di interesse, rubricato ”Negoziazione assistita nelle controversie di lavoro” cosi’ dispone: “1. Per le controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, fermo restando quanto disposto dall’articolo 412-ter del medesimo codice, le parti possono ricorrere alla negoziazione assistita senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Ciascuna parte è assistita da almeno un avvocato e può essere anche assistita da un consulente del lavoro. All’accordo raggiunto all’esito della procedura di negoziazione assistita si applica l’articolo 2113, quarto comma, del codice civile. L’accordo è trasmesso a cura di una delle due parti, entro dieci giorni, ad uno degli organismi di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.”

Ispettorato Nazionale del Lavoro, Nota n. 1959 del 30 settembre 2022:”prescrizione dei crediti di lavoro – nuovi orientamenti giurisprudenziali – diffida accertativa ex art. 12, D.Lgs. n. 124/2004 – atti interruttivi.

Per i crediti di lavoro che possono formare oggetto di diffida accertativa ex art. 12 D.Lgs. n. 124/2004, il termine di prescrizione quinquennale inizia a decorrere solo dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Questa l’indicazione fornita, con la nota in commento, dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro al proprio personale ispettivo sulla scorta del nuovo orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022, è intervenuta per dirimere il contrasto giurisprudenziale concernente la prescrizione dei crediti maturati dai lavoratori nel corso del rapporto di lavoro.

Il cambio di rotta da parte della Cassazione è stato determinato dall’evoluzione normativa in tema di licenziamento e tutele reali del lavoratore.

La Corte infatti, nella citata sentenza, ha stabilito che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92/2012 e del D.Lgs. n. 23/2015 (cd. Jobs Act), mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un effettivo regime di stabilità.

Viene, dunque, in parte superata la nota INL prot. n. 595 del 23 gennaio 2020, secondo cui, in ragione di una generale incertezza giurisprudenziale, il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale andava riferito, più prudenzialmente, al primo giorno utile per far valere il diritto di credito, anche se in costanza di rapporto.

I.N.P.S., Circolare n. 106 del 29 settembre 2022: “Documentazione medica necessaria per fruire della flessibilità del congedo di maternità e per astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto. Indicazioni operative”.

Con circolare n. 106/2022 l’INPS interviene in merito alla facoltà, per le lavoratrici dipendenti, di utilizzare il congedo di maternità in forma flessibile, posticipando un mese dell’astensione prima del parto (l’ottavo mese di gravidanza) al periodo successivo al parto, oppure fruendone esclusivamente dopo l’evento del parto.

In particolare, è stata modificata la regolamentazione per la consegna all’INPS della documentazione medica necessaria per fruire dei suddetti congedi.

L’Istituto precisa che le certificazioni sanitarie non vanno più prodotte all’Istituto, ma ai soli datori di lavoro o committenti, anche con riferimento alle domande già presentate ed in fase istruttoria. L’INPS si limiterà quindi a verificare la sussistenza dei requisiti di accesso alla fruizione flessibile del congedo.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di Giustizia UE, sentenza del 22 settembre 2022, in causa n. C-120/21

Il diritto alle ferie retribuite non si prescrive se il lavoratore non è stato messo nelle condizioni di fruirne.

A seguito della cessazione del rapporto di lavoro, avvenuta a luglio 2017, un lavoratore tedesco aveva chiesto il pagamento di un’indennità corrispondente a 101 giorni di ferie annuali retribuite cumulati tra il 2013 e il 2017 e non goduti.

Il rifiuto dell’ex datore di lavoro di versare l’indennità aveva dato origine a un contenzioso, nel corso del quale era stato accertato che il lavoratore non era stato messo nelle condizioni di fruire delle ferie annuali nel periodo considerato.

A fronte di un’eccezione di prescrizione formulata dal datore di lavoro sulla base dell’art. 195 del codice civile tedesco, in forza del quale le pretese di un creditore si prescrivono tre anni dopo la fine dell’anno in cui è sorto il suo diritto, la Corte federale del lavoro tedesca aveva deciso di sospendere il procedimento e di richiedere l’intervento incidentale della Corte di Giustizia.

Nell’enunciare il principio indicato sopra, la Corte di Giustizia, richiamando la propria precedente sentenza 6 novembre 2018 in causa n. C-684/16, rileva che, se si ammettesse la facoltà in capo al datore di lavoro di invocare la prescrizione dei diritti del lavoratore senza averlo effettivamente posto in grado di esercitarli, ciò equivarrebbe a legittimare un comportamento che determina un arricchimento illegittimo del datore di lavoro a danno dell’obiettivo del rispetto della salute del lavoratore, di cui all’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Corte di Cassazione, sentenza 14 ottobre 2022, n. 30271

Licenziabile l’autista che provoca con il mezzo aziendale un incidente per partecipare a una chat telefonica.

La Corte di Cassazione, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore autista che, per guardare il proprio cellulare durante la guida del mezzo aziendale, aveva causato un tamponamento.

Com’è noto, l’art. 2119 cod. civ. recita “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.

Nel caso in specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il comportamento tenuto dal lavoratore integri una negligenza gravissima e lesiva del vincolo fiduciario che deve sorreggere il rapporto di lavoro, tale dunque da giustificare il licenziamento “in tronco”.

Corte di Cassazione, ordinanza 4 ottobre 2022, n. 28824

Se la cessione d’azienda è nulla, il rapporto di lavoro prosegue col cedente anche se il lavoratore ha convenuto col cessionario un incentivo all’esodo.

In un giudizio per la declaratoria di nullità di un trasferimento di azienda, la domanda del lavoratore al cedente di proseguire nel rapporto e di pagargli le retribuzioni era stata respinta dalla Corte d’appello, che aveva dato rilievo al fatto che il lavoratore aveva stipulato con la società cessionaria un accordo transattivo con accettazione di un incentivo all’esodo, avendo nel frattempo maturato i requisiti pensionistici.

La Cassazione, nell’accogliere il ricorso del lavoratore – e dando continuità a un consolidato orientamento giurisprudenziale – osserva che (i) quando viene accertata l’invalidità della cessione d’azienda, tra lavoratore e cessionario si instaura un rapporto lavorativo di mero fatto, le cui vicende risolutive (come l’accordo transattivo del caso di specie) non sono idonee a incidere sul rapporto giuridico col cedente, che si considera tuttora esistente; (ii) il conseguimento della pensione di anzianità non impedisce la reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente illegittimamente licenziato, dal momento che la disciplina normativa dell’incompatibilità tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente può incidere sul piano del rapporto previdenziale (determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica e/o il diritto dell’ente previdenziale alla ripetizione delle somme erogate), ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro.

Corte di Cassazione, ordinanza 29 settembre 2022, n. 28330

Un caso di nullità del contratto di lavoro per violazione delle disposizioni che regolano l’assunzione presso le società partecipate.

L’Amministratore Delegato di una società a partecipazione pubblica era stato condannato per il reato di abuso di ufficio per avere, a settembre 2009, fatto assumere un lavoratore in assenza di una procedura selettiva pubblica; successivamente, in sede civile, nell’ambito di un giudizio avviato dal lavoratore avverso il licenziamento che gli era stato nel frattempo conseguentemente intimato, il contratto di lavoro in questione era stato dichiarato nullo per violazione dell’art. 18, co. 1, d.l. n. 112/08, disposizione che ha esteso alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche per il reclutamento del personale.

La Cassazione, nel rigettare uno dei motivi di ricorso del lavoratore, secondo il quale l’art. 18, co. 1, d.l. 112/08, al tempo dell’assunzione (settembre 2009) non sarebbe stato applicabile, in quanto all’epoca non risultava ancora emanato il regolamento disciplinante la procedura di assunzione da parte delle società “in house” (regolamento che sarebbe poi stato adottato nel 2010), osserva come la disposizione in parola – abrogata nel 2016 e quindi oggi non più in vigore – avesse un contenuto sufficientemente determinato da poterle riconoscere un immediato contenuto precettivo, di talché la sua violazione potesse ben essere causa di nullità del contratto di lavoro per contrasto con norma imperativa.

Corte di Cassazione, sentenza 29 settembre 2022, n. 28398

La registrazione segreta di una conversazione tra presenti può essere utilizzata quale prova dell’intento ritorsivo di un licenziamento.

Tribunale e Corte d’appello avevano dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato nei confronti di una lavoratrice, in quanto fondato su addebiti al più sanzionabili con misure conservative, ma ne avevano escluso il carattere ritorsivo, che la lavoratrice aveva inteso dimostrare facendo ricorso alle registrazioni di colloqui con un collega, ritenute viceversa inutilizzabili dai giudici di merito perché “illegittimamente captate”.

La Cassazione, nell’accogliere il ricorso incidentale della lavoratrice, evidenzia come, per giurisprudenza costante, la registrazione di una conversazione sul luogo di lavoro, effettuata all’insaputa dei presenti dal dipendente per ragioni di difesa, anche in giudizio, costituisce una legittima fonte di prova nel processo del lavoro, a condizione che colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia davvero avvenuta e che almeno uno dei soggetti, tra cui la conversazione si svolge, sia parte in causa. Da qui la cassazione della sentenza, con rinvio al giudice di merito per valutare se tali condizioni ricorressero nel caso concreto.

Corte di Cassazione penale, sentenza 27 settembre 2022, n. 36538

Obbligatoria la valutazione dei rischi per la salute durante il periodo di gravidanza, anche se l’unica dipendente è in età non fertile.

Il titolare di uno studio odontoiatrico, che aveva alle proprie dipendenze una donna con mansioni di assistenza clienti, era stato condannato alla pena di 1200 euro di ammenda per il reato previsto dall’art. 55, co. 4, d.lgs. 81/08, per avere, nell’ambito del documento di valutazione dei rischi (DVR) dello studio, considerato in termini del tutto generici i rischi per la salute delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza.

La sentenza di condanna è confermata dalla Cassazione, che, nel rigettare uno dei motivi di ricorso dell’imputato, secondo il quale la presunta infertilità della dipendente, per motivi di età, avrebbe escluso l’esistenza di un rischio attuale per la lavoratrice, osserva come le misure di tutela previste dalla legge per le lavoratrici per il caso di gravidanza si applichino anche alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento fino al settimo mese di vita del bambino, il che conferma che la valutazione di quei profili di rischio va sempre effettuata dal datore di lavoro che occupa personale di genere femminile.

Corte di Cassazione, ordinanza 8 settembre 2022, n. 26532

La forma scritta del licenziamento non può essere provata per testi

La controversa comunicazione per iscritto del licenziamento non può essere provata in via testimoniale, secondo l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 26532/2022.

Di conseguenza, il licenziamento risulta nullo per difetto della forma prevista ex lege.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza citata, afferma che il potere attribuito al giudice del lavoro di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal Codice Civile, non può riguardare anche il requisito di forma scritta previsto ad substantiam per la lettera di licenziamento.

Non è consentita, infatti, la prova testimoniale di un contratto o di un atto unilaterale di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità.

Per la sentenza, fa eccezione a detta regola generale solo l’ipotesi prevista dall’art. 2724 n. 3 c.c., riguardante il caso in cui il documento sia andato perduto senza colpa.

Secondo i Giudici di legittimità, questo comporta, dunque, un divieto di testimonianza che – attenendo a norma di ordine pubblico – ne comporta l’inammissibilità rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Tribunale di Trento, 4 ottobre 2022

Riconosciuta la violazione del diritto di precedenza del dipendente già assunto a tempo determinato da parte di una società di trasporti pubblici: accertata la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con condanna al risarcimento del danno.

Il Tribunale trentino accoglie il ricorso di un lavoratore che era stato alle dipendenze di una società partecipata per un periodo complessivo superiore a dodici mesi e che, pur avendo fatto esplicita richiesta di esercitare il diritto di precedenza maturato, si era visto escluso dal novero delle nuove assunzioni effettuate dal datore di lavoro per mansioni corrispondenti alla sua.

Il Giudice, ritenute soddisfatte tutte le condizioni previste dall’art. 24, co. 1, d.lgs. 81/2015, meglio specificate dall’art. 27, co. 3, del testo coordinato delle disposizioni contrattuali e normative del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, ha accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti e condannato la convenuta a corrispondere al lavoratore le retribuzioni medio tempore maturate, dedotto l’aliunde perceptum.

In motivazione, il Tribunale afferma che l’impresa non può vanificare il diritto di precedenza del lavoratore già assunto a termine, effettuando assunzioni a tempo indeterminato mediante conversione dei contratti a termine, pretermettendo al titolare del diritto di precedenza altri lavoratori sulla base di una valutazione discrezionale delle attitudini lavorative.

Tribunale di Milano, 26 luglio 2022

Discriminatorio il licenziamento per superamento del comporto se sono calcolati anche i giorni di assenza dovuti alla disabilità del lavoratore.

Difformi gli orientamenti giurisprudenziali sulla valutazione differenziata del comporto di malattia per il lavoratore disabile.

I Giudici meneghini accolgono le domande di due lavoratori che, in circostanze simili (vedi Tribunale di Lecco del 27 giugno 2022), erano stati licenziati per superamento del periodo di comporto, ritenendo discriminatoria la condotta del datore di lavoro che non prevede un diverso termine per il calcolo del comporto per lavoratori disabili e non disabili, e dichiarano nullo il licenziamento.

Integra una discriminazione indiretta ai sensi della normativa italiana e comunitaria la scelta del datore di lavoro di non prevedere, ai fini del comporto, diversi criteri di conteggio per il lavoratore disabile, che è maggiormente esposto al rischio di assenze dal lavoro per malattia legata alla disabilità, e quindi al rischio di licenziamento, rispetto a un lavoratore non disabile.

Tribunale di Napoli, 19 luglio 2022

È ritorsivo il licenziamento per giusta causa intimato per scarso rendimento causato dalla “eccessiva morbilità” del lavoratore.

Il Tribunale accoglie il ricorso di un lavoratore licenziato per giusta causa, al quale era stato contestato il fatto di aver fraudolentemente effettuato dei giorni di assenza imputati a periodi di malattia collocati a ridosso di festività e riposi e di aver reso per tale ragione un’inadeguata prestazione lavorativa.

Il Tribunale di Napoli, dato atto che non vi era alcuna prova di una condotta fraudolenta del dipendente e, dunque, della legittimità delle assenze per motivi di salute, ha dichiarato il licenziamento nullo in quanto ritorsivo, asserendo che l’eccessiva morbilità non può integrare di per sé lo scarso rendimento e l’atto di recesso costituisce in casi come questo “un’ingiusta e arbitraria reazione datoriale al legittimo esercizio del diritto del lavoratore di assentarsi per malattia”.

Tribunale di Nola, ordinanza 19 aprile 2022

Si computano nel comporto i giorni di quarantena Covid del lavoratore già assente

Il Tribunale di Nola, ordinanza 192022, ha ritenuto legittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto, irrogato computando anche le giornate in cui il dipendente era stato costretto a rispettare la quarantena per Covid-19.

Il Giudice ha ritenuto non applicabile l’art. 26 D.L. n. 18/2020 che prevede la “non computabililità” ai fini del periodo di comporto della quarantena, in quanto la stessa si inseriva in un più ampio evento morboso, già esistente prima dell’obbligo di permanenza domiciliare.

NEWSLETTER n. 10/2022

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Legge 21 settembre 2022, n. 142 recante: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115, recante misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali.”. (GU n. 221 del 21.09.2022) – Vigente dal: 22.09.2022

È stata pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 21.09.2022, la L. n. 142/2022, di conversione del D.L. n. 115/2022 (cd. decreto “Aiuti-bis”), recante «Misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali».

Di particolare interesse, per quanto riguarda la materia del lavoro, la proroga del lavoro agile semplificato sino al 31.12.2022 (art. 25 bis), senza accordo tra le parti.

Inoltre, il diritto,sino al 31.12.2022, di prestare l’attività in modalità agile per talune categorie di lavoratori (art. 23 bis):

Il diritto è acquisibile previa verifica della compatibilità dell’attività lavorativa con la modalità agile

Queste le altre novità per aziende e lavoratori:

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Circolare n. 19 del 20 settembre 2022 recante “Decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 di attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea.”.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato la circolare n. 19 del 20.09.2022, con la quale fornisce indicazioni su taluni specifici profili degli obblighi informativi introdotti dal D.L. n. 104/2022 (cosiddetto “Decreto Trasparenza“) in materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili.

Questi alcuni passaggi della circolare sull’informativa da fornire ai lavoratori.

Il datore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore le informazioni di base riferite ai singoli istituti di cui al nuovo art. 1 del D.L. n. 152/1997, potendo rinviare per le informazioni di maggior dettaglio al contratto collettivo o ai documenti aziendali che devono essere consegnati o messi a disposizione del lavoratore secondo le prassi aziendali.

L’obbligo informativo non è assolto con l’astratto richiamo delle norme di legge che regolano gli istituti oggetto dell’informativa, bensì attraverso la comunicazione di come tali istituti, nel concreto, si atteggiano, nei limiti consentiti dalla legge, nel rapporto tra le parti, anche attraverso il richiamo della contrattazione collettiva applicabile al contratto di lavoro.

Quanto ai congedi, l’obbligo di informazione per il datore di lavoro riguarda solo quelle astensioni espressamente qualificate dal legislatore come “congedo”.

In via esemplificativa e non esaustiva si indicano, di seguito, alcune ipotesi di congedi retribuiti previsti dalla legge:

Il datore di lavoro dovrà tenere conto, oltre che della disciplina legale, anche di quella contenuta nel contratto collettivo.

Sotto il profilo retributivo, ci si riferisce a tutte quelle componenti della retribuzione di cui sia oggettivamente possibile la determinazione al momento dell’assunzione, secondo la disciplina di legge e di contratto collettivo.

Quanto all’orario di lavoro programmato, le informazioni devono riguardare, più che la generale disciplina legale, i riferimenti al contratto collettivo nazionale e agli eventuali accordi aziendali che regolano il tema dell’orario nel luogo di lavoro.

Nello specifico, le informazioni devono essere incentrate sulla concreta articolazione dell’orario di lavoro applicata al dipendente, sulle condizioni dei cambiamenti di turno, sulle modalità e sui limiti di espletamento del lavoro straordinario e sulla relativa retribuzione.

Le informazioni relative a previdenza e assistenza dovranno essere fornite dal datore di lavoro anche alla luce della specificità della contrattazione collettiva applicabile al rapporto, rappresentando al lavoratore, ad esempio, la possibilità di aderire a fondi di previdenza integrativa aziendali o settoriali.

Dalla lettura della disposizione possono poi individuarsi due distinte ipotesi che il decreto ha voluto regolare per gli aspetti informativi, qualora il datore di lavoro utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati che sono:

Per sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati si intendono quegli strumenti che, attraverso l’attività di raccolta dati ed elaborazione degli stessi effettuata tramite algoritmo, intelligenza artificiale, ecc., siano in grado di generare decisioni automatizzate.

L’obbligo dell’informativa sussiste anche nel caso di intervento umano meramente accessorio.

Il decreto legislativo richiede che il datore di lavoro proceda all’informativa quando la disciplina della vita lavorativa del dipendente, o suoi particolari aspetti rilevanti, siano interamente rimessi

all’attività decisionale di sistemi automatizzati.

Ad esempio, l’obbligo dell’informativa sussiste nelle seguenti ipotesi:

Non sarà necessario procedere all’informativa nel caso, ad esempio, di sistemi automatizzati deputati alla rilevazione delle presenze in ingresso e in uscita, cui non consegua un’attività interamente automatizzata finalizzata ad una decisione datoriale.

Per quanto riguarda le indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori, anche in questa ipotesi il datore di lavoro ha l’obbligo di informare il lavoratore dell’utilizzo di tali sistemi automatizzati, quali – a puro titolo di esempio: tablet, dispositivi digitali e wearables, gps e geolocalizzatori, sistemi per il riconoscimento facciale, sistemi di rating e ranking, etc.

L’obbligo informativo trova applicazione anche in relazione all’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati integrati negli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, allorquando presentino le caratteristiche tecniche e le funzioni descritte in precedenza.

E’ infine da ritenersi ammessa la possibilità di comunicazione dell’informazione in modalità informatica.

I.N.P.S., Circolare n. 102 del 19 settembre 2022: ”Esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri dipendenti del settore privato, a decorrere dalla data del rientro nel posto di lavoro dopo la fruizione del congedo di maternità. Indicazioni operative. Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti”.

L’INPS, con la circolare n. 102 del 19.09.2022, fornisce le indicazioni e le istruzioni per la gestione degli adempimenti previdenziali connessi all’esonero contributivo previsto, per il solo anno 2022, per le lavoratrici madri dipendenti del settore privato, della durata di un anno, decorrente dalla data del rientro nel posto di lavoro dopo la fruizione del congedo obbligatorio di maternità (disciplinato dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 151/2001).

Si tratta dell’esonero pari al 50% della contribuzione previdenziale a carico delle lavoratrici, previsto dall’art. 1, comma 137, della L. n. 234/2021 (cd. Legge di Bilancio per l’anno 2022).

L’applicazione dell’esonero in oggetto lascia comunque ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.

Sebbene la previsione faccia riferimento al solo rientro dopo la fruizione del congedo obbligatorio di maternità, per un periodo massimo di un anno, laddove la lavoratrice fruisca dell’astensione facoltativa al termine del periodo di congedo obbligatorio, la misura può comunque trovare applicazione dalla data di rientro effettivo al lavoro della lavoratrice.

Parimenti, l’esonero contributivo in esame spetta anche al rientro della lavoratrice dal periodo di interdizione post partum di cui all’art. 17 del D.lgs. n. 151/2001.

Il rientro della lavoratrice nel posto di lavoro dovrà in ogni caso avvenire entro il 31.12.2022.

L’esonero contributivo è rivolto a tutti i rapporti di lavoro dipendente, sia instaurati che instaurandi, del settore privato, ivi compreso il settore agricolo, in riferimento alle lavoratrici madri che rientrino nel posto di lavoro dopo aver fruito del congedo di maternità.

Riguarda i seguenti rapporti di lavoro:

  • tempo indeterminato;
  • tempo determinato;
  • part-time;
  • assunzione a scopo di somministrazione;
  • apprendistato;
  • lavoro domestico;
  • contratto intermittente;
  • lavoro subordinato instaurato in attuazione del vincolo associativo stretto con una cooperativa di lavoro ai sensi della L. n. 142/2001.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte Costituzionale, sentenza 22 luglio 2022, n. 183

Monito della Corte costituzionale: nelle piccole imprese più adeguate tutele contro il

licenziamento illegittimo.

Il Tribunale di Roma, chiamato a decidere sul ricorso proposto da una lavoratrice, licenziata per giustificato motivo oggettivo da un datore di lavoro che non raggiungeva i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 della L. n. 300/1970, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione del c.d. Jobs Act che, in caso di licenziamento illegittimo da parte di una piccola impresa, riconosce al lavoratore un’indennità ricompresa tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità (art. 9, co. 1, D.Lgs. n. 23/2015), un ammontare che, secondo il giudice rimettente, non svolgerebbe alcuna funzione deterrente né sarebbe in grado di garantire un adeguato ristoro al pregiudizio sofferto dal lavoratore.

Le censure del tribunale capitolino sono condivise dalla Corte Costituzionale (pur nel mutato sistema di cui al D. Lgs. n. 23/2015, “imperniato sulla portata tendenzialmente generale della tutela monetaria”), che in motivazione osserva come l’esiguo scarto tra il minimo e il massimo dell’indennità previsto dalla legge impedisca di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda e non sia coerente con i requisiti di adeguatezza e dissuasività, già affermati in recenti pronunce della stessa Corte.

Secondo i giudici della Consulta, tuttavia, la scelta della soluzione più appropriata per rimediare all’evidente deficit di adeguatezza che caratterizza l’attuale disciplina dei licenziamenti, implicando inevitabili valutazioni discrezionali, spetta al legislatore, e non alla Corte.

Per questo motivo, la Corte dichiara l’inammissibilità delle questioni sollevate dal Tribunale di Roma, ma lancia al contempo un monito al legislatore: nel protrarsi dell’inerzia legislativa sul fronte della riforma della disciplina dei licenziamenti arbitrari nelle piccole imprese, essa stessa provvederà direttamente a intervenire sulla disciplina censurata, qualora la questione fosse riproposta.

Corte di Cassazione, sentenza 7 settembre 2022, n. 26395

Licenziamento ritorsivo e prova per presunzioni.

La Corte d’appello aveva dichiarato la nullità, perché sorretto da motivo illecito determinante, del licenziamento intimato a un lavoratore che, per opporsi a un trasferimento ritenuto ritorsivo, non si era presentato al lavoro.

Secondo i giudici di merito, l’assenza del lavoratore, posta a fondamento del provvedimento espulsivo, non poteva dirsi ingiustificata, costituendo il legittimo esercizio da parte del dipendente del potere di autotutela contrattuale a fronte di un trasferimento il cui carattere ritorsivo risultava dimostrato sulla base di idonei indici presuntivi, dai quali poteva altresì ricavarsi che il medesimo intento illecito era risultato determinante anche nella successiva scelta datoriale di licenziare il lavoratore.

La Cassazione, nel confermare la sentenza di merito, afferma che l’onere di provare la natura ritorsiva determinante del licenziamento grava sul lavoratore, in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., ma esso può essere assolto anche mediante presunzioni, come accaduto nel caso di specie, ed evidenzia altresì come il giudizio sull’attitudine degli elementi presuntivi a consentire di inferirne logicamente la natura ritorsiva del provvedimento datoriale sia di mero fatto, come tale devoluto all’apprezzamento del giudice di merito e insuscettibile di riesame da parte dei giudici di legittimità.

Corte di cassazione, sentenza 6 settembre 2022 n. 26246

Dopo la legge Fornero sui licenziamenti, la prescrizione dei crediti di lavoro non decorre durante il rapporto.

Giunge alla sede di legittimità il problema della decorrenza della prescrizione (quinquennale) dei crediti di lavoro nei contratti di lavoro a tempo indeterminato dopo che la legge Fornero e quella successiva (del rapporto di lavoro a tutele crescenti) hanno fortemente ridimensionato la disciplina sanzionatoria dei licenziamenti ingiustificati e illegittimi.

Come noto, con le sentenze degli anni ’60 e ’70, la Corte costituzionale aveva dichiarato incostituzionale la decorrenza in corso di rapporto della prescrizione dei crediti di lavoro, per la presenza di ostacoli di fatto, soprattutto il timore del licenziamento, che potrebbero sconsigliare il lavoratore dal vantare pretese in questa sede.

Restava salva la regola della decorrenza immediata nei casi in cui fosse assicurata la stabilità del rapporto di fronte al licenziamento ingiustificato o illegittimo, come per i pubblici dipendenti o per i casi soggetti alla disciplina dello Statuto dei lavoratori, che prevedeva il pieno ripristino della situazione antecedente al licenziamento.

Con le leggi citate (L. n. 92/2012 e 23/2015) la reintegrazione nella situazione antecedente è divenuta recessiva, essendo prevista solo in alcuni casi, mentre in altri la sanzione è meramente indennitaria.

Da qui, la richiesta alla Corte in ordine alla persistenza della decorrenza immediata della prescrizione anche nel mutato quadro normativo dei licenziamenti “garantiti”.

La risposta della Corte (diversamente da quella dei giudici di merito) è negativa, in base alla valutazione dell’inadeguatezza della nuova disciplina a scongiurare il timore di un licenziamento ingiusto, costituente remora all’esercizio dei crediti del lavoratore in corso di rapporto di lavoro.

Corte di cassazione, sentenza 6 settembre 2022 n. 26199

Legittimo il licenziamento del dipendente che rifiuta per due volte la visita medica

Legittimo, “per assenza ingiustificata”, il licenziamento del dipendente che si sia preso un periodo di congedo straordinario, “per assistere la madre“, senza però aver ricevuto il necessario via libera dalla sede dell’Inps.

Ed è altresì legittimo il licenziamento del lavoratore che per due volte, nell’arco di una settimana, non si presenti alla visita medica obbligatoria prima del cambio di mansioni, affermando che il nuovo lavoro avrebbe configurato un demansionamento.

Lo ha stabilito la Sezione lavoro della Corte di cassazione con le ordinanze nn. 26196 e 26199.

Per quanto concerne il congedo non autorizzato, la Corte di appello di Reggio Calabria, dando ragione al lavoratore, aveva confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento e condannato la società datrice di lavoro alla reintegrazione e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione.

Proposto ricorso da parte della società, la Sezione lavoro ha affermato che “a fronte della precisa individuazione della condotta materiale addebitata al lavoratore non si richiedeva, quindi, come viceversa ritenuto dal giudice del reclamo, anche la indicazione delle specifiche norme di legge o collettive violate, competendo al giudice la qualificazione giuridica dei fatti contestati“.

Il lavoratore, spiega la Suprema corte, decade infatti dai diritti previsti dalla “legge 104” (art. 33) “qualora il datore di lavoro o l’Inps accerti l’insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti“.

La fattispecie dunque, prosegue il ragionamento, doveva essere ricondotta, sotto il profilo sanzionatorio alla disciplina dettata dal contratto collettivo per la ipotesi di “assenza ingiustificata, non potendo in senso contrario rilevare il riferimento alla prassi tollerante adottata dalla società datrice di lavoro in precedenti occasioni”.

Tali occasioni, continua la Corte, erano infatti diverse “in quanto, sia pure a posteriori, la assenza dal lavoro era risultata giustificata dall’intervenuto provvedimento autorizzatorio dell’INPS e la tolleranza della società aveva riguardato il ritardo con il quale il lavoratore aveva inviato la prescritta documentazione“.

Tornando al caso della mancata presentazione alla visita medica, la Cassazione afferma che il controllo sanitario era preventivo e prodromico all’assegnazione delle nuove mansioni e che l’omissione delle visite “avrebbe costituito un colposo e grave inadempimento di parte datoriale”.

Coerentemente – prosegue – è stata disposta, a seguito della contestazione della lavoratrice, una nuova visita, senza che fossero espletate le diverse e nuove mansioni; anche a tale visita la lavoratrice non si è, però, sottoposta“.

Si tratta, conclude la Cassazione, di una reazione che “non è assolutamente giustificabile” ai sensi dell’art. 1460 c.c., vale a dire la norma che prevede una “eccezione di inadempimento“.

Da un lato, infatti, il datore di lavoro “si era limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate e, dall’altro, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l’asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti”.

L’articolo del codice invocato dal dipendente invece è applicabile “solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro o in ipotesi di gravità della condotta tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo (Cass. n. 836/2018): ipotesi, queste, escluse dalla Corte di merito con un accertamento in fatto, esente dal vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cpc (nuova formulazione) e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 11430/2006)“.

Corte di cassazione, ordinanza 19 agosto 2022 n. 24977

Illegittima la collocazione unilaterale in ferie, se non preceduta dalla relativa comunicazione a ognuno dei dipendenti interessati.

Un’impresa aveva unilateralmente stabilito per tutto il personale la fruizione delle ferie residue prima della programmata collocazione in CIGS, dandone avviso alla RSU.

Nel giudizio promosso da alcuni dipendenti per sostenere l’illegittimità di tale comportamento aziendale e ottenere il risarcimento danni, la Corte, accogliendo le domande, afferma che ogni iniziativa unilaterale del datore di lavoro di collocare in ferie il personale deve essere comunicata, con un congruo preavviso, a ciascuno dei dipendenti interessati, in modo da consentire loro eventuali osservazioni e comunque di organizzarsi per la migliore fruizione del loro diritto al riposo.

Corte di Cassazione, ordinanza 5 agosto 2022, n. 24391

Legittimo il licenziamento scritto, anche se comunicato non con la trasmissione dell’atto.

L’art. 2 della L. n. 604/1966 prescrive che il licenziamento deve essere comunicato per iscritto: Secondo la Cassazione, fermo restando che lo scritto costituisce la forma sia dell’atto che della sua comunicazione, la legge non prescrive peraltro le modalità della comunicazione scritta.

Sicché, in un caso in cui il licenziamento di un dipendente di ente locale, disposto per iscritto con “determinazione dirigenziale”, non era stato mai tramesso all’interessato, che ne era venuto a conoscenza richiedendone e ottenendone una copia informe dall’ente, la Corte ha ritenuto efficace il licenziamento a quest’ultima data, ribadendo che la relativa comunicazione per iscritto può avvenire anche in forma indiretta, purché chiara.

Corte di Cassazione, sentenza 21 luglio 2022, n. 22861

L’elusione del carattere temporaneo del lavoro interinale va accertata anche in base alle varie missioni presso il medesimo utilizzatore succedutesi nel tempo, indipendentemente dalla tempestiva impugnazione di ciascuna di esse.

Dopo aver lavorato, tra il 2008 e il 2016, per oltre 65 mesi presso la medesima impresa, in forza di dieci successivi contratti di somministrazione a tempo determinato, un lavoratore aveva agito giudizialmente per ottenere il riconoscimento del proprio diritto alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la società utilizzatrice.

Tribunale e Corte d’appello avevano rigettato le domande del lavoratore, rilevando, da un lato, che per tutti i contratti antecedenti all’ultimo, l’accertamento richiesto dal lavoratore risultava precluso dal fatto che la prima impugnativa stragiudiziale era stata proposta solo a maggio 2016, oltre il termine di decadenza di sessanta giorni previsto dall’art. 32, co. 4, lett. d), L. n. 183/2010; dall’altro lato, che l’ultimo contratto, l’unico impugnato tempestivamente dal lavoratore, doveva considerarsi legittimo, essendo stato concluso sotto il vigore del D. Lgs. n. 81/2015, che non richiede l’indicazione di causali giustificative, né prevede limiti di durata per i contratti di somministrazione a tempo determinato.

Le valutazioni dei giudici di merito non superano il vaglio di legittimità della Corte di Cassazione, la quale, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, osserva anzitutto che il carattere temporaneo del lavoro tramite agenzia interinale, sebbene non espressamente previsto dal D. Lgs. n. 81/2015, deve tuttavia considerarsi un requisito implicito e strutturale di questa tipologia contrattuale, in conformità con quanto stabilito dalla Direttiva 2008/104, alla quale i giudici nazionali sono tenuti a fare riferimento in virtù del principio di interpretazione conforme del diritto nazionale al diritto dell’Unione.

Da tale principio la Cassazione fa quindi discendere l’onere in capo al giudice di merito di verificare se, nel caso concreto, la reiterazione delle missioni del lavoratore presso l’impresa utilizzatrice abbia costituito il mezzo col quale eludere la regola della temporaneità.

Tale verifica, che sarà compito del giudice del rinvio effettuare deve necessariamente tenere conto di tutti i contratti di somministrazione succedutisi nel tempo, ivi inclusi quelli per i quali è maturata la decadenza dell’impugnazione, rilevanti come circostanze fattuali utili a stabilire se, nel suo complesso, l’utilizzo del lavoratore tramite somministrazione si sia protratto per un tempo superiore a un limite di durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea.

Corte di Cassazione, sentenza 14 luglio 2022, n. 22212

Cassazione: cambio appalto e clausola sociale

Con ordinanza n. 22212/2022, la Corte di Cassazione ha affermato che in caso di cambio di appalto la clausola sociale, prevista dal CCNL, che impone al datore di lavoro subentrante di assumere tutto il personale presente nell’appalto, trova un limite nel fatto che l’imprenditore ha il diritto ex art. 1218 c.c. di verificare l’idoneità del lavoratore a svolgere le mansioni previste.

Nel caso di specie quest’ultimo era stato condannato per spaccio di stupefacenti (fatto di particolare gravità): tale fatto consente al datore di lavoro di non adempiere all’obbligo di assumere.

Corte d’Appello di Roma, 12 luglio 2022

Cambio di appalto nei call center: il rapporto non continua automaticamente con l’appaltatore subentrante, ma se c’è licenziamento l’appaltatore uscente deve rispettare l’obbligo di repêchage.

La Corte accoglie il reclamo presentato da alcuni lavoratori di call center contro la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale competente aveva ritenuto giustificato il licenziamento degli operatori adibiti a un appalto nel frattempo aggiudicato ad un’altra società.

Secondo il Collegio la L. n. 11/2016, applicabile in questo caso, che prevede che il rapporto di lavoro “continua” con l’appaltatore subentrante non dispone un effetto di subentro automatico. Se il rapporto non prosegue con il subentrante, il datore uscente può recedere con licenziamento individuale, ma solo se prova l’impossibilità della ricollocazione presso altre commesse.

Corte d’Appello di Firenze, 23 giugno 2022

Reiterazione di contratti a tempo determinato, termine di decadenza per l’impugnazione, regime di acausalità.

La sentenza della Corte di Appello di Firenze esamina il ricorso di un musicista assunto a tempo determinato da una Fondazione Lirico-Sinfonica con una successione di contratti a tempo determinato in un arco temporale complessivo di oltre dieci anni.

La Corte, premesso immediatamente che alla vicenda in esame dovevano ritenersi applicabili le ordinarie norme sul rapporto di lavoro a tempo determinato (artt. 19 ss. D.lgs. n. 81/2015), stante la contrarietà alla normativa eurounitaria della disposizione nazionale che prevedeva un regime derogatorio per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle fondazioni lirico-sinfoniche (Corte Giustizia UE, 25 ottobre 2018, n. 331, Causa C-331/17), ha tuttavia confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Firenze e respinto il ricorso del lavoratore.

La sentenza in esame evidenzia infatti che il lavoratore, in virtù del regime di decadenza di cui all’art. 28, comma 1, D.lgs. n. 81/2015, aveva impugnato soltanto alcuni dei contratti a termine intercorsi, e precisamente quelli stipulati nel periodo dal 12.06.2018 al 02.09.2018.

La Corte evidenzia, anche, che a mezzo dei suddetti contratti impugnati non può certamente dirsi superato il limite massimo di durata di un rapporto a termine pari a 36 o 24 mesi e dunque tale doglianza dell’appellante non può accogliersi.

L’elemento significativo di questa statuizione della Corte risiede nell’affermazione per cui, secondo il Collegio fiorentino, l’avvenuto decorso del termine di decadenza per l’impugnazione di alcuni contratti impedisce al Giudice non solo di valutarne la legittimità in termini di elementi e vizi formali e sostanziali, ma anche di considerare la stessa esistenza di quei contratti al fine di cumularne la durata con quella dei contratti tempestivamente impugnati per rilevare l’eventuale superamento del limite massimo di durata dei rapporti a termine complessivamente intercorsi tra le medesime parti.

Tale orientamento non risulta univoco in giurisprudenza: già nella vigenza del precedente D.Lgs. n. 368/2001, la giurisprudenza di merito aveva infatti affermato che “l’art. 32 del c.d. Collegato lavoro prevede l’onere di impugnare il contratto a termine nei soli casi relativi alla genesi del rapporto ed alla sua proroga […] mentre in nessun caso […] la norma prevede espressamente la decadenza nel caso di azione tesa a far valere, come nella fattispecie in esame, la successione abusiva di contratti a termine”(Trib. Ferrara, 11 aprile 2017, n. 81).

Anche di recente, è stato argomentato che, nel caso in cui il vizio fatto valere in giudizio non riguardi la forma e sostanza del singolo contratto, bensì l’illegittima reiterazione di più contratti a termine, è ovvio che l’impugnazione tempestiva dell’ultimo contratto renda possibile contestare l’eccessiva durata del complessivo rapporto intercorso, a prescindere dall’avvenuto decorso del termine di decadenza rispetto a precedenti rapporti che, sommati all’ultimo, superano il limite massimo globale di durata di 24 o 36 mesi (App. Roma, 19 febbraio 2021, n. 372; Trib. Trento, 4 dicembre 2018, n. 223).

Si segnala che, al contrario, in tema di somministrazione di lavoro a tempo determinato la Suprema Corte sembra stabilmente orientata nel riconoscere il decorso del termine di decadenza per l’impugnazione in relazione ad ogni singolo rapporto intercorso, a prescindere dalla reiterazione di diversi successivi contratti tra le medesime parti (Cass., 30 settembre 2019, n. 24356, ove vengono richiamati tutti i precedenti della Corte).

Un altro aspetto evidenziato dalla Corte fiorentina nella sentenza in esame riguarda il regime di indicazione della causale giustificativa nei contratti impugnati: il Collegio è in questo senso chiaro nel ritenere che, trattandosi di rinnovi di contratto a termine, la nuova disciplina del cd. Decreto Dignità (D.lgs. n. 87/2018) sia applicabile unicamente ai contratti sottoscritti successivamente al 31.10.2018 (art. 1, comma 2, D.lgs. n. 81/2018) e che, dunque, essendo i contratti oggetto di giudizio stipulati nel regime della cd. acausalità di cui al previgente art. 19 D.Lgs. n. 81/2015, non sia permessa al Giudice alcuna indagine sulla causale stessa e il suo carattere di temporaneità.

Questa tesi, come noto, ha trovato opposizione in giurisprudenza (invero in tema di contratto di somministrazione a termine) nelle pronunce di merito che hanno ritenuto che, a prescindere dal regime normativo di acausalità, la reiterazione per un lungo periodo di tempo di rapporti a termine si sarebbe posta in ogni caso in contrasto con il quadro normativo di riferimento, che impone che le esigenze di ricorso ai rapporti a tempo determinato, per quanto non esplicitate, siano comunque munite di un carattere costitutivo di temporaneità, negato in radice dall’esistenza di un complessivo rapporto durato per anni in modo pressoché ininterrotto (Trib. Lecce, 18 ottobre 2021, n. 3401; Trib. Firenze, 26 settembre 2019, n. 794).

Tribunale di Lodi, 12 settembre 2022

Legittimo il licenziamento del disabile per superamento del periodo di comporto.

Il Tribunale di Lodi, con la recente sentenza n. 19/2022, aderendo all’orientamento maggioritario tra i tribunali di merito, ha ritenuto non discriminatorio il licenziamento per superamento del periodo di comporto di un lavoratore disabile precisando che”nella fattispecie oggetto di causa la malattia della disabile non possa ritenersi discriminata e meritevole di maggior favore rispetto a quella di un altro lavoratore del settore non disabile, affetto da una patologia cronica o sottoposto ad un intervento chirurgico assimilabile a quello della ricorrente…in presenza di una durata del comporto che garantisca in presenza di una pluralita di eventi morbosi in un periodo di trenta mesi la conservazione del posto a fronte di una durata complessiva delle assenze per 15 mesi non può ritenersi discriminatorio applicare al lavoratore disabile il medesimo periodo di comporto del lavoratore non disabile, che abbia goduto di un analogo periodo di malattia.”

Tribunale di Cosenza, 14 settembre 2022

Inapplicabile l’art. 2070 c.c. nell’attuale sistema di contrattazione collettiva.

Con la pronuncia del 14.09.2022, il Tribunale di Cosenza ha ribadito il consolidato orientamento secondo il quale, nell’attuale sistema di contrattazione collettiva, non può trovare applicazione l’art. 2070 c.c. che individua il contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro in relazione all’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore.

Detta disposizione, infatti, appartiene al corredo di norme relative ai contratti collettivi corporativi e, in quanto tale, contrasta con il modello di contrattazione collettiva c.d. di diritto comune oggi in vigore.

In assenza dell’attuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost. e in applicazione dei principi di libertà sindacale e autonomia negoziale riconosciuti dal co. 1 del medesimo articolo al rapporto di lavoro, trova applicazione il contratto collettivo sottoscritto dall’organizzazione a cui il datore di lavoro è iscritto o, in mancanza del vincolo associativo, il contratto che il medesimo datore richiama esplicitamente o implicitamente nel contratto individuale o a cui di fatto aderisce.

Tribunale di Palermo, 3 agosto 2022

Le società di food delivery sono tenute a tutelare i riders dal rischio di disidratazione

per le alte temperature per effetto degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro.

Hanno fatto scalpore le pronunce emesse in pieno agosto (cfr. anche Tribunale di Palermo 18 agosto), e in piena ondata di calore estivo, da due Giudici del Tribunale palermitano, che hanno accolto i ricorsi ex art. 700 c.p.c. presentati dai rider di due distinte società di food delivery per una tutela di condizioni di lavoro sostenibili.

Il Tribunale ha accordato le misure richieste dai lavoratori, ritenendo che, a prescindere dall’applicabilità dell’art. 2 del D.lgs. n. 81/2015 ai rapporti in questione, le società di food delivery siano in ogni caso vincolate agli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro, ordinando alle stesse di farsi carico di una adeguata formazione e a fornire dispositivi di protezione (scorte di acqua, integratori creme protettive, ecc.).

NEWSLETTER n. 9/2022

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 149 del 22 agosto 2022. “Modello di comunicazione dell’accordo di lavoro agile dal 1° settembre .”.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato il D.M. n. 149/2022, di attuazione della norma contenuta nel cd. decreto Semplificazioni, con il quale si prevede che il datore di lavoro comunichi in via telematica al Ministero del lavoro i nominativi dei lavoratori e la data di inizio e di cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile.

Si tratta di una importante disposizione che rende strutturale la semplificazione del lavoro agile.

Il precedente obbligo di comunicazione dell’accordo individuale sarà sostituito quindi, con decorrenza dal 1.09.2022, da una mera comunicazione dei nominativi dei lavoratori e della data di inizio e di cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile, da trasmettersi in via telematica al Ministero del lavoro.

Con detta modifica, il datore di lavoro non dovrà più allegare alla comunicazione l’accordo individuale di smart working, ma dovrà comunque conservarlo per un periodo di 5 anni dalla sottoscrizione (ai sensi di quanto previsto dall’art. 19, comma 1, della L. n. 81/2017).

Decreto Legge 9 agosto 2022, n. 115, recante: “Misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali.”. (G.U. n. 185 del 9-8-2022) – Vigente dal: 10.8.2022

Il cd. decreto “Aiuti-bis”, entrato in vigore il 10.08.2022, contiene alcune disposizioni di interesse per il mondo del lavoro, fra le quali segnaliamo:

Legge 4 agosto 2022, n. 122 recante: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 21 giugno 2022, n. 73, recante misure urgenti in materia di semplificazioni fiscali e di rilascio del nulla osta al lavoro, Tesoreria dello Stato e ulteriori disposizioni finanziarie e sociali.”. (GU n.193 del 19-8-2022) – Vigente dal: 20.8.2022

È stata pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale n. 193 del 19 agosto 2022, la L. n. 122/2022, di conversione del D.L. n. 73/2022, recante «Misure urgenti in materia di semplificazioni fiscali e di rilascio del nulla osta al lavoro, Tesoreria dello Stato e ulteriori disposizioni finanziarie e sociali».

Di particolare interesse, per quanto riguarda la materia del lavoro:

In particolare, l’art. 41bis va a modificare il primo comma dell’art. 23, della L. n. 81/2017, in materia di comunicazione alla pubblica amministrazione dell’avvio del lavoro agile.

La norma prevede, con decorrenza 1.09.2022, che il datore di lavoro dovrà comunicare, in via telematica, al Ministero del lavoro i seguenti dati dei lavoratori con i quali è stato sottoscritto un accordo di smart working:

La nuova modalità comunicativa è stata individuata con il D.M. n. 149/2022.

In caso di mancata comunicazione è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato.

Decreto Legislativo 30 giugno 2022, n. 105, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio.“ (GU n.176 del 29-7-2022) – Vigente dal: 13.8.2022

Il cd. “decreto Equilibrio”, emanato in attuazione della Direttiva UE n. 2019/1158 ed in vigore dal 13.08.022, mira ad ottimizzare la conciliazione tra attività lavorativa e vita familiare per i genitori e per i prestatori di assistenza, al fine di conseguire una più equa condivisione delle responsabilità e dei compiti di cura tra uomini e donne, promuovendo una effettiva parità di genere sia in ambito lavorativo che familiare e favorendo il superamento degli stereotipi.

Le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 105/2022 compongono una riforma organica delle tutele e dei diritti preesistenti in materia di cura dei familiari e di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, aggiornando, riordinando e innovando l’attuale assetto normativo.

Nello specifico il “decreto Equilibrio” modifica, in vari punti, il Testo Unico di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs. n. 151/2001), le discipline dettate dalla L. n. 104/1992 e dalla L. n. 81/2017 e l’art. 8 del D.Lgs. n. 81/2015 (“trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale”).

Tale riorganizzazione si affianca ed aggiunge al recente Family Act (L. n. 32/2022), che contiene degli obiettivi persino più ampi sulle medesime materie, da attuare nei prossimi 24 mesi.

Decreto Legislativo 27 giugno 2022, n. 104, recante ”Attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea”. (GU n.176 del 29-7-2022) – Vigente dal 13.8.2022.

Emanato in attuazione della Direttiva UE n. 2019/1152, il D.Lgs. n. 104/2022 (cd. “decreto Trasparenza”) disciplina il diritto all’informazione sugli elementi essenziali del rapporto di lavoro e sulle condizioni di lavoro subordinato.

Nel recepire la Direttiva europea, il legislatore si è posto l’obiettivo di razionalizzare le condizioni di impiego in Italia, rendendole più prevedibili e sicure, e di migliorare la trasparenza del mercato del lavoro.

Il D.Lgs. n. 104/2022 non si limita a ridisciplinare l’accesso dei lavoratori alle informazioni sui loro rapporti di lavoro, ma fissa nuove prescrizioni minime, rafforzando le misure di tutela dei lavoratori e modificando alcuni istituti in materia di condizioni di lavoro.

Il “Decreto Trasparenza”, entrato in vigore il 13.08.2022 (fatte salve diverse decorrenze specifiche), estende il campo di applicazione soggettivo della disciplina in materia di obblighi informativi gravanti sul datore di lavoro anche ai lavoratori impiegati con tipologie contrattuali atipiche.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, Circolare n. 4 del 10 agosto 2022:” D.Lgs. n. 104/2022 recante “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea” – prime indicazioni.”.

Con la Circolare n. 4/2022, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito prime indicazioni al proprio personale ispettivo per i controlli in azienda circa la corretta attuazione, da parte dei datori di lavoro, dei nuovi obblighi informativi previsti dal “decreto Trasparenza” (D.Lgs. n. 104/2022).

L’Ispettorato, in particolare, chiarisce che per il personale già in forza alla data del 1.08.2022 le informazioni dovranno essere fornite entro i 60 giorni successivi l’eventuale richiesta scritta dei lavoratori.

Rispetto al vuoto normativo per i lavoratori assunti tra il 2 e il 12 agosto 2022, la circolare parla di «disallineamento temporale» fra la data di emanazione del decreto e quella di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e ripara estendendo a questi lavoratori gli stessi obblighi previsti per i colleghi in forza al 1° agosto, senza tuttavia fornire alcuna argomentazione giuridica a supporto di questa linea interpretativa.

La consegna dell’informativa, precisa l’Ispettorato, potrà avvenire anche sulla e-mail personale o aziendale del lavoratore, ovvero con la messa a disposizione sulla rete intranet aziendale dei relativi documenti tramite consegna di password personale al lavoratore, fermo restando la necessità, per il datore, di conservare una prova circa l’avvenuta consegna dell’informativa.

La circolare chiarisce infine che, pur prevedendo il nuovo art. 1 del D.Lgs. n. 152/1997 un obbligo di riportare nel contratto individuale di lavoro (o nella comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro) i principali termini e condizioni del rapporto di lavoro (identità delle parti, luogo di lavoro, inquadramento, orario normale di lavoro, etc.), la relativa disciplina di dettaglio potrà essere comunicata anche attraverso il rinvio al contratto collettivo applicato o ad altri documenti aziendali, a condizione che gli stessi vengano contestualmente consegnati al lavoratore ovvero messi a disposizione secondo le modalità di prassi aziendale.

I.N.P.S., Messaggio n. 3096 del 5 agosto 2022: ” Decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 176 del 29 luglio 2022. Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio. Prime indicazioni in materia di permessi di cui all’articolo 33 della legge n. 104/1992 e di congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del D.lgs n. 151/2001 con riferimento ai lavoratori dipendenti del settore privato”.

L’I.N.P.S., con il messaggio n. 3096/2022, fornisce le prime indicazioni in materia di permessi di cui all’art. 33 della L. n. 104/1992 e di congedo straordinario per figli con disabilità grave, di cui all’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151/2001, con riferimento ai lavoratori dipendenti del settore privato.

L’art. 3, comma 1, lettera b), n. 2), del D.Lgs. n. 105/2022 ha riformulato il comma 3 dell’art. 33 della L. n. 104/1992, eliminando il principio del “referente unico dell’assistenza”, in base al quale, nel previgente sistema, a esclusione dei genitori – a cui è sempre stata riconosciuta la particolarità del ruolo svolto – non poteva essere riconosciuta a più di un lavoratore dipendente la possibilità di fruire dei giorni di permesso per l’assistenza alla stessa persona in situazione di disabilità grave.

Il novellato art. 33, comma 3, della L. n. 104/1992 stabilisce infatti che, fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli aventi diritto, che possono fruirne in via alternativa tra loro.

Tale previsione normativa comporta, pertanto, che a fare data dal 13.08.2022, più soggetti aventi diritto possano richiedere l’autorizzazione a fruire dei permessi in argomento alternativamente tra loro, per l’assistenza alla stessa persona disabile grave.

L’art. 2, comma 1, lettera n), del D.Lgs. n. 105/2022, sostituendo il comma 5 dell’art. 42 del D.Lgs. n. 151/2001, apporta le seguenti novità in materia di congedo straordinario per l’assistenza a familiari disabili in situazione di gravità:

  • introduce il “convivente di fatto di cui all’articolo 1, comma 36”, della L. n. 76/2016, tra i soggetti individuati prioritariamente dal legislatore ai fini della concessione del congedo in parola, in via alternativa e al pari del coniuge e della parte dell’unione civile;
  • stabilisce che il congedo in esame spetta anche nel caso in cui la convivenza, qualora normativamente prevista, sia stata instaurata successivamente alla richiesta di congedo.

I.N.P.S., Messaggio n. 3066 del 4 agosto 2022: ” Decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 176 del 29 luglio 2022. Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio. Prime indicazioni in materia di maternità, paternità e congedo parentale”.

L’I.N.P.S., con il messaggio n. 3066/2022, fornisce le prime indicazioni rilevanti ai fini del riconoscimento delle indennità previste dal D. Lgs. n. 105/2022, entrate in vigore dal 13.08.2022.

Tra le novità principali, è previsto il congedo di paternità obbligatorio di 10 giorni fruibile dal padre lavoratore dipendente tra i due mesi precedenti e i cinque successivi al parto, anche in caso di nascita o morte perinatale del bambino. I giorni di congedo sono fruibili dal padre anche durante il congedo di maternità della madre lavoratrice e sono compatibili con la fruizione (non negli stessi giorni) del congedo di paternità cosiddetto “alternativo”.

In caso di parto plurimo, la durata del congedo è aumentata a 20 giorni lavorativi.

Per le lavoratrici autonome il diritto all’indennità giornaliera è ora riconosciuto anche nei periodi antecedenti i due mesi prima del parto, in caso di “gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza”, accertate dalla ASL.

Per quanto riguarda il congedo parentale, il diritto all’indennità viene esteso fino ai 12 anni d’età del bambino, rispetto ai sei anni precedentemente previsti, con una diversa ripartizione dei periodi indennizzabili che complessivamente possono arrivare fino a un massimo di nove mesi e non più sei.

L’Istituto fornirà ulteriori istruzioni in una circolare che dovrebbe essere pubblicata a breve.

I.N.P.S., Circolare n. 94 del 2 agosto 2022: ” Obbligo della certificazione verde COVID-19 (c.d. green pass) sui luoghi di lavoro sino al 30 aprile 2022. Indicazioni operative sul trattamento economico e giuridico dei periodi di assenza ingiustificata o sospensione per i lavoratori dipendenti pubblici e privati. Effetti sulle prestazioni previdenziali ai lavoratori del settore privato aventi diritto alle tutele riconosciute dall’INPS”.

Con la Circolare n. 94/2022 l’I.N.P.S. si sofferma sulle ricadute derivanti dalla mancanza della certificazione verde (il cd. green pass) relativa ai tempi in cui la pandemia da Covid 19 si è manifestata in modo più accentuato.

Come si ricorderà, tra le varie misure che furono adottate dal Governo per tutelare la salute pubblica figurava anche l’obbligo di possesso del green pass sui luoghi di lavoro, la cui mancanza impediva l’accesso in azienda ai dipendenti, che quindi non potevano svolgere la propria attività lavorativa.

L’interdizione obbligatoria dal lavoro veniva trattata inizialmente come assenza ingiustificata, senza retribuzione.

Dopo il quinto giorno, perdurando la mancanza del green pass, il datore di lavoro aveva la facoltà di sospendere il rapporto di lavoro senza emolumenti, con diritto alla conservazione del posto e senza la possibilità di applicare sanzioni disciplinari.

L’Istituto ricorda che la mancata erogazione della retribuzione a seguito di assenza ingiustificata ha comportato, per il datore di lavoro, anche il venir meno dell’obbligo di versamento dei contributi.

Anche la sospensione del rapporto di lavoro determina il venir meno del pagamento della retribuzione e del versamento dei contributi.

Per tutti i tipi di apprendistato, i giorni di assenza ingiustificata e di sospensione non offrono la possibilità di prolungare il periodo del contratto formativo.

Ciò in quanto, si legge nella circolare, il mancato possesso del green pass non può essere assimilato a una causa involontaria di sospensione del rapporto di lavoro.

Per quanto attiene all’intervento degli ammortizzatori sociali, l’Istituto ricorda che – trattandosi di assenze originatesi da cause ascrivibili ai lavoratori – gli stessi non possono essere stati destinatari di integrazioni salariali.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, ordinanza 24 agosto 2022, n. 25287

Illegittimo il licenziamento del lavoratore allontanatosi dal luogo di lavoro per andare in palestra se la condotta è stata rilevata a seguito di controllo tramite agenzia investigativa esterna.

E’ stato accolto, dalla Corte di Cassazione, il ricorso promosso da un bancario contro la decisione di merito confermativa del licenziamento disciplinare intimatogli dall’istituto di credito, datore di lavoro.

Al dipendente, la cui attività lavorativa era connotata da una certa flessibilità riguardo all’orario e alla sede di svolgimento delle mansioni, era stato addebitato di essersi allontanato dal luogo di lavoro, in orario lavorativo, per compiti estranei al suo inquadramento professionale.

Tale condotta era stata accertata mediante controlli effettuati da agenzia investigativa, la quale aveva registrato incontri estranei all’area di lavoro (supermercati e palestre), non connessi all’attività lavorativa del prestatore, in luoghi distanti anche decine di chilometri dalla sede lavorativa.

Le investigazioni che avevano interessato il ricorrente erano sorte nell’ambito di una più ampia indagine su una collega, avente ad oggetto la violazione dei permessi di cui alla L. n. 104/1992, collega con la quale il deducente era stato ripreso più volte.

La Corte d’Appello aveva ritenuto legittimi i predetti controlli, giudicando infondati anche i rilievi sollevati dal lavoratore in ordine al mancato rispetto dell’obbligo di consegna, al medesimo, della connessa documentazione.

L’uomo si era rivolto alla Suprema corte, lamentando, tra i motivi, violazione e falsa applicazione di legge in relazione al controllo della prestazione lavorativa mediante investigatori privati esterni: secondo la sua difesa, il predetto controllo avrebbe dovuto limitarsi agli atti illeciti non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione da parte del lavoratore, non potendo sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello Statuto dei lavoratori al controllo diretto del datore e dei suoi collaboratori.

Le relative doglianze sono state accolte dalla Corte di Cassazione, pronunciatasi, nella vicenda in esame, con l’ordinanza n. 25287/2022.

In primo luogo, gli Ermellini hanno rammentato i principi già enunciati in sede di legittimità in ordine alla portata degli artt. 2 e 3 della L. n. 300/1970, che delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore e in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, vale a dire per scopi di tutela del patrimonio aziendale e di vigilanza dell’attività lavorativa.

Secondo la Corte di Cassazione, tali disposizioni non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti esterni – quale, come nella specie, l’agenzia investigativa – sebbene il controllo non possa riguardare, in alcun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, sottratta a tale vigilanza.

Il controllo esterno, dunque, deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione.

In tale contesto, l’attività investigativa mediante controllo esterno, anche se occasionata da analogo e legittimo controllo nei confronti di altro dipendente, esplicandosi nell’orario di lavoro del ricorrente, ossia durante l’espletamento della sua attività lavorativa, finisce con l’incidere direttamente e, quindi, al di fuori de limiti consentiti, su detta attività.

Per finire, la Corte di Cassazione ha riconosciuto fondato anche il motivo di impugnazione riguardante la mancata consegna, al dipendente, della documentazione relativa al controllo effettuato.

Sul punto, i giudici di Piazza Cavour hanno ricordato la necessità, nell’ambito del procedimento disciplinare, che il datore di lavoro, pur non essendovi obbligato, offra all’incolpato la documentazione necessaria al fine di consentirgli un’adeguata difesa, e ciò in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

Corte di Cassazione, ordinanza 11 agosto 2022, n. 24697

Non basta la presentazione di un certificato medico in caso di malattia del lavoratore all’estero.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24697/2022, ha ribadito che, in base alla Convenzione dell’Aja sull’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, la dispensa dalla legalizzazione del certificato estero è condizionata al rilascio, da parte dell’autorità designata dallo Stato di formazione dell’atto, di apposita “Apostille“, da apporre sull’atto stesso.

Senza tale forma di autenticità del documento, il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti da un pubblico ufficiale di uno Stato estero, pur aderente alla Convenzione.

Nel caso di specie, una dipendente di una società di pulizie era stata licenziata per motivi disciplinari senza preavviso per assenza ingiustificata.

In particolare, la lavoratrice, nel periodo in contestazione, si trovava in Marocco e a giustificazione della propria assenza aveva inviato al datore di lavoro due certificati medici, debitamente tradotti in italiano, ma privi della “Apostilla“.

La Corte d’Appello aveva dichiarato illegittimo e annullato il licenziamento della dipendente e ordinando al datore di reintegrarla nel posto di lavoro.

Per le ragioni suesposte la Corte di Cassazione ha cassato la pronuncia di merito.

Corte di Cassazione, ordinanza 18 luglio 2022, n. 22484

Assenza alla visita fiscale perché sotto la doccia: non c’è rilevanza disciplinare.

L’obbligo di cooperazione che grava sul lavoratore in malattia, pur rilevando anche sul piano contrattuale del rapporto di lavoro, non può essere esteso fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore stesso di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all’interno delle pareti domestiche.

Immagine che contiene interni

Descrizione generata automaticamenteIl principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza di rigetto del ricorso proposto da una società datrice di lavoro avverso la decisione della Corte d’Appello.

Quest’ultima aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso di un lavoratore e, annullata la sanzione disciplinare del richiamo scritto irrogata, aveva condannato la società a corrispondere al ricorrente l’indennità di sala operatoria, sospesa in quanto il regolamento contrattuale ne condizionava l’erogazione all’assenza di provvedimenti disciplinari.

I giudici del gravame avevano accertato, in fatto, che il lavoratore, assente per malattia, al momento della visita di controllo non aveva sentito suonare il campanello di casa perché sotto la doccia e ciò aveva impedito l’accesso del medico fiscale nell’abitazione; il dipendente, inoltre, si era immediatamente attivato, manifestando piena disponibilità a consentire l’accertamento ed aveva anche inviato tempestiva comunicazione dell’accaduto agli organi preposti.

Sulla scorta di tanto, la Corte d’Appello aveva ritenuto che, in relazione alle circostanze del caso concreto, dovesse essere esclusa la rilevanza disciplinare della condotta, non risultando violati gli obblighi esigenza e di esecuzione del contratto secondo buona fede.

La società datrice di lavoro ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, sostenendo che il mancato rispetto della reperibilità costituisce inadempimento contrattuale sanzionabile in sé, ossia a prescindere dalla presenza o meno dello stato di malattia, perché il lavoratore ha nei confronti del datore un dovere di cooperazione e pertanto, anche nel domicilio, è tenuto ad astenersi da condotte che impediscano l’accesso al medico della struttura pubblica.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo di ricorso, evidenziando che non tutte le condotte che rilevano nei rapporti con l’istituto previdenziale e che possono determinare decadenza dal beneficio comportano anche una responsabilità disciplinare.

Né l’assenza alla visita domiciliare di controllo, annoverata fra le condotte di rilievo disciplinare dal CCNL richiamato dalla società, può ritenersi concettualmente coincidente con il tenere una condotta, all’interno delle pareti domestiche, che si riveli di ostacolo all’accesso del medico competente.

Quest’ultima può, difatti, essere equiparata al mancato rispetto delle fasce di reperibilità nei rapporti con l’istituto previdenziale, non già ai fini disciplinari, per i quali occorre accertare che in concreto la condotta integri una violazione degli obblighi che dal rapporto scaturiscono.

Nel caso in argomento, secondo la Corte, il giudice del merito ha applicato i richiamati principi, atteso che, dopo aver accertato che il lavoratore era presente all’interno delle pareti domestiche, per escludere che la condotta tenuta dallo stesso fosse stata contraria agli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede, ha correttamente valutato tutte le circostanze del caso concreto, compresa l’immediata attivazione del medesimo.

T.A.R. Emilia – Romagna, sentenza 29 luglio 2022, n. 618

Giusto il diniego dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro per la geolocalizzazione dei veicoli aziendali se non c’è la valutazione di impatto.

L’azienda multiservizi che vuole razionalizzare la gestione del proprio parco veicoli può utilizzare anche strumenti di geolocalizzazione satellitare, ma prima dovrà perimetrare bene il corretto trattamento dei dati personali anche con una obbligatoria valutazione di impatto privacy da presentare alle rappresentanze sindacali o all’Ispettorato del Lavoro.

Lo ha evidenziato il Tar Emilia-Romagna, sez. II, con la sentenza n. 618/2022.

Una società partecipata che si occupa della distribuzione dell’acqua nell’area ferrarese ha richiesto senza successo all’Ispettorato del Lavoro il via libera per l’impiego di nuovi sistemi di geolocalizzazione dei veicoli.

Contro il conseguente diniego la società ha proposto censure al collegio che ha accolto le doglianze annullando il rigetto e fornendo all’ispettorato utili indicazioni argomentative per rivalutare i processi di autorizzazione.

L’approfondimento più interessante messo in campo riguarda il corretto bilanciamento di tutti gli interessi in gioco.

Solo una valutazione obbligatoria di impatto privacy può aiutare l’interprete a comprendere fino in fondo la complessità di questi processi.

Per cui l’Ispettorato dovrà rivalutare l’istanza alla luce dei principi del regolamento europeo.

NEWSLETTER n. 8/2022

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Legge 15 luglio 2022, n. 91, di conversione del D.L. 17 maggio 2022, n. 50, recante: “Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina».

In vigore ed efficace dal 16 luglio 2022 la L. n. 91/2022, che converte con modificazioni il DL n. 50/2022 (cd. decreto Aiuti), mediante il quale erano state assunte misure urgenti di sostegno ai settori dell’economia e ai percettori di reddito maggiormente colpiti dagli effetti della crisi politica e militare in Ucraina, fra le quali avevamo in particolare segnalato l’erogazione di un bonus una tantum di 200 euro a favore dei lavoratori dipendenti, a particolari e ben definite condizioni.

In sede di conversione in legge sono state apportate alcune modifiche al decreto di interesse per le materie di lavoro:

Legge 29 giugno 2022, n. 79, di conversione del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, recante: “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)».

Nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 29 giugno 2022 è stata pubblicata la legge n. 79/2022, di conversione, con modificazioni, del DL n. 36/ 2022 (cd. “Decreto PNRR“).

Per quanto riguarda le disposizioni di interesse in materia di lavoro, la legge di conversione, in vigore dal 30 giugno 2022, ha previsto una modifica all’art. 20 del DL n. 36/2022, specificando che l’INAIL promuove appositi protocolli di intesa con aziende e grandi gruppi industriali per l’attivazione di programmi, progetti e iniziative volte al contrasto del fenomeno infortunistico e al miglioramento degli standard di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, con il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Nessuna modifica è stata invece apportata alle misure di cui agli artt. 19 (Portale nazionale del sommerso) e 34 (Rafforzamento del sistema di certificazione della parità di genere).

Decreto 29 aprile 2022 recante:”Parametri per il conseguimento della certificazione della parita’ di genere alle imprese e coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e consiglieri territoriali e regionali di parita’.”

Il Dipartimento per le Pari Opportunità, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 1° luglio 2022, il decreto 29 aprile 2022 che fornisce i parametri per il conseguimento della certificazione della parità di genere alle imprese e coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e consiglieri territoriali e regionali di parità.

Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 205 del 29 ottobre 2021, pubblicato il 18 luglio 2022. Comunicazione dei rapporti di lavoro in regime di codatorialità.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato, in data 18 luglio 2022, il Decreto n. 205 del 29 ottobre 2021, che definisce le modalità operative per la comunicazione dei rapporti di lavoro in regime di codatorialità da parte dell’impresa referente individuata nell’ambito di contratti di rete stipulati ai sensi dell’articolo 3, commi 4-ter e 4-sexies, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33.

Il decreto disciplina, altresì, le modalità di comunicazione dei lavoratori in distacco, ai sensi dell’articolo 30, comma 4-ter, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, nell’ambito di un contratto di rete.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 1451 dell’11 luglio 2022:”art. 1, commi 723-726, n. L. 234/2022 – tirocini extracurriculari – regime intertemporale

La Direzione Centrale coordinamento giuridico, dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), ha emanato la nota n. 1451 dell’11 luglio 2022, con la quale fornisce alcuni chiarimenti in merito alla disciplina applicabile ai tirocini extracurriculari iniziati prima e proseguiti dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di cui ai commi da 721 a 726 dell’art. 1 della L. n. 234/2021, nonché agli eventuali recuperi contributivi derivanti da tirocini svolti in modo “fraudolento”.

Come già evidenziato con nota prot. 530 del 21 marzo u.s., il comma 723 dell’art. 1 della L. n. 234/2021 stabilisce espressamente che “il tirocinio non costituisce rapporto di lavoro e non può essere utilizzato in sostituzione di lavoro dipendente. Se il tirocinio è svolto in modo fraudolento, eludendo le prescrizioni di cui al periodo precedente, il soggetto ospitante è punito con la pena dell’ammenda di 50 euro per ciascun tirocinante coinvolto e per ciascun giorno di tirocinio, ferma restando la possibilità, su domanda del tirocinante, di riconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a partire dalla pronuncia giudiziale”.

Al fine chiarire se tale disposizione risulti applicabile anche ai rapporti svoltisi “a cavallo” dell’entrata in vigore della L. n. 234/2021, occorre anzitutto evidenziare che trattasi di illecito di natura permanente.

Del resto, anche con circ. n. 3/2019, seppur con riferimento al reato di somministrazione fraudolenta, è stato evidenziato che la natura permanente di un illecito è caratterizzata “da un intento elusivo di norme contrattuali o imperative che trova ragione d’essere in una apprezzabile continuità dell’azione antigiuridica. La natura permanente dell’illecito, comporta che l’offesa al bene giuridico si protrae per tutta la durata della somministrazione fraudolenta, coincidendo la sua consumazione con la cessazione della condotta la quale assume rilevanza sia ai fini della individuazione della norma applicabile, sia ai fini della decorrenza del termine di prescrizione”.

Pertanto, richiamando i medesimi principi, appare possibile evidenziare che, nell’ipotesi tirocini extracurriculari proseguiti e/o conclusi dopo il 1° gennaio 2022, data di entrata in vigore della L. n. 234/2021, sia applicabile il trattamento sanzionatorio previsto dal comma 723, ove il tirocinio stesso risulti svolto in modo fraudolento.

In relazione alla corretta commisurazione della sanzione penale (ammenda di 50 euro per ciascun tirocinante coinvolto e per ciascun giorno di tirocinio) appare necessario, ancora una volta, riferirsi a quanto già chiarito con la citata circ. n. 3/2019.

Più in particolare, alla luce dei principi di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, c.p. nonché degli orientamenti giurisprudenziali sul punto (v. Cass. sent. n. 16831/2010), si deve ritenere che il reato di cui al comma 723 si possa configurare solo a decorrere dal 1° gennaio 2022, con conseguente commisurazione della relativa sanzione per le sole giornate che decorrono da tale data.

Con riferimento alla natura fraudolenta del tirocinio, ai fini della contestazione del reato in questione, è poi sufficiente provare che il rapporto di tirocinio si è svolto come un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato. Ciò in quanto la fraudolenza consiste, secondo il dettato normativo, proprio nell’avvalersi di lavoratori nella veste di tirocinanti.

Diversamente, non potranno trovare applicazione le sanzioni amministrative di norma applicabili per le ipotesi di riqualificazione del rapporto di lavoro in termini di subordinazione (omessa comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro e omessa consegna della dichiarazione di assunzione).

Attesa la natura permanente dell’illecito in questione e una ricostruzione unitaria dell’intero rapporto in termini di irregolarità, non può che trovare applicazione anche l’ultimo periodo del comma 723 il quale fa salva la possibilità, su domanda del tirocinante, di riconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a partire dalla pronuncia giudiziale. Sul punto la citata nota prot. n. 530 ha infatti sottolineato che è il solo tirocinante a valutare una richiesta in tal senso, che andrà evidentemente a condizionare il rapporto di tirocinio nella sua unitarietà, ossia fin dall’instaurazione, anche se avvenuta in data antecedente al 1° gennaio 2022.

Ciò, tuttavia, non vale con riferimento ai profili previdenziali ed ai conseguenti recuperi contributivi, derivanti da un rapporto di tirocinio che, di fatto, ha simulato un effettivo rapporto di lavoro subordinato.

In tal caso, come evidenziato con circ. n. 10/2018, va considerato che il rapporto previdenziale intercorrente tra datore di lavoro e Istituto trova la propria fonte nella legge e presuppone  esclusivamente l’instaurazione di fatto di un rapporto di lavoro. Il rapporto previdenziale è quindi sottratto alla disponibilità delle parti (v. ad es. Cass. sent. n. 5551 del 1° marzo 2021) ed il conseguente recupero contributivo non può ritenersi condizionato dalla scelta del lavoratore di adire l’A.G. per ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro in capo al soggetto ospitante.

I.N.P.S., Messaggio n. 2766 del 11 luglio 2022: ”Legge 30 dicembre 2021, n. 234. Incentivo per l’assunzione di beneficiari del Reddito di cittadinanza ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26. Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti”.

L’INPS, con il messaggio n. 2766 dell’11 luglio 2022, fornisce alcuni chiarimenti interpretativi in merito alle modifiche previste dall’articolo 1, comma 74, lettera g), numero 1), della legge di Bilancio 2022 al comma 1 dell’articolo 8 del decreto-legge n. 4/2019, in materia di esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore, in caso di assunzione di quest’ultimo con contratto di lavoro subordinato.

La novella legislativa innova la previgente disciplina per due ordini di motivi:

L’Inps, inoltre, comunica la modifica del modulo telematico di domanda per il riconoscimento dell’esonero in oggetto denominato “SRDC – Sgravio Reddito di Cittadinanza – art. 8 del d.l. n. 4/2019” presente nella sezione “Portale delle Agevolazioni” (ex sezione DiResCo), al fine di recepire le modifiche sopra descritte, sia in ordine all’estensione delle fattispecie contrattuali incentivabili, sia rispetto all’introduzione dell’esonero in esame per le agenzie per il lavoro.

Al riguardo, precisa che l’importo dell’incentivo, riconosciuto dalle procedure telematiche, costituirà l’ammontare massimo dell’agevolazione che potrà essere fruita nelle denunce contributive.

Lo sgravio sarà riconosciuto in base alla minore somma tra il beneficio mensile del Rdc spettante al nucleo familiare, il tetto mensile di 780 euro e i contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore.

Pertanto, nelle ipotesi di assunzione a tempo pieno e successiva trasformazione in part-time, sarà onere del datore di lavoro, eventualmente, riparametrare l’incentivo spettante in base ai contributi effettivamente dovuti e fruire dell’importo ridotto.

Consiglio dei Ministri, Seduta n. 87 del 7 luglio 2022. Schema di Decreto Legislativo recante:Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36 in attuazione dell’articolo 5 della legge 8 agosto 2019 n. 86, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici nonché di lavoro sportivo”.

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta n. 87 del 7 luglio 2022, ha approvato, come esame preliminare, lo Schema di Decreto Legislativo “correttivo” al lavoro sportivo contenente misure di semplificazione e di contenimento degli oneri (contributivi e fiscali), per le prestazioni professionali, al fine di rendere l’impatto della riforma del 2021 più sostenibile per associazioni e società dilettantistiche.

Di seguito le novità:

  • possono iscriversi al Registro delle attività sportive dilettantistiche anche le cooperative e gli Enti iscritti al Registro Unico Nazionale del Terzo settore (RUNTS), laddove esercenti come attività di interesse generale l’organizzazione e la gestione di attività sportive dilettantistiche;
  • ampliata la facoltà di auto-destinazione degli utili per società e associazioni dilettantistiche;
  • si amplia la nozione di lavoratore sportivo, al fine di includere anche nuove figure, necessarie e strumentali allo svolgimento delle attività sportive;
  • precisati, nell’area del dilettantismo, i presupposti per l’instaurazione di rapporti lavoro sportivo autonomo, nella forma di collaborazione coordinata e continuativa;
  • digitalizzazione degli adempimenti connessi alla costituzione dei rapporti di lavoro sportivo, attraverso il Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche;
  • definita la figura del volontario sportivo;
  • consentita la sottoscrizione di contratti di apprendistato professionalizzante con giovani a partire dall’età di 15 anni;
  • agevolazioni fiscali e contributive per i lavoratori sportivi, e per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale, nell’area del dilettantismo;
  • anticipata l’abolizione del vincolo sportivo, nell’area del dilettantismo.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, ordinanza 13 luglio 2022, n. 22094

Legittimo il licenziamento della lavoratrice che rifiuta di sottoporsi alla visita medica disposta dall’azienda in vista dell’assegnazione di nuove mansioni.

Una lavoratrice era stata licenziata per essersi rifiutata di sottoporsi alla visita medica organizzata dal datore di lavoro che intendeva assegnarle nuove mansioni. Tribunale e Corte d’appello avevano rigettato l’impugnativa del licenziamento, ritenendo ingiustificato il rifiuto opposto dalla lavoratrice, che aveva motivato l’indisponibilità all’accertamento medico affermando che lo stesso sarebbe stato finalizzato all’assegnazione di un incarico non in linea con la propria professionalità. La Corte di Cassazione conferma la valutazione dei giudici di merito, sottolineando, da un lato, che disponendo la visita medica il datore di lavoro si era limitato ad adempiere a un obbligo previsto dalla legge a tutela della sicurezza dei lavoratori, e, dall’altro lato, che la dipendente avrebbe in ogni caso potuto impugnare l’asserito illecito demansionamento davanti agli organi competenti.

Corte di Cassazione penale, sentenza 2 luglio 2022, n. 25306

Cassazione: RdC – reclusione per i beneficiari che non dichiarano lo svolgimento di attività lavorativa

Con sentenza n. 25306 del 4 luglio 2022, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna alla pena di un anno e otto mesi di reclusione in relazione al reato di cui all’articolo 7, comma 2, della Legge 28 marzo 2019, n. 26 (di conversione del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4), per avere, quale percettore di reddito di cittadinanza, omesso di comunicare l’avvenuta assunzione o, comunque, lo svolgimento di attività lavorativa, presso una ditta, ciò indipendentemente dal fatto che il rapporto di lavoro sia stato svolto in maniera irregolare.

Corte di Cassazione, sentenza 30 giugno 2022, n. 20823

La Cassazione torna a pronunciarsi sulla ripartizione dell’onere probatorio allorché il lavoratore lamenti un danno biologico per aver operato in un ambiente insalubre.

Riformando la sentenza di primo grado, la Corte d’appello aveva respinto la domanda risarcitoria formulata dai dipendenti di una impresa operante nel settore della costruzione e della manutenzione di reti elettriche, che chiedevano la condanna del datore di lavoro al pagamento del danno biologico differenziale derivato dall’espletamento dell’attività di lavoro in assenza delle necessarie condizioni di sicurezza. I giudici di secondo grado, nel motivare la decisione, avevano affermato che i lavoratori, sui quali ricadeva il relativo onere, non avevano fornito la prova di specifiche omissioni datoriali nella predisposizione delle misure di sicurezza richieste dalla particolarità delle lavorazioni svolte. La Cassazione, accogliendo il ricorso dei lavoratori, rileva come il ragionamento della Corte d’appello in punto di ripartizione dell’onere probatorio si ponga in contrasto con l’orientamento da tempo consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il lavoratore che lamenti di aver subito un danno alla salute nell’espletamento delle proprie mansioni è tenuto esclusivamente a provare (i) l’esistenza del danno, (ii) la nocività dell’ambiente di lavoro e (iii) il nesso tra danno e ambiente nocivo. Una volta che il lavoratore abbia fornito tale prova, grava invece sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie a evitare il verificarsi del danno.

Corte di Cassazione penale, sentenza 24 giugno 2022, n. 24388

Integra gli estremi del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro la condotta del datore di lavoro che impone la trasformazione del contratto in part-time, continuando a far lavorare i dipendenti a tempo pieno, senza pagare le ore eccedenti

Nell’ambito di un procedimento penale per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro a carico dei legali rappresentanti di una rosticceria, la Cassazione, nel rigettare il ricorso degli indagati avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame aveva confermato il sequestro preventivo della somma di oltre 180 mila euro, quale ingiusto profitto rappresentato dalle retribuzioni non corrisposte alle dipendenti del locale, rileva come il Tribunale abbia correttamente considerato indici di una condizione di sfruttamento, rilevante ai sensi del delitto previsto dall’art. 603 bis c.p., il fatto che (i) tutti i lavoratori, dopo aver subito una modifica unilaterale del contratto di lavoro, da full-time a part-time, abbiano continuato a lavorare per un numero di ore corrispondenti al contratto a tempo pieno, percependo la retribuzione prevista dal CCNL per i contratti a tempo parziale, e che (ii) ai lavoratori non fosse consentito usufruire delle ferie, dei giorni di assenza e dei permessi previsti dalla contrattazione collettiva, essendo costretti a lavorare fino a 48 ore settimanali in alta stagione.

Corte di Cassazione, ordinanza 23 giugno 2022, n. 20313

Una nuova pronuncia della Cassazione sulla deduzione dell’aliunde perceptum o percipiendum dall’indennità risarcitoria da licenziamento annullato ex art. 18, 4° comma, S.L.

In un giudizio che aveva visto il Tribunale e la Corte d’appello dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimato, nell’ambito di un licenziamento collettivo, a una assistente di volo per violazione dei criteri di scelta, con conseguente condanna del datore di lavoro alla reintegrazione della dipendente e al pagamento alla stessa di un’indennità risarcitoria nella misura massima di 12 mensilità, la Cassazione torna a occuparsi del tema relativo alla deduzione dall’indennità risarcitoria dell’aliunde perceptum e percipiendum. Sul punto, la Corte ribadisce quanto già statuito nella recentissima Cass. 3824/22, spiegando che il giudice, per determinare l’entità dell’indennità da corrispondere al lavoratore, deve, in primo luogo, calcolare la retribuzione spettante al lavoratore per l’intero periodo di estromissione (vale a dire dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione); da tale somma deve quindi sottrarre quanto il lavoratore ha percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum), o avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (aliunde percipiendum), nel corso del medesimo periodo; se il risultato di questo calcolo – che fornisce l’entità complessiva del danno concretamente sofferto dal lavoratore in ragione del licenziamento illegittimo – è superiore o uguale all’importo corrispondente a 12 mensilità di retribuzione, l’indennità va riconosciuta in misura pari a tale tetto massimo. Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva disatteso tale principio, operando la detrazione dell’ aliunde perceptum direttamente sul tetto massimo delle 12 mensilità, anziché sul danno complessivamente sofferto dal lavoratore per la perdita delle retribuzioni nell’intero periodo di estromissione: per tale ragione, la Cassazione annulla la decisione di merito affidando al giudice del rinvio il compito di determinare correttamente l’indennità risarcitoria spettante alla ricorrente.

Corte di Cassazione, ordinanza 17 giugno 2022, n. 19621

Spetta il risarcimento del danno morale agli eredi dell’operaio che abbia svolto la propria prestazione lavorativa all’interno di un ambiente insalubre.

Gli eredi di un calderaio che, dopo oltre vent’anni di esposizione professionale ad amianto, aveva contratto un carcinoma del pancreas e sofferto di problemi polmonari e angina pectoris, avevano agito nei confronti dell’ex datore di lavoro dell’operaio per ottenere il risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale sofferto dal proprio congiunto. La domanda era stata respinta sia dal Tribunale, sia dalla Corte d’appello, che, con specifico riferimento al danno morale, avevano affermato che per provare tale tipologia di danno non è sufficiente dimostrare che la prestazione lavorativa è stata svolta all’interno di un ambiente inquinato, ma occorre anche provare l’effettività del turbamento psichico sofferto. La Cassazione, accogliendo sul punto il ricorso degli eredi e dando continuità a un’ormai consolidata giurisprudenza in materia, afferma viceversa che il danno morale, costituendo un patema d’animo non accertabile con metodi scientifici, può ben essere dimostrato facendo ricorso a presunzioni, da costruirsi sulla base di nozioni di comune esperienza, come quella – operante nel caso concreto – secondo cui chi, per anni, è sottoposto a condizioni lavorative insalubri subisce uno sconvolgimento dell’ordinario stile di vita, che merita d’essere risarcito indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato.

Corte di Cassazione, sentenza 28 marzo 2022, n. 9931.

Licenziamento disciplinare: la riconducibilità della condotta contestata alle tipizzazioni del CCNL rientra nella discrezionalità del Giudice

Nel giudizio di impugnazione del licenziamento per giusta causa, il Giudice ha la libertà di potersi “svincolare” dalle tipizzazioni del CCNL dichiarando la legittimità del licenziamento ove consideri la condotta contestata, seppur sanzionabile deal CCNL con un provvedimento conservativo, di gravità tale da non consentite la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro.

Applicando tale principio, la Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato ad un medico psichiatra – dipendente di un’azienda ospedaliera – per aver intrattenuto, con una paziente dell’azienda ospedaliera affidata alle sue cure, un rapporto estraneo alla normalità e teso ad ottenere, approfittando della sudditanza che la paziente aveva nei suoi confronti, un rapporto di natura sessuale. Il medico aveva impugnato il recesso sostenendo – tra l’altro – che le condotte addebitate rientravano nella fattispecie della “molestia personale anche con carattere sessuale” sanzionata espressamente dal CCNL con la sanzione conservativa della sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino ad un massimo di sei mesi.

Sennonché la Cassazione, confermando le sentenze di primo e secondo grado, ha ritenuto che la condotta commessa dal lavoratore non fosse sussumibile nella tipizzazione della “molestia sessuale” poiché il dipendente non si era limitato a ledere “la sfera personale e sessuale della paziente“, ma aveva violato gli “obblighi fondamentali della relazione fra medico psichiatra e paziente” e le norme deontologiche. Sicché la condotta contestata era stata ritenuta integrare una fattispecie più grave sanzionabile con il recesso in tronco ai sensi di una previsione residuale del CCNL che autorizzava il datore a licenziare in tronco il dipendente in “tutti i casi di atti e comportamenti (…)  di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto.”.

In altre parole, la Suprema Corte ha affermato il principio – già sostenuto in precedenti pronunce (Cass. 7 maggio 2020 n. 8621; Cass. 7 maggio 2015 n. 9223/2015) – per cui il licenziamento per giusta causa è legittimo nei casi in cui una condotta – anche se sanzionabile dal CCNL con un provvedimento conservativo – è posta in essere con modalità tali da renderla particolarmente grave tanto da integrare giusta causa di recesso.

Corte d’appello di Bologna, 14 luglio 2022

Le indennità di cassa e di trasferta hanno natura retributiva e rientrano nella responsabilità solidale del committente.

Il Tribunale, riconoscendo la natura retributiva delle indennità di cassa e di trasferta non corrisposte al lavoratore nel corso del rapporto di lavoro con la società appaltatrice, condanna la committente alla corresponsione delle stesse ai sensi dell’art. 29, c. 2, d.lgs. 276/2003. In particolare, il Giudice ha ritenuto che l’indennità di cassa costituisca retribuzione in quanto voce riferita alla normalità del maneggio denaro; l’indennità di trasferta, invece, ha natura retributiva in quanto, nel caso di specie, le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (sempre fuori dal comune in cui aveva sede la società) rendono tale emolumento sistematico e non discontinuo.

Tribunale di Bergamo, 30 giugno 2022

Scatta la disciplina del lavoro subordinato, come collaborazioni etero-organizzate, per gli addetti alla promozione degli operatori telefonici, se non svolte in modalità outbound.

La lavoratrice, collaboratrice coordinata e continuativa addetta alla promozione di prodotti e offerte per la telefonia all’interno di uno stand nei corridoi di un centro commerciale, ha adito il Tribunale del Lavoro chiedendo l’applicazione dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs 81/15, ritenendo di essere etero-organizzata.

Il Giudice, dopo aver ricostruito la fattispecie giuridica richiamando l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione, ha ritenuto che “l’istruttoria testimoniale non lascia dubbi sul fatto che l’attività lavorativa della ricorrente fosse etero-organizzata dalla committente (…) trattandosi di prestazione prevalentemente personale, le cui modalità di svolgimento, quanto ai tempi e luoghi di svolgimento della prestazione erano fissate in via esclusiva dalla società”.

A nulla è valsa la tesi della società che faceva valere il regime di esenzione ex art. 2, co. 2, per sussistenza di una regolazione collettiva (accordo del 1° agosto 2013): il Tribunale ha infatti ritenuto che l’accordo collettivo invocato potesse applicarsi solo agli operatori telefonici outbound, restando invece escluse le figure di coloro che svolgono attività di promozioni tariffarie al di fuori dell’ambito del call center.

Il Giudice ha pertanto ritenuto applicabile la disciplina di cui all’art. 2, comma 1, D.lgs 81/15, condannando la datrice di lavoro al pagamento delle differenze retributive che la lavoratrice avrebbe maturato con contratto di lavoro subordinato, applicando il CCNL Commercio, VI livello.

Tribunale di Pavia, 19 aprile 2022

Omette di comunicare l’esito di un tampone: legittimo il licenziamento di un medico.

È legittimo il licenziamento di un medico che aveva omesso di comunicare l’esito di un tampone a cui si era sottoposta una dipendente della medesima struttura sanitaria.

Lo ha dichiarato il Tribunale di Pavia con la recente sentenza del 19 aprile 2022, dopo aver accertato che, in ispecie, sussistevano gli estremi della giusta causa di recesso.

Il caso in esame ha ad oggetto fatti risalenti all’ottobre-novembre 2020, allorché – in piena “seconda ondata” di Covid – il contagio determinava un concreto rischio di morire ed ogni negligenza poteva essere fatale.

Il medico licenziato, pur essendo stato incaricato della gestione delle “attività tamponi”, non aveva comunicato con immediatezza che una dipendente della struttura sanitaria – la quale si era sottoposta ad un tampone molecolare dopo aver appreso la notizia della positività di una sua collega di reparto – era risultata, a sua volta, positiva, con la conseguenza che quest’ultima, ignorando senza alcuna colpa tale circostanza, aveva continuato a lavorare a contatto con i suoi colleghi e i pazienti, con ovvi rischi di contagi.

Della positività di detta lavoratrice la struttura sanitaria era venuta a conoscenza solo in un momento successivo e, per giunta, non ad opera del sanitario a cui era stata affidato il summenzionato incarico, bensì della stessa dipendente contagiata dal Covid, la quale – non essendo stata informata del risultato del tampone – si era attivata personalmente rivolgendosi al medico competente per conoscerlo.

Con la pronuncia in esame – in relazione a cui non si rinvengono precedenti in termini – il Tribunale di Pavia ha rilevato che l’inescusabile condotta del medico era stata gravemente negligente ed aveva messo seriamente a repentaglio la salute non solo della collega contagiata, ma anche degli altri colleghi e dei pazienti.

Su tali presupposti, lo stesso ha, quindi, evidenziato che il comportamento tenuto dal sanitario – pur non essendo doloso, ma meramente colposo – aveva, comunque, leso il necessario vincolo fiduciario posto alla base di ogni rapporto di lavoro in modo irrimediabile e tale da non consentire la prosecuzione, neppure in via temporanea, del medesimo, con conseguente piena legittimità del licenziamento per giusta causa a lui irrogato.

NEWSLETTER n. 7/2022

Novità NORMATIVE

Legge 19 maggio 2022, n. 52, in G.U. 23 maggio 2022 n. 119 di conversione, con modificazioni, del D.L. 24 marzo 2022, n. 24, recante: “Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza.

Entrata in vigore il 24.05.2022, la legge n. 52/2022 converte con modificazioni il Decreto Legge n. 24/2022 (cd. decreto Riaperture), confermando in taluni casi quanto già previsto nello stesso ed introducendo in altri disposizioni aggiuntive, anche in materia di lavoro.

In particolare, all’art. 9-bis viene previsto che la formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sul lavoro possa essere erogata sia con la modalità in presenza, sia a distanza, attraverso la metodologia della videoconferenza in modalità sincrona. Rimangono escluse da qualsiasi possibile somministrazione da remoto le attività formative per le quali siano previste un addestramento o una prova pratica, che dovranno obbligatoriamente continuare a svolgersi in presenza.

Per i lavoratori dipendenti ad elevata fragilità, affetti dalle patologie e nelle condizioni tassativamente individuate dal decreto Ministero della Salute 4.02.2022, nel caso non sia possibile rendere la prestazione lavorativa in modalità agile, fino al 30.06.2022 il periodo di assenza dal lavoro verrà equiparato al ricovero ospedaliero e non sarà computato ai fini del periodo di comporto. La tutela previdenziale viene ora ristretta esclusivamente a tale categoria di lavoratori (art. 10, comma 1-bis).

I lavoratori dipendenti con disabilità con connotazione di gravità ai sensi della Legge n. 104/1992 (art. 3, comma 3) e in possesso di certificazione attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, svolgono di norma la prestazione lavorativa in modalità agile fino al 30.06.2022, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento. (art. 10, comma 1-ter).

I lavoratori fragili – ossia quelli maggiormente esposti a rischio di contagio Covid-19 in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità che possono caratterizzare una situazione di maggiore rischiosità accertata dal medico competente – hanno diritto allo smart working con modalità semplificate fino al 31.07.2022.

Per gli stessi è inoltre prorogata la sorveglianza sanitaria eccezionale al 31.07.2022. (art. 10, comma 2; allegato B).

Sempre per quanto riguarda il lavoro agile, viene prorogata fino al 31.08.2022 la possibilità per i datori di lavoro privati di usufruire della procedura semplificata, già in uso, per effettuare le comunicazioni di smart working, in via telematica, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche prescindendo dagli accordi individuali generalmente richiesti dalla normativa vigente. (art. 10, comma 2-bis).

È stato altresì prorogato al 31.07.2022 il diritto per i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14 a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, purché nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o genitore non lavoratore e tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. (art. 10, comma 2; allegato B).

Viene inoltre prorogato al 30.06.2022 il diritto allo svolgimento della prestazione in modalità di lavoro agile per i genitori lavoratori dipendenti privati che hanno almeno un figlio in condizioni di disabilità grave riconosciuta ai sensi della legge n. 104/1992, o con bisogni educativi speciali, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore non lavoratore e l’attività lavorativa non richieda necessariamente la presenza fisica. (art. 10, comma 5-quinques)

Era, infine, stato prorogato al 15.06.2022 l’obbligo di indossare le mascherine di tipo FFP2 per:

Il Consiglio dei Ministri, in data 15.06.2022, ha approvato un Decreto che, tra le altre misure, stabilisce la proroga al 30.09.2022 dell’obbligo dell’uso delle mascherine FFP2 per:

INAIL, Circolare n. 25 del 14 giugno 2022: “Semplificazioni in materia di adempimenti formali concernenti gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Utilizzo dei servizi telematici. Nuovo applicativo per l’invio dei certificati medici di infortunio sul lavoro.”.

L’INAIL ha pubblicato la circolare n. 25 del 14.06.2022, illustrando il nuovo servizio per l’invio dei certificati di infortunio sul lavoro, operativo dal 28.04.2022, che consente ai medici – compresi quelli operanti nelle strutture sanitarie e sociosanitarie – di inserire informazioni e dati riguardanti l’evento lesivo in modo strutturato e omogeneo.

Per ottenere l’abilitazione al rilascio della certificazione medica di infortunio in modalità telematica, il medico o il rappresentante legale delle strutture devono presentare apposita richiesta utilizzando la seguente modulistica, disponibile sul portale istituzionale:

Le richieste di abilitazione, corredate dalla copia del documento di identità, possono essere presentate presso le sedi territoriali Inail (Sportello Lavoratori) oppure in via telematica attraverso il servizio disponibile al seguente percorso www.inail.it>Accedi ai servizi online>Richieste di abilitazione.

La circolare, inoltre, fornisce indicazioni sulle modalità di compilazione e di trasmissione dei certificati medici.

I.N.P.S. Messaggio n. 2397 del 13 giugno 2022: ”Indennità una tantum per i lavoratori dipendenti. Articolo 31, comma 1, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50. Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti.

L’INPS, con il messaggio n. 2397 del 13.06.2022, fornisce le istruzioni per l’esposizione del credito dovuto all’erogazione dell’Indennità una tantum per i lavoratori dipendenti, da parte dei datori di lavoro, sul flusso Uniemens, previsto dall’articolo 31, comma 1, del Decreto Legge 17 maggio 2022, n. 50.

Per gli aspetti applicativi relativi all’indennità in esame e per l’indennità erogata direttamente dall’INPS ai soggetti di cui all’articolo 32 del Decreto Legge 17 maggio 2022, n. 50, l’Istituto rinvia ad una successiva circolare.

Tale indennità una tantum di 200 euro è riconosciuta in automatico, in misura fissa, una sola volta, previa acquisizione – da parte del datore di lavoro – di una dichiarazione del lavoratore con la quale lo stesso dichiari, ricorrendone le circostanze, “di non essere titolare delle prestazioni di cui all’articolo 32, commi 1 e 18”.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota n. 1074 del 24 maggio 2022: ”Permesso di soggiorno per motivi di studio e svolgimento di attività lavorativa. Limiti.”.

Con la nota in commento l’Ispettorato Nazionale del Lavoro precisa che è consentito, con il permesso di soggiorno per motivi di studio o formazione, soltanto lo svolgimento di un’attività lavorativa part-time con limiti temporali ben definiti, senza che siano quindi conformi alla normativa in questione contratti che prevedano un’articolazione oraria settimanale superiore alle 20 ore, pur restando al di sotto del limite annuale delle 1.040 ore.

In tal senso depone la circostanza che la specifica disciplina relativa agli ingressi per motivi di studio – di maggior favore rispetto a quella prevista ordinariamente per coloro che intendano fare ingresso nel territorio nazionale per finalità lavorative – risulta porsi in termini di eccezionalità rispetto al delineato sistema normativo, così da impedire una interpretazione estensiva dei limiti orari indicati.

L’Ispettorato rammenta pertanto che, qualora il titolare del permesso per motivi di studio intenda lavorare per un numero di ore superiore ai limiti anzidetti, è tenuto a richiedere, prima della sua scadenza, la conversione dello stesso in permesso per motivi di lavoro.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte Costituzionale, sentenza 16 giugno 2022, n. 150

Costituzionalmente legittima la disposizione che impone alle società cooperative che svolgono attività di somministrazione di lavoro di avere, come socio sovventore, un fondo mutualistico.

Nel dichiarare l’infondatezza della questione sollevata dal Consiglio di Stato con riguardo all’art. 5, co. 2, lett. e), d.lgs. 276/03, la Corte Costituzionale precisa che la presenza di un fondo mutualistico nella compagine sociale della società cooperativa ha la funzione di garantire i crediti del lavoratore nei confronti dell’agenzia somministratrice datrice di lavoro e che tale requisito può essere soddisfatto senza che la società cooperativa debba necessariamente aderire ad un’associazione nazionale riconosciuta per la rappresentanza del movimento cooperativo.

Corte di Cassazione, ordinanza 8 giugno 2022, n. 18427

Deve qualificarsi come azione di responsabilità contrattuale, con conseguente presunzione di responsabilità del datore di lavoro, la domanda risarcitoria del lavoratore che lamenti di aver subito un infortunio per aver operato in assenza di condizioni di piena sicurezza.

Avendo subito una lesione a un braccio a seguito del malfunzionamento dell’interruttore di spegnimento del macchinario sul quale stava operando, un lavoratore aveva convenuto in giudizio il proprio datore di lavoro per il risarcimento del danno conseguente all’infortunio. Poiché nell’atto di citazione non era stata esplicitata l’intenzione di voler proporre un’azione di responsabilità contrattuale, né era stata contestata l’inosservanza di specifiche obbligazioni contrattuali, il Tribunale e la Corte d’appello avevano qualificato la domanda come volta ad accertare una responsabilità extracontrattuale, che non era stata ritenuta provata perché il danneggiato non aveva fornito la prova né della colpa del convenuto né del nesso di causa. Secondo la Cassazione, al contrario, il ricorrente, nel contestare al datore di lavoro di non aver assicurato lo spegnimento in sicurezza del macchinario, aveva chiaramente inteso richiedere l’accertamento di una responsabilità di tipo contrattuale, fondata sull’inadempimento del generale obbligo di protezione della salute del lavoratore, con la conseguenza che sarebbe spettato al datore di lavoro dimostrare che il difettoso funzionamento del macchinario non era dovuto a un suo comportamento negligente.

Corte di cassazione, sentenza 31 maggio 2022 n. 17694

In materia di licenziamento collettivo, la comunicazione finale dei licenziati non può essere frazionata.

In una procedura di licenziamento collettivo, essendo stato stabilito come unico criterio di scelta la prossimità alla pensione e quindi una progressione dei licenziamenti a seconda del raggiungimento del requisito, la società aveva proceduto a comunicare separatamente, in tempi successivi, i singoli gruppi di licenziamenti alle OO.SS. e all’autorità. Nel giudizio d’impugnazione del licenziamento di un dipendente di un primo gruppo, la Corte afferma che la comunicazione finale deve essere tempestiva (entro sette giorni dai licenziamenti) e unitaria e riguardare sia licenziati che licenziandi, per consentire l’effettivo, tempestivo controllo dei sindacati sulla corretta applicazione dei criteri prescelti; con riflessi anche nella posizione del dipendente licenziato, in grado di procedere a una consapevole impugnazione solo se abbia avuto la possibilità di controllare tempestivamente il rispetto del criterio prescelto con riguardo a tutti i licenziabili. Dichiarato illegittimo il licenziamento, la Corte applica la tutela indennitaria, trattandosi di violazione delle regole sulla comunicazione finale.

Corte di cassazione, sentenza 31 maggio 2022 n. 17689

Illegittimo il licenziamento di un direttore generale per aver segnalato al Consiglio di amministrazione possibili reati.

Un direttore generale recentemente assunto aveva segnalato, nel corso del consiglio di amministrazione convocato per l’approvazione del bilancio del precedente anno 2012, alcune irregolarità contabili in grado di esporre la società al rischio di commettere un reato. La società lo aveva licenziato per giusta causa in quanto le critiche da lui svolte erano risultate sostanzialmente infondate. In giudizio, la Cassazione, annullando l’opposta decisione della Corte d’appello, accoglie il ricorso del dirigente, ricordando che, ancor prima che una legge del 2017 (la n. 197) disciplinasse esplicitamente la materia, la propria giurisprudenza era nel senso che le denunce penali da parte di dipendenti di reati commessi dalla società non possono dar luogo a licenziamento, anche se non siano dotate di continenza formale e sostanziale e se i fatti denunciati siano risultati non veri, salvo il caso che siano espressione di un intento persecutorio dell’agente. E ciò perché l’interesse che muove il dipendente è un interesse pubblico costituzionalmente protetto di rango superiore rispetto all’onore eventualmente leso. Questa essendo la regola, tanto più dev’essere tenuto indenne il dipendente, che prima ancora della denuncia penale, segnali il rischio alla società, come nel caso in esame.

Corte di cassazione, ordinanza 19 maggio 2022 n. 16206

Lecito il rifiuto di trasferimento, se elude l’obbligo di reintegrazione.

Un dipendente campano, destinatario di due sentenze definitive di reintegrazione, fu traferito dalla società datrice di lavoro a Torino o ad Alessandria, a sua scelta. Essendosi rifiutato di eseguire l’ordine, fu licenziato per giusta causa. In giudizio la Cassazione, condividendo la valutazione dei giudici dell’appello, annulla il licenziamento, ritenendo lecito il rifiuto, in reazione a un grave inadempimento della società, che col preteso trasferimento (comunque ingiustificato), aveva sostanzialmente eluso l’obbligo di reintegrazione.

Tribunale di Lodi, 1° giugno 2022

Tribunale di Busto Arsizio, 15 febbraio 2022

Cessione di un ipermercato: è illegittimo qualificare i diversi reparti del punto vendita come rami d’azienda, trasferendo solo il reparto “food” e senza cedere il rapporto di lavoro degli addetti al reparto dei beni non alimentari, destinato poi alla dismissione.

Le due pronunce (Tribunale di Lodi 01.06.2022 e Tribunale di Busto Arsizio 15.02.2022) intervengono su casi analoghi di ipermercati interessati da una parziale cessione di ramo d’azienda, all’esito di un piano di riorganizzazione e risanamento, nei quali veniva ceduta una parte soltanto dell’attività di vendita (distinta per generi di beni e licenze) dunque cedendo solo in parte i dipendenti. I ricorrenti agivano dunque per sentire dichiarare l’illegittimità della loro mancata inclusione nel gruppo di lavoratori il cui rapporto di lavoro era proseguito in capo alla società cessionaria. I Giudici, nell’accertare la mancanza di autonomia dei diversi reparti di vendita, tale da non poter parlare di rami d’azienda autonomi e preesistenti all’atto di cessione, nonché la mancanza di criteri obiettivi di selezione dei lavoratori trasferiti, affermano il diritto dei ricorrenti alla prosecuzione del rapporto di lavoro ex art. 2112 c.c. in capo alla cessionaria.

Tribunale di Udine, 26 maggio 2022

Ammissibili le dimissioni per facta concludentia e non telematiche

Il Tribunale di Udine ha affermato che la procedura telematica prevista dall’art. 26 del decreto legislativo n. 151/2015 e dal conseguente D.M. applicativo del Ministro del Lavoro, ha l’obiettivo di assicurare la genuinità delle dimissioni presentate dal lavoratore e, di conseguenza, intende sottolineare che il dipendente deve essere libero da condizionamenti allorquando prende la propria decisione.

La procedura, però, non si spinge ad abrogare gli effetti degli articoli 2118 e 2119 del codice civile che offrono la possibilità al lavoratore attraverso comportamenti concludenti di rassegnare “di fatto” le proprie dimissioni attraverso una serie di assenze dal posto di lavoro.

Nel merito, il giudice ha ritenuto che una lavoratrice, che non aveva effettuato la procedura, assentandosi per più giorni, con lo scopo di costringere il datore di lavoro al licenziamento per assenze ingiustificate protrattesi oltre il limite previsto dal contratto collettivo ed ottenere, di conseguenza, la NASPI, ha tenuto un comportamento illegittimo e bene ha fatto il datore di lavoro a comunicare al centro per l’impiego le dimissioni della ex dipendente che, in tal modo, non ha percepito l’indennità di disoccupazione.

Tribunale di Bari, 12 maggio 2022

Illegittimo il licenziamento per superamento del comporto, se non tempestivo.

Il Giudice accoglie il ricorso di un lavoratore che agiva per l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto ritenendolo tardivo e aderisce ad un precedente orientamento della Suprema Corte, secondo cui in casi simili occorre valutare il tempo decorso fra la data del superamento del periodo di comporto e quella del licenziamento, al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto. Nel caso di specie, il Giudice ha ritenuto il licenziamento non tempestivo alla luce del fatto che la Società datrice di lavoro fosse già al corrente dello stato di salute del ricorrente e non dovesse, pertanto, compiere alcuna valutazione in merito all’idoneità o meno del lavoratore al proseguimento del rapporto di lavoro.

Tribunale di Nola, 19 aprile 2022

Superamento periodo di comporto e natura professionale della pretesa patologia sofferta.

Il caso ha per oggetto il licenziamento intimato ad un dipendente per superamento del periodo di comporto. Il medesimo lamenta che l’assenza per malattia sarebbe stata dovuta ad una patologia imputabile alla nocività dell’ambiente di lavoro e, in particolare, alla condotta datoriale che avrebbe omesso la prescritta sorveglianza sanitaria.

Il Giudice del lavoro ha accolto le argomentazioni sollevate nell’interesse del datore di lavoro ed ha concluso per il rigetto delle domande del lavoratore. Come è noto, infatti, le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 cod. civ., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l’assenza per malattia possa essere esclusa dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa sia di natura professionale, bensì è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ.; l’onere della prova riguardo il nesso causale tra la malattia che ha determinato l’assenza e le mansioni espletate, in mancanza del quale deve ritenersi legittimo il licenziamento, è a carico del lavoratore.

Tribunale di Ancona, 27 marzo 2022

Il datore di lavoro non può utilizzare la prova testimoniale per dimostrare il pagamento della retribuzione in contanti.

Il Tribunale, chiamato a pronunciarsi sull’opposizione a decreto ingiuntivo presentata dal datore di lavoro, il quale eccepiva l’avvenuto pagamento in contanti delle retribuzioni richieste e ingiunte, ha dichiarato inammissibile la prova testimoniale richiesta a norma degli artt. 2721 e 2726 c.c. Dopo aver svolto l’attività istruttoria in merito all’effettivo svolgimento dell’attività di lavoro da parte del lavoratore, il Giudice ha affermato che la società avrebbe potuto attivarsi tempestivamente al fine di aprire il conto corrente per il pagamento mediante bonifico e che in ogni caso avrebbe potuto richiedere quietanze all’atto dei dedotti pagamenti, cosa che invece non è avvenuta.

NEWSLETTER n. 6/2022

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Garante per la protezione dei dati personali – Ordinanza ingiunzione nei confronti di Azienda ospedaliera di Perugia – 7 aprile 2022 – Registro dei provvedimenti
n. 134 del 7 aprile 2022

Il Garante della privacy, nell’ambito dello svolgimento di un ciclo di attività ispettive, ha sanzionato un’azienda ospedaliera ed il fornitore del servizio informativo per non aver rispettato gli obblighi di riservatezza posti a tutela dei lavoratori che, durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, effettuino segnalazioni di condotte illecite (cd. whistleblowing).

Le disposizioni normative attuali (L. n. 179/2017), oltre a garantire l’anonimato, dispongono un particolare regime di protezione verso il lavoratore che venga a conoscenza ed intenda segnalare l’accadimento di fatti illeciti all’interno dell’azienda ove presti la propria attività. L’imprescindibile necessità sottolineata dall’Autorità garante di assicurare la massima riservatezza del lavoratore “whistleblower” risiede proprio nelle ragioni di tutela previste.

Dai controlli effettuati, l’accesso all’applicazione web di whistleblowing predisposta dall’azienda ospedaliera, basata su un software open source, avveniva attraverso sistemi che, non essendo stati correttamente configurati, registrano e conservano i dati di navigazione degli utenti, tanto da consentire l’identificazione di chi la utilizzava, tra cui i potenziali segnalanti. La struttura sanitaria non aveva poi provveduto ad informare preventivamente i lavoratori in merito al trattamento dei dati personali effettuato per finalità di segnalazione degli illeciti, non aveva effettuato una valutazione di impatto privacy e non aveva neppure inserito tali operazioni nel registro delle attività di trattamento, strumento utile per valutare i rischi per i diritti e le libertà degli interessati.

Legge 20 maggio 2022, n. 51, di conversione del D.L. 21 marzo 2022, n. 21, recante: «Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi Ucraina».

  • pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 117 del 20 maggio 2022 ha apportato modifiche al testo del D.Lgs. n. 81/2015 (cd. T.U. sui contratti di lavoro).

Durante i lavori di conversione in legge del D.L. n. 21/2022 (c.d. Decreto energia), al Senato è stato inserito nel testo un emendamento che prevede l‘estensione della deroga al limite massimo di 24 mesi per la durata dei contratti a tempo determinato in somministrazione previsto dall’art. 19, comma 2 del D.Lgs. n. 81/2015.

In sintesi, l’art. 12 quinquies del D.L. n. 21/2022 proroga al 30.06.2024 la disciplina prevista dal comma 1 dell’articolo 31 del D.Lgs. n. 81/2015, il quale stabilisce che, qualora il rapporto di lavoro tra l’agenzia di somministrazione ed il lavoratore sia a tempo indeterminato, nel caso di stipula di un contratto di somministrazione tra l’agenzia di somministrazione e l’utilizzatore a tempo determinato, sia possibile per l’utilizzatore impiegare in missione, per periodi superiori a 24 mesi anche non continuativi, il medesimo lavoratore somministrato, senza che ciò determini in capo all’utilizzatore la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato.

Ministero del Lavoro: Protocollo salute e sicurezza sul lavoro.

I Ministeri del Lavoro e dell’Istruzione, insieme all’Ispettorato nazionale del lavoro (INL) e all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), hanno sottoscritto un Protocollo d’intesa per la promozione e la diffusione della cultura della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nell’ambito dei percorsi per le competenze trasversali e orientamento.

Il protocollo della durata triennale disciplina proposte progettuali, educative e didattiche, volte a rendere pienamente efficace l’azione di sensibilizzazione sulle tematiche e sui valori della salute e sicurezza in ogni ambiente di vita, studio e lavoro per coloro che operano nella realtà scolastica, in continuità con le esperienze già realizzate a livello nazionale e territoriale.

L’obiettivo è ridurre sistematicamente gli eventi infortunistici tramite l’utilizzo strategico di efficaci azioni di formazione e informazione, destinate ai dirigenti scolastici, ai docenti e a tutti gli studenti, in particolare a quelli che sono prossimi all’inserimento nel mondo del lavoro o che sono coinvolti nei “Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento”.

Previo coinvolgimento della Conferenza delle Regioni, le azioni e gli strumenti previsti dal Protocollo saranno proposte anche a tutti i soggetti coinvolti nell’erogazione di percorsi di alternanza, quali ad esempio tirocini curriculari e stage.

La pianificazione, programmazione e organizzazione generale dei piani di attività da realizzare è svolta attraverso un Comitato di coordinamento apposito, composto da cinque rappresentanti, di cui due per il ministero dell’Istruzione, uno per il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, uno per l’INL e uno per l’INAIL.

Le funzioni del Comitato sono:

Ispettorato Nazionale del Lavoro, comunicato stampa del 19 maggio 2022: lavoratrici madri e lavoratori padri di figli fino a tre anni di età: disponibile il modello di richiesta del colloquio online.

L’Ispettorato Nazionale del lavoro, con comunicato stampa del 19 maggio 2022, ha reso noto che, a seguito della cessazione del periodo emergenziale da COVID-19, non è più utilizzabile il modello di richiesta online di convalida delle dimissioni/risoluzioni consensuali (ex art. 55 del D.Lgs. n. 151/2001) in sostituzione del colloquio diretto della lavoratrice madre o del lavoratore padre con il funzionario dell’Ispettorato del lavoro territorialmente competente.

L’Ispettorato precisa tuttavia che è possibile effettuare il colloquio con il personale dell’ITL anche “a distanza” attraverso un apposito modello di richiesta attualmente disponibile online, che andrà trasmesso mediante posta elettronica.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di giustizia UE, sentenza 12 maggio 2022, in causa n. C-426/20.

Parità di ferie tra lavoratori somministrati e dipendenti stabili dell’impresa utilizzatrice.

La direttiva comunitaria sul lavoro interinale stabilisce che, durante la missione, le condizioni di lavoro e di occupazione dei lavoratori interinali devono essere almeno identiche a quelle applicabili qualora questi fossero dipendenti dell’impresa utilizzatrice. In un giudizio avanti il giudice portoghese, i ricorrenti, che erano stati inviati come lavoratori interinali presso un’impresa utilizzatrice per alcuni anni, sostenevano che il diritto portoghese li avrebbe discriminati rispetto ai lavoratori ordinari per quanto riguarda l’indennità per ferie non godute spettante loro alla cessazione del rapporto. Il giudice nazionale, condividendo tale interpretazione della legge, ha interrogato pertanto la Corte di giustizia per sapere se il diritto comunitario vieta una tale differenziazione. La Corte, rilevato che tra le condizioni di lavoro e occupazione di cui è assicurata la parità nel lavoro interinale sono sicuramente comprese le ferie e la relativa indennità per quelle non godute in caso di cessazione del rapporto, dichiara che la direttiva comunitaria non consente una misura nazionale del genere.

Corte costituzionale, sentenza 19 maggio 2022 n. 125

Incostituzionale la legge Fornero, laddove subordina la tutela reintegratoria per il caso di “insussistenza” del fatto alla sua natura “manifesta”.

Come noto, in materia di licenziamenti individuali per motivi economici, la legge Fornero, modificando l’art. 18 S.L., prevede che, in caso d’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, la reintegrazione è dovuta solo se l’insussistenza è manifesta, declinata dalla giurisprudenza nel senso di evidenza piena, facilmente verificabile. 

Con un’articolata sentenza, la Corte dichiara incostituzionale, per irragionevolezza in violazione dell’art. 3 Cost., la previsione di questo requisito aggiuntivo perché: 1) è indefinito, prestandosi a incertezze applicative; 2) non ha alcuna attinenza col disvalore del licenziamento intimato, che non dipende dalla maggiore facilità dell’accertamento giudiziario; 3) risulta eccentrico rispetto all’apparato delle tutele in materia, incentrato sulla diversa gravità dei vizi del licenziamento; 4) appesantisce inutilmente il processo, a causa della sua vaghezza e incoerenza.

Corte di cassazione, sentenza 18 maggio 2021 n. 15999

ll rifiuto del lavoratore part time di effettuare la prestazione a tempo pieno non può dar luogo a licenziamento disciplinare.

Salva un’ipotesi temporanea e isolata nel pubblico impiego, il rientro unilaterale dal part time al full time è previsto solo nell’interesse del lavoratore.

Una dipendente pubblica part time era stata licenziata nel 2017 perché aveva rifiutato il ritorno a tempo pieno disposto dall’Amministrazione datrice di lavoro. In giudizio, la Corte, cassando la sentenza dell’appello che aveva respinto le domande della dipendente licenziata, afferma anzitutto che per la legge italiana, che attua al riguardo una normativa comunitaria, un tale rifiuto non giustifica il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Procedendo inoltre a un’analisi della normativa italiana in materia, nella sua successione nel tempo, la Cassazione rileva che un potere della pubblica amministrazione di revoca del part time è stato previsto solo da una legge del 2010, per la durata di 180 giorni dalla sua approvazione e con esclusivo riferimento ai c.d. passaggi automatici da full time a part time effettuati prima del 2008. In tutti gli altri casi, il rientro dal part time è esclusivamente nell’interesse del lavoratore (consensuale o per precedenza nelle nuove assunzioni a tempo pieno).

Corte di cassazione, ordinanza 3 maggio 2022 n. 13895

Un caso di corretta applicazione della regola “inadimpleti non est adimplendum”.

Una lavoratrice era stata licenziata perché aveva rifiutato il trasferimento pressoché immediato da Firenze a Torino, dichiarandosi contestualmente disponibile dal giorno successivo presso la sede originaria. Nel giudizio che ne era conseguito, i giudici, valutate tutte le circostanze del caso, in particolare la notevole distanza del trasferimento presso una sede che da molto tempo non veniva coperta e che non era stata coperta neppure dopo il licenziamento nonché la violazione dell’obbligo di preavviso da parte della società, hanno ritenuto giustificato il rifiuto della lavoratrice in applicazione della regola di cui all’art. 1460 cod. civ. e hanno pertanto annullato il licenziamento, applicando al caso la tutela reintegratoria c.d. minore.

Corte di cassazione, sentenza 2 maggio 2022 n. 13774

Si consolida l’orientamento che ravvisa anche nelle clausole generali del CCNL la possibile ricorrenza di un’ipotesi di sanzione conservativa, che comporta la reintegrazione per l’illiceità del licenziamento.

Nel caso esaminato, si trattava del licenziamento per giusta causa della commessa di un centro commerciale, che in una giornata di forte afflusso della clientela, si era rivolta in maniera scortese e volgare a un cliente che pertanto si era allontanato sdegnato. In ambedue i gradi del giudizio di merito, la condotta della lavoratrice, in base ad un accertamento di fatto incensurabile in cassazione, era stato ritenuto “non grave”. In quest’ultima sede la società ha peraltro censurato l’applicazione della tutela reintegratoria, rilevando che nel CCNL non era indicata alcuna ipotesi specifica di condotta meritevole di sanzione conservativa alla quale fosse riconducibile il comportamento della dipendente. Ribadendo il recente orientamento espresso con la sentenza n. 11665/2022 (cit. al n. 8/2022), secondo cui, ai fini dell’applicazione della tutela reintegratoria contro il licenziamento disciplinare illegittimo, anche nelle clausole generali del CCNL e non solo nelle fattispecie specifiche, è possibile ravvisare la ricorrenza di ipotesi meritevoli di sanzione conservativa, la Corte valuta che la collocazione idonea della non grave violazione del dovere di cortesia verso i clienti, nella graduazione contenuta nel CCNL, sia tra le sanzioni conservative; per cui annulla il licenziamento, con la reintegrazione della lavoratrice e con una contenuta indennità risarcitoria.

Corte di cassazione, sentenza 26 aprile 2022 n. 13063

In caso di licenziamento per aver svolto attività extra lavorativa durante la malattia, grava sul datore di lavoro provare che essa abbia ritardato la guarigione.

Un datore di lavoro aveva licenziato per giusta causa un dipendente manutentore elettrico in base all’accertamento che durante un periodo di assenza per malattia: 1) aveva svolto attività extralavorativa in grado di pregiudicarne la guarigione e 2) aveva altresì omesso di comunicare il mutamento del domicilio sicché erano andate a vuoto alcune visite di controllo medico domiciliare. Quanto alla prima contestazione, la Corte, dopo avere adeguatamente illustrato i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia (in particolare, quello secondo cui non esiste un divieto assoluto per il lavoratore di svolgere attività anche in favore di terzi durante l’assenza per malattia), afferma, aderendo al più rigoroso indirizzo circa l’onere della prova nei licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo, che l’onere di provare che l’attività extralavorativa ha avuto la potenzialità di incidere negativamente sulla guarigione grava sul datore di lavoro. Quanto alla seconda questione, essendo stato accertato in giudizio che il CCNL colpisce con la sanzione conservativa una condotta più grave di quella contestata al dipendente, la Corte annulla il licenziamento e, ponendosi sulla scia della recente giurisprudenza (Cass. n. 11665 di quest’anno), sulla necessità di interpretare il contratto collettivo, l’intero contratto collettivo per definire le ipotesi in cui questo, prevedendo per una certa condotta una sanzione conservativa, esclude il licenziamento disciplinare e comporta altresì l’accesso alla tutela reintegratoria, conferma la reintegrazione del dipendente licenziato insieme alla tutela indennitaria c.d. minore.

Tribunale di Milano, 2 maggio 2022

Costituisce discriminazione indiretta computare nel comporto di malattia le assenze del disabile dovute all’handicap.

Il Tribunale dichiara nullo il licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato nei confronti di una lavoratrice disabile, qualificando come discriminazione indiretta il computo, nei giorni utili per l’integrazione del periodo di comporto, delle assenze correlate all’handicap, in quanto in violazione del principio di eguaglianza sostanziale, della Direttiva 2000/78/CE e del d.lgs. 216/2003. Il Giudice afferma che, al fine di garantire l’effettiva uguaglianza dei lavoratori, per i dipendenti assunti in categoria protetta ai fini del comporto devono computarsi solamente le assenze per eventi morbosi estranei alla disabilità, essendo quest’ultima condizione caratterizzata da un rischio maggiore di accumulare giorni di assenza. Data la rilevanza oggettiva del divieto di discriminazione, non assume rilevanza la circostanza che il datore di lavoro non avesse conoscenza della specifica natura delle malattie della lavoratrice.

Tribunale di Napoli, 6 aprile 2022

Mancato assorbimento del superminimo reiterato negli anni: è uso aziendale.

Il Tribunale partenopeo interviene nel nutrito contenzioso dei dipendenti di Telecom che, dopo molti anni nei quali l’impresa non aveva mai effettuato l’assorbimento dei superminimi individuali, in occasione dei vari aumenti previsti da successivi contratti collettivi, per la prima volta si sono visti operare la compensazione sugli aumenti stabiliti da un accordo ponte del settore telecomunicazioni di fine 2017. Il Tribunale dichiara l’illegittimità dell’assorbimento del superminimo in virtù dell’accertamento della maturata formazione di un uso aziendale, modificabile solo con un eventuale accordo collettivo.

Tribunale di Milano, 2 marzo 2022

Illegittimo qualificare le ore non lavorate a causa del lockdown come permesso non retribuito.

Il Tribunale accoglie il ricorso di un lavoratore che, impossibilitato a rendere la prestazione lavorativa a causa della chiusura dell’azienda durante il primo periodo della pandemia, si era visto trattenere dallo stipendio una somma a titolo di permessi non retribuiti per le ore non lavorate. Il Giudice ha disatteso la tesi datoriale affermando che, secondo la normativa emergenziale, il datore di lavoro avrebbe dovuto ricorrere prioritariamente a ferie, permessi retribuiti o congedi e che, ove il lavoratore non ne disponesse, doveva ricorrere ai trattamenti di integrazione salariale introdotti in via straordinaria in quel periodo: in nessun modo poteva invece imporre ore di permessi non retribuiti, che possono essere concessi solo su richiesta del lavoratore.

Tribunale di Milano, 11 febbraio 2022

Anche al personale amministrativo delle strutture sanitarie che lavora a contatto con il pubblico si applica la presunzione della malattia Covid quale infortunio sul lavoro.

Il Tribunale accoglie il ricorso, presentato da una dipendente con mansioni amministrative di un’azienda ospedaliera, avverso la decisione dell’Inail che non aveva riconosciuto la natura professionale della malattia da Covid-19 contratta dalla ricorrente nei primi mesi dell’emergenza pandemica.

La circolare INAIL del 3 aprile 2020, n. 13 ha chiarito che anche per il personale non sanitario operante negli ospedali, a contatto con il pubblico o con l’utenza, il rischio di contagio, pur genericamente riguardante tutti i cittadini, è un rischio aggravato e dunque specifico, dando luogo alla presunzione semplice di origine professionale. Il Tribunale applica tale principio tenendo conto di una serie di circostanze lavorative (la ricorrente non era la prima contagiata del suo gruppo di lavoro, l’attività svolta prevedeva contatti con terzi estranei alla struttura ospedaliera) ed extra-lavorative (la residenza a breve distanza dalla sede di lavoro e la prova che i suoi familiari non avevano contratto il Covid nel medesimo periodo), tali da confermare la presunzione di un contagio sul luogo di lavoro, e non all’esterno.

NEWSLETTER n. 5/2022

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24, in G.U. 24 marzo 2022 n. 70, recante: “Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza.”.

E’ stato approvato in commissione Affari Sociali alla Camera l’emendamento al decreto Riaperture, recepito in una ordinanza del Ministro alla Salute Roberto Speranza che, a partire dal 1.05.2022, resterà in vigore fino alla conversione del decreto.

Queste in sintesi le novità introdotte:

  • e Rsa, dove sarà necessario esibire il “super green pass” fino al 31.12.2022;

INPS, messaggio n. 1714 del 20 aprile 2022: “Assegno unico e universale per i figli a carico di cui al decreto legislativo n. 230/2021. Ulteriori chiarimenti su maggiorazioni per il nucleo per figli maggiorenni e genitori separati.”

La maggiorazione dell’assegno unico, riconosciuta ai nuclei in cui entrambi i genitori siano lavoratori, spetta anche ai percettori di trattamenti di disoccupazione.

Lo chiarisce l’Inps nel messaggio n. 1714/2022, con il quale vengono fornite ulteriori precisazioni sul nuovo trattamento universale per i figli a carico.

In riferimento alla maggiorazione l’Istituto precisa infatti che, relativamente ai redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente, rilevano gli importi percepiti a titolo di Naspi e Dis-coll, a condizione che il soggetto risulti percettore di tali prestazioni al momento della domanda e per un periodo prevalente nel corso dell’anno.

Per quanto riguarda le maggiorazioni per nuclei numerosi, ove siano presenti nel nucleo figli con genitori diversi, le maggiorazioni spettano solo ai soggetti per i quali è accertato il rapporto di genitorialità con i figli; per la determinazione del numero totale di figli, inoltre, saranno considerati tutti i figli a carico sulla base delle regole di appartenenza al nucleo Isee, ancorché alcuni di essi non abbiano diritto all’assegno unico.

INPS, messaggio 16 marzo 2022 n. 1201: “Presentazione delle domande di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti entro il 1° maggio 2022 per i lavoratori che maturano i requisiti agevolati per l’accesso al trattamento pensionistico dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023”.

Con il messaggio n. 1169 del 19 marzo 2021 sono state fornite le indicazioni per la presentazione, entro il 1 maggio 2021, delle domande di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti, di cui al decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67, come modificato dalla legge 11 dicembre 2016, n. 232, per i lavoratori che maturano i requisiti agevolati per l’accesso al trattamento pensionistico dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2022.

In particolare, vengono fornite le istruzioni per la presentazione, entro il 1° maggio 2022, delle

domande di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti, con riferimento ai soggetti che perfezionano i prescritti requisiti nell’anno 2023 per le seguenti categorie:

La domanda in argomento può essere presentata anche dai lavoratori dipendenti del settore privato che hanno svolto lavori particolarmente faticosi e pesanti e che raggiungono il diritto alla pensione di anzianità con il cumulo della contribuzione versata in una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, secondo le regole previste per dette gestioni speciali.

Vengono altresì richiamate le istruzioni fornite con la circolare n. 90 del 24 maggio 2017 e con la circolare n. 59 del 29 marzo 2018.

In particolare, con la citata circolare n. 90 del 2017 è stato precisato che, in applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 206, lettera c), della legge n. 232 del 2016, ai requisiti agevolati previsti per il pensionamento in argomento, adeguati agli incrementi della speranza di vita stabiliti a decorrere dal 1° gennaio 2013 e dal 1° gennaio 2016 – dai decreti direttoriali 6 dicembre 2011 e 16 dicembre 2014 – non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita previsti per gli anni 2019, 2021, 2023 e 2025.

Pertanto, i requisiti pensionistici vigenti alla data del 31 dicembre 2016 non sono adeguati alla speranza di vita fino al 31 dicembre 2026.

Agenzia delle Entrate, risposta ad interpello n. 185 dell’8 aprile 2022: “Demansionamento – Perdita di chance– Articolo 6, comma 2, del TUIR”.

In tema di demansionamento, con la risposta ad Interpello n. 185/2022 l’Agenzia delle Entrate chiarisce che, per quanto riguarda le somme erogate che trovino titolo nella necessità di ristorare la perdita delle cosiddette “chance professionali”, ossia connesse alla privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa, le stesse non sono imponibili.

Più precisamente, le somme liquidate a titolo di perdita di chance professionali possono essere correttamente qualificate alla stregua di risarcimenti di danno emergente solo ove l’interessato abbia fornito prova concreta dell’esistenza e dell’ammontare di tale danno.

Pertanto le somme liquidate in via equitativa dal Tribunale adito, a seguito della lesione della capacità professionale del lavoratore, sono da considerarsi non imponibili in quanto configurabili come danno emergente e quindi volte a risarcire la perdita economica subita dal patrimonio: in quanto tali, non saranno assoggettabili a ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 23 del DPR n. 600/1973.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di giustizia UE, sentenza 17 marzo 2022, in causa n. C-232/20.

L’assegnazione di missioni successive del medesimo dipendente presso un’unica impresa utilizzatrice può costituire, a certe condizioni, abuso del contratto di somministrazione.

Il dipendente di un’impresa di somministrazione di lavoro temporaneo, assegnato con contratti successivi a un unico utilizzatore per complessivi 55 mesi, aveva chiesto la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto con l’utilizzatore. In assenza di una normativa in Germania che, nel periodo considerato, stabilisse una durata massima complessiva dei contratti a termine successivi, il giudice adìto si era rivolto alla Corte Ue per un confronto con la disciplina dell’Unione in materia. In proposito, la Corte afferma: 1 – che la direttiva 2008/104 non impone che la posizione di lavoro da coprire presso l’utilizzatore sia temporanea, ma unicamente che le missioni siano temporanee; 2 – tuttavia la direttiva non fissa un limite temporale massimo, ma invita gli Stati a prevenire e poi reprimere adeguatamente (ma non necessariamente con la trasformazione in tempo indeterminato del rapporto con l’utilizzatore) l’utilizzo abusivo della somministrazione a svantaggio del lavoratore; 3 – l’assegnazione di missioni successive di un medesimo dipendente presso un’unica impresa, può costituire un abuso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, quali le specificità del settore o la mancanza di una spiegazione obiettiva di una tale durata o anche l’esistenza di una deroga prevista dal contratto collettivo. 4 – Infine, poiché la legislazione tedesca prevede un limite temporale complessivo solo a partire dal 2017, con esclusione delle missioni precedenti, la Corte dichiara che ciò contrasta col diritto dell’unione perché impedisce una valutazione complessiva del requisito della “temporaneità”.

Corte di cassazione, sentenza 11 aprile 2022 n. 11665

Non più solo casi tipici, ma anche ipotesi generali di sanzioni conservative contrattuali comportano la reintegrazione se il licenziamento è illegittimo.

Importante revirement della Cassazione nell’interpretazione della condotta che “rientra tra le mancanze punibili con una sanzione conservativa” dal codice disciplinare (in genere, il CCNL), il cui accertamento comporta la tutela reintegratoria. La tesi restrittiva tradizionale, partendo dall’affermazione che nel nuovo art. 18 S.L. la tutela reintegratoria contro i licenziamenti illegittimi sarebbe eccezionale rispetto a quella indennitaria, invita a una interpretazione restrittiva delle ipotesi reintegratorie e quindi interpreta il riferimento alle condotte che il contratto collettivo prevede come meritevoli di sanzioni conservative nel senso che esso riguarda solo i casi esplicitamente tipicizzati come tali. Pur senza investire esplicitamente il presupposto di partenza, quello dell’eccezionalità della tutela reintegratoria, la sentenza in esame, invitando a una lettura non prevenuta della norma di legge, ricorda anzitutto che normalmente i codici disciplinari non contengono una classificazione completa e tipicizzata di fattispecie meritevoli di una sanzione conservativa, ma usano clausole generali, oppure clausole di chiusura dopo aver individuato, a titolo esemplificativo, alcune fattispecie specifiche. Il che pertanto impone al giudice, sia sul piano della ragionevolezza che del rispetto della volontà dei contraenti collettivi nonché di principi generali dell’ordinamento – quali il primato della tutela ripristinatoria a fronte dell’inadempimento o del fatto illecito e altri che presiedono all’interpretazione -, a provvedere all’individuazione di fattispecie specifiche estraibili alla previsione generica di mancanze comportanti sanzioni conservative, alle quali fattispecie specifiche va pertanto riferita la previsione legale della tutela reintegratoria. Analoga pronuncia nella successiva sentenza 21 aprile 2022 n. 12745.

Corte di cassazione, ordinanza 30 marzo 2022 n. 10165

Sull’onere della prova del danno subito in proprio dai congiunti di un lavoratore deceduto per infortunio.

L’ordinanza non è chiarissima nell’individuare il thema decidendum della causa, in rapporto alla relativa ripartizione dell’onere della prova. È infatti solo attraverso l’indicazione che ricorrenti sono i congiunti del lavoratore deceduto per infortunio e non gli eredi nonché il richiamo di alcuni precedenti della Corte che è possibile comprendere che si tratta di domanda di risarcimento del danno subìto iure proprio dai congiunti, ad es. per perdita del rapporto familiare. Nel qual caso, a differenza di quello in cui attori siano gli eredi del defunto che agiscono come tali in giudizio (gravati unicamente dall’onere di provare le mansioni svolte e la nocività dell’ambiente di lavoro), sono i congiunti che devono provare quali inadempimenti del datore di lavoro abbiano causato l’evento letale arrecante loro il danno di cui viene chiesto il risarcimento, secondo le regole dell’illecito extracontrattuale.

Corte di cassazione, sentenza 28 marzo 2022 n. 9931

Un caso particolare di licenziamento per giusta causa.

Secondo il C.C.N.L. Area dirigenza medico-sanitaria pubblica, “le molestie personali anche a carattere sessuale” sono sanzionate con la sospensione del rapporto di lavoro per un massimo di sei mesi. Ed è noto che nell’ambito della disciplina dell’art. 18 S.L., come modificata dalla legge “Fornero”, l’illecito disciplinare che il contratto collettivo sanziona con una misura conservativa non può dal luogo a licenziamento. Tuttavia, la Corte del presente giudizio, aderendo a un indirizzo prevalente, ritiene che in alcuni casi (come in quello considerato) il contratto collettivo non comprenda nella fattispecie tipicizzata, come nel caso di “molestie anche di carattere sessuale” anche i comportamenti di maggiore gravità, rimettendo al giudice di merito la relativa valutazione. Una tale ipotesi di particolare gravità, secondo la Corte, ricorre nel caso in esame, in cui un medico psichiatra di un’ASSL aveva reiteratamente ricercato un’indesiderata relazione di carattere sessuale con una paziente, con ciò violando altresì fondamentali obblighi deontologici e incrinando irreparabilmente nell’Azienda la fiducia sulla corretta prosecuzione del rapporto di lavoro.

Corte di cassazione, ordinanza 21 marzo 2022 n. 9158

Tutela reintegratoria se l’impresa non prova l’impossibilità di repêchage del lavoratore divenuto invalido.

In un giudizio in cui il lavoratore licenziato per sopravvenuta inidoneità alla mansione era stato reintegrato dai giudici di merito per la mancata deduzione e prova da parte del datore di lavoro dell’impossibilità di adibire il dipendente ad altra mansione compatibile, l’impresa aveva proposto ricorso per cassazione sostenendo, tra le altre censure, che il mancato assolvimento dell’onere di repêchage non costituisce “manifesta insussistenza del fatto”, la cui sola ricorrenza implica la reintegrazione. La Corte respinge anche questa censura. rilevando che l’assoluta mancanza della deduzione, prima ancora della prova, dell’impossibilità di repêchage rendeva del tutto evidente l’insussistenza del fatto che aveva dato luogo al licenziamento.

Corte di cassazione, sentenza 16 marzo 2022 n. 8628

Immutabile la specifica indicazione delle assenze nel licenziamento per superamento del periodo di comporto.

Un’Amministrazione pubblica aveva licenziato una lavoratrice per superamento del periodo di comporto per sommatoria, specificando nell’atto i singoli giorni di assenza, che in realtà non erano sufficienti al superamento. In giudizio, l’Ente aveva poi preteso che si prendessero in considerazione ulteriori giornate. I giudici hanno accertato che questi giorni ulteriori erano stati contestati come assenza ingiustificata e quindi non erano computabili e comunque hanno affermato che nel licenziamento per superamento del periodo di comporto il datore di lavoro non è tenuto a una indicazione specifica dei giorni di assenza (essendo sufficiente un’indicazione complessiva), ma se lo fa, questa diventa immutabile in giudizio, a garanzia del contraddittorio.

Corte di cassazione, ordinanza 11 marzo 2022 n. 8042

Le tute con barre catarifrangenti indossate agli addetti alla raccolta rifiuti costituiscono dispositivi di protezione individuale che anche il datore di fatto deve fornire, curandone poi la manutenzione.

Il giudizio riguardava la domanda del dipendente di fatto di un Comune per ottenere l’accertamento dell’obbligo di questi di assicurargli la manutenzione e lavaggio delle tute con strisce catarifrangenti fornitegli per l’attività di raccolta rifiuti. Mentre la Corte d’appello aveva respinto la domanda, sostenendo a) che quanto richiesto non competeva al datore di fatto, tenuto unicamente a pagare le retribuzioni e versare i contributi e b) che comunque la tuta non rientra tra i dispositivi di protezione individuale, la Corte di Cassazione smentisce ambedue le affermazioni, trattandosi di indumenti che nel caso esaminato tutelano la salute e sicurezza del lavoratore, che chiunque organizza il lavoro altrui è tenuto a fornire, curandone poi la manutenzione.

Corte di cassazione, sentenza 11 marzo 2022 n. 8039

Il licenziamento un giorno prima della retrocessione di azienda, non impugnato, impedisce la prosecuzione del rapporto di lavoro col retrocessionario.

Un’impresa aveva affidato in gestione un ramo d’azienda a un’altra impresa, impegnandosi, a norma dell’art. 2112 cod. civ., a riprendere i lavoratori ceduti al termine dell’affidamento. Un lavoratore, non ripreso dalla originaria cedente perché licenziato dalla originaria cessionaria un giorno prima della retrocessione, aveva chiamato in giudizio la [retro]cessionaria, chiedendo l’accertamento della prosecuzione del rapporto con questa. Cassando l’opposta decisione del giudice d’appello, la Corte gli dà torto, affermando che se è certo che anche in caso di retrocessione si trasferiscono automaticamente al retro-cessionario i dipendenti originariamente ceduti, presupposto del trasferimento è che il rapporto di lavoro sia in atto al momento della retrocessione. Nel caso esaminato, viceversa, il licenziamento intimato prima di questa non era stato tempestivamente impugnato, impedendo pertanto l’effetto traslativo.

Corte di cassazione, sentenza 1° marzo 2022 n. 6744

Il risarcimento per l’illegittimità del licenziamento va commisurato all’intero trattamento retributivo perso dal lavoratore fino alla reintegrazione.

La sentenza si riferisce al testo dell’art. 18 S.L. anteriore alla riforma Fornero e aderisce al più recente orientamento della Cassazione sull’argomento. I giudici dell’appello avevano viceversa invocato il precedente orientamento della Corte, corrente fino al 2014, respingendo quindi la domanda diretta a ottenere per il periodo dal licenziamento alla reintegrazione la retribuzione che sarebbe stata complessivamente erogata nello stesso periodo se il dipendente avesse lavorato, comprensiva quindi dei miglioramenti intervenuti nei mesi successivi al primo. L’orientamento precedente, ora respinto dalla sentenza della Corte, sosteneva infatti che la retribuzione da moltiplicare per i mesi in questione dovesse essere la sola retribuzione globale di fatto del mese del recesso, in contrasto con la stesso tenore letterale della norma e con la sua ratio, finalizzata ad assicurare al dipendente illegittimamente licenziato, oltre alla riattivazione del rapporto, lo stesso trattamento retributivo globale di fatto che avrebbe ottenuto lavorando fino alla reintegrazione.

Corte d’appello di Napoli, 31 gennaio 2022, n. 5592/2021

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore somministrato assunto a tempo indeterminato: non basta la messa in disponibilità e qualche proposta di collocazione presso alcune clienti.

La Corte d’Appello di Napoli accoglie il ricorso di una lavoratrice dipendente (a tempo indeterminato) di una agenzia di somministrazione che chiedeva l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore messo in disponibilità alla cessazione di una missione. Il Collegio giudicante ha affermato che i tentativi effettuati dall’agenzia di somministrazione, consistiti nell’aver contattato alcune società (non tutti i propri clienti e nemmeno quelli per i quali poteva risultare compatibile il profilo lavorativo della lavoratrice), fossero inidonei a provare l’assolvimento dell’onere di ricollocazione. L’indennizzo dovuto al lavoratore ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 23/2015 deve essere parametrato all’ultima retribuzione percepita, e non all’indennità di disponibilità corrisposta negli ultimi mesi del rapporto di lavoro.

Tribunale di Milano, 22 marzo 2022

Le retribuzioni minime previste dal CCNL del settore vigilanza per alcune mansioni (Servizi Fiduciari) sono da ritenersi in contrasto con l’art. 36 Cost., in quanto significativamente inferiori sia ad altri CCNL del settore (Multiservizi) sia alla soglia di povertà stimata dall’Istat.

Il Giudice ha rilevato che i minimi salariali previsti dal CCNL Istituti di vigilanza – servizi fiduciari violassero, nel caso di specie, il precetto dell’art. 36 della Costituzione. La retribuzione base prevista dal CCNL applicato risultava inferiore a quella di altri contratti collettivi stipulati per servizi analoghi, tra cui il CCNL Multiservizi che era stato a lungo applicato ai ricorrenti, per le stesse mansioni, svolte nell’appalto di servizi alla dipendenza di precedenti appaltatori, ed anche alla soglia di povertà stabilita dall’Istat. Il Tribunale precisa che la valutazione di compatibilità della retribuzione col principio costituzionale deve essere fatta senza assegnare rilevanza alla situazione familiare o patrimoniale del singolo lavoratore, ciò che determinerebbe una disparità di trattamento a parità di condizioni di prestazione dell’attività lavorativa.

Tribunale di Busto Arsizio, 21 marzo 2022

Le misure di sicurezza anti-Covid non possono giungere a isolare e discriminare i lavoratori che (in assenza di un obbligo legale) abbiano ritenuto di non vaccinarsi.

Respinto il reclamo del datore di lavoro avverso l’ordinanza con cui lo stesso Tribunale di Busto Arsizio aveva accolto l’istanza cautelare di due lavoratori che, per il solo fatto di non essersi sottoposti alla vaccinazione contro il Covid-19 (e in assenza, in quel momento e in quel caso, di obblighi legali tanto di vaccinazione quanto di esibizione del ‘green-pass’), erano stati trasferiti in una sede distaccata, lontano dai colleghi vaccinati. Il Collegio ritiene che l’obbligo di sicurezza del datore di lavoro non giustifichi misure eccessive e lesive della libertà di autodeterminazione dei dipendenti. Anche a fronte della successiva legislazione emergenziale, afferma il Tribunale, una simile condotta sarebbe eccessiva, poiché l’obbligo vaccinale è stato introdotto solo per alcune categorie di lavoratori (cui non appartenevano i ricorrenti) ritenendosi sufficiente per i restanti l’esibizione di una certificazione basata sull’effettuazione dei tamponi.

Tribunale di Catania, 14 marzo 2022

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del DL 44/2021, nella parte in cui nega all’operatore sanitario sospeso per mancata vaccinazione l’accesso all’assegno alimentare.

Il Tribunale solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. 44/2021 nella parte in cui nega espressamente la possibilità, per il personale sospeso per non essersi sottoposto alla vaccinazione obbligatoria Covid, il diritto sia alla retribuzione sia a qualsiasi “altro compenso o emolumento, comunque denominato”. Il Tribunale ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità, anche considerando che l’assegno alimentare è previsto dalla legge in diversi casi, tra cui quello di lavoratori sospesi poiché coinvolti in procedimenti penali o disciplinari, laddove per la mancata vaccinazione è espressamente esclusa qualsiasi rilevanza disciplinare (così ponendosi un dubbio di violazione dell’art. 3 Cost.). Inoltre, la totale privazione di reddito viene ritenuta conseguenza sproporzionata della mancata vaccinazione, rispetto alla finalità della legge, e tale da limitare l’effettiva libertà di scelta se sottoporsi al vaccino (con possibile contrasto con gli artt. 2 e 32 della Costituzione).

NEWSLETTER NOVITÀ NORMATIVE OBBLIGHI INFORMATIVI

Attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea (decreto legislativo – esame preliminare).

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Mario Draghi e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando, ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo che attua la direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea.
Il decreto disciplina il diritto all’informazione sugli elementi essenziali del rapporto di lavoro e sulle condizioni di lavoro e la relativa tutela.
Il testo prevede che il datore di lavoro comunichi, in modo trasparente, chiaro, completo, conforme agli standard di accessibilità riferiti anche alle persone con disabilità e a titolo gratuito, a ciascun lavoratore, in formato cartaceo o elettronico, una serie dettagliata di informazioni in modalità cartacea o elettronica, all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro e prima dell’inizio dell’attività.
Inoltre, il datore di lavoro o il committente è tenuto a informare il lavoratore dell’eventuale utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori.
Ulteriori obblighi informativi sono richiesti nel caso di distacco all’estero del lavoratore.
Qualora le comunicazioni prescritte non vengano effettuate ovvero siano eseguite in ritardo o in modo incompleto, è prevista una sanzione da 250 a 1.500 euro.
Vediamo nel dettaglio i punti principali del decreto legislativo.

I rapporti di lavoro interessati dalle modifiche.
I datori di lavoro pubblici e privati (compresi gli enti pubblici economici) dovranno modificare i draft utilizzati per contrattualizzare i lavoratori con uno dei seguenti rapporti di lavoro:
 contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, anche part-time (compreso il lavoro agricolo);
 contratto di lavoro intermittente;
 contratto di lavoro somministrato a tempo determinato o indeterminato;
 rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (ai sensi dell’articolo 409 c.p.c., comma 3);
 rapporto di collaborazione etero-organizzata (ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del decreto
legislativo n. 81/2015);
 contratto di prestazione occasionale (PrestO);
 lavoratori marittimi e lavoratori della pesca,
 lavoratori domestici.

Il contenuto della comunicazione.
La comunicazione dovrà essere effettuata per iscritto, in modalità cartacea o elettronica, all’atto dell’instaurazione di uno dei rapporto di lavoro suindicati e prima dell’inizio dell’attività lavorativa e dovrà contenere, obbligatoriamente, le seguenti informazioni:
 l’identità del datore di lavoro (e degli eventuali co-datori);
 l’identità dell’impresa utilizzatrice, qualora si tratti di un rapporto in somministrazione;
 la sede del datore di lavoro;
 la tipologia contrattuale del rapporto di lavoro;
 la data di inizio del rapporto di lavoro;
 la data di fine del rapporto di lavoro, in caso di rapporto a termine (ovvero la durata del rapporto) ;
 la durata del periodo di prova, laddove previsto;
 il luogo di lavoro. In mancata di un luogo di lavoro fisso, dovrà essere precisata una delle due informazioni: 1. il lavoratore è occupato in luoghi sempre diversi; 2. il lavoratore è libero di determinare il proprio luogo di lavoro;
 l’inquadramento del lavoratore o, in alternativa, le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro: 1. categoria; 2. livello; 3. qualifica;
 la programmazione dell’orario ordinario di lavoro. Qualora non sia possibile prevedere un orario normale di lavoro programmato, in quanto le modalità organizzative dell’orario sono imprevedibili, il datore di lavoro deve informare il lavoratore circa: 1. la variabilità della programmazione del lavoro, l’ammontare minimo delle ore retribuite garantite e la retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta alle ore garantite; 2. le ore e i giorni di riferimento in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni lavorative; 3. il periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore fa diritto prima dell’inizio della prestazione lavorativa e, ove ciò sia consentito dalla tipologia contrattuale in uso e sia stato pattuito tra le parti, il termine entro cui il datore di lavoro può annullare l’incarico;
 le condizioni che riguardano l’eventuale straordinario e la sua retribuzione;
 le procedure relative ai cambiamenti di turno, qualora sia previsto;
 la durata delle ferie;
 la durata degli eventuali congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore ovvero le modalità di
determinazione e fruizione, qualora non definibili al momento dell’assunzione;
 il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore di lavoro, se prevista;
 la durata del preavviso e la relativa procedura, evidenziando le differenze, qualora presenti, tra il recesso da parte del datore di lavoro e da parte del lavoratore;
 gli Enti e gli Istituti che ricevono i contributi previdenziali ed assicurativi dovuti dal datore di lavoro e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso;
 il contratto collettivo nazionale applicato al rapporto di lavoro, con l’indicazione delle parti che lo hanno sottoscritto;
 gli eventuali contratti collettivi di secondo livello (territoriali e/o aziendali) applicati al rapporto di lavoro, con l’indicazione delle parti che li hanno sottoscritti.
Le informazioni dovranno essere previste in uno dei seguenti documenti:
 nel contratto individuale di lavoro;
 nella copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro;
Il datore di lavoro dovrà conservare prova della trasmissione o della ricezione della comunicazione al lavoratore e, su richiesta, renderla accessibile a quest’ultimo.
Qualora non sia stato possibile inserire i dati nei suindicati documenti, dovranno essere forniti, sempre per iscritto, entro i sette giorni successivi all’inizio della prestazione lavorativa.
Potranno essere, altresì, comunicate entro 30 giorni dall’inizio della prestazione lavorativa le seguenti informazioni, in via facoltativa poiché ritenute dal legislatore non essenziali:
 l’identità dell’impresa utilizzatrice, qualora trattasi di rapporto in somministrazione;
 il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore di lavoro, se prevista;
 la durata delle ferie;
 la durata degli eventuali congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore ovvero le modalità di determinazione e fruizione, qualora non definibili al momento dell’assunzione;
 la durata del preavviso e la relativa procedura, evidenziando le differenze, qualora presenti, tra il recesso del datore di lavoro e del lavoratore;
 il CCNL e gli eventuali contratti decentrati applicati al rapporto di lavoro;
 gli Enti e gli Istituti che ricevono i contributi previdenziali ed assicurativi dal datore di lavoro.
Se il contratto dovesse cessare prima che il datore di lavoro abbia comunicato tutte le informazioni obbligatorie (ad esempio, qualora il recesso avvenga entro un mese dalla costituzione del rapporto), questi dovrà fornire le predette informazioni al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Qualsiasi modifica alle informazioni fornite all’atto dell’assunzione al lavoratore, dovrà essere comunicata entro il primo giorno di decorrenza degli effetti di dette modifiche.
Ciò dovrà venire sempre che la modifica non sia dovuta ad una disposizione legislativa o regolamentare ovvero da clausole del contratto collettivo.

Ulteriori obblighi informativi.
Alle informazioni suindicate, il datore di lavoro deve aggiungere ulteriori informazioni qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante l’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori.
Le ulteriori informazioni da prevedere sono le seguenti:
 gli aspetti del rapporto di lavoro sui quali incide l’utilizzo dei sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati;
 gli scopi e le finalità dei sistemi;
 la logica ed il funzionamento dei sistemi;
 le categorie di dati e i parametri principali utilizzati per programmare o addestrare i sistemi, inclusi i meccanismi di valutazione delle prestazioni;
 le misure di controllo adottate per le decisioni automatizzate, gli eventuali processi di
correzione e lil responsabile del sistema di gestione della qualità;
 il livello di accuratezza, robustezza e cybersicurezza dei sistemi e le metriche utilizzate per misurare tali parametri, nonché gli impatti potenzialmente discriminatori delle metriche stesse.
Inoltre, il datore di lavoro (o il committente in caso di rapporto di collaborazione), sono tenuti ad integrare l’informativa con le istruzioni per il lavoratore in merito alla sicurezza dei dati e all’aggiornamento del registro dei trattamenti riguardanti le attività suindicate.
Dette informazioni dovranno essere comunicate ai lavoratori in modo trasparente, in formato strutturato, di uso comune e leggibile da dispositivo automatico.
La comunicazione dovrà avvenire, altresì, anche alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) o alla rappresentanza sindacale unitaria (RSU).
Qualora l’azienda ne sia priva, la comunicazione deve avvenire alle sedi territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative in ambito nazionale.
Per quanto riguarda la protezione dei dati personali, il datore di lavoro, in base agli strumenti utilizzati per lo svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto ad effettuare una analisi dei rischi e una valutazione dell’impatto degli stessi trattamenti, procedendo ad una consultazione preventiva del Garante della privacy ove sussistano i presupposti previsti dall’articolo 36 del Regolamento (UE) 2016/679.
Su richiesta del lavoratore (anche per il tramite delle rappresentanze sindacali aziendali o territoriali), il datore di lavoro o il committente, entro 30 giorni, deve fornire i dati e le informazioni concernenti gli obblighi suindicati.
Eventuali modifiche alle suddette informazioni, che comportino variazioni delle condizioni di svolgimento del lavoro, dovranno essere comunicate ai lavoratori almeno 24 ore prima.
Al Ministero del Lavoro ed all’ispettorato del lavoro spetterà il compito di controllare l’avvenuta comunicazione.

Particolari obblighi informativi in caso di distacco del lavoratore all’estero.
Qualora il datore di lavoro distacchi all’estero un proprio lavoratore, dovrà informarlo di eventuali elementi del proprio rapporto di lavoro che si andranno a modificare e dovrà portarlo a conoscenza delle seguenti informazioni:
 Il Paese dove verrà inviato per svolgere la propria prestazione lavorativa;
 la durata del distacco all’estero;
 la retribuzione cui ha diritto il lavoratore, conformemente al diritto applicabile dallo Stato ospitante;
 la valuta in cui verrà corrisposta la retribuzione;
 gli eventuali ulteriori emolumenti (in denaro o in natura), qualora presenti, dovuti per il distacco (es. indennità di distacco, rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio);
 le modalità di rimpatrio, qualora disciplinate;
 Il link istituzionale dello Stato membro ospitante in cui sono pubblicate le informazioni sul distacco.
La comunicazione dovrà essere effettuata per iscritto e prima della partenza dall’Italia.
Le informazioni non sono richieste per il personale dipendente dalle Pubbliche amministrazioni, in servizio all’estero, per i lavoratori marittimi e i lavoratori della pesca.
Regime sanzionatorio.
Qualora il datore di lavoro non effettui le comunicazioni prescritte ovvero le effettui in ritardo o in modo incompleto, è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 250 a 1.500 euro per ogni lavoratore interessato che verrà irrogata dall’Ispettorato del lavoro previa denuncia da parte del lavoratore e previo accertamento ispettivo.
Qualora il datore di lavoro ometta ovvero effettui in ritardo o in modo incompleto le ulteriori comunicazioni previste in caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, è prevista, per ciascun mese di riferimento, una sanzione amministrativa da 100 a 750 euro, ferma restando la configurabilità di eventuali violazioni in materia di protezione dei dati personali.
Se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori la sanzione amministrativa va da 400 a 1.500 euro; se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori, la sanzione amministrativa va da 1.000 a 5.000 euro e non è ammesso il pagamento in misura ridotta.
Stessa sanzione nel caso in cui il datore di lavoro non adempia, entro i successivi 30 giorni, alla richiesta del lavoratore di accedere ai dati e dalle informazioni riguardanti l’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, ovvero non provveda a informare i lavoratori circa eventuali modifiche incidenti alle informazioni inizialmente fornite.
Nel caso in cui il datore di lavoro non comunichi, al lavoratore ed alle rappresentanze sindacali, le informazioni suindicate in formato strutturato, di uso comune e leggibile da dispositivo automatico, è passibile, per ciascun mese in cui si verifica la violazione, di una sanzione amministrativa da 400 a 1.500 euro.

NEWSLETTER N. 4/2022

NEWSLETTER N. 4/2022
NOVITÀ NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI

NOVITÀ NORMATIVE

Legge 4 marzo 2022, n. 18, recante: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 7 gennaio 2022, n. 1, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore”.
In G.U. n. 56 dell’8 marzo 2022 è stata pubblicata la legge n. 18/2022, di conversione con modificazioni del Decreto Legge n. 1/2022. La legge, in vigore dal 9 marzo 2022, conferma l’obbligo vaccinale per i soggetti di età pari o superiore a 50 anni fino al 15 giugno 2022, così come la validità illimitata dei green pass rilasciati a seguito di somministrazione della dose di richiamo successivo al ciclo vaccinale primario o di guarigione successiva al ciclo vaccinale primario.
Per ciò che concerne la facoltà per i datori di lavoro di stipulare contratti di lavoro per la sostituzione di propri dipendenti e collaboratori sospesi perché non in possesso della certificazione verde COVID-19, o risultati privi della stessa al momento dell’accesso al luogo di lavoro, per un periodo non superiore a 10 giorni lavorativi, rinnovabili fino al termine del 31 marzo 2022, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro per il lavoratore sospeso, la legge di conversione introduce la seguente precisazione: “È in ogni caso consentito il rientro immediato nel luogo di lavoro non appena il lavoratore entri in possesso della certificazione necessaria, purché il datore di lavoro non abbia già stipulato un contratto di lavoro per la sua sostituzione“.

Legge 18 febbraio 2022, n. 11, recante: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, recante proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19.
E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 41 del 18 febbraio 2022 la legge n. 11/2022, di conversione con modificazioni del decreto-legge n. 221/2021, che aveva disposto la proroga dello stato di emergenza fino al 31 marzo 2022 e introdotto ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19.
La legge di conversione, confermando la maggior parte delle disposizioni previste dal DL n. 221/2021, fra cui il termine al 31 marzo dello stato di emergenza, ne modifica altre, ripristinando talune tutele che il Legislatore aveva dapprima deciso di non rinnovare, ma il cui termine di efficacia viene fatto adesso nuovamente coincidere con la cessazione dello stato di emergenza.

CCNL: accordo per il rinnovo del contratto dell’edilizia.
In data 3 marzo 2022 è stato raggiunto l’accordo per il rinnovo del contratto dell’edilizia, per i lavoratori dipendenti delle imprese edili ed affini e delle Cooperative.

Ispettorato Nazionale del Lavoro, Nota 23 marzo 2022 n. 530– nuove disposizioni in materia di tirocini – prime indicazioni
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la Nota n. 530 del 2022, fornisce alcune precisazioni in merito alle nuove disposizioni introdotte in materia di tirocini dalla Legge di Bilancio 2022, in attesa dell’accordo tra Governo e Regioni per la definizione di linee-guida condivise.
In particolare, la Nota conferma il permanere dell’obbligo del riconoscimento di una congrua indennità di partecipazione, la cui mancata corresponsione comporterà una sanzione amministrativa a carico del trasgressore.
Si ribadisce inoltre che il tirocinio non può essere considerato un rapporto di lavoro, né può essere utilizzato in sostituzione di lavoro dipendente, ma il soggetto ospitante è comunque tenuto, nei confronti del tirocinante, al rispetto integrale delle disposizioni previste dal D.lgs. n. 81/2008 (Testo unico sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro).

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

Corte di giustizia UE, sentenza 24 febbraio 2022, in causa n. C-262/2020.
L’orario del lavoro notturno al vaglio di alcuni principi del diritto comunitario.
Il giudizio nello Stato bulgaro che ha dato luogo al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE era stato promosso da un dipendente pubblico del corpo dei vigili del fuoco del Ministero dell’interno che, svolgendo lavoro notturno, aveva chiesto l’applicazione di un orario di lavoro di 7 ore giornaliere, come stabilito dalla legge per i lavoratori privati e non di 8, come previsto per i lavoratori diurni del medesimo Ministero. In proposito, la Corte afferma che il diritto comunitario non impone un orario minore ai lavoratori notturni rispetto a quelli diurni, ma la invocata disciplina sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro richiede per il lavoro notturno misure appropriate che compensino il sacrificio insito in tale tipo di orario, che in casi particolari possono consistere in una riduzione dell’orario; la differenza di trattamento tra lavoratori notturni privati e pubblici può essere giustificata, in un’analisi delle concrete caratteristiche del lavoro, dal perseguimento di uno scopo legittimo, che non può peraltro essere esclusivamente quello economico.

Corte di Cassazione sentenza 17 marzo 2022 n. 9028.
Risulta responsabile il CEO per l’omessa valutazione dei rischi da COVID-19.
Con la sentenza n. 9028 del 17.03.2022, la Cassazione afferma che, laddove il dirigente preposto non abbia i poteri decisionali e di spesa in materia di salute e sicurezza, il formale datore di lavoro rimane l’unico responsabile per la valutazione dei rischi.

Corte di Cassazione, sentenza 8 marzo 2022, n. 7514.
Contro l’iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali va fatta causa all’INPS.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione dirimono un contrasto della giurisprudenza della sezione lavoro oscillante tra l’ipotesi di un litisconsorzio necessario dell’INPS e del concessionario e quella di un litisconsorzio provocato dalla chiamata in giudizio a istanza di parte o d’ufficio, relativamente al caso in cui il contribuente, venuto a conoscenza dell’iscrizione a ruolo di un suo debito per contributi previdenziali, chiami in giudizio il concessionario alla riscossione, chiedendo l’accertamento dell’infondatezza della pretesa creditoria, in mancanza di notifica della cartella di pagamento, e la prescrizione del credito.
La Cassazione afferma che non sussiste litisconsorzio necessario tra la parte che impugna la cartella per contributi previdenziali arretrati, l’ente impositore e il concessionario della riscossione, essendo solo il titolare del credito legittimato a controdedurre in merito alla pretesa creditoria.

Corte di cassazione, sentenza 7 marzo 2022, n. 7392
Licenziamento legittimo in caso di rifiuto al trasferimento..
La Cassazione torna ad affrontare il tema della mancata presentazione in servizio del lavoratore che ritiene illegittimo il proprio trasferimento. In particolare, la lavoratrice impugnava il licenziamento irrogatole per assenza ingiustificata per non essersi presentata presso la sede aziendale ove era stata trasferita.
La Cassazione rileva che, in ipotesi di trasferimento adottato in violazione dell’art. 2103 cod. civ., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione, ma dovrà pur sempre essere valutato in relazione alle circostanze concrete, onde verificare se risulti contrario a buona fede.

Corte di cassazione, sentenza 3 marzo 2022 n. 7058
Nelle cause di risarcimento danni per infortuni sul lavoro o per malattie professionali mutifattoriali, il dipendente deve dedurre e provare unicamente il nesso di causalità tra le mansioni svolte e la nocività dell’ambiente di lavoro
In un giudizio di risarcimento dei danni causati da una malattia professionale, la Corte d’appello aveva respinto la domanda in ragione del fatto che il dipendente non avrebbe specificamente dedotto e provato quali norme di sicurezza sul lavoro avrebbe secondo lui violato il datore di lavoro, provocando la malattia professionale multifattoriale denunciata, La Corte cassa la sentenza della Corte d’appello, affermando che sul dipendente non grava l’onere di provare le specifiche mancanze del datore di lavoro che hanno provocato la malattia professionale, ma unicamente il nesso di causalità tra la malattia (o l’infortunio)e la nocività dell’ambiente di lavoro.

Corte di Cassazione, ordinanza 2 marzo 2022 n. 6825
Non bastano le ammissioni del datore di lavoro in sede ispettiva per condannarlo a pagare all’INPS i contributi per un collaboratore.
La Corte d’appello aveva condannato un piccolo imprenditore a versare all’INPS i contributi per una collaboratrice dell’azienda (la moglie), fondando la decisione unicamente sulle dichiarazioni rese dall’imprenditore stesso in sede di ispezione INPS, alle quali aveva attribuito l’efficacia decisiva di una confessione extragiudiziaria. La Corte cassa la sentenza, affermando che le dichiarazioni rese “contra se” dal datore di lavoro all’ispettore INPS non hanno valore di confessione extragiudiziaria perché l’ispettore non ha potere rappresentativo dell’ente di cui è pur organo, sicché le dichiarazioni sono liberamente valutate del giudice unitamente ad altri mezzi di prova.

Corte di cassazione penale, sentenza 1 marzo 2022 n. 7093
La disciplina della sicurezza sui luoghi di lavoro si applica anche con riguardo ai tirocini formativi a carico dell’impresa ospitante.
Nel giudizio per l’infortunio sul lavoro di un tirocinante curriculare, promosso a carico dell’impresa ospitante, quest’ultima aveva sostenuto che la responsabilità per la sicurezza del tirocinante gravasse sull’Università promotrice del tirocinio. La Corte smentisce la tesi difensiva richiamando la legge n. 81/2008, che estende la propria applicazione, tra gli altri, anche ai tirocini formativi.

Corte di cassazione, sentenza 1 marzo 2022 n. 6664
Nulla la conciliazione con rinuncia a diritti futuri.
In sede di conciliazione di una causa d’impugnazione del termine apposto a un contratto di lavoro della durata di 35 mesi e 18 giorni, l’impresa si era impegnata ad assumere nuovamente a termine per quattro mesi il ricorrente, il quale rinunciava, a sua volta, ad avanzare qualsiasi pretesa nascente da tale ultimo contratto. Alla cessazione di questo, peraltro, il dipendente ha promosso un nuovo giudizio, sostenendo la nullità della conciliazione e chiedendo la conversione del rapporto a tempo indeterminato, per superamento del termine massimo di durata di trentasei mesi. La Corte gli dà ragione, rilevando che la rinuncia contenuta nella conciliazione non è vera rinuncia, la quale riguarda diritti che il rinunciante ha già acquisito al proprio patrimonio, mentre nel caso considerato si tratta di un diritto futuro rispetto al momento della rinuncia, da ritenere pertanto nulla.

Corte di cassazione, sentenza 22 febbraio 2022 n. 5814
Costituisce infortunio indennizzabile l’infarto dovuto allo stress subito dal dipendente nel corso di un viaggio di lavoro.
L’infarto aveva colpito mortalmente il dipendente durante un viaggio di lavoro in Cina, a causa di una situazione di grave stress, dovuto all’annullamento di un volo, successiva inutile attesa di un volo successivo e quindi un viaggio in treno per 700 Km per partecipare a un congresso internazionale. Nel giudizio in cui la moglie e il figlio dell’infortunato avevano chiesto l’indennità dovuta ai superstiti, l’INAIL aveva eccepito la natura non violenta della causa di morte e la mancanza dell’occasione di lavoro dell’evento mortale, che infatti era occorso per cause comuni a ogni viaggiatore. La Corte afferma che l’infarto rappresenta di per sé una causa violenta di morte e che, dopo la riforma del sistema assicurativo INAIL del 2000 (D. LGS. n. 38/2000, art. 12), anche il rischio generico cui soggiace ogni persona che viaggi per lavoro, è tutelato dalla legge sugli infortuni sul lavoro, come occasione dell’infortunio “in itinere”.

Corte di cassazione, ordinanza 18 febbraio 2022 n. 5413
Ancora sulle conseguenze dell’annullamento del trasferimento d’azienda.
In un caso di annullamento del trasferimento d’azienda con conseguente prosecuzione del rapporto di lavoro col cedente, il lavoratore ceduto aveva chiesto a questi la retribuzione successiva alla cessione illegittima. L’impresa aveva eccepito la detraibilità di quanto il lavoratore aveva percepito dal cessionario nel periodo tra la cessione e il suo annullamento, essendo in questo periodo il rapporto proseguito di fatto con quest’ultimo. La Corte, applicando i principi di cui alla sentenza delle sez. un. n. 2990 del 2018, afferma viceversa che il rapporto col cessionario è “altro” rispetto a quello che continua col cedente a seguito dell’annullamento della cessione, per cui quest’ultimo continua a dovere la retribuzione, dalla quale, a differenza del risarcimento del danno, non è possibile detrarre quanto il lavoratore ha percepito nel medesimo periodo dal cessionario.

Corte di cassazione, ordinanza 17 febbraio 2022 n. 5247
Niente solidarietà del committente per i crediti per ferie non godute dei dipendenti dell’appaltatore.
In un giudizio in cui era invocata la solidarietà del committente da parte di un dipendente dell’appaltatore inadempiente per il pagamento dell’indennità ferie non godute al termine del rapporto di lavoro, l’impresa convenuta aveva anzitutto obiettato che, essendo una società a totale capitale pubblico, non le sarebbe applicabile la regola della solidarietà. La Corte nega la fondatezza di tale difesa, considerando che l’esclusione dalla solidarietà è stabilita dall’art 29 2° comma del D. Lgs. n. 276 del 2003 unicamente per le Amministrazioni pubbliche. Ciò precisato, la Corte rigetta peraltro la domanda, ricordando che la solidarietà del committente negli appalti di servizi è stabilita dalla legge unicamente con riguardo ai “trattamenti retributivi”, da intendere in senso stretto, con esclusione pertanto dei crediti aventi natura di risarcimento danno, come appunto la c. d. “indennità per le ferie non godute”. (Altrove è peraltro precisato che l’indennità ferie non godute ha natura mista, risarcitoria e retributiva ed è utile per il calcolo del T.F.R., per gli accessori e ai fini contributivi: cfr. Cass. n. 301/2020 o n. 1757/2016).

Corte di cassazione penale, sentenza 16 febbraio 2022 n. 5417
Il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio anche se omette di predisporre cautele per evitare il comportamento imprudente dell’infortunato.
In un giudizio penale a carico del datore di lavoro per lesioni gravissime a un dipendente caduto da una scala mentre cercava di rimuovere alcuni cavi che impedivano le ulteriori lavorazioni in quota, la Corte d’appello aveva assolto l’imputato, ritenendo, per l’evento, la responsabilità esclusiva del dipendente che, non richiesto, aveva utilizzato una normale scala, presente in azienda, mentre l’impresa aveva noleggiato per gli interventi in quota un carro ponte dotato di un braccio elevatore. La Corte di cassazione cassa la sentenza (su ricorso della parte civile ai soli effetti civili), ricordando anzitutto la propria giurisprudenza quanto ai limiti rigorosi in cui è ravvisabile la responsabilità esclusiva del dipendente nella causazione dell’infortunio da lui subìto. Quindi, la Corte rileva che l’appalto col carroponte implicava che le operazioni di manutenzione in quota commesse fossero svolte dall’appaltatore. Orbene, poiché nel piano operativo di sicurezza non erano precisate le modalità di svolgimento delle operazioni in quota volte a liberare l’ambiente di pesanti ostacoli che impedivano l’intervento di manutenzione, la Corte fonda la responsabilità esclusiva del datore di lavoro nel fatto che nel piano di sicurezza questi non aveva predisposto le opportune cautele per il rischio che le operazioni preliminari venissero svolte dai propri dipendenti.

Corte di cassazione penale, sentenza 16 febbraio 2022 n. 5415
La presenza di un caposquadra non esonera il datore di lavoro per la responsabilità per l’infortunio occorso per assenza di misure di sicurezza.
In un caso d’infortunio per difetto di manutenzione della macchina sulla quale era addetto l’infortunato e sulla mancata adeguata formazione di questo, il datore di lavoro si era difeso deducendo che all’infortunio era presente il caposquadra con compiti che pertanto riguardavano anche la sicurezza dei lavori. La Corte viceversa afferma che, in assenza di una specifica delega di responsabilità per alcune operazioni a un esperto di sicurezza, il datore di lavoro è e rimane l’unico responsabile della sicurezza in azienda anche per quanto riguarda il controllo di qualità delle attrezzature usate, lo stato di manutenzione delle stesse, la presenza del libretto di istruzioni della macchina e l’eventuale abilitazione e l’adeguata preparazione del lavoratore addetto, mentre il capo squadra è semmai responsabile per eventuali prescrizioni e la vigilanza nella fase esecutiva dei lavori.

Tribunale di Roma, 21 febbraio 2022
Nullo il contratto a progetto avente ad oggetto attività di call center outbound in caso di insufficiente specificità del progetto.
Accolto il ricorso dell’operatore di call center che, in forza di plurimi contratti a progetto stipulati con lo stesso datore di lavoro aveva svolto attività di vendita e di servizi in outbound, e riconosciuta la trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Rigettata l’eccezione di decadenza ai sensi dell’art. 32 L. 183/2010 (ritenuto inapplicabile alla domanda di accertamento del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato per l’illegittimità dei contratti a progetto) il Tribunale ha affermato che l’ammissibilità in astratto del contratto di collaborazione a progetto per l’attività in outbound non esclude l’applicazione della presunzione di subordinazione di cui all’art. 69 D.Lgs. 276/2003 qualora il progetto indicato nel contratto non rivesta i canoni della specificità e analiticità.

Tribunale di Latina, 10 febbraio 2022
Illegittima la proroga acausale oltre i 12 mesi del contratto a termine stipulato sulla base della precedente normativa, ma intervenuta dopo l’entrata in vigore del cd. Decreto Dignità.
La proroga di un contratto a tempo determinato stipulato in data anteriore all’entrata in vigore del D.L. 87/2018, effettuata successivamente al 31 ottobre 2018 e che porti al superamento dei 12 mesi di durata del rapporto, non poteva essere priva di causale, dovendo il datore rispettare i limiti imposti dalla normativa sopravvenuta. Ai fini della legittimità del termine il datore di lavoro è onerato anche della prova della avvenuta valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute.

Tribunale di Bari, 21 gennaio 2022
Procedura per trasferimento di azienda ex art. 47 l. 428/1990: è antisindacale la carenza di informazioni sull’assetto successivo alla fusione di due imprese: la rimozione degli effetti impone l’annullamento del trasferimento collettivo che ne è conseguenza.
Il provvedimento barese interviene sulla stessa vicenda già oggetto del provvedimento d’urgenza segnalato con la precedente Newsletter e giunge allo stesso esito di annullamento del trasferimento collettivo attuato a seguito a un’operazione di fusione per incorporazione (che aveva provocato la chiusura della sede presso cui i lavoratori erano addetti). La Fiom-Cgil ha lamentato la carenza delle informazioni fornite in corso di procedura, tale da impedire un’adeguata valutazione dei futuri assetti produttivi e delle ragioni del trasferimento dei lavoratori, soltanto anticipato dalle aziende.

Tribunale di Bari, 23 gennaio 2022
Delocalizzazione dell’attività e trasferimento collettivo a seguito di una fusione per incorporazione: con un provvedimento d’urgenza il Tribunale blocca l’operazione che ha il chiaro scopo di provocare la compressione della forza lavoro.
Il Tribunale accoglie il ricorso ex art. 700 c.p.c. di alcuni lavoratori avverso il provvedimento di trasferimento collettivo disposto in seguito a un’operazione di fusione per incorporazione che aveva coinvolto la Società e provocato la chiusura della sede della stessa presso cui erano addetti. Il Giudice, attraverso l’analisi di circostanze verificatesi in tempi precedenti al trasferimento dei lavoratori, consistenti in un disegno messo in atto dalla Società volte alla compressione della forza lavoro, ha escluso che i trasferimenti fossero giustificati da esigenze tecniche, organizzative o produttive. Il Giudice afferma inoltre che la scelta di disporre la prestazione del lavoro nelle forme del lavoro agile, già adottato dal 2020 in modo totalitario, sarebbe risultata, a parità di costi sostenuti e di risultato perseguito dalla Società, meno gravosa per i dipendenti.

Tribunale di Genova, 14 dicembre 2021
Inutilizzabili a fini disciplinari i dati informatici acquisiti dal datore di lavoro, se non sono rispettati i limiti della previa informazione e della sussistenza di un fondato sospetto.
Il Tribunale annulla il licenziamento disciplinare intimato a una lavoratrice che, a seguito dei controlli effettuati sulla posta elettronica aziendale da parte un soggetto incaricato dal datore di lavoro, era stata accusata di aver trasmesso ad un’altra azienda notizie riservate in violazione degli obblighi di lealtà e fedeltà. Il Giudice, condividendo il recente orientamento della S.C. sui cd. “controlli difensivi in senso stretto” (diretti ad accertare condotte illecite del singolo lavoratore) ha affermato che il potere datoriale di controllo deve rispettare alcuni limiti: la previa informativa al lavoratore, il fondato sospetto dell’illecito, la raccolta delle informazioni solo dopo l’insorgenza dello stesso e il bilanciamento tra la riservatezza del lavoratore e l’interesse aziendale.

Tribunale di Roma, 12 ottobre 2021
La totale omissione della procedura della legge 223/1991 per i licenziamenti collettivi comporta il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, anche per i contratti a tutele crescenti.
Importante pronuncia del Tribunale di Roma che, anche in forza del richiamo al diritto europeo, stabilisce un innovativo principio. In un caso di cambio di appalto, il datore di lavoro uscente aveva licenziato le lavoratrici ad esso addette per giustificato motivo, omettendo del tutto di attivare la procedura prevista per i licenziamenti collettivi (né le stesse erano state assunte dall’appaltatore subentrante). Il Tribunale accoglie il ricorso richiamando la consolidata giurisprudenza che afferma l’applicabilità, in tale ipotesi, degli obblighi stabiliti dalla legge 223 del 1991, e ordina la reintegrazione delle lavoratrici, pur se assunte dopo il 7 marzo 2015, ritenendo nullo il licenziamento e dunque soggetto all’art. 2 d.lgs. 23/2015. Tale conseguenza viene affermata con ampi richiami ai principi di diritto comunitario sul rispetto degli obblighi di cui alla Direttiva n. 129/1975/CEE e sulla necessità di apprestare in tal caso una sanzione dotata di sufficiente capacità dissuasiva.