NEWSLETTER ESTENSIONE OBBLIGO GREEN PASS

Il Consiglio dei Ministri ha pubblicato, nella  Gazzetta Ufficiale n. 226 del 21 settembre 2021, il decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, che introduce misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening.

Lavoro privato

A chi si applica

Sono tenuti a possedere e a esibire su richiesta i Certificati Verdi coloro che svolgano attività lavorativa nel settore privato.

Dal 15 ottobre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, a chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso nei luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire su richiesta la certificazione verde COVID-19.

La disposizione si applica altresì a tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di lavoro, anche sulla base di contratti esterni.

Le suddette disposizioni non si applicano ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.

Dove si applica

Il possesso e l’esibizione, su richiesta, del Certificato Verde sono richiesti per accedere ai luoghi di lavoro.

I controlli e chi li effettua

Sono i datori di lavoro a dover assicurare il rispetto delle prescrizioni. Entro il 15 ottobre devono definire le modalità per l’organizzazione delle verifiche. I controlli saranno effettuati preferibilmente all’accesso ai luoghi di lavoro e, nel caso, anche a campione. I datori di lavoro inoltre individuano i soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle eventuali violazioni.

Per i lavoratori esterno la verifica del rispetto delle prescrizioni, oltre che dal personale incaricato, è effettuata anche dai rispettivi datori di lavoro.

Le sanzioni

I lavoratori, nel caso in cui comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o qualora risultino privi della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro, sono sospesi dalla prestazione lavorativa, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, e, in ogni caso, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.

La sospensione è comunicata immediatamente al lavoratore interessato ed è efficace fino alla presentazione della certificazione verde COVID-19 e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza. Per le imprese con meno di quindici dipendenti, dopo il quinto giorno di mancata presentazione della predetta certificazione, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, e non oltre il predetto termine del 31 dicembre 2021.

L’accesso di lavoratori nei luoghi di lavoro in violazione degli obblighi di cui ai commi 1 e 2, è punito con la sanzione di Euro da 600 a 1.500 irrogate dal Prefetto e restano ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di settore.

I soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle violazioni trasmettono al Prefetto gli atti relativi alla violazione.

Lavoro pubblico

A chi si applica

È tenuto a essere in possesso dei Certificati Verdi il personale delle Amministrazioni pubbliche.

L’obbligo riguarda inoltre il personale di Autorità indipendenti, Consob, Covip, Banca d’Italia, enti pubblici economici e organi di rilevanza costituzionale. Il vincolo vale anche per i titolari di cariche elettive o di cariche istituzionali di vertice.

Inoltre l’obbligo è esteso ai soggetti, anche esterni, che svolgono a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o formativa presso le pubbliche amministrazioni.

Dove si applica

Il possesso e l’esibizione, su richiesta, del Certificato Verde sono richiesti per accedere ai luoghi di lavoro delle strutture prima elencate.

I controlli e chi li effettua

Sono i datori di lavoro a dover verificare il rispetto delle prescrizioni. Entro il 15 ottobre devono definire le modalità per l’organizzazione delle verifiche. I controlli saranno effettuati preferibilmente all’accesso ai luoghi di lavoro e, nel caso, anche a campione. I datori di lavoro inoltre individuano i soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle eventuali violazioni.

Le sanzioni

Il decreto prevede che il personale che ha l’obbligo del Green Pass, se comunica di non averlo o ne risulti privo al momento dell’accesso al luogo di lavoro, è considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della Certificazione Verde; dopo cinque giorni di assenza, il rapporto di lavoro è sospeso. La retribuzione non è dovuta dal primo giorno di assenza. Non ci sono conseguenze disciplinari e si mantiene il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro.

Per coloro che sono colti senza la Certificazione sul luogo di lavoro è prevista la sanzione pecuniaria da 600 a 1500 euro e restano ferme le conseguenze disciplinari previste dai diversi ordinamenti di appartenenza.

Organi costituzionali

L’obbligo di Green Pass vale anche per i soggetti titolari di cariche elettive e di cariche istituzionali di vertice. Gli organi costituzionali adeguano il proprio ordinamento alle nuove disposizioni sull’impiego delle Certificazioni Verdi.

Tamponi calmierati

Il decreto prevede l’obbligo per le farmacie di somministrare i test antigenici rapidi applicando i prezzi definiti nel protocollo d’intesa siglato dal Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19, d’intesa con il Ministro della salute. L’obbligo vale per le farmacie che hanno i requisiti prescritti.

Le nuove norme prevedono inoltre la gratuità dei tamponi per coloro che sono stati esentati dalla vaccinazione.

Tribunali

Il personale amministrativo e i magistrati, per l’accesso agli uffici giudiziari, devono possedere ed esibire le Certificazioni Verdi. Al fine di consentire il pieno svolgimento dei procedimenti, l’obbligo non si estende ad avvocati e altri difensori, consulenti, periti e altri ausiliari del magistrato estranei all’amministrazione della Giustizia, testimoni e parti del processo.

Revisione misure di distanziamento

Entro il 30 settembre, in ragione dell’estensione dell’obbligo di Green Pass e dell’andamento della campagna vaccinale, il Cts esprime un parere relativo alle condizioni di distanziamento, capienza e protezione nei luoghi nei quali si svolgono attività culturali, sportive, sociali e ricreative. La rivalutazione sarà propedeutica all’adozione degli successivi provvedimenti.

Sostegno allo sport di base

Il provvedimento interviene, vista la grave crisi che continua ad attraversare il settore sportivo a causa dell’emergenza pandemica, anche sul settore sportivo. In particolare:

• a sostegno della maternità delle atlete non professioniste;

• a garanzia del diritto all’esercizio della pratica sportiva quale insopprimibile forma di svolgimento della personalità del minore;

• a incentivare l’avviamento all’esercizio della pratica sportiva delle persone disabili mediante l’uso di ausili per lo sport.

Inoltre le risorse potranno essere destinate ad assicurare un ulteriore sostegno all’attività sportiva di base, anche attraverso finanziamenti a fondo perduto da attribuire alle associazioni e società sportive dilettantistiche.

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NEWSLETTER N. 9/2021 NOVITÀ NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI

NOVITÀ NORMATIVE

GREEN PASS.
Dal 6.08.2021 si può accedere solo se in possesso di Green Pass a determinati servizi, tra i quali i servizi per la ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per consumo al tavolo al chiuso; gli spettacoli aperti al pubblico; musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre; piscine, palestre, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive, limitatamente alle attività al chiuso, centri estivi e le relative attività di ristorazione.
Il Governo ha, inoltre, pubblicato una FAQ che chiarisce l’obbligatorietà della certificazione anche con riferimento alle mense aziendali: “Per la consumazione al tavolo nelle mense aziendali o in tutti i locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti pubblici e privati è necessario esibire la certificazione verde COVID-19?
Sì, per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde COVID-19, analogamente a quanto avviene nei ristoranti. A tal fine, i gestori dei predetti servizi sono tenuti a verificare le certificazioni verdi COVID-19 con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021”.
Dal 1.09.2021, il Green Pass è obbligatorio anche per tutto il personale scolastico ed universitario e per gli studenti universitari (il mancato rispetto del requisito è considerato assenza ingiustificata e, a decorrere dal quinto giorno di assenza, il rapporto di lavoro è sospeso e non sono dovuti la retribuzione né altro compenso), nonché per l’utilizzo dei trasporti di medio-lunga percorrenza.
Si ricorda che i soggetti autorizzati a verificare la certificazione devono essere incaricati formalmente, avere istruzioni su come fare i controlli e sulla normativa vigente per la protezione dei dati personali. L’attività di verifica delle certificazioni non comporta, in alcun caso, la raccolta dei dati dell’intestatario in qualunque forma.
CONVERSIONE SOSTEGNI-BIS: CAUSALI CONTRATTO A TERMINE.
La legge di conversione del decreto Sostegni-bis (L. n. 106 del 23.07.2021) introduce, con l’articolo 41-bis, margini di flessibilità alla disciplina del contratto a tempo determinato, assegnando un ruolo fondamentale alla contrattazione collettiva, a qualsiasi livello.
Infatti, l’art. 41-bis, aggiunge alle rigide causali imposte dal decreto Dignità la possibilità che ulteriori ragioni giustificatrici della apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato possano essere previste dalla contrattazione collettiva, alla quale è assegnato ampio margine operativo. Una possibilità, però, anch’essa con efficacia a tempo determinato, considerato che la stessa legge ne fissa l’operatività fino al 30.09.2022.
La delega alla contrattazione collettiva.
L’art. 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015, così come riformulato dal decreto Dignità, richiede per l’apposizione di un termine ai contratti di lavoro subordinato della durata superiore a dodici mesi apposite ragioni giustificatrici:
a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
L’art. 41-bis aggiunge alle stesse la lettera b-bis), che introduce una ulteriore condizione per poter stipulare un contratto a tempo determinato, della durata superiore a 12 mesi e sempre nel limite massimo dei 24 mesi, ovverosia “specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’art. 51”.
Quella operata in favore della contrattazione collettiva è una delega significativamente ampia, che rilascia alle parti sociali il compito di individuare delle circostanze la cui sussistenza giustifica l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, senza limitarne in alcun modo il campo d’azione. Tuttavia, le esigenze che i contratti collettivi potranno prevedere devono essere “specifiche”. La contrattazione collettiva è perciò chiamata a individuare delle ulteriori causali, rispetto a quelle già previste dalla legge, che dovranno essere puntuali, determinate ed univoche: ogni singola ragione giustificatrice della predeterminazione della durata del contratto di lavoro subordinato dovrà essere elencata in maniera analitica e costituire di per sé stessa una clausola autosufficiente a consentire di individuarla e verificarne l’effettività dell’apposizione.
Al netto della richiesta specificità però, la legge non impone alcun limite alla operatività della previsione delle causali, per cui attraverso la contrattazione collettiva ogni esigenza che si vorrà individuare sarà legittima, purché connotata dalla premessa puntualità definitoria. Non sarà quindi necessario che le esigenze che si vorranno individuare con i contratti collettivi presentino quei connotati di straordinarietà e imprevedibilità richiesti dalle lettere a) e b) dell’art. 19.
Inoltre, le esigenze stesse non necessariamente dovranno limitarsi a circostanze oggettive, potendo immaginare ‒ stando alla lettera della legge ‒ che attraverso un contratto collettivo sia possibile individuare e prestabilire delle esigenze di natura anche soggettiva, destinate ad esempio a promuovere l’occupazione di una particolare categoria di lavoratori, magari rispetto ad una determinata fascia d’età.
Il livello di contrattazione previsto.
Entrambe le previsioni introdotte dalla legge di conversione del decreto Sostegni-bis, nel determinare la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato secondo le specifiche esigenze previste dai contratti collettivi, richiamano a tal fine l’art. 51 del D.Lgs. n. 81 del 2015 che dispone che, salvo diversa indicazione, ogni qual volta nell’ambito del suddetto decreto viene fatto riferimento ai contratti collettivi, senza ulteriore specificazione, questi devono intendersi indifferentemente come nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali conclusi dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
Effetti su proroghe e rinnovi.
Le nuove norme consentiranno di stipulare nuovi contratti a tempo determinato, della durata superiore a 12 mesi e sempre nel rispetto del limite massimo di 24, secondo le causali che saranno individuate dalla contrattazione collettiva, di qualsiasi livello.
Nulla osta però che anche le proroghe e i rinnovi possano essere disposti alla luce delle suddette specifiche esigenze né che, una volta introdotte dai contratti collettivi, queste possano essere applicate pure alle proroghe e ai rinnovi dei contratti a tempo determinato a suo tempo stipulati secondo le causali originariamente previste dall’art. 19. Ciò perché la previsione della possibilità di introdurre le nuove causali da parte della contrattazione collettiva, è inserita nel primo comma dell’art. 19, cui fa espresso rinvio il comma 1 dell’art. 21 dello stesso D.Lgs. n. 81 del 2015.
Possibilità a scadenza.
L’art. 41-bis inserisce, inoltre, all’art. 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015, il comma 1.1, con il quale è stabilito che “il termine di durata superiore a dodici mesi, ma comunque non eccedente ventiquattro mesi, di cui al comma 1 del presente articolo, può essere apposto ai contratti di lavoro subordinato qualora si verifichino specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di lavoro di cui all’articolo 51, ai sensi della lettera b-bis) del medesimo comma 1, fino al 30 settembre 2022”. La delega affidata alla contrattazione collettiva di prevedere nuove causali è rilasciata, quindi, a tempo.
Dalla norma si evincerebbe, infine, che il termine del 30.09.2022 rappresenta l’ultimo giorno utile per poter stipulare un contratto a tempo determinato con una causale individuata dalla contrattazione collettiva ai sensi della lettera b-bis) dell’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 81 del 2015, mentre la durata del rapporto può protrarsi oltre tale data.

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

SANITARI NO VAX: SOSPENSIONE SENZA RETRIBUZIONE.
Il Tribunale di Modena, con ordinanza n. 2467 del 23.07.2021, ha affermato la piena legittimità del provvedimento di sospensione dal lavoro senza retribuzione adottato da un datore di lavoro operante in una RSA ove due addetti con mansioni sanitarie avevano rifiutato di vaccinarsi contro il Covid-19, prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 44 del 2021.
Il Tribunale ha osservato che, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, l’imprenditore è garante della salute e della sicurezza sia degli altri dipendenti che dei terzi. Il rifiuto della vaccinazione, se pur non può dar adito a provvedimenti di natura disciplinare, può avere delle conseguenze sul piano della oggettività a svolgere determinate mansioni. Di qui la valutazione del medico competente di inidoneità a svolgere (art. 41), causa il pericolo pandemico e l’attività a stretto contatto con anziani e persone oltre modo fragili.
Veniva effettuata una prima valutazione del datore, a seguito della comunicazione del medico, circa la possibilità di utilizzare gli addetti sanitari in una posizione lavorativa non a contatto con altri dipendenti o terzi (art. 42). Verificata l’impossibilita, è stato ritenuto corretto il comportamento del datore che ha proceduto a sospendere i due dipendenti senza la corresponsione di alcuna retribuzione.
Non trova pregio neppure l’asserita violazione della privacy delle lavoratrici che avevano sottoscritto il consenso informato sulla mancata sottoposizione al vaccino che può essere valutata dal medico aziendale per stabilire l’inidoneità del lavoratore alla mansione.
Il Tribunale sostiene che il diritto alla libertà di autodeterminazione deve essere bilanciato con altri diritti di rilievo costituzionale come la salute dei clienti, degli altri dipendenti e il principio di libera iniziativa economica fissato dall’art. 41 della Costituzione.

DOPPIO PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO PER IL MEDESIMO LICENZIAMENTO.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 22930 del 16.08.2021, si è pronunciata in un caso di due giudizi aventi per oggetto l’impugnazione del medesimo licenziamento.
La Corte ha precisato che tra due giudizi aventi per oggetto l’impugnazione per ragioni diverse del medesimo atto di licenziamento non sussiste litispendenza, ma la proponibilità di una nuova iniziativa giudiziaria è condizionata alla sussistenza di un interesse oggettivo del lavoratore al frazionamento della tutela verso l’unico atto di recesso.

UTILIZZO E-MAIL A FINI DISCIPLINARI.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15161 del 31.05.2021, ha chiarito che l’utilizzo a fini disciplinari delle e-mail dal contenuto offensivo non integra una violazione del codice della privacy, a condizione che il datore utilizzi i relativi dati solo per finalità disciplinari e non anche per indagare sulle opinioni del lavoratore.
Nel caso di specie, un dipendente aveva inviato e-mail dal contenuto offensivo nei confronti dei vertici aziendali in una mailing list del sindacato.
A seguito della segnalazione di uno dei partecipanti alla mailing list, il lavoratore riceveva una contestazione disciplinare. Conseguentemente, lamentava la violazione del codice della privacy integrata dall’utilizzo della corrispondenza di posta elettronica per fini disciplinari.
La Cassazione rileva, preliminarmente, che la dichiarazione resa da una persona in una conversazione è un elemento identificativo e, come tale, va trattata alla stregua di un dato personale. In secondo luogo, richiama la pronuncia dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, la quale chiariva che l’azienda non aveva avuto alcun ruolo nella raccolta dei dati, né aveva effettuato indagini o controlli sulle opinioni del lavoratore.
Ribadisce, infine, che l’acquisizione di tale dato personale non può considerarsi illecita, allorquando non sia stata raccolta direttamente dal soggetto che la utilizza, ma provenga da un terzo che ne ha avuta diretta conoscenza. Secondo i Giudici di legittimità, inoltre, il trattamento dei dati contenuti all’interno di una e-mail non richiede il consenso dell’interessato, quando sia necessario per adempiere ad un obbligo imposto o consentito dalla legge, come l’esercizio del potere disciplinare nei confronti dei propri dipendenti.

MANCATO RIENTRO DOPO MALATTIA.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 22819 del 12.08.2021, fornisce alcune precisazioni sull’applicazione dell’art. 41, comma 2, del D.Lgs. n. 81 del 2008.
Nel caso di specie ad una dipendente assente prima per malattia e poi per aspettativa per motivi di salute, alla scadenza del suddetto periodo, era stato sollecitato di presentarsi in azienda per essere sottoposta a visita medica. La lavoratrice, però, non si presentava sul luogo di lavoro senza alcuna giustificazione. Da qui la contestazione dell’assenza ingiustificata dal servizio, all’esito di procedimento disciplinare concluso con l’irrogazione della sanzione del licenziamento disciplinare con preavviso.
La dipendente lamentava che la stessa non avrebbe potuto iniziare la prestazione lavorativa prima di essere sottoposta alla visita medica preventiva di cui all’art. 41, comma 2, lett. e-ter del D. Lgs. n. 81 del 2008.
La Corte di cassazione ha disatteso le ragioni della ricorrente chiarendo che è obbligo del datore di effettuare la visita di controllo preventivo circa la idoneità alla mansione e, contemporaneamente, il lavoratore non può rifiutarsi di andare in azienda se il datore, lo invita a recarsi sul posto di lavoro, cosa che integra gli estremi del licenziamento disciplinare con diritto al preavviso.

ALLONTANAMENTO DAL LAVORO PER PAUSA CAFFÈ.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 29674 del 29.07.2021, si pronuncia in un caso di uscita dall’ufficio senza timbrare il cartellino e reato di cui all’art. 55-quinquies del D.Lgs. n. 165 del 2001.
Nel caso di specie due impiegati del Comune si erano assentati ingiustificatamente, senza timbrare il badge, uno per la pausa caffè ed uno per acquistare le sigarette.
Il Tribunale e, poi, la Corte di Appello avevano posto l’accento sulla futilità dei motivi delle uscite (quali l’assenza, in ufficio, di un distributore di caffè), evidenziando come dalle dichiarazioni dei due impiegati l’allontanamento non fosse stato occasionale, ma una consuetudine mattutina.
La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto non provata l’abitualità del comportamento. La Cassazione precisa che l’uscita dall’ufficio senza timbrare il cartellino è sempre reato, ma se non è provata l’abitualità del comportamento e non c’è danno rilevante per l’ufficio, allora scatta la tenuità del fatto: il reato resta, ma non è punibile.

OBBLIGO MASCHERINA E SANZIONE DISCIPLINARE.
Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 4.06.2021, si pronuncia in un caso di sanzione disciplinare inflitta per rifiuto ad indossare la mascherina chirurgica.
Nel caso di specie un lavoratore – che ricopriva, tra l’altro, il ruolo di RLS – aveva inoltrato alla Direzione della società una PEC in cui lamentava l’illegittimità della disposizione aziendale relativa all’utilizzo obbligatorio della mascherina, con tono aggressivo e linguaggio inappropriato. Lo stesso dipendente, successivamente, si presentava ad una riunione sprovvisto di mascherina, rifiutando anche di indossare quella distribuita dall’azienda. Da ultimo, il lavoratore affiggeva nella bacheca aziendale la sopracitata PEC, divulgando così il messaggio ivi contenuto.
L’azienda irrogava, conseguentemente, la sanzione disciplinare della sospensione di tre giorni dal lavoro e dalla retribuzione.
Il Tribunale conferma la legittimità della sanzione irrogata, evidenziando come il datore di lavoro, garante di tutela della salute dei lavoratori, sia tenuto ad adottare tutte le misure necessarie ed opportune per prevenire eventi dannosi.
Richiamando i c.d. Protocolli anti-contagio, il giudice ricorda che gli stessi impongono quelle che sono da considerarsi le misure minime, le quali possono essere integrate con altre e più incisive secondo la peculiarità della singola organizzazione.
Nel caso concreto, il Protocollo adottato dall’azienda in attuazione dei Protocolli anti-contagio prevedeva l’utilizzo obbligatorio della mascherina chirurgica. Il Tribunale evidenzia come tale imposizione non sia misura irrazionale o eccessivamente gravosa, ma che risponde pienamente al dovere datoriale di tutelare i propri dipendenti.
Sottolineando anche la gravità della condotta dovuta al ruolo di RLS ricoperto dal lavoratore, il Tribunale accerta la legittimità della sanzione disciplinare irrogata.

PATTO DI NON CONCORRENZA.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 23418 del 25.08.2021, si pronuncia in merito al patto di non concorrenza e relativo corrispettivo.
Con riferimento al patto di non concorrenza, la Corte ribadisce che il corrispettivo dovuto non deve prevedere compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato.
La Corte precisa, inoltre, che il corrispettivo del patto di non concorrenza può essere erogato anche in corso del rapporto di lavoro.

NEWSLETTER GREEN PASS E MENSE AZIENDALI


IL PARERE DELLA REGIONE PIEMONTE.
Negli ultimi giorni, con l’operatività della certificazione Covid-19 a partire dal 6 agosto 2021 per l’accesso ad una serie di attività e locali, è esplosa la questione relativa all’obbligatorietà del Green Pass anche per le mense aziendali.
Non è necessario il Green Pass per la mensa aziendale: questa è stata la conclusione raggiunta dalla Regione Piemonte il 12 agosto scorso, poco dopo la proclamazione dello sciopero da parte della Fim-Cisl alla Hanon System per protestare contro la richiesta, da parte della ditta, di esibire il certificato verde in mensa.
Si sosteneva, infatti, che “L’articolo 9 bis, comma del Decreto legge numero 105 prescrive l’obbligo del possesso del Green Pass per l’accesso “ai servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio di cui all’articolo 4, per il consumo al tavolo, al chiuso”. Dal richiamato articolo 4 risultano escluse le mense aziendali e i servizi di catering su base contrattuale”. Sussisterebbero – secondo la Regione Piemonte – “sostanziali differenze” tra i servizi offerti dalle mense rispetto alla ristorazione commerciale: mentre quest’ultima è rivolta ai clienti che scelgono liberamente il luogo ove recarsi, la ristorazione aziendale sarebbe destinata ad una comunità chiusa ed individuata, si svolgerebbe esclusivamente durante l’orario lavorativo e sarebbe disciplinata da regole contrattuali che obbligano l’appaltatore a fornire la prestazione solo ai dipendenti dell’azienda appaltante. Secondo la ricostruzione della normativa vigente il DPCM del 2.03.2021, ancora in vigore, stabilisce che le attività di mense e di catering continuativo su base contrattuale possono proseguire nell’attività purché rispetto dei Protocolli e delle linee guida. La Regione Piemonte prosegue: “Tale esclusione è stata confermata dalla circolare del ministero dell’Interno dello scorso 24 aprile, con il richiamo al rispetto dei protocolli o delle linee guida dirette a prevenire o contenere il contagio”. Dunque “Le attività connesse con la fruizione del vitto sono consentite a tutto il personale, fermo restando il rispetto dei protocolli o delle linee guida dirette a prevenire o contenere il contagio”.
Anche sul fronte privacy la questione ha fatto molto discutere, rilevandosi che il datore di lavoro non dovrebbe conoscere la situazione sanitaria del dipendente, ma nel caso di mensa sita nei locali aziendali ciò sarebbe quasi inevitabile.
La posizione della Regione Piemonte, tuttavia, risulta essere stata superata da una FAQ pubblicata sul sito del governo.

LA NUOVA FAQ PUBBLICATA DAL GOVERNO.
Il Governo ha predisposto una pagina web con tutti i chiarimenti riguardanti il Green Pass, che certifica l’avvenuta vaccinazione, la negatività ad un test molecolare o antigenico o la guarigione recente dal Covid-19, obbligatorio dal 6 agosto 2021 per accedere ad alcuni eventi pubblici e diversi luoghi al chiuso.
L’ultimo chiarimento è arrivato con riferimento alle mense aziendali, specificando che anche in questo caso la certificazione è necessaria.
È, infatti, stata inserita una nuova FAQ: “Per la consumazione al tavolo nelle mense aziendali o in tutti i locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti pubblici e privati è necessario esibire la certificazione verde COVID-19?”
La risposta del Governo mette ordine sulla questione ristorazione sul posto di lavoro: “Sì, per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde COVID-19, analogamente a quanto avviene nei ristoranti. A tal fine, i gestori dei predetti servizi sono tenuti a verificare le certificazioni verdi COVID-19 con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021”.

RIFIUTO VACCINO E SOSPENSIONE DAL LAVORO E DALLA RETRIBUZIONE

Il Tribunale di Roma, con pronuncia del 28.07.2021 si è espresso in merito ad una dipendente che ha ricevuto, a causa del rifiuto di vaccinarsi, un giudizio di idoneità con limitazione. In particolare, il Tribunale ha dichiarato la legittimità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione disposta dal datore nei confronti del dipendente.

La particolarità del caso è data dal fatto che la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione è stata disposta dal datore di lavoro nei confronti di personale per il quale non è stato introdotto dal legislatore l’obbligo di vaccinazione anti Covid-19.

Nello specifico, la dipendente era risultata non idonea alle prestazioni lavorative in seguito alla visita d’idoneità del medico competente, il quale aveva dichiarato la lavoratrice “idonea con limitazioni” e, stante il rifiuto di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19, impossibilitata a stare in contatto con la clientela.

Conseguentemente, il datore di lavoro, dopo il giudizio del medico competente e previa verifica della possibilità per la dipendente di svolgere altre mansioni nella sua attività, appurata la mancanza di un diverso impiego da assegnarle, ha deciso di sospendere la lavoratrice, privandola della retribuzione, fino a eventuale giudizio di revisione di idoneità o alla cessazione delle limitazioni per pandemia.

In primo luogo, il Tribunale chiarisce che la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione non costituisce un provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione, bensì un doveroso provvedimento di sospensione adottato stante la parziale inidoneità alle mansioni della lavoratrice. Del resto, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione non poteva essere evitata in quanto, dall’organigramma prodotto dal datore di lavoro, “non risultano posizioni lavorative confacenti alla professionalità della ricorrente […] e quindi la possibilità di reimpiegare diversamente la ricorrente”.

Il Tribunale richiama quanto previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, all’art. 20: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”, nonché la recentissima ordinanza del Tribunale di Modena del 19.05.2021, per cui “il prestatore di lavoro è tenuto (non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche) a osservare precisi doversi di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto […] La protezione e la salvaguardia della salute dell’utenza rientra nell’oggetto della prestazione esigibile. Tutela […] che non può che attuarsi (anche) mediante la sottoposizione al trattamento sanitario del vaccino contro il virus Sars CoV-2. Con la conseguenza per cui un ingiustificato contegno astensivo rende la prestazione (ove tramontata la possibilità di ricollocamento aliunde) inutile, irricevibile da parte del datore di lavoro”.

Con riferimento alla retribuzione della dipendente, il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza che, concordemente, ritiene: “se le prestazioni lavorative vengono vietate dalle prescrizioni del medico competente con conseguente legittimità del rifiuto del datore di lavoro di ricevere, lo stesso datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione”.

NEWSLETTER N. 8/2021 NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

MINISTERO DEL LAVORO: DECRETO N. 143 DEL 25.06.2021.

Con decreto del 25.06.2021, il Ministero del Lavoro ha definito un sistema di verifica della congruità dell’incidenza della manodopera impiegata nella realizzazione di lavori edili.

Ambito di applicazione.

Il decreto si applica ai lavori pubblici, a quelli privati (solo sopra i 70mila Euro), ai subappalti ed anche in caso di lavoratori autonomi coinvolti nell’esecuzione e riguarda tutte le attività “direttamente e funzionalmente connesse all’attività resa dall’impresa affidataria dei lavori, per le quali trova applicazione la contrattazione collettiva edile”.

Efficacia.

Le disposizioni ministeriali saranno efficaci a partire dai lavori denunciati dal 1.11.2021.

Si tratta di un provvedimento anticipato da diversi atti: il D.L. n. 76 del 2020 e l’accordo collettivo del 10.09.2020, sottoscritto dalle organizzazioni più rappresentative per il settore edile, che individua le percentuali di incidenza minima della manodopera sul valore dell’opera in relazione a diverse categorie di lavori edili (c.d. indici di congruità).

Obiettivi.

L’obiettivo del nuovo “DURC di congruità” è doppio: contrasto al lavoro nero ed ai fenomeni di dumping contrattuale.

Procedura e conseguenze.

Ai fini della verifica sul raggiungimento della percentuale minima di incidenza della manodopera fissata dal decreto faranno fede i dati comunicati alla Cassa edile sul valore complessivo dell’opera e sul valore dei lavori edili previsti. Prima del saldo finale dei lavori, l’impresa dovrà richiedere proprio alla Cassa edile l’attestazione di congruità della manodopera. Qualora non sia possibile rilasciarla, le difformità riscontrate saranno comunicate in maniera analitica all’impresa, con l’invito a regolarizzare la sua posizione entro quindici giorni. Scaduto questo termine, scatterà l’iscrizione nella Banca dati delle imprese irregolari.

Gli effetti di un eventuale esito negativo saranno rilevanti: il decreto, infatti, stabilisce che esso inciderà “dalla data di emissione, sulle successive verifiche di regolarità contributiva finalizzate al rilascio per l’impresa affidataria del Durc online”.

Pertanto, senza congruità non verrà rilasciato nemmeno l’ordinario DURC, con il rischio per l’impresa di venire, di fatto, esclusa dalla partecipazione alle gare d’appalto nel proprio settore.

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

INDENNITÀ FERIE NON GODUTE.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 16.06.2021, chiarisce che il diritto all’indennità per ferie non godute va riconosciuto anche quando il lavoratore abbia funzioni direttive apicali, se il datore di lavoro non l’abbia incentivato a fruirne e non abbia segnalato le conseguenze del mancato godimento.

Rigettando l’opposizione formulata dalla società al decreto ingiuntivo notificato da un ex dipendente per indennità di ferie e permessi non goduti, il Tribunale afferma che, anche laddove il dipendente ricopra una posizione di apicalità e sia autonomo nella gestione delle ferie, il datore di lavoro ha l’onere di metterlo nelle condizioni di fruirne e, comunque, di segnalargli le conseguenze del mancato godimento (cioè la perdita della relativa indennità). Nel caso in oggetto, il Tribunale ha ritenuto non assolto tale onere né provata, da parte della società, l’autonomia nella gestione dell’orario di lavoro del dipendente il quale, pur inquadrato come impiegato, svolgeva le funzioni di direttore generale ed era perciò stato qualificato dal datore di lavoro, nell’ambito del contenzioso, come dirigente. N

SICUREZZA.

La Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 24915 del 1.07.2021, si pronuncia in materia di responsabilità del coordinatore dell’esecuzione dei lavori.

La Corte chiarisce che in materia di sicurezza, il coordinatore dell’esecuzione dei lavori non è tenuto a un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative.

Per l’infortunio mortale di un operaio/imprenditore edile, occorso mentre questi stava compiendo un’operazione non prevista e non autorizzata dal progetto e dal Comune, era stato condannato dai giudici di merito il coordinatore dell’esecuzione dei lavori per non aver monitorato l’evoluzione dei lavori e le modalità tecniche adottate.

La Corte cassa la sentenza, affermando che il coordinatore dell’esecuzione dei lavori, oltre a intervenire sui piani di sicurezza, ha una funzione di alta vigilanza con riguardo alla generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale e non anche di puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, compito spettante ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto).

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 17336 del 17.06.2021, si pronuncia in materia di infortuni sul lavoro.

La Corte precisa che costituisce infortunio in occasione di lavoro anche quello occorso durante la deambulazione all’interno dell’azienda.

L’impiegata di una procura si era infortunata cadendo mentre dalla propria postazione di lavoro si era alzata per prelevare alcuni fascicoli situati su un altro tavolo. Mentre l’INAIL aveva negato l’indennizzo, la Corte ricorda l’ampiezza che ha assunto nell’interpretazione giurisprudenziale la nozione di “occasione di lavoro”, che determina l’indennizzo ove l’infortunio si sia in essa verificato e che si estende anche al caso esaminato in giudizio di caduta durante lo spostamento in ufficio da un tavolo all’altro per ragioni di lavoro.

SUCESSIONE DI CONTRATTI DI APPALTO ILLECITI.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 27.05.2021, precisa che in caso di successione di più contratti di appalto ritenuti illeciti, il termine di decadenza per affermare la titolarità del rapporto di lavoro in capo al committente decorre dalla cessazione del rapporto con l’effettivo utilizzatore.

Il Tribunale conferma la pronuncia resa in fase sommaria, affermando come la decadenza prevista dall’art. 32, comma 4, lett. d), l. n. 183 del 2010 per contestare la titolarità del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore, in caso di contratti di appalto succedutisi senza soluzione di continuità, decorra dal momento in cui cessa il rapporto di lavoro con tale soggetto, con l’estromissione del lavoratore dal contesto organizzativo al quale pretende di imputare il rapporto. La proposizione tempestiva dell’impugnazione è idonea ad impedire qualsiasi prescrizione che imponga di circoscrivere temporalmente l’accertamento del diritto alla costituzione ex tunc del rapporto di lavoro. Il Tribunale conferma l’illiceità dei contratti di appalto impugnati, ribadendo come in presenza dello svolgimento della prestazione in un dato ambito riconducibile al Convenuto (preteso) committente, incombe su questo l’onere di provare la riconducibilità del lavoro ad un genuino contratto di appalto.

TRASFERIMENTO RAMO D’AZIENDA.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18948 del 5.07.2021, chiarisce che costituisce trasferimento di ramo d’azienda la traslazione da un’impresa ad un’altra di una preesistente articolazione funzionalmente autonoma dell’azienda.

Il principio enunciato consente alla Corte di escludere il trasferimento di ramo d’azienda in un caso in cui era stato accertato che alcuni uffici e servizi della struttura denominata Back office non erano stati trasferiti, che la stessa denominazione di Back office non individuava esattamente gli uffici trasferiti e che, infine, erano rimasti di proprietà della cedente i software applicativi necessari per svolgere l’attività e quindi fatti oggetto di due contratti di appalto tra le parti. La Corte ribadisce, pertanto, che, indipendentemente dalla qualificazione data dalle parti, l’autonomia funzionale del ramo ceduto postula la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali e produttivi, transitando quindi nella sua integrità al cessionario, senza necessità di apporti da parte del cedente o di terzi.

TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 19143 del 6.07.2021, ribadisce che è illegittimo il trasferimento del lavoratore se le ragioni che lo sostengono possono essere soddisfatte in altro modo equivalente.

La Corte, pur ribadendo l’insindacabilità, nel merito, delle ragioni tecniche, organizzative e produttive poste a base del trasferimento, ricorda che, in osservanza delle regole di correttezza e buona fede, il datore di lavoro non può legittimamente ricorrere al trasferimento se esistono modi equivalenti per soddisfare le medesime ragioni.

CONTRATTO A PROGETTO E PROVA DELLA SUBORDINAZIONE.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16720 del 14.06.2021, si pronuncia in materia di rapporto a progetto e prova della subordinazione.

La Corte precisa che per provare la subordinazione in un rapporto di lavoro a progetto non è sufficiente dedurre lo svolgimento di mansioni in parte diverse dal progetto.

La Corte d’appello aveva dichiarato subordinato un rapporto di lavoro costituito come a progetto, in ragione del fatto che in giudizio era risultato che il lavoratore, durante il rapporto, aveva svolto anche un lavoro diverso da quello convenuto nel progetto, osservando altresì un preciso orario di lavoro. La Cassazione cassa la decisione, affermando che i dati indicati non sono sufficienti per accertare la subordinazione, essendo viceversa necessaria la prova, a carico del lavoratore, che il rapporto si è svolto secondo il complesso di caratteristiche da tempo individuate dalla giurisprudenza.

CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 28.05.2021, si pronuncia in un caso di licenziamento illegittimo e contratto a tutele crescenti.

In un caso di licenziamento illegittimo per violazione dei criteri di scelta nelle riduzioni del personale in regime del Jobs Act, il Giudice disapplica l’art. 1 D.Lgs. n. 23 del 2015, per contrasto col diritto europeo, nella parte in cui prevede che le disposizioni sul contratto a tutele crescenti si applichino non solo ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, ma anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del decreto, di contratti a termine sorti in precedenza. È, dunque, riconosciuto il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.

La Corte di giustizia UE con la sentenza del 17.03.2021, emanata sulla base del rinvio operato dal Giudice milanese (di cui all’ordinanza dell’11.7.2019), aveva demandato al giudice nazionale il compito di verificare se la differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo indeterminato assunti prima del 7 marzo 2015 e quelli a termine – anch’essi assunti prima ma convertiti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina – con applicazione della nuova disciplina sanzionatoria meno favorevole, sia giustificata da una ragione oggettiva e quindi compatibile con la Direttiva europea che tutela i lavoratori a termine. Il Tribunale di Milano sottopone a verifica la ragionevolezza della disposizione del Jobs Act in relazione all’obiettivo di promozione dell’occupazione avuto presente dal legislatore, rilevando come la regola adottata sia inidonea a realizzare gli obiettivi di legge e concludendo per il dovere di disapplicarla per contrasto col diritto europeo. Inoltre, il Tribunale enuncia la necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1 del d.lgs. n. 23 del 2015 (c.d. Jobs Act), nella parte che equipara alle nuove assunzioni i contratti a termine convertiti in contratti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto, ritenendo che tale ipotesi non si verifichi nel caso di una conversione volontaria priva di effetti novativi del contratto. Ritenuto illegittimo nel merito il licenziamento subito dalla ricorrente nell’ambito di un licenziamento collettivo, il Tribunale le applica dunque la disciplina precedente all’entrata in vigore del Jobs Act, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 Stat. lav.

CONTRATTO A TERMINE.

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza n. 177 del 29.06.2021, chiarisce che il mutamento del lavoratore sostituito, indicato al momento della proroga di un contratto a termine, determina in realtà l’insorgere di un nuovo rapporto a termine, con necessità di rispetto della disciplina sugli intervalli tra più contratti.

La Corte ha accertato che in caso di modifica del lavoratore da sostituire, indicato nella causale del contratto a termine per ragioni sostitutive al momento di un’ennesima proroga, si verifica il sorgere di un nuovo contratto per novazione della ragione giustificatrice e non già una proroga del precedente: ne deriva la necessità di rispettare l’intervallo minimo tra un contratto a termine e l’altro prescritto dall’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2015 (c.d. “stop & go”). Non avendo il datore di lavoro rispettato tale termine, essendosi limitato a comunicare al centro per l’impiego la proroga del contratto, con causale identica ma nominativo del lavoratore da sostituire differente, la Corte conferma la sentenza di primo grado che ha dichiarato la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

MODIFICHE AL CONTRATTO DI LAVORO.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 31.03.2021, precisa che la modifica della disciplina legale, che ha esteso la possibilità di lavorare a tutte le domeniche dell’anno, non legittima l’imposizione unilaterale di tale modifica a lavoratrici assunte a tempo parziale con riferimento a una regola che consentiva un numero minore di domeniche lavorative.

Il Giudice accoglie il ricorso di alcune lavoratrici che erano state assunte con contratto part-time per il venerdì e sabato, con possibilità di lavoro domenicale per un massimo di tredici domeniche secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 114 del 1998 allora vigente (decreto Bersani). A seguito della liberalizzazione del quadro legale portata dal D.Lgs. n. 201 del 2011 l’impresa aveva imposto il lavoro in tutte le domeniche dell’anno, salvo le festività.

Il Tribunale ritiene che tale imposizione comporti una modifica essenziale del contratto, idonea ad alterarne l’equilibrio e ad incidere sulla vita personale del lavoratore, che non poteva avvenire automaticamente per il solo mutare della legge, ma necessitava di un ulteriore accordo tra le parti. Viene, così, riconosciuto alle lavoratrici il risarcimento del danno non patrimoniale di natura esistenziale, liquidato in via equitativa.

Il Tribunale respinge altresì l’eccezione di prescrizione formulata dal datore di lavoro, condividendo l’orientamento per il quale il termine di prescrizione non decorre, alla luce della modifica dell’art. 18 Stat. lav. operata dalla L. n. 92 del 2012.

PROCEDURA DI SELEZIONE.

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 158 del 23.06.2021, precisa che il Direttore generale dell’azienda sanitaria deve motivare analiticamente la nomina del direttore di struttura complessa, quando scelga quello che non ha ottenuto il punteggio maggiore nella procedura di selezione.

La Corte d’appello marchigiana dichiara illegittimo il decreto di nomina di un direttore di struttura complessa ospedaliera, individuato dal Direttore generale in un candidato che non aveva ottenuto il migliore punteggio nella graduatoria stilata dalla commissione di selezione. Pur ribadendo la natura discrezionale di tale atto, il collegio afferma che per soddisfare la disciplina della L. n. 189 del 2012 (c.d. “Riforma Balduzzi”), il DG deve motivare la scelta differente rispetto a quella tecnica emersa nella selezione, ripercorrendo i parametri valutati dalla Commissione ed individuando puntualmente gli ulteriori criteri ritenuti decisivi per giustificare tale scelta differente. Nel caso di specie ciò non è avvenuto e la Corte, non ritenendo possibile una pronuncia di modifica della nomina, condanna l’azienda ospedaliera al risarcimento del danno da perdita di chance subito dal candidato che aveva ottenuto il punteggio migliore.

CONDOTTA ANTISINDACALE.

Il Tribunale di Bologna, con pronuncia del 30.06.2021, ritiene antisindacale la condotta di Deliveroo che pretendeva di imporre ai propri rider l’accettazione del contratto collettivo stipulato con UGL a settembre 2020, come condizione per proseguire nella collaborazione e nega ad UGL-Rider la natura di soggetto comparativamente più rappresentativo nel settore.

Un altro episodio nella saga della vicenda rider-Deliveroo ed, in particolare, del contenzioso promosso da Filcams-Cgil, Filt-Cgil e Nidil-Cgil contro l’accordo raggiunto da Assodelivery e UGL nel settembre 2020 sulle condizioni di collaborazione dei rider, che Deliveroo come altre piattaforme ha preteso di imporre ai propri fattorini per la prosecuzione del rapporto di collaborazione.

Il Tribunale bolognese dissente dalla recente decisione del Tribunale di Firenze, presa nel medesimo contenzioso, che aveva escluso l’utilizzabilità dell’azione ex art. 28 Stat. Lav. per conflitti che si sviluppano al di fuori dell’area del lavoro subordinato.

La pronuncia ritiene che anche nella fase sommaria del procedimento per condotta antisindacale possa porsi la questione pregiudiziale della natura giuridica dei rapporti di lavoro e, nel caso, la risolve ritenendo che i rapporti dei rider di Deliveroo avessero natura di collaborazioni etero-organizzate ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015 e che l’estensione ad esse della disciplina del lavoro subordinato possa includere anche l’applicazione dell’art. 28, che è norma insieme sostanziale e processuale. Nel merito, il giudice emiliano esclude che UGL-Rider fosse soggetto rappresentativo legittimato alla stipulazione di un accordo di esenzione dall’applicazione di quanto previsto dal 1° comma del citato art. 2.

Il Tribunale di Asti, con sentenza del 4.06.2021, si pronuncia in un caso di recesso del datore di lavoro dal CCNL.

Il principio per cui non è legittimo (ed è antisindacale) il recesso del datore di lavoro dal CCNL prima della sua scadenza, con applicazione di un diverso contratto nazionale, va applicato anche al CCNL scaduto ma dotato di clausola di ultrattività fino al rinnovo, dovendosi ritenere tale clausola come fissazione di un nuovo termine di scadenza.

Pronuncia innovativa del Tribunale astigiano, fondata sul richiamo dei precedenti della Corte di Cassazione, che afferma l’illegittimità della condotta del datore di lavoro che pretende di disapplicare un CCNL prima della sua scadenza e di imporre un diverso CCNL (nel caso la sostituzione del CCNL del terziario con un CCNL dei servizi stipulato da associazioni minori).

Nel caso di specie il CCNL terziario era in realtà scaduto ed in attesa di rinnovo, ma il Giudice analizzando il tenore della clausola di ultrattività del contratto ritiene che la stessa fosse sostitutiva dell’originario con un nuovo termine, individuato nella sottoscrizione di un nuovo CCNL. Ritenuta l’antisindacalità della condotta datoriale anche per violazione degli obblighi di informazione previsti dal CCNL.

PRIVACY.

Il Garante per la protezione dei dati personali, con ordinanza di ingiunzione n. 234 del 10.06.2021, si è pronunciato in merito al trattamento dei dati dei rider tramite l’utilizzo di una piattaforma digitale.

La società Foodinho S.r.l., controllata da GlovoApp23, dovrà modificare il trattamento dei dati dei propri rider – effettuato tramite l’utilizzo di una piattaforma digitale – e verificare che gli algoritmi di prenotazione e assegnazione degli ordini di cibo e prodotti non producano forme di discriminazione. In aggiunta, dovrà pagare una sanzione di Euro 2,6 milioni. È la decisione del Garante per la privacy, la prima riguardante i rider, all’esito di un primo ciclo ispettivo sulle modalità di gestione dei lavoratori di alcune delle principali società di food delivery che operano in Italia.

NEWSLETTER (S)Blocco LICENZIAMENTI

Nota Inl n. 5186 del 16.07.2021

Con la Nota n. 5186 del 16.07.2021, l’Ispettorato del Lavoro fornisce alcuni chiarimenti in merito alla riattivazione delle procedure ex art. 7 della L. n. 604 del 1966, ovverosia quelle che il datore di lavoro deve promuovere qualora voglia licenziare per giustificato motivo oggettivo un lavoratore soggetto alla disciplina di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

L’occasione è anche per fornire una interpretazione in merito al (s)blocco dei licenziamenti, introdotto dal D.L. n. 99 del 2010.

L’Ispettorato, richiamando gli ultimi decreti-legge emanati (D.L. n. 41 del 22.03.2021, convertito con modificazioni dalla L. n. 69 del 21.05.2021, D.L. n. 73 del 25.05.2021 e D.L. n. 99 del 30.06.2021), precisa che:

  • l’art. 8, comma 9, del D.L. n. 41 del 2021 ha previsto per le aziende del settore industriale che hanno presentato “domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale di cui agli articoli 19 e 20 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27”, il blocco dei licenziamenti fino al 30.06.2021, nonché la sospensione delle procedure di cui all’art. 7 della L. n. 604 del 1966;
  • il comma 10 del medesimo articolo, relativamente alle imprese aventi diritto all’assegno ordinario e alla cassa integrazione salariale in deroga di cui agli artt. 19, 21, 22 e 22 quater, D.L. n. 18 del 2020, nonché a quelle destinatarie della cassa integrazione operai agricoli CISOA, ha precluso, fino al 31.10.2021, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604 del 1966, inibendo altresì le procedure in corso di cui all’art. 7 della medesima legge;
  • il medesimo termine del 31.10.2021 è stato fissato anche per le imprese del settore del turismo, stabilimenti balneari e commercio; tuttavia, l’art. 43 del D.L. n. 73 del 2021 ha introdotto una ulteriore eccezione in forza della quale, se tali aziende richiedono l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, fruibile entro il 31.12.2021, risulta esteso il divieto di licenziamento sino a tale data.

L’Ispettorato chiarisce, dunque, che a decorrere dal 1.07.2021, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del D.L. n. 41 del 2021, il divieto di licenziamento è venuto meno SOLO per le aziende che possono fruire della CIGO individuate ex art. 10 del D.Lgs. n. 148 del 2015 (riferibile sostanzialmente ad industria e manifatturiero).

Gli ulteriori interventi normativi di cui al D.L. n. 73 del 2021 ed al D.L. n. 99 del 2021 hanno esteso, a determinate condizioni, il divieto di licenziamento oltre il 30 giugno.

In particolare:

  • per le aziende del tessile identificate secondo la classificazione Ateco2007, con i codici 13, 14 e 15, il divieto di licenziamento è esteso sino al 31.10.2021 (ex art. 4, comma 2, D.L. n. 99 del 2021). Il divieto opera a prescindere dalla effettiva fruizione degli strumenti di integrazione salariale;
  • per le altre aziende rientranti nell’ambito di applicazione della CIGO, la possibilità di licenziare è inibita ai sensi degli artt. 40, commi 4 e 5, e 40-bis, commi 2 e 3, del D.L. n. 73 del 2021 ai datori di lavoro che abbiano presentato domanda di fruizione degli strumenti di integrazione salariale ai sensi degli articoli 40, comma 3 e 40-bis, comma 1, per tutta la durata del trattamento e fino al massimo al 31.12.2021. La ratio delle norme in questione risiede, quindi, nel collegare il divieto di licenziamento alla domanda di integrazione salariale e dunque al periodo di trattamento autorizzato e non a quello effettivamente fruito.

MODELLO DI ISTANZA.

L’Ispettorato fornisce un modello di istanza – già disponibile sulla pagina web dell’INL – al fine di acquisire le informazioni utili all’istruttoria delle procedure di conciliazione ex art. 7 della L. n. 604 del 1966 (quali settore di attività dell’impresa istante ed eventuale presentazione di domande di integrazione salariale).

Necessita la reiterazione dell’istanza utilizzando il medesimo modello anche per le istanze riguardanti le procedure di conciliazione di cui all’art. 7 della L. n. 604 del 1966 in corso al momento dell’entrata in vigore del D.L. n. 18 del 2020.

L’Ispettorato ricorda, infine, che le Associazioni datoriali hanno condiviso con le OO.SS al tavolo con il Governo un avviso comune con il quale si raccomanda l’utilizzo degli ammortizzatori sociali previsti dalla normativa in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro. Di tale orientamento l’INL terrà conto in sede di riunione, anche ai fini del monitoraggio dell’andamento dell’intesa.

NEWSLETTER D.L. N. 99 DEL 30 GIUGNO 2021 Verso l’ADDIO al BLOCCO LICENZIAMENTI!

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 155 del 30.06.2021 il D.L. n. 99 del 30.06.2021, recante misure urgenti in materia fiscale, di tutela del lavoro, dei consumatori e di sostegno alle imprese.

Con l’art. 4 del D.L. n. 99, il Governo ha deciso di mantenere come data ultima del c.d. “blocco dei licenziamenti” il 30.06.2021.

Eccezioni.

I datori di lavoro delle industrie tessili, delle confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e pelliccia, e delle fabbricazioni di articoli in pelle e simili, identificati, secondo la classificazione delle attività economiche Ateco2007, con i codici 13, 14 e 15, che, a decorrere dalla data del 1° luglio 2021, sospendono o riducono l’attività lavorativa, possono presentare, per i lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del decreto, domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale di cui agli articoli 19 e 20 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 per una durata massima di diciassette settimane nel periodo compreso tra il 1° luglio e il 31 ottobre 2021.

Per tali trattamenti non è dovuto alcun contributo addizionale.

Ai datori di lavoro suddetti resta precluso fino al 31 ottobre 2021 l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e

resta altresì preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e restano, altresì, sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della medesima legge.

ALTRE IMPRESE.

Al D.L. n. 73 del 25.05.2021 (c.d. Decreto Sostegni bis) viene aggiunto l’art. 40-bis, che introduce un ulteriore periodo di trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria.

Tale norma prevede che ai datori di lavoro privati che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ma che non possono ricorrere ai trattamenti di integrazione salariale di cui al D.Lgs. n. 148 del 14.09.2015, è riconosciuto un trattamento straordinario di integrazione salariale, per un massimo di 13 settimane, fruibili fino al 31.12.2021.

Per i datori di lavoro che decidano di presentare domanda di integrazione salariale rimane attivo il blocco dei licenziamenti per la durata del trattamento fruito entro il 31.12.2021.

Le sospensioni e le preclusioni non si applicano nelle ipotesi

  • di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa oppure dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività,
  • nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile o
  • nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu’ rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo,

i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione

NEWSLETTER N. 7/2021

NOVITA’ dottrinali

FOCUS: AUMENTI CONTRATTUALI ED ASSORBIBILITA’ DEL SUPERMINIMO.

Nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato le parti possono pattuire la corresponsione, in favore del dipendente, di un emolumento aggiuntivo alla retribuzione minima prevista dal contratto collettivo, comunemente denominato “superminimo”.

La giurisprudenza – che si è spesso pronunciata sull’assorbibilità del superminimo nel caso di aumenti retributivi derivanti, ad esempio, dal riconoscimento (anche giudiziale) di un superiore inquadramento, ovvero nel caso di aumenti retributivi previsti dal contratto collettivo – considera il superminimo un’”eccedenza” che può essere assorbita da successivi incrementi retributivi, salvo che tale attribuzione sia stata pattuita “intuitu personae”, ovvero quando la volontà (tacita o espressa) delle parti sia stata quella di escluderne l’assorbimento.

L’onere di dimostrare la sussistenza del“titolo” che autorizza il mantenimento del superminimo spetta comunque al lavoratore (ex plurimis, Cass. 17 ottobre 2018, n. 26017).

Per accertare il diritto del lavoratore al mantenimento del superminimo è necessario analizzare la genesi dell’accordo (in quanto, ad esempio, le parti potrebbero aver attribuito al superminimo la natura di “compenso speciale” strettamente collegato a particolari meriti, ovvero alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente), nonché il comportamento successivo delle parti, fermo restando, altresì, che una deroga all’assorbimento del superminimo potrebbe essere disposta anche dalla contrattazione collettiva (Cass. 5 giugno 2020, n. 10779).

La giurisprudenza di merito ha evidenziato, tra l’altro, che la pregressa esperienza maturata dal lavoratore presso un precedente datore di lavoro e la sua qualifica non possono considerarsi elementi idonei a provare che il superminimo abbia natura di eccedenza “intuitu personae” (Tribunale Milano, 20 febbraio 2018).

Con la recente sentenza n. 10164 del 16 aprile 2021 la Corte di Cassazione ha esaminato una fattispecie in cui l’aumento retributivo previsto dal contratto collettivo, pur essendo unico, doveva essere corrisposto in tranches aventi scadenze diverse: in occasione della prima scadenza, il datore di lavoro non aveva assorbito il superminimo per l’importo corrispondente alla prima tranche e, quindi, la Corte di merito, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto che tale comportamento fosse sufficiente ad escludere la volontà di procedere all’assorbimento anche delle tranches successive.

Nell’esaminare il gravame proposto dal datore di lavoro, la Suprema Corte – dopo aver preliminarmente rilevato l’inesistenza di un principio giuridico che preveda una “presunzione” di assorbimento del superminimo nel caso di miglioramenti contrattuali – ha condiviso la decisione della Corte d’Appello, secondo cui, essendo l’aumento retributivo unico (anche se suddiviso in più tranches) è configurabile una rinuncia del datore di lavoro all’assorbimento del superminimo nel caso in cui la prima tranche venga corrisposta al dipendente senza operare alcuna riduzione.

I giudici di merito (e, conseguentemente, la Corte di Cassazione) hanno omesso, probabilmente anche per mancanza di adeguate allegazioni, di valutare la ragione per cui il datore di lavoro non aveva assorbito il superminimo al momento di corrispondere la prima tranche dell’aumento retributivo e tale omissione non ha consentito di valutare adeguatamente il comportamento (concludente) addebitato al datore di lavoro, ovvero la diversa volontà di non assorbire il superminimo.

Proprio alla luce di quanto stabilito nella sentenza in esame, è comunque necessario prestare la dovuta attenzione, anche sotto un profilo puramente amministrativo-gestionale, alle modalità con le quali viene applicato un aumento contrattuale quando il lavoratore fruisce di un superminimo ed è previsto che l’aumento venga suddiviso in varie tranches.

NOVITA’ NORMATIVE

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI: PROVVEDIMENTO 13 MAGGIO 2021

Vaccinazione nei luoghi di lavoro: indicazioni generali per il trattamento dei dati personali.

Il Garante per la privacy ha adottato, in data 13 maggio 2021, un documento d’indirizzo sull’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti Covid-19 nei luoghi di lavoro, prevista dal Protocollo nazionale del 6 aprile 2021, al fine di fornire indicazioni generali sul trattamento dei dati personali, in attesa di un definitivo assetto regolatorio. La vaccinazione nei luoghi di lavoro costituisce un’iniziativa di sanità pubblica, per cui la responsabilità generale e la supervisione dell’intero processo rimangono in capo al Servizio sanitario regionale e dovrà essere attuata nel rispetto della disciplina sulla protezione dei dati. Conseguentemente, il Garante precisa che le principali attività di trattamento dati – dalla raccolta delle adesioni, alla somministrazione, alla registrazione nei sistemi regionali dell’avvenuta vaccinazione – devono essere effettuate dal medico competente o da altro personale sanitario appositamente individuato. Nel quadro delle norme a tutela della dignità e della libertà degli interessati sui luoghi di lavoro, infatti, non è consentito al datore di lavoro raccogliere direttamente dai dipendenti, dal medico compente, o da altri professionisti sanitari o strutture sanitarie, informazioni relative all’intenzione del lavoratore di aderire alla campagna o alla avvenuta somministrazione (o meno) del vaccino e ad altri dati relativi alle sue condizioni di salute.

DECRETO SOSTEGNI BIS.

È stato pubblicato nella G.U. n. 123 del 25 maggio 2021, il D. L. n. 73 del 25 maggio 2021, recante: “Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali” (c.d. Sostegni bis).

Il decreto contiene numerose disposizioni in materia di lavoro (anche autonomo) e politiche sociali, alcune delle quali di particolare rilevanza, che si aggiungono alla già corposa produzione di norme che ha fin dall’inizio caratterizzato la gestione emergenziale della pandemia da parte del legislatore. Il Titolo IV, in particolare, è interamente dedicato al lavoro e alla previdenza.

Di seguito le principali novità.

Articolo 1 – Contributo a fondo perduto.

Riconosciuto un ulteriore contributo a fondo perduto ai beneficiari del contributo previsto dall’art. 1 del D. L. n. 41 del 2021, purché risultino avere una partita Iva attiva alla data di entrata in vigore del decreto (26 maggio 2021). In alternativa al contributo di cui sopra, sarà possibile beneficiare di un contributo calcolato sul confronto dell’ammontare medio mensile del fatturato del periodo 01/04/2020–31/03/2021 e 01/04/2019– 31/03/2020. Quest’ultimo contributo è riconosciuto in misura variabile, a seconda che il soggetto abbia o meno beneficiato del contributo di cui al cd. Decreto Sostegni ed in funzione dell’ammontare dei propri compensi annui.

Articolo 9 – Proroga del periodo di sospensione delle attività dell’agente della riscossione.

Disposta un’ulteriore proroga della sospensione dei pignoramenti dell’Agente della riscossione su stipendi e pensioni. Nello specifico, viene differita dal 30 aprile 2021 (termine precedentemente fissato dal D. L. n. 41 del 2021) al 30 giugno 2021 la scadenza della sospensione degli obblighi di accantonamento derivanti dai pignoramenti presso terzi effettuati dall’Agente della riscossione e dagli altri soggetti titolati, aventi ad oggetto le somme dovute a titolo di stipendio/salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione o di assegni di quiescenza.

Articolo 36 – Ulteriori disposizioni in materia di reddito di emergenza.

Concesse ulteriori 4 quote di reddito di emergenza relativamente alle mensilità di giugno, luglio, agosto e settembre 2021. La domanda per le nuove quote di Rem andrà presentata all’INPS entro il 31 luglio 2021, secondo le indicazioni operative che saranno fornite dall’Istituto. L’impianto regolatorio (requisiti, criteri di calcolo delle quote, cause di incompatibilità) ricalca quanto precedentemente previsto dal decreto Sostegni, a cui il decreto Sostegni bis rinvia espressamente.

Art. 37 – Reddito di ultima istanza in favore dei professionisti in situazione d’invalidità.

Il “Fondo per il reddito di ultima istanza” eroga un’indennità di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti e autonomi che in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID 19 hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività o il loro rapporto di lavoro (art. 44 del D. L. n. 18 del 2020, convertito con L. n. 27 del 2020). Il decreto Sostegni bis esclude dai limiti di reddito previsti per il riconoscimento della predetta indennità in favore dei professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria, ogni emolumento corrisposto ad integrazione del reddito a titolo di invalidità, avente natura previdenziale, che risponda alle medesime finalità dell’assegno ordinario di invalidità. La domanda per la corresponsione dell’indennità in commento può essere presentata entro il 31 luglio 2021 da parte dei soggetti interessati che non hanno avuto accesso alla misura in esame alla data del 26 maggio 2020.

Articolo 38 – Disposizioni in materia di NASPI.

Fino al 31 dicembre 2021, per le Naspi in corso di pagamento, viene sospesa l’applicazione dell’articolo 4, comma 3, del D. Lgs. n. 22 del 2015, ossia viene sospesa la riduzione del 3% della quota di indennità mensile prevista a partire dal quarto mese di erogazione. Le prestazioni Naspi già in pagamento restano pertanto confermate fino a tutto il 2021 nell’importo spettante alla data del 26 maggio 2021. La riduzione progressiva dell’indennità di disoccupazione non verrà applicata nemmeno alle nuove prestazioni decorrenti nel periodo dal 1° giugno al 30 settembre 2021. A partire dal 1° gennaio 2022 in poi l’importo della Naspi tornerà ad essere calcolato applicando le riduzioni corrispondenti ai mesi di sospensione trascorsi.

Articolo 39 – Disposizioni in materia di contratto di espansione.

Il decreto Sostegni bis amplia la platea dei datori di lavoro che possono ricorrere al contratto di espansione di cui all’art. 41, comma 1-bis, del D. Lgs. n. 148 del 2015. Potranno accedervi infatti quelli con una forza lavoro di almeno 100 unità lavorative. Resta invariato che tale entità di lavoratori, nell’ambito delle aggregazioni stabili di imprese con un’unica finalità produttiva o di servizi, potrà essere fatta valere in riferimento ad un criterio di computo complessivo.

Articolo 40, commi 1-3 – Ulteriori disposizioni in materia di trattamenti di integrazione salariale e di esonero dal contributo addizionale.

I commi 1 e 2 introducono una nuova misura alternativa ai trattamenti di integrazione salariale di cui D. Lgs. n. 148 del 2015, comunque non più riconducibile alla cassa integrazione emergenziale con causale Covid-19. Ne potranno usufruire i datori di lavoro privati di cui all’articolo 8, comma 1, del D. L. n. 41 del 2021 (ossia quei datori costretti a sospendere o ridurre l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19) che nel primo semestre dell’anno 2021 hanno subito un calo del fatturato del 50 per cento rispetto al primo semestre dell’anno 2019, presentando una domanda di cassa integrazione guadagni straordinaria – in deroga a quanto disposto dagli artt. 4 e 21 del D. Lgs. n. 148 del 2015 – per una durata massima di 26 settimane nel periodo tra la data di entrata in vigore del decreto e il 31 dicembre 2021. La richiesta dovrà essere preceduta dalla stipula di un accordo collettivo aziendale ai sensi dell’articolo 51 del D. Lgs. n. 81 del 2015, avente ad oggetto la riduzione dell’attività lavorativa finalizzata al mantenimento dei livelli occupazionali nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica, entro determinati limiti temporali e di spesa. Secondo quanto previsto al comma 3, i datori di lavoro privati di cui all’articolo 8, comma 1, del D. L. n. 41 del 2021 (v. sopra), che a decorrere dal 1° luglio 2021 sospendono o riducono l’attività lavorativa e presentano domanda di integrazione salariale ordinaria o straordinaria, sono esonerati dal pagamento del contributo addizionale di cui all’articolo 5 del D. Lgs. n. 148/2015 fino al 31 dicembre 2021.

Pertanto, riepilogando, i datori di lavoro soggetti alla CIGO potranno all’occorrenza richiedere:

· dal 1° luglio 2021, la cassa integrazione ordinaria e straordinaria ai sensi del D. Lgs. n. 14 del 2015 (senza vedersi applicato il contributo addizionale fino al 31 dicembre 2021);

· in alternativa, dal 26 maggio e fino al 31 dicembre 2021, subordinatamente alla sussistenza di un calo di fatturato del 50%, la CIGS in deroga, per una durata massima di 26 settimane, previa stipula di accordi collettivi aziendali di riduzione dell’attività lavorativa dei lavoratori in forza, finalizzati al mantenimento dei livelli occupazionali.

Articolo 41 – Contratto di rioccupazione.

Viene introdotta una nuova fattispecie di assunzione agevolata, ossia il contratto di rioccupazione. Si tratta di un contratto a tempo indeterminato di datori di lavoro privati, volto ad agevolare l’inserimento nel mondo del lavoro dei soggetti disoccupati nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica da Covid-19. Condizione per l’assunzione è la definizione, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento, della durata di 6 mesi, finalizzato ad adeguare le competenze del lavoratore al nuovo contesto lavorativo. L’incentivo che verrà concesso per questo tipo di assunzioni, e che sarà operativo dal 1° luglio 2021 al 31 ottobre 2021, consiste in uno sgravio totale dei contributi dovuti all’INPS dal datore di lavoro, per un periodo non superiore ai 6 mesi a partire dall’assunzione e nel limite massimo di 6.000 euro annui.

Articolo 42 Proroga indennità lavoratori stagionali, turismo e spettacolo.

Viene riconosciuta un’ulteriore indennità di 1.600 euro ai soggetti già beneficiari dell’indennità di cui all’articolo 10, commi da 1 a 9 del D. L. n. 41 del 2021. Il decreto richiama poi ulteriori fattispecie al ricorrere delle quali può essere riconosciuta apposita indennità.

Articolo 43 – Decontribuzione settori del turismo e degli stabilimenti termali e del commercio.

Alle assunzioni a tempo indeterminato che verranno effettuate dai datori di lavoro privati dei settori del turismo, degli stabilimenti termali e del commercio a decorrere dal 26 maggio e sino al 31 dicembre 2021 verrà concesso un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dell’azienda, nel limite del doppio delle ore di integrazione salariale fruite nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2021. Tale sgravio è subordinato al rispetto della disciplina in materia di divieto di licenziamento fino al 31 dicembre 2021, sancita dall’art. 8, commi 9-11 del D. L. n. 41 del 2021. L’esonero, riparametrato ed applicato su base mensile, sarà cumulabile con altri esoneri o riduzioni della contribuzione previdenziale dovuta, ad esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL.

Articolo 44 – Indennità per i collaboratori sportivi.

Riconosciuta un’indennità di importo compreso tra 2.400 e 800 euro a favore dei lavoratori impiegati con rapporti di collaborazione presso le società e associazioni sportive dilettantistiche.

Articolo 45 – Proroga CIGS per cessazione e incremento del Fondo sociale per occupazione e formazione.

Disposta la proroga per sei mesi della CIGS per cessazione di attività di cui all’articolo 44 del D. L. n. 109 del 2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 130 del 2018, nelle aziende di particolare rilevanza strategica sul territorio ove siano stati avviati processi di cessazione aziendale, le cui azioni necessarie al suo completamento e per la salvaguardia occupazionale abbiano incontrato fasi di particolare complessità di cui sia stato dato conto al Ministero dello sviluppo economico. La misura è tuttavia concessa previo ulteriore accordo da stipulare in sede governativa presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

NOVITA’ giurisprudenziali

RESTITUZIONE SOMME VERSATE PER ERRORE DAL DATORE DI LAVORO.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16088 del 9 giugno 2021, si pronuncia in un caso di erogazione per errore di somme da parte del datore di lavoro, che ne chiede la restituzione.

In una causa promossa da un lavoratore per ottenere differenze retributive, il datore di lavoro aveva chiesto in via riconvenzionale la restituzione di compensi per ore di lavoro oltre l’orario e per indennità di trasferta erogati per errore, in assenza della relativa controprestazione. La Corte conferma il rigetto della domanda, ribadendo che, per ottenere la restituzione di somme che si assume erroneamente erogate al lavoratore, il datore deve provare non solo l’errore, ma anche il suo carattere essenziale e riconoscibile dal lavoratore.

REGIME PREVIDENZIALE DEL LAVORATORE INVIATO IN ALTRO STATO MEMBRO.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 3 giugno 2021 nella causa C-784/19, si pronuncia in materia di regime previdenziale del lavoratore assunto da un’agenzia interinale situata in uno Stato membro e inviato per un breve periodo in altro Stato membro.

La regola comunitaria in materia di legislazione previdenziale applicabile ai lavoratori che si muovono all’interno della Comunità applica ad essi la legislazione dello Stato in cui svolgano la propria attività lavorativa. Ma vi è un’eccezione per i lavoratori assunti da un’impresa stabilita in uno Stato (nel senso che ivi svolge normalmente la propria attività sostanziale e non meramente interna, amministrativa) e distaccati per un breve periodo in altro Stato membro, ai quali resta applicabile la legislazione previdenziale dello Stato d’origine. È sorto un problema interpretativo della disciplina comunitaria nel caso di un’agenzia interinale stabilita in Bulgaria che mette a disposizione per il lavoro tutti i propri dipendenti, assunti e formati in Bulgaria, presso imprese utilizzatrici tedesche. In questo caso non si può dire che l’agenzia svolga mera attività amministrativa, interna in Bulgaria, perché è proprio quella la propria attività d’impresa, per cui a tali lavoratori andrebbe applicata la previdenza dello Stato d’origine. Ma consentire ad una tale impresa di fruire della deroga, collocando tutti o la maggior parte dei dipendenti che assume in altri Stati membri snaturerebbe la ratio della norma comunitaria, consentendole di scegliere la disciplina previdenziale nazionale a lei più favorevole, offrendo a imprese collocate in altro Stato lavoro a un costo inferiore, per la parte previdenziale, di quello praticato in quello Stato. Alla luce principalmente di queste considerazioni, la Corte adotta l’interpretazione della norma comunitaria nel senso che il lavoratore assunto da un’agenzia interinale situata in uno Stato membro e inviato per un breve periodo in altro Stato membro mantiene il regime previdenziale dello Stato di origine solo se l’agenzia interinale che l’ha assunto invia i propri dipendenti prevalentemente presso imprese utilizzatrici ivi stabilite.

TUTELA REINTEGRATORIA.

La Corte di Cassazione, sezione sesta, con l’ordinanza interlocutoria n. 14777 del 27 maggio 2021, si pronuncia in materia di tutela reintegratoria in caso di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo ingiustificato.

Nella versione modificata dalla legge Fornero, l’art. 18, 4° e 5° comma St. Lav., prevede, in caso di licenziamento disciplinare ingiustificato, una duplice possibile tutela: reintegratoria e indennitaria se il giudice accerta l’insussistenza del fatto contestato o che questo rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, sulla base delle previsioni del contratto collettivo o del codice disciplinare; meramente indennitaria negli altri casi.

Il più recente orientamento della Corte riduce l’ambito della previsione delle “condotte punibili con una sanzione conservativa” alle sole ipotesi in cui il contratto collettivo o il codice disciplinare del datore di lavoro abbiano tipizzato i casi punibili con la sanzione conservativa, delineandone tutti gli elementi costitutivi. La sezione sesta della Corte (quella a cui è demandata la pronuncia su questioni sulle quali la Corte si è ormai pronunciata in maniera uniforme, ma che può dissentirne, rimettendo la questione alla sezione lavoro ordinaria), investita del giudizio in cui erano appunto in gioco le conseguenze di un licenziamento per giusta causa ingiustificato, fa rilevare l’irrazionalità dell’orientamento recente, in ragione del fatto che i contratti collettivi solo raramente “tipicizzano” le ipotesi disciplinari, utilizzando invece, quanto meno come norma di chiusura, formule generiche (inadempimento lieve e grave, negligenza lieve etc.).

Inoltre, i contratti collettivi non decidono se tipizzare o usare formule generiche in funzione della disciplina di cui all’art. 18 St. Lav.; e del resto ciò sarebbe assurdo, quando a redigere il codice disciplinare sia unilateralmente il datore di lavoro. Infine, secondo la Corte, appare discriminatorio trattare diversamente ipotesi tipizzate e altre che hanno, nell’intenzione dei contraenti collettivi o del datore di lavoro, identica rilevanza disciplinare, ma che sono espresse con formule riassuntive, generiche. In conclusione, la sesta sezione rimette alla normale udienza di trattazione in contraddittorio presso la sezione lavoro la rivalutazione della questione alla luce dei rilievi qui riassunti.

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13643 del 19 maggio 202, sostiene la teoria della spettanza della sola tutela indennitaria, se la scelta del dipendente da licenziare per mera esigenza di riduzione di personale omogeneo di una sede non è stata effettuata tra tutti i dipendenti di questa.

L’affermazione discende dallo stato della giurisprudenza in materia di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, che la sentenza illustra in maniera analitica, selezionando altresì i casi in cui si possa ritenere verificata la manifesta insussistenza del fatto giustificativo del licenziamento, unica ipotesi in cui alla tutela risarcitoria si aggiunge la reintegrazione. La Corte, infine, ribadisce che la scelta tra tutto il personale intercambiabile in caso di licenziamento per generica esigenza di riduzione deve avvenire in base a criteri analoghi a quelli stabiliti dalla legge per i licenziamenti collettivi, in applicazione dei principi generali di correttezza e buona fede.

BLOCCO DEI LICENZIAMENTI.

Il Tribunale di Venezia, con pronuncia del 17 maggio 2021, sancisce che divieto di licenziamento previsto dal D.L. n. 104 del 2020 si estendeva a tutti i datori di lavoro, compresi quelli che non abbiano usufruito in concreto degli ammortizzatori sociali per Covid-19.

Il Tribunale interviene nel dibattito generatosi in merito all’interpretazione dell’art. 14 del D.L. n.  104 del 2020 (c.d. decreto agosto) in tema di blocco dei licenziamenti: il tema che aveva sollevato un vivace dibattito tra gli interpreti era quello se la proroga del blocco – disposto non più con una previsione generale e rigida – interessasse tutti i datori di lavoro, pur in modo flessibile a seconda dell’utilizzo degli strumenti di sostegno pubblico, oppure solo quelli che in concreto facessero ricorso alla cassa integrazione o agli sgravi contributivi. In sostanza, il tema era se il blocco fosse venuto meno (in quel momento, perché poi è stato reintrodotto con formula generale nei mesi successivi) per le imprese che decidessero di non ricorrere ad alcun ammortizzatore. Il Giudice prende chiaramente posizione per l’applicazione generalizzata: il divieto del D.L. n. 104 interessava sia i datori di lavoro che avessero fruito degli ammortizzatori sociali sia coloro che non lo facessero, o perché non legittimati a richiederli o perché, pur potendoli chiedere, non avevano subito una sospensione o riduzione delle attività. L’esclusione di questi ultimi dal blocco dei licenziamenti, a giudizio del Tribunale, legittimerebbe una discrezionalità delle aziende nell’applicazione della disciplina di blocco temporaneo dei licenziamenti, non coerente con la tutela di interessi di carattere generale perseguiti dal legislatore dell’emergenza.

TRASFERIMENTO D’AZIENDA.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13787 del 20 maggio 2021, stabilisce che in caso di trasferimento d’azienda illegittimo, la responsabilità per l’eventuale dequalificazione del lavoratore presso il cessionario ricade esclusivamente su quest’ultimo.

La decisione consegue alla regola più volte affermata dalla Corte, secondo cui, a seguito della dichiarazione d’illegittimità del trasferimento d’azienda, s’istaurano in capo al lavoratore due rapporti di lavoro: uno che prosegue col cedente sin dalla cessione successivamente dichiarata illegittima; l’altro, di mero fatto, col cessionario fino a quando questi non trae le conseguenze dalla dichiarata illegittimità. Ne deriva, infatti, che tutto ciò che si verifica nel secondo rapporto di fatto riguarda unicamente le parti di questo e non coinvolge il cedente (che, invece, nel caso in esame il lavoratore aveva chiamato in corresponsabilità solidale col cessionario).

INDENNITA’ SOSTITUTIVA DI PREAVVISO.

La Corte di cassazione, con sentenza n. 14062 del 21 maggio 2021, afferma che il diritto dell’agente all’indennità sostitutiva del preavviso si prescrive in cinque anni.

In giudizio, l’agente che aveva promosso l’azione oltre cinque anni dopo la cessazione del rapporto di agenzia aveva sostenuto che all’indennità di preavviso degli agenti fosse applicabile il regime ordinario decennale della prescrizione. Aderendo al più recente orientamento giurisprudenziale, che ai fini indicati equipara lavoratori subordinati e parasubordinati, la Corte ribadisce che la prescrizione applicabile è invece, quella quinquennale, ai sensi dell’art. 2948 n. 5 c. c.

SOSPENSIONE DELLA PRESCRIZIONE IN CORSO DI RAPPORTO DI LAVORO.

Il Tribunale di Brescia con sentenza n. 523 del 26 maggio 2021, aderisce all’orientamento giurisprudenziale che ritiene sospesa la decorrenza della prescrizione durante il rapporto di lavoro, in caso di applicazione dell’art. 18 Stat. lav. come riformato nel 2012.

Anche il Tribunale di Brescia, che si era ripetutamente pronunciato in senso negativo sulla sospensione della prescrizione in corso di rapporto di lavoro, per i rapporti assistiti dall’art. 18 St. Lav., ma non più garantiti dalla esclusiva regola della reintegrazione, a seguito delle modifiche della norma intervenite con la c.d. Legge Fornero, muta orientamento. Aderendo all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, il Giudice ritiene che la contrazione delle ipotesi di applicazione della tutela reale consenta di configurare il “metus” del lavoratore nell’avanzare pretese economiche, legittimante la sospensione della prescrizione in costanza di rapporto.

LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO.

Il Tribunale di Udine, con sentenza n. 104 del 10 maggio 2021, sancisce che non rileva solo l’anzianità di servizio ai fini della quantificazione dell’indennità per licenziamento illegittimo nel regime del Jobs Act.

Il Tribunale accoglie il ricorso di una lavoratrice che aveva impugnato il licenziamento per ragioni oggettive, stante l’assenza di prova da parte del datore di lavoro di adempimento dell’obbligo di ricollocazione. Il Giudice afferma che, al fine di quantificare l’indennità di cui al D. Lgs. n. 23 del 2015, in caso di licenziamento illegittimo, si debba tenere conto non solo dell’anzianità di servizio, bensì anche di altri fattori. Su tale base, il Giudice condanna il datore di lavoro a un’indennità pari a ben trenta mensilità di retribuzione, nonostante l’anzianità di servizio relativamente breve (tre anni), stante il fatto che la lavoratrice si era dovuta spostare da una Regione ad un’altra per il lavoro, dovendo reperire un’abitazione, e stante il rilevante numero di dipendenti addetti alla società.

CONTRATTI DI LAVORO A TERMINE E DI SOMMINISTRAZIONE A TERMINE.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 475 del 22 maggio 2021, giudica che il limite complessivo dei 24 mesi per i contratti a termine e di somministrazione a termine si computa tenendo conto di tutti i rapporti di lavoro, anche precedenti al “Decreto dignità”.

La Corte, confermando la sentenza di primo grado, rigetta il ricorso con il quale il datore di lavoro contesta l’applicazione del limite dei ventiquattro mesi di durata massima dei contratti a termine ad un rapporto di lavoro iniziato prima dell’entrata in vigore del D. L. n. 87 del 2018 e protrattosi con una serie di contratti di somministrazione, successivamente all’agosto del 2018. La Corte ritiene che debba invece applicarsi tale nuovo regime anche ai rapporti sorti precedentemente all’entrata in vigore della riforma, ferma la conversione del rapporto a tempo indeterminato a far data dall’entrata in vigore della stessa. In caso di conversione di una serie di contratti di somministrazione a termine irregolari in un rapporto a tempo indeterminato, tale rapporto si costituisce in capo all’utilizzatore.

PREMIO DI RISULTATO EROGATO IN NATURA.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14068 del 21 maggio 2021. Sostiene che un premio di risultato fruisce dell’esonero contributivo di cui all’art. 2, comma 2°, del D. L. n. 67 del 1997, anche se erogato in natura.

Un’impresa giornalistica erogava ai propri dipendenti giornalisti un benefit aziendale consistente in un credito da utilizzare per l’acquisto di beni e servizi ricevuti da aziende terze in cambio merci (pubblicità sul giornale), senza trattenere su di esso i contributi previdenziali. Nel conseguente giudizio, istaurato dall’INPGI per ottenere il versamento dei contributi, la Corte, dato atto che era stato accertato che tale beneficio era qualificabile come premio di produzione previsto ogni anno da un accordo aziendale, ha dichiarato indifferente, ai fini dell’applicazione dell’esonero contributivo previsto dal D. L. n. 67 del 1997, che tale premio sia stato erogato in natura anziché in denaro.

NEWSLETTER N. 6/2021 NOVITÀ NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI

NOVITA’ NORMATIVE

L. n. 69 del 21 maggio 2021: Conversione in legge del Decreto “Sostegni”.

 Lo scorso 21 maggio 2021 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la L. n. 69 del 2021, che ha convertito, con modificazioni, il D. L. n. 41 del 22 marzo 2021, noto come Decreto Sostegni, recante le “Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19”. Di seguito le principali novità in materia lavoristica.

1. Cassa Integrazione Covid.

Di primario rilievo è sicuramente la proroga della cassa integrazione Covid, introdotta dal Decreto “Cura Italia” e poi rinnovata più volte (attraverso i vari decreti Rilancio, Agosto, Ristori, Sostegni ed infine, tramite la legge di Bilancio 2021). Viene concessa la possibilità di richiedere fino ad un massimo di 13 settimane di trattamenti di cassa integrazione ordinaria, da utilizzare per periodi compresi tra il 1° aprile 2021 e il 30 giugno 2021 e fino ad un massimo di 28 settimane, da utilizzare per periodi compresi tra il 1° aprile 2021 e il 31 dicembre 2021, per i trattamenti di assegno ordinario e cassa integrazione salariale in deroga, con la precisazione che non è dovuto alcun contributo addizionale per i trattamenti concessi. È inoltre prevista la proroga anche per la cassa integrazione salariale per operai agricoli (CISOA) per un massimo di 120 giorni fino al 31 dicembre 2021.

Nel corso dell’iter di conversione, vi è stata inoltre, l’aggiunta di due nuovi commi all’articolo 8. Da un lato il nuovo comma 2-bis chiarisce che i trattamenti di integrazione salariale possono essere concessi in continuità ai datori di lavoro che abbiano integralmente fruito delle settimane previste dalla legge di Bilancio, e quindi con possibile decorrenza già dal 26 marzo 2021 (a condizione di aver usufruito integralmente delle 12 settimane di trattamenti introdotti dalla L. n. 178 del 2020); dall’altro il nuovo comma 3-bis fissa il 30 giugno 2021 come data per la proroga dei termini di decadenza per l’invio delle domande di accesso ai trattamenti di integrazione salariale collegati all’emergenza epidemiologica da Covid-19 e i termini di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi, scaduti nel periodo dal 1° gennaio 2021 al 31 marzo 2021.

2. Lavoratori “fragili”.

La legge di conversione conferma fino al 30 giugno 2021 la possibilità per i dipendenti (pubblici e privati) con immunodeficienze e disabilità certificate di svolgere la prestazione in modalità di lavoro agile. Si conferma, inoltre, che nel caso in cui detti lavoratori non possano svolgere la prestazione in smart-working o non usufruiscano della cassa integrazione guadagni, verrà estesa fino al 30 giugno 2021 l’equiparazione del periodo di assenza dal lavoro alla degenza ospedaliera, precisando che la tutela sarà riconosciuta laddove la prestazione lavorativa non possa essere resa in modalità di lavoro agile. Oltre a queste conferme, viene introdotto un importante chiarimento attraverso una modifica del primo comma dell’articolo 15 del decreto, con cui si esplicita che non saranno computabili, ai fini del periodo di comporto, i periodi di assenza dal servizio a partire dal 17 marzo 2020.

3.Indennità per i lavoratori somministrati nel comparto sanità.

Il nuovo articolo 18-bis riconosce un’indennità di circa 911 Euro connessa all’emergenza epidemiologica per i lavoratori in somministrazione del comparto sanità che risultano in servizio il 1° maggio 2021. Viene specificato che tale indennità non concorre alla determinazione del reddito.

4. NASPI e proroga o rinnovo acausale di contratti di lavoro a termine.

Il testo della legge di conversione conferma, senza modifiche, le disposizioni riguardanti l’indennità di disoccupazione NASPI (in base alla quale, a decorrere dal 23 marzo 2021 e fino al 31 dicembre 2021, la nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego – NASPI – viene concessa a prescindere dalla sussistenza del requisito delle 30 giornate di lavoro effettivo) e la proroga fino al 31 dicembre 2021 della possibilità per i datori di lavoro di rinnovare o prorogare per un periodo massimo di 12 mesi (ferma restando la durata massima complessiva di 24 mesi) e per una volta sola, i contratti di lavoro subordinato a termine, anche in assenza delle causali di cui all’art. 19, comma 1 del D. Lgs. n. 81 del 2015.

5. Blocco dei licenziamenti.

È del tutto assente qualsiasi indicazione in tema di blocco dei licenziamenti, il cui doppio termine del 30 giugno e 31 ottobre 2021 rimane pertanto invariato: ciò contrariamente a quanto ci si potesse aspettare in considerazione dell’acceso dibattito, a quanto consta non del tutto risolto, in merito all’estensione dell’operatività del blocco fino al 31 ottobre 2021 a prescindere dal concreto utilizzo dell’ammortizzatore sociale nel periodo di riferimento.

6. Fringe benefit.

La legge di conversione del Decreto Sostegni ha confermato la proroga a tutto il 2021 della agevolazione relativa all’importo del fringe benefitraddoppiato per il welfare aziendale; è stato infatti stabilito che l’importo del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati dall’azienda ai lavoratori dipendenti e non sottoposti a tassazione in busta paga, per tutto il 2021, resta di 516,46 euro (valore raddoppiato rispetto al limite ordinario di 258,16) così come già previsto dal c.d. Decreto Agosto n. 104 del 2020.

LEGGE N. 61 DEL 2021: Congedi, bonus baby-sitting e introduzione del c.d. diritto alla disconnessione.

È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 112 del 12 maggio 2021 la Legge di conversione, con modificazioni, del D. L. legge n. 30 del 13 marzo 2021, recante: “Misure urgenti per fronteggiare la diffusione del COVID-19 e interventi di sostegno per lavoratori con figli minori in didattica a distanza o in quarantena”.

La legge di conversione, alle misure in materia di lavoro, ha aggiunto alcune disposizioni relative al lavoro agile, ai congedi per genitori con figli disabili in DAD e al bonus baby-sitting.

In particolare: a) Il diritto di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile (smart-working), nel caso in cui venga sospesa l’attività didattica o educativa in presenza del figlio, o se questi viene posto in quarantena dall’autorità sanitaria, spetta contemporaneamente ad entrambi i genitori se il figlio, indipendentemente dall’età, soffre di una disabilità grave o di disturbi specifici dell’apprendimento; b) viene formalmente sancito, per la prima volta in via normativa, il c.d. diritto alla disconnessione (art. 2 comma 1-ter del D. Lgs n. 31 del 2021) per i lavoratori che svolgono la propria attività in regime di smart-working, cioè il diritto del lavoratore a potersi disconnettere da tutti gli strumenti tecnologici che consentono di poter accedere al proprio account aziendale anche al di fuori dell’ufficio in determinati orari. A tal proposito, la normativa in commento ha altresì rinnovato il sostanziale obbligo delle parti di disciplinare in un accordo scritto quali siano gli orari in cui il dipendente ha diritto a disconnettersi, e quali invece è tenuto a garantire la propria reperibilità. Tale diritto è finalizzato alla tutela dei tempi di riposo, e quindi della salute del lavoratore, e il suo esercizio non potrà avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi riconosciuti; c) viene ampliata la platea dei genitori lavoratori che possono utilizzare il bonus per pagare servizi di baby-sitting di importo fino a 100 euro settimanali se il figlio under 14 convivente è affetto da Covid, in quarantena o se le lezioni vengono svolte a distanza; in fase di conversione è stato infatti precisato che fra i dipendenti del settore sanitario pubblico o privato accreditato rientrino tutti gli esercenti le professioni sanitarie, quella di assistente sociale e gli operatori socio-sanitari.

INL – NOTA n. 762 del 12 maggio 2021: proroga dei contratti a termine e di somministrazione durante la fruizione della CIG Covid.

Con la nota n. 762 del 12 maggio 2021, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha chiarito un possibile dubbio interpretativo relativo all’articolo 19-bis del D. L. n. 18 del 2020 (cd. Decreto Cura Italia).

L’art. 19-bis del Decreto Cura Italia riconosce la possibilità di procedere al rinnovo o alla proroga di contratti a termine relativi a lavoratori in forza presso aziende che fruiscono degli strumenti di integrazione salariale previsti dalla normativa emergenziale, in deroga al divieto contenuto nell’articolo 20, comma 1, lettera c), del D. Lgs. n. 81 del 2015. Su tale articolo è sorto un dubbio interpretativo in merito all’applicabilità della deroga anche durante la fruizione degli ammortizzatori sociali previsti dalle norme approvate successivamente al decreto Cura Italia (da ultimo, il Decreto Sostegni). L’INL intervenendo sul punto, chiarisce che la proroga dei contratti a termine e di somministrazione durante la fruizione della cassa integrazione con causale Covid-19 non si applica solo durante la vigenza del Decreto Cura Italia, ma vale anche per gli ammortizzatori sociali che, per effetto di provvedimenti successivi, hanno prorogato gli strumenti iniziali.

INL – nota n. 7152 del 26 aprile 2021: fruizione frazionata dei permessi brevi nel lavoro agile.

L’INL afferma che non è da escludersi a priori la possibilità di fruizione frazionata dei permessi brevi per gli smart-workers.

Con la nota, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro dà riscontro ad una richiesta di chiarimenti presentata dalla Funzione Pubblica CGIL circa la compatibilità tra lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile e la fruizione ad ore dei permessi previsti dalla Legge n. 104/1992. Al riguardo l’INL afferma che, ferma restando la difficile compatibilità della fruizione oraria con il lavoro agile, per sua definizione estraneo a vincoli di orario di lavoro, “non è da escludersi a priori tale fruibilità frazionata, ove il lavoratore ritenga sussistere, in base alle proprie valutazioni, l’incompatibilità delle esigenze personali per le quali viene fruito il permesso con la propria organizzazione del lavoro agile”.

INPS – CIRCOLARE N. 74 DEL 4 MAGGIO 2021: rapporto di lavoro a tempo parziale, disposizioni contenute nella Legge di Bilancio 2021.

Con la circolare, l’INPS recepisce le novità introdotte dall’articolo 1, comma 350, della legge di Bilancio 2021.

L’INPS conferma che i periodi di lavoro prestati in regime di part-time verticale o ciclico sono utili per intero ai fini della maturazione del diritto a pensione. In precedenza, l’INPS non consentiva di accreditare interamente le 52 settimane annue, a fronte di un contratto di lavoro di pari durata ma a tempo parziale verticale o ciclico, ritenendo che il numero delle settimane accreditabili fosse pari a quello delle settimane retribuite. Sul piano procedurale, l’Istituto precisa che per i contratti di lavoro part-time già conclusi al 31 dicembre 2020 il riconoscimento degli interi periodi è subordinato alla presentazione di apposita istanza da parte dell’interessato, corredata da documentazione probatoria.

INL – NOTA N. 804 DEL 19 MAGGIO 2021: rinnovo di contratto a termine “in deroga assistita”.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito alcuni chiarimenti in ordine all’applicazione della procedura prevista dall’art. 19, comma 3, del D. Lgs. n. 81 del 2015, a fronte delle istanze di rinnovo di contratto a termine “in deroga assistita” relative ad ipotesi di modifica del livello contrattuale.

L’INL precisa che ove il lavoratore sottoscriva più contratti a termine con lo stesso datore di lavoro caratterizzati da diversi inquadramenti (di livello e di categoria legale) ai fini del calcolo della durata massima stabilita dall’art. 19, comma 2, non si determinerà una sommatoria della durata dei singoli contratti, ma soltanto di quelli, se esistenti, legati dal medesimo inquadramento. Il comma 3 del citato art. 19, nel prevedere la possibilità delle parti di stipulare “in deroga assistita” un ulteriore contratto a tempo determinato della durata massima di 12 mesi innanzi all’Ispettorato del Lavoro, fa salvo quanto disposto al comma 2. La formulazione letterale della norma induce a ritenere, pertanto, che la particolare procedura ivi prevista si applica solo nell’ipotesi in cui tra lo stesso datore di lavoro e il medesimo lavoratore si sia “consumata” la durata massima prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva ex art. 19, comma 2 ed alle medesime condizioni di tale disposizione, ossia che anche l’ulteriore contratto in deroga assistita comporti lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale.

Laddove, il datore di lavoro e il lavoratore sottoscrivano ex novo un contratto a termine che prevede un inquadramento differente rispetto al precedente contratto a termine sottoscritto tra le medesime parti, non vi è la necessità di avanzare istanza di deroga assistita. Atteso che l’applicazione di tale principio potrebbe determinare il susseguirsi di un rilevante numero di contratti a termine tra gli stessi soggetti si ritiene che, laddove la successione di contratti susciti perplessità e sorgano dubbi in merito alla diversità di inquadramento del lavoratore assunto a termine, l’Ispettorato territoriale possa promuovere l’intervento ispettivo al fine di verificare in concreto se la sottoscrizione di successivi e reiterati contratti a termine tra il medesimo lavoratore e il medesimo datore di lavoro sia conforme a quanto previsto dalla legge.

NOVITA’GIURISPRUDENZIALI

Il Tribunale di Ravenna, con ordinanza del 6.05.2021, rimette nuovamente alla Corte Costituzionale la questione della legittimità dei presupposti del art. 18 dello Statuto dei Lavoratori per la reintegrazione in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Con ordinanza del 7 febbraio 2020 il Tribunale di Ravenna aveva rimesso alla Corte costituzionale la questione la questione di costituzionalità dell’art. 18 L. n. 300 del 1970, nella parte in cui prevede che il giudice “possa” e non “debba” disporre la reintegrazione in caso di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo. La Corte, con la sentenza n. 59 del 2021, aveva accolto la questione: ora dunque, se l’insussistenza del fatto che è motivo del licenziamento è manifesta, il giudice deve reintegrare. La questione è tornata al Giudice di merito ma questi (sempre nella stessa causa) ha deciso di rimetterla alla Corte una seconda volta, denunciando nuovamente la dubbia legittimità costituzionale dello stesso comma 7 laddove richiede, per la reintegrazione, il carattere “manifesto” della insussistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Per il Tribunale, tale requisito crea una differenza di trattamento rispetto all’analoga patologia (insussistenza del fatto) prevista dall’art. 18 per i licenziamenti per motivi soggettivi e affida la valutazione del giudice ad un elemento indeterminato del quale è difficile  stabilire il significato; inoltre, tale previsione si tradurrebbe in un aggravamento degli oneri di prova a carico del lavoratore, in contrasto coi principi che governano la materia e il diritto di azione costituzionalmente garantito.

PROROGA DEL CONTRATTO A TERMINE.

Il Tribunale di Civitavecchia, con sentenza n. 220 del 1.04.2021, stabilisce che la proroga del contratto a termine è legittima solo ove il lavoratore abbia manifestato il proprio consenso per iscritto. L’azione di nullità del termine appartiene alla competenza del giudice del lavoro anche se il datore di lavoro si trova in amministrazione straordinari.

Il Tribunale accoglie il ricorso di una lavoratrice, accertando la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato in indeterminato, stante la prosecuzione del medesimo per oltre tre mesi dalla scadenza del termine. Il Giudice rigetta l’eccezione della società convenuta, secondo la quale, essendo la forma scritta ad substantiam prescritta dalla legge solo per l’apposizione del termine al contratto di lavoro e non anche per la proroga del medesimo, il consenso del dipendente a tale proroga possa ricavarsi anche per fatti concludenti: in assenza di conferma scritta della proroga, infatti, l’eventuale consenso per fatti concludenti del dipendente è relativo alla prosecuzione del rapporto e non già alla proroga del termine. Il Tribunale, preliminarmente alla questione detta, ha ritenuto la propria competenza come giudice del lavoro pur trovandosi la società datrice di lavoro in procedura di amministrazione straordinaria, in quanto l’azione di nullità del termine non è meramente strumentale alla pretesa di crediti, ma riguarda lo status del lavoratore e l’accertamento dell’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato.

danno non patrimoniale alla salute.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 475 del 22.03.2021, riconosce ad una ballerina della Scala vessata e ostacolata nella sua carriera, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale alla salute.

La Corte d’Appello dichiara sussistente il diritto di una ex ballerina al risarcimento del danno non patrimoniale per lo stato depressivo in cui versava, determinato anche dalle vessazioni subite durante il periodo di lavoro. La Corte, accertato il fatto che i comportamenti tenuti dai direttori della ballerina avevano limitato lo sviluppo del suo talento, non per limiti di capacità ma effetto delle condotte aziendali, riconosce il diritto al risarcimento del danno: risarcimento che non è escluso dalla coesistenza di uno stato depressivo della lavoratrice, essendo stato provato che i comportamenti subiti erano stati almeno una concausa della malattia. Pur escludendo la sussistenza di mobbing, la Corte afferma che sia ravvisabile la responsabilità della Fondazione Teatro alla Scala ai sensi dell’art. 2087 c.c.

SUCCESSIONE DI CONTRATTI DI SOMMINISTRAZIONE A TERMINE.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 372 del 19.02.2021, afferma che in caso di successione di contratti di somministrazione a termine, è tempestiva l’impugnazione del solo ultimo recesso per l’accertamento del rapporto a tempo indeterminato, qualora vi sia unicità del rapporto di lavoro.

La Corte d’Appello conferma la pronuncia di primo grado di accoglimento del ricorso di un lavoratore per l’accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per successione di contratti di somministrazione a termine, stante l’illegittimità di tali contratti. La Corte, rigettando l’eccezione di decadenza dall’impugnazione del termine, estende a tale tipologia contrattuale la giurisprudenza formatasi in tema di contratti di lavoro a progetto, per la quale, qualora la successione di contratti a progetto si ponga all’interno di un unico rapporto di lavoro, la decadenza di cui all’art. 32 della L. n. 183 del 2010, per l’impugnazione dei medesimi decorre non già dai singoli recessi bensì dal recesso dall’ultimo contratto.

RECESSO PER MANCATO SUPERAMENTO DELLA PROVA.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 13.01.2021, ritiene che il recesso per mancato superamento della prova in assenza del patto di prova scritto comporta, in regime di contratto a tutele crescenti ex D. Lgs. n. 23 del 2015, l’assimilazione del recesso a quello per motivi soggettivi e il diritto alla reintegrazione per insussistenza del fatto materiale contestato.

Il Giudice del lavoro accoglie la domanda di un lavoratore che, pur non avendo sottoscritto un patto di prova, era stato licenziato per mancato superamento della prova. Il Tribunale, ricondotta tale ragione di licenziamento tra quelle soggettive, poiché inerente alla persona del lavoratore, ritiene che la mancanza del patto di prova comporti l’inesistenza radicale del fatto posto a base del recesso. Tale circostanza è equiparabile all’insussistenza del fatto contestato per il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, dando altresì luogo a un recesso con finalità elusive della legge, con conseguente diritto alla reintegrazione del lavoratore ai sensi dell’art. 3, comma 2, del D. Lgs. n. 23 del 2015.

OBBLIGO VACCINALE PER GLI OPERATORI SANITARI.

Il Tribunale di Belluno, con ordinanza del 6.05.2021, si pronuncia sull’obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari, sancito dall’art. 4 del D. Lgs. n. 41 del 2021.

Due operatrici sanitarie hanno proposto reclamo avverso l’ordinanza pronunciata in data 19.3.2021 dal Tribunale di Belluno, sezione Lavoro, che aveva rigettato il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto dalle stesse, con il quale chiedevano di dichiararsi il loro diritto di scegliere liberamente se vaccinarsi o meno; senza che ciò comportasse il loro collocamento in permessi o ferie forzate, la loro sospensione dal lavoro senza retribuzione o il loro licenziamento. Il Giudice di prime cure rigettava il ricorso, valorizzando l’obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute sul luogo di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., ed il dettato dell’art. 2109 c.c., a mente del quale il lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. Le reclamanti hanno chiesto la riforma dell’ordinanza, tuttavia, il reclamo è stato dichiarato inammissibile per difetto di interesse ad agire, in quanto a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 4 del D.L. n. 44 del 2021, risulta introdotto, altresì per gli operatori socio sanitari, quindi per la categoria di lavoratori a cui appartengono le reclamanti, l’obbligo vaccinale. Di conseguenza, deve ritenersi giustificata, sulla base del predetto obbligo, l’adozione, da parte del datore di lavoro, di provvedimenti volti a inibire la presenza sul luogo di lavoro, nei particolari ambiti previsti dal decreto, di lavoratori che abbiano rifiutato la vaccinazione anti Covid-19.

Le reclamanti hanno prospettato, in via subordinata, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 D.L. n. 44 del 1.4.2021, in relazione all’art. 32 della Costituzione, nella parte in cui prevede l’obbligo della vaccinazione per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario. La questione di legittimità costituzionale prospettata dalle reclamanti va ritenuta manifestamente infondata, dovendosi ritenere prevalente, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi alla vaccinazione contro il Covid-19, il diritto alla salute dei soggetti fragili, che entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario in quanto bisognosi di cure e più in generale, il diritto alla salute della collettività, nell’ambito della perdurante emergenza sanitaria, derivante dalla pandemia da Covid-19.