NEWSLETTER N. 7/2021

NOVITA’ dottrinali

FOCUS: AUMENTI CONTRATTUALI ED ASSORBIBILITA’ DEL SUPERMINIMO.

Nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato le parti possono pattuire la corresponsione, in favore del dipendente, di un emolumento aggiuntivo alla retribuzione minima prevista dal contratto collettivo, comunemente denominato “superminimo”.

La giurisprudenza – che si è spesso pronunciata sull’assorbibilità del superminimo nel caso di aumenti retributivi derivanti, ad esempio, dal riconoscimento (anche giudiziale) di un superiore inquadramento, ovvero nel caso di aumenti retributivi previsti dal contratto collettivo – considera il superminimo un’”eccedenza” che può essere assorbita da successivi incrementi retributivi, salvo che tale attribuzione sia stata pattuita “intuitu personae”, ovvero quando la volontà (tacita o espressa) delle parti sia stata quella di escluderne l’assorbimento.

L’onere di dimostrare la sussistenza del“titolo” che autorizza il mantenimento del superminimo spetta comunque al lavoratore (ex plurimis, Cass. 17 ottobre 2018, n. 26017).

Per accertare il diritto del lavoratore al mantenimento del superminimo è necessario analizzare la genesi dell’accordo (in quanto, ad esempio, le parti potrebbero aver attribuito al superminimo la natura di “compenso speciale” strettamente collegato a particolari meriti, ovvero alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente), nonché il comportamento successivo delle parti, fermo restando, altresì, che una deroga all’assorbimento del superminimo potrebbe essere disposta anche dalla contrattazione collettiva (Cass. 5 giugno 2020, n. 10779).

La giurisprudenza di merito ha evidenziato, tra l’altro, che la pregressa esperienza maturata dal lavoratore presso un precedente datore di lavoro e la sua qualifica non possono considerarsi elementi idonei a provare che il superminimo abbia natura di eccedenza “intuitu personae” (Tribunale Milano, 20 febbraio 2018).

Con la recente sentenza n. 10164 del 16 aprile 2021 la Corte di Cassazione ha esaminato una fattispecie in cui l’aumento retributivo previsto dal contratto collettivo, pur essendo unico, doveva essere corrisposto in tranches aventi scadenze diverse: in occasione della prima scadenza, il datore di lavoro non aveva assorbito il superminimo per l’importo corrispondente alla prima tranche e, quindi, la Corte di merito, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto che tale comportamento fosse sufficiente ad escludere la volontà di procedere all’assorbimento anche delle tranches successive.

Nell’esaminare il gravame proposto dal datore di lavoro, la Suprema Corte – dopo aver preliminarmente rilevato l’inesistenza di un principio giuridico che preveda una “presunzione” di assorbimento del superminimo nel caso di miglioramenti contrattuali – ha condiviso la decisione della Corte d’Appello, secondo cui, essendo l’aumento retributivo unico (anche se suddiviso in più tranches) è configurabile una rinuncia del datore di lavoro all’assorbimento del superminimo nel caso in cui la prima tranche venga corrisposta al dipendente senza operare alcuna riduzione.

I giudici di merito (e, conseguentemente, la Corte di Cassazione) hanno omesso, probabilmente anche per mancanza di adeguate allegazioni, di valutare la ragione per cui il datore di lavoro non aveva assorbito il superminimo al momento di corrispondere la prima tranche dell’aumento retributivo e tale omissione non ha consentito di valutare adeguatamente il comportamento (concludente) addebitato al datore di lavoro, ovvero la diversa volontà di non assorbire il superminimo.

Proprio alla luce di quanto stabilito nella sentenza in esame, è comunque necessario prestare la dovuta attenzione, anche sotto un profilo puramente amministrativo-gestionale, alle modalità con le quali viene applicato un aumento contrattuale quando il lavoratore fruisce di un superminimo ed è previsto che l’aumento venga suddiviso in varie tranches.

NOVITA’ NORMATIVE

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI: PROVVEDIMENTO 13 MAGGIO 2021

Vaccinazione nei luoghi di lavoro: indicazioni generali per il trattamento dei dati personali.

Il Garante per la privacy ha adottato, in data 13 maggio 2021, un documento d’indirizzo sull’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti Covid-19 nei luoghi di lavoro, prevista dal Protocollo nazionale del 6 aprile 2021, al fine di fornire indicazioni generali sul trattamento dei dati personali, in attesa di un definitivo assetto regolatorio. La vaccinazione nei luoghi di lavoro costituisce un’iniziativa di sanità pubblica, per cui la responsabilità generale e la supervisione dell’intero processo rimangono in capo al Servizio sanitario regionale e dovrà essere attuata nel rispetto della disciplina sulla protezione dei dati. Conseguentemente, il Garante precisa che le principali attività di trattamento dati – dalla raccolta delle adesioni, alla somministrazione, alla registrazione nei sistemi regionali dell’avvenuta vaccinazione – devono essere effettuate dal medico competente o da altro personale sanitario appositamente individuato. Nel quadro delle norme a tutela della dignità e della libertà degli interessati sui luoghi di lavoro, infatti, non è consentito al datore di lavoro raccogliere direttamente dai dipendenti, dal medico compente, o da altri professionisti sanitari o strutture sanitarie, informazioni relative all’intenzione del lavoratore di aderire alla campagna o alla avvenuta somministrazione (o meno) del vaccino e ad altri dati relativi alle sue condizioni di salute.

DECRETO SOSTEGNI BIS.

È stato pubblicato nella G.U. n. 123 del 25 maggio 2021, il D. L. n. 73 del 25 maggio 2021, recante: “Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali” (c.d. Sostegni bis).

Il decreto contiene numerose disposizioni in materia di lavoro (anche autonomo) e politiche sociali, alcune delle quali di particolare rilevanza, che si aggiungono alla già corposa produzione di norme che ha fin dall’inizio caratterizzato la gestione emergenziale della pandemia da parte del legislatore. Il Titolo IV, in particolare, è interamente dedicato al lavoro e alla previdenza.

Di seguito le principali novità.

Articolo 1 – Contributo a fondo perduto.

Riconosciuto un ulteriore contributo a fondo perduto ai beneficiari del contributo previsto dall’art. 1 del D. L. n. 41 del 2021, purché risultino avere una partita Iva attiva alla data di entrata in vigore del decreto (26 maggio 2021). In alternativa al contributo di cui sopra, sarà possibile beneficiare di un contributo calcolato sul confronto dell’ammontare medio mensile del fatturato del periodo 01/04/2020–31/03/2021 e 01/04/2019– 31/03/2020. Quest’ultimo contributo è riconosciuto in misura variabile, a seconda che il soggetto abbia o meno beneficiato del contributo di cui al cd. Decreto Sostegni ed in funzione dell’ammontare dei propri compensi annui.

Articolo 9 – Proroga del periodo di sospensione delle attività dell’agente della riscossione.

Disposta un’ulteriore proroga della sospensione dei pignoramenti dell’Agente della riscossione su stipendi e pensioni. Nello specifico, viene differita dal 30 aprile 2021 (termine precedentemente fissato dal D. L. n. 41 del 2021) al 30 giugno 2021 la scadenza della sospensione degli obblighi di accantonamento derivanti dai pignoramenti presso terzi effettuati dall’Agente della riscossione e dagli altri soggetti titolati, aventi ad oggetto le somme dovute a titolo di stipendio/salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione o di assegni di quiescenza.

Articolo 36 – Ulteriori disposizioni in materia di reddito di emergenza.

Concesse ulteriori 4 quote di reddito di emergenza relativamente alle mensilità di giugno, luglio, agosto e settembre 2021. La domanda per le nuove quote di Rem andrà presentata all’INPS entro il 31 luglio 2021, secondo le indicazioni operative che saranno fornite dall’Istituto. L’impianto regolatorio (requisiti, criteri di calcolo delle quote, cause di incompatibilità) ricalca quanto precedentemente previsto dal decreto Sostegni, a cui il decreto Sostegni bis rinvia espressamente.

Art. 37 – Reddito di ultima istanza in favore dei professionisti in situazione d’invalidità.

Il “Fondo per il reddito di ultima istanza” eroga un’indennità di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti e autonomi che in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID 19 hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività o il loro rapporto di lavoro (art. 44 del D. L. n. 18 del 2020, convertito con L. n. 27 del 2020). Il decreto Sostegni bis esclude dai limiti di reddito previsti per il riconoscimento della predetta indennità in favore dei professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria, ogni emolumento corrisposto ad integrazione del reddito a titolo di invalidità, avente natura previdenziale, che risponda alle medesime finalità dell’assegno ordinario di invalidità. La domanda per la corresponsione dell’indennità in commento può essere presentata entro il 31 luglio 2021 da parte dei soggetti interessati che non hanno avuto accesso alla misura in esame alla data del 26 maggio 2020.

Articolo 38 – Disposizioni in materia di NASPI.

Fino al 31 dicembre 2021, per le Naspi in corso di pagamento, viene sospesa l’applicazione dell’articolo 4, comma 3, del D. Lgs. n. 22 del 2015, ossia viene sospesa la riduzione del 3% della quota di indennità mensile prevista a partire dal quarto mese di erogazione. Le prestazioni Naspi già in pagamento restano pertanto confermate fino a tutto il 2021 nell’importo spettante alla data del 26 maggio 2021. La riduzione progressiva dell’indennità di disoccupazione non verrà applicata nemmeno alle nuove prestazioni decorrenti nel periodo dal 1° giugno al 30 settembre 2021. A partire dal 1° gennaio 2022 in poi l’importo della Naspi tornerà ad essere calcolato applicando le riduzioni corrispondenti ai mesi di sospensione trascorsi.

Articolo 39 – Disposizioni in materia di contratto di espansione.

Il decreto Sostegni bis amplia la platea dei datori di lavoro che possono ricorrere al contratto di espansione di cui all’art. 41, comma 1-bis, del D. Lgs. n. 148 del 2015. Potranno accedervi infatti quelli con una forza lavoro di almeno 100 unità lavorative. Resta invariato che tale entità di lavoratori, nell’ambito delle aggregazioni stabili di imprese con un’unica finalità produttiva o di servizi, potrà essere fatta valere in riferimento ad un criterio di computo complessivo.

Articolo 40, commi 1-3 – Ulteriori disposizioni in materia di trattamenti di integrazione salariale e di esonero dal contributo addizionale.

I commi 1 e 2 introducono una nuova misura alternativa ai trattamenti di integrazione salariale di cui D. Lgs. n. 148 del 2015, comunque non più riconducibile alla cassa integrazione emergenziale con causale Covid-19. Ne potranno usufruire i datori di lavoro privati di cui all’articolo 8, comma 1, del D. L. n. 41 del 2021 (ossia quei datori costretti a sospendere o ridurre l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19) che nel primo semestre dell’anno 2021 hanno subito un calo del fatturato del 50 per cento rispetto al primo semestre dell’anno 2019, presentando una domanda di cassa integrazione guadagni straordinaria – in deroga a quanto disposto dagli artt. 4 e 21 del D. Lgs. n. 148 del 2015 – per una durata massima di 26 settimane nel periodo tra la data di entrata in vigore del decreto e il 31 dicembre 2021. La richiesta dovrà essere preceduta dalla stipula di un accordo collettivo aziendale ai sensi dell’articolo 51 del D. Lgs. n. 81 del 2015, avente ad oggetto la riduzione dell’attività lavorativa finalizzata al mantenimento dei livelli occupazionali nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica, entro determinati limiti temporali e di spesa. Secondo quanto previsto al comma 3, i datori di lavoro privati di cui all’articolo 8, comma 1, del D. L. n. 41 del 2021 (v. sopra), che a decorrere dal 1° luglio 2021 sospendono o riducono l’attività lavorativa e presentano domanda di integrazione salariale ordinaria o straordinaria, sono esonerati dal pagamento del contributo addizionale di cui all’articolo 5 del D. Lgs. n. 148/2015 fino al 31 dicembre 2021.

Pertanto, riepilogando, i datori di lavoro soggetti alla CIGO potranno all’occorrenza richiedere:

· dal 1° luglio 2021, la cassa integrazione ordinaria e straordinaria ai sensi del D. Lgs. n. 14 del 2015 (senza vedersi applicato il contributo addizionale fino al 31 dicembre 2021);

· in alternativa, dal 26 maggio e fino al 31 dicembre 2021, subordinatamente alla sussistenza di un calo di fatturato del 50%, la CIGS in deroga, per una durata massima di 26 settimane, previa stipula di accordi collettivi aziendali di riduzione dell’attività lavorativa dei lavoratori in forza, finalizzati al mantenimento dei livelli occupazionali.

Articolo 41 – Contratto di rioccupazione.

Viene introdotta una nuova fattispecie di assunzione agevolata, ossia il contratto di rioccupazione. Si tratta di un contratto a tempo indeterminato di datori di lavoro privati, volto ad agevolare l’inserimento nel mondo del lavoro dei soggetti disoccupati nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica da Covid-19. Condizione per l’assunzione è la definizione, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento, della durata di 6 mesi, finalizzato ad adeguare le competenze del lavoratore al nuovo contesto lavorativo. L’incentivo che verrà concesso per questo tipo di assunzioni, e che sarà operativo dal 1° luglio 2021 al 31 ottobre 2021, consiste in uno sgravio totale dei contributi dovuti all’INPS dal datore di lavoro, per un periodo non superiore ai 6 mesi a partire dall’assunzione e nel limite massimo di 6.000 euro annui.

Articolo 42 Proroga indennità lavoratori stagionali, turismo e spettacolo.

Viene riconosciuta un’ulteriore indennità di 1.600 euro ai soggetti già beneficiari dell’indennità di cui all’articolo 10, commi da 1 a 9 del D. L. n. 41 del 2021. Il decreto richiama poi ulteriori fattispecie al ricorrere delle quali può essere riconosciuta apposita indennità.

Articolo 43 – Decontribuzione settori del turismo e degli stabilimenti termali e del commercio.

Alle assunzioni a tempo indeterminato che verranno effettuate dai datori di lavoro privati dei settori del turismo, degli stabilimenti termali e del commercio a decorrere dal 26 maggio e sino al 31 dicembre 2021 verrà concesso un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dell’azienda, nel limite del doppio delle ore di integrazione salariale fruite nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2021. Tale sgravio è subordinato al rispetto della disciplina in materia di divieto di licenziamento fino al 31 dicembre 2021, sancita dall’art. 8, commi 9-11 del D. L. n. 41 del 2021. L’esonero, riparametrato ed applicato su base mensile, sarà cumulabile con altri esoneri o riduzioni della contribuzione previdenziale dovuta, ad esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL.

Articolo 44 – Indennità per i collaboratori sportivi.

Riconosciuta un’indennità di importo compreso tra 2.400 e 800 euro a favore dei lavoratori impiegati con rapporti di collaborazione presso le società e associazioni sportive dilettantistiche.

Articolo 45 – Proroga CIGS per cessazione e incremento del Fondo sociale per occupazione e formazione.

Disposta la proroga per sei mesi della CIGS per cessazione di attività di cui all’articolo 44 del D. L. n. 109 del 2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 130 del 2018, nelle aziende di particolare rilevanza strategica sul territorio ove siano stati avviati processi di cessazione aziendale, le cui azioni necessarie al suo completamento e per la salvaguardia occupazionale abbiano incontrato fasi di particolare complessità di cui sia stato dato conto al Ministero dello sviluppo economico. La misura è tuttavia concessa previo ulteriore accordo da stipulare in sede governativa presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

NOVITA’ giurisprudenziali

RESTITUZIONE SOMME VERSATE PER ERRORE DAL DATORE DI LAVORO.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16088 del 9 giugno 2021, si pronuncia in un caso di erogazione per errore di somme da parte del datore di lavoro, che ne chiede la restituzione.

In una causa promossa da un lavoratore per ottenere differenze retributive, il datore di lavoro aveva chiesto in via riconvenzionale la restituzione di compensi per ore di lavoro oltre l’orario e per indennità di trasferta erogati per errore, in assenza della relativa controprestazione. La Corte conferma il rigetto della domanda, ribadendo che, per ottenere la restituzione di somme che si assume erroneamente erogate al lavoratore, il datore deve provare non solo l’errore, ma anche il suo carattere essenziale e riconoscibile dal lavoratore.

REGIME PREVIDENZIALE DEL LAVORATORE INVIATO IN ALTRO STATO MEMBRO.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 3 giugno 2021 nella causa C-784/19, si pronuncia in materia di regime previdenziale del lavoratore assunto da un’agenzia interinale situata in uno Stato membro e inviato per un breve periodo in altro Stato membro.

La regola comunitaria in materia di legislazione previdenziale applicabile ai lavoratori che si muovono all’interno della Comunità applica ad essi la legislazione dello Stato in cui svolgano la propria attività lavorativa. Ma vi è un’eccezione per i lavoratori assunti da un’impresa stabilita in uno Stato (nel senso che ivi svolge normalmente la propria attività sostanziale e non meramente interna, amministrativa) e distaccati per un breve periodo in altro Stato membro, ai quali resta applicabile la legislazione previdenziale dello Stato d’origine. È sorto un problema interpretativo della disciplina comunitaria nel caso di un’agenzia interinale stabilita in Bulgaria che mette a disposizione per il lavoro tutti i propri dipendenti, assunti e formati in Bulgaria, presso imprese utilizzatrici tedesche. In questo caso non si può dire che l’agenzia svolga mera attività amministrativa, interna in Bulgaria, perché è proprio quella la propria attività d’impresa, per cui a tali lavoratori andrebbe applicata la previdenza dello Stato d’origine. Ma consentire ad una tale impresa di fruire della deroga, collocando tutti o la maggior parte dei dipendenti che assume in altri Stati membri snaturerebbe la ratio della norma comunitaria, consentendole di scegliere la disciplina previdenziale nazionale a lei più favorevole, offrendo a imprese collocate in altro Stato lavoro a un costo inferiore, per la parte previdenziale, di quello praticato in quello Stato. Alla luce principalmente di queste considerazioni, la Corte adotta l’interpretazione della norma comunitaria nel senso che il lavoratore assunto da un’agenzia interinale situata in uno Stato membro e inviato per un breve periodo in altro Stato membro mantiene il regime previdenziale dello Stato di origine solo se l’agenzia interinale che l’ha assunto invia i propri dipendenti prevalentemente presso imprese utilizzatrici ivi stabilite.

TUTELA REINTEGRATORIA.

La Corte di Cassazione, sezione sesta, con l’ordinanza interlocutoria n. 14777 del 27 maggio 2021, si pronuncia in materia di tutela reintegratoria in caso di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo ingiustificato.

Nella versione modificata dalla legge Fornero, l’art. 18, 4° e 5° comma St. Lav., prevede, in caso di licenziamento disciplinare ingiustificato, una duplice possibile tutela: reintegratoria e indennitaria se il giudice accerta l’insussistenza del fatto contestato o che questo rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, sulla base delle previsioni del contratto collettivo o del codice disciplinare; meramente indennitaria negli altri casi.

Il più recente orientamento della Corte riduce l’ambito della previsione delle “condotte punibili con una sanzione conservativa” alle sole ipotesi in cui il contratto collettivo o il codice disciplinare del datore di lavoro abbiano tipizzato i casi punibili con la sanzione conservativa, delineandone tutti gli elementi costitutivi. La sezione sesta della Corte (quella a cui è demandata la pronuncia su questioni sulle quali la Corte si è ormai pronunciata in maniera uniforme, ma che può dissentirne, rimettendo la questione alla sezione lavoro ordinaria), investita del giudizio in cui erano appunto in gioco le conseguenze di un licenziamento per giusta causa ingiustificato, fa rilevare l’irrazionalità dell’orientamento recente, in ragione del fatto che i contratti collettivi solo raramente “tipicizzano” le ipotesi disciplinari, utilizzando invece, quanto meno come norma di chiusura, formule generiche (inadempimento lieve e grave, negligenza lieve etc.).

Inoltre, i contratti collettivi non decidono se tipizzare o usare formule generiche in funzione della disciplina di cui all’art. 18 St. Lav.; e del resto ciò sarebbe assurdo, quando a redigere il codice disciplinare sia unilateralmente il datore di lavoro. Infine, secondo la Corte, appare discriminatorio trattare diversamente ipotesi tipizzate e altre che hanno, nell’intenzione dei contraenti collettivi o del datore di lavoro, identica rilevanza disciplinare, ma che sono espresse con formule riassuntive, generiche. In conclusione, la sesta sezione rimette alla normale udienza di trattazione in contraddittorio presso la sezione lavoro la rivalutazione della questione alla luce dei rilievi qui riassunti.

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13643 del 19 maggio 202, sostiene la teoria della spettanza della sola tutela indennitaria, se la scelta del dipendente da licenziare per mera esigenza di riduzione di personale omogeneo di una sede non è stata effettuata tra tutti i dipendenti di questa.

L’affermazione discende dallo stato della giurisprudenza in materia di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, che la sentenza illustra in maniera analitica, selezionando altresì i casi in cui si possa ritenere verificata la manifesta insussistenza del fatto giustificativo del licenziamento, unica ipotesi in cui alla tutela risarcitoria si aggiunge la reintegrazione. La Corte, infine, ribadisce che la scelta tra tutto il personale intercambiabile in caso di licenziamento per generica esigenza di riduzione deve avvenire in base a criteri analoghi a quelli stabiliti dalla legge per i licenziamenti collettivi, in applicazione dei principi generali di correttezza e buona fede.

BLOCCO DEI LICENZIAMENTI.

Il Tribunale di Venezia, con pronuncia del 17 maggio 2021, sancisce che divieto di licenziamento previsto dal D.L. n. 104 del 2020 si estendeva a tutti i datori di lavoro, compresi quelli che non abbiano usufruito in concreto degli ammortizzatori sociali per Covid-19.

Il Tribunale interviene nel dibattito generatosi in merito all’interpretazione dell’art. 14 del D.L. n.  104 del 2020 (c.d. decreto agosto) in tema di blocco dei licenziamenti: il tema che aveva sollevato un vivace dibattito tra gli interpreti era quello se la proroga del blocco – disposto non più con una previsione generale e rigida – interessasse tutti i datori di lavoro, pur in modo flessibile a seconda dell’utilizzo degli strumenti di sostegno pubblico, oppure solo quelli che in concreto facessero ricorso alla cassa integrazione o agli sgravi contributivi. In sostanza, il tema era se il blocco fosse venuto meno (in quel momento, perché poi è stato reintrodotto con formula generale nei mesi successivi) per le imprese che decidessero di non ricorrere ad alcun ammortizzatore. Il Giudice prende chiaramente posizione per l’applicazione generalizzata: il divieto del D.L. n. 104 interessava sia i datori di lavoro che avessero fruito degli ammortizzatori sociali sia coloro che non lo facessero, o perché non legittimati a richiederli o perché, pur potendoli chiedere, non avevano subito una sospensione o riduzione delle attività. L’esclusione di questi ultimi dal blocco dei licenziamenti, a giudizio del Tribunale, legittimerebbe una discrezionalità delle aziende nell’applicazione della disciplina di blocco temporaneo dei licenziamenti, non coerente con la tutela di interessi di carattere generale perseguiti dal legislatore dell’emergenza.

TRASFERIMENTO D’AZIENDA.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13787 del 20 maggio 2021, stabilisce che in caso di trasferimento d’azienda illegittimo, la responsabilità per l’eventuale dequalificazione del lavoratore presso il cessionario ricade esclusivamente su quest’ultimo.

La decisione consegue alla regola più volte affermata dalla Corte, secondo cui, a seguito della dichiarazione d’illegittimità del trasferimento d’azienda, s’istaurano in capo al lavoratore due rapporti di lavoro: uno che prosegue col cedente sin dalla cessione successivamente dichiarata illegittima; l’altro, di mero fatto, col cessionario fino a quando questi non trae le conseguenze dalla dichiarata illegittimità. Ne deriva, infatti, che tutto ciò che si verifica nel secondo rapporto di fatto riguarda unicamente le parti di questo e non coinvolge il cedente (che, invece, nel caso in esame il lavoratore aveva chiamato in corresponsabilità solidale col cessionario).

INDENNITA’ SOSTITUTIVA DI PREAVVISO.

La Corte di cassazione, con sentenza n. 14062 del 21 maggio 2021, afferma che il diritto dell’agente all’indennità sostitutiva del preavviso si prescrive in cinque anni.

In giudizio, l’agente che aveva promosso l’azione oltre cinque anni dopo la cessazione del rapporto di agenzia aveva sostenuto che all’indennità di preavviso degli agenti fosse applicabile il regime ordinario decennale della prescrizione. Aderendo al più recente orientamento giurisprudenziale, che ai fini indicati equipara lavoratori subordinati e parasubordinati, la Corte ribadisce che la prescrizione applicabile è invece, quella quinquennale, ai sensi dell’art. 2948 n. 5 c. c.

SOSPENSIONE DELLA PRESCRIZIONE IN CORSO DI RAPPORTO DI LAVORO.

Il Tribunale di Brescia con sentenza n. 523 del 26 maggio 2021, aderisce all’orientamento giurisprudenziale che ritiene sospesa la decorrenza della prescrizione durante il rapporto di lavoro, in caso di applicazione dell’art. 18 Stat. lav. come riformato nel 2012.

Anche il Tribunale di Brescia, che si era ripetutamente pronunciato in senso negativo sulla sospensione della prescrizione in corso di rapporto di lavoro, per i rapporti assistiti dall’art. 18 St. Lav., ma non più garantiti dalla esclusiva regola della reintegrazione, a seguito delle modifiche della norma intervenite con la c.d. Legge Fornero, muta orientamento. Aderendo all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, il Giudice ritiene che la contrazione delle ipotesi di applicazione della tutela reale consenta di configurare il “metus” del lavoratore nell’avanzare pretese economiche, legittimante la sospensione della prescrizione in costanza di rapporto.

LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO.

Il Tribunale di Udine, con sentenza n. 104 del 10 maggio 2021, sancisce che non rileva solo l’anzianità di servizio ai fini della quantificazione dell’indennità per licenziamento illegittimo nel regime del Jobs Act.

Il Tribunale accoglie il ricorso di una lavoratrice che aveva impugnato il licenziamento per ragioni oggettive, stante l’assenza di prova da parte del datore di lavoro di adempimento dell’obbligo di ricollocazione. Il Giudice afferma che, al fine di quantificare l’indennità di cui al D. Lgs. n. 23 del 2015, in caso di licenziamento illegittimo, si debba tenere conto non solo dell’anzianità di servizio, bensì anche di altri fattori. Su tale base, il Giudice condanna il datore di lavoro a un’indennità pari a ben trenta mensilità di retribuzione, nonostante l’anzianità di servizio relativamente breve (tre anni), stante il fatto che la lavoratrice si era dovuta spostare da una Regione ad un’altra per il lavoro, dovendo reperire un’abitazione, e stante il rilevante numero di dipendenti addetti alla società.

CONTRATTI DI LAVORO A TERMINE E DI SOMMINISTRAZIONE A TERMINE.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 475 del 22 maggio 2021, giudica che il limite complessivo dei 24 mesi per i contratti a termine e di somministrazione a termine si computa tenendo conto di tutti i rapporti di lavoro, anche precedenti al “Decreto dignità”.

La Corte, confermando la sentenza di primo grado, rigetta il ricorso con il quale il datore di lavoro contesta l’applicazione del limite dei ventiquattro mesi di durata massima dei contratti a termine ad un rapporto di lavoro iniziato prima dell’entrata in vigore del D. L. n. 87 del 2018 e protrattosi con una serie di contratti di somministrazione, successivamente all’agosto del 2018. La Corte ritiene che debba invece applicarsi tale nuovo regime anche ai rapporti sorti precedentemente all’entrata in vigore della riforma, ferma la conversione del rapporto a tempo indeterminato a far data dall’entrata in vigore della stessa. In caso di conversione di una serie di contratti di somministrazione a termine irregolari in un rapporto a tempo indeterminato, tale rapporto si costituisce in capo all’utilizzatore.

PREMIO DI RISULTATO EROGATO IN NATURA.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14068 del 21 maggio 2021. Sostiene che un premio di risultato fruisce dell’esonero contributivo di cui all’art. 2, comma 2°, del D. L. n. 67 del 1997, anche se erogato in natura.

Un’impresa giornalistica erogava ai propri dipendenti giornalisti un benefit aziendale consistente in un credito da utilizzare per l’acquisto di beni e servizi ricevuti da aziende terze in cambio merci (pubblicità sul giornale), senza trattenere su di esso i contributi previdenziali. Nel conseguente giudizio, istaurato dall’INPGI per ottenere il versamento dei contributi, la Corte, dato atto che era stato accertato che tale beneficio era qualificabile come premio di produzione previsto ogni anno da un accordo aziendale, ha dichiarato indifferente, ai fini dell’applicazione dell’esonero contributivo previsto dal D. L. n. 67 del 1997, che tale premio sia stato erogato in natura anziché in denaro.

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