IL BLOCCO DEI LICENZIAMENTI SI ESTENDE ANCHE AI DIRIGENTI?

SULL’ESTENSIONE DEL BLOCCO DEI LICENZIAMENTI, DI CUI ALL’ART. 46 DEL D.L. N. 18 DEL 2020, ALLA CATEGORIA DIRIGENZIALE, IL TRIBUNALE DI ROMA INTERVIENE CON DUE PRONUNCE DI DIREZIONE OPPOSTA.

A seguito della previsione del blocco dei licenziamenti sancito con l’art. 46 del D.L. n. 18 del 2021, c.d. decreto “Cura Italia”, convertito con modificazioni nella L. n. 27 del 2020, ci si è posti la questione di una possibile estensione di tale disciplina anche alla categoria dirigenziale, da sempre caratterizzata da un regime di libera recedibilità, in virtù del vincolo fiduciario sussistente nel rapporto con il datore di lavoro.

La giurisprudenza non è univoca sul punto, come dimostrano le due recenti pronunce del Tribunale di Roma che a distanza di soli due mesi, interpretano la norma, adottando sul tema, due orientamenti di segno opposto.

Infatti, il Tribunale di Roma, in sitesi:

  • con ordinanza del 26.02.2021 interpretando la ratio dell’articolo, nell’esigenza, comune anche ai dirigenti, che le conseguenze economiche della pandemia non si traducessero nella soppressione immediata di posti di lavoro, aveva ritenuto che il divieto di licenziamento per ragioni oggettive introdotto dalla norma citata dovesse estendersi anche ai dirigenti; mentre
  • con la successiva sentenza del 15.04.2021, si è espresso escludendo tale estensione, valorizzando il testo letterale della norma che non la prevede, nonché della ratio del sistema fondato sull’accompagnamento degli ammortizzatori sociali, non accessibili ai dirigenti in pendenza di rapporto di lavoro.
  • TRIBUNALE DI ROMA, TERZA SEZIONE LAVORO, ORDINANZA DEL 26.02.2021.

Il Tribunale di Roma, valorizzando la ratio dell’art. 46 del D. L. n. 18 del 2020, da ravvisarsi nella volontà di scongiurare, in via provvisoria, che le conseguenze economiche della pandemia possano scaricarsi sui lavoratori in modo automatico, ha ritenuto che il divieto di licenziamento per ragioni oggettive introdotto dalla norma citata debba estendersi anche ai dirigenti. Come sottolineato dal Tribunale, il richiamo svolto dal citato art. 46 all’art. 3 della L. n. 604 del 1966 va correttamente inteso come rinvio alla fattispecie sostanziale, non potendosi assegnare allo stesso funzione di delimitazione della platea dei lavoratori interessati. Una diversa lettura della norma darebbe luogo, infatti, ad un’irragionevole disparità di trattamento, basata unicamente sull’inquadramento dei lavoratori. Il Tribunale accerta dunque la nullità del licenziamento del dirigente, per violazione di norma imperativa e ne ordina la reintegrazione nel posto di lavoro.

Sosteneva il Tribunale, in quell’occasione che la ratio del blocco è quella di evitare in via provvisoria che le pressoché generalizzate conseguenze economiche della pandemia, si traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro; l’adito giudice ritiene che tale esigenza sia di certo comune ai dirigenti che, anzi, sono maggiormente esposti a tale rischio. Ancor più, considerando che ciò pone “in limine” un problema di ragionevolezza in considerazione dell’art. 3 della Cost., in quanto questi ultimi si trovano tutelati per quanto riguarda i licenziamenti collettivi; pertanto, la Corte non ravvisa una ragione valida a giustificare il trattamento differenziale per il caso di licenziamento individuale. La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 3 della L. n. 604 del 1966 consente di individuarne la ratio, non nel delimitare l’ambito soggettivo dell’applicazione del divieto, bensì nell’identificare la natura della ragione impassibile di essere posta a fondamento del recesso.

  • TRIBUNALE DI ROMA, PRIMA SEZIONE LAVORO, SENTENZA N. 27802 DEL 15.04.2021.

Il Tribunale, valorizza in questo caso, il dato letterale della disposizione, sostenendo che si è stabilito che il datore di lavoro, indipendenti, non possa recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604 del 1966, norma che pacificamente non si applica ai dirigenti, sia per espressa previsione normativa che per consolidato orientamento giurisprudenziale. La ratio di tale esclusione si fonda sul funzionamento del sistema del blocco dei licenziamenti che è stato accompagnato dalla possibilità per le aziende di ricorrere agli ammortizzatori sociali.Tale binomio: divieto di licenziamento e costo del lavoro a carico della collettività, cheè ciò che rende il sistema ragionevole, non sta in piedi con riguardo ai dirigenti, ai quali non è consentito accedere agli ammortizzatori sociali, almeno in pendenza del rapporto di lavoro, con la conseguenza che del costo della loro categoria dovrebbe farsi carico il datore di lavoro pur in presenza di motivi tali da configurare un’ipotesi di giustificatezza del recesso.

Il Tribunale riprende in considerazione anche l’argomento precedentemente sostenuto ai fini di sostenere l’opposta tesi, riguardo all’irragionevolezza determinata dal fatto che il dirigente è protetto dal blocco nel caso di licenziamento collettivo, mentre invece non è protetto nel caso di licenziamento individuale. Affermando, di contro, il giudice che la diversità delle due fattispecie è ragione tale da giustificarne una diversità di trattamento tra le due ipotesi econcludendo nel senso che il parametro del principio di buona fede e correttezza, su cui misurare la legittimità del licenziamento deve essere coordinato con quello della libertà di iniziativa economica.

Nel caso di specie pertanto, verificata la sussistenza dei requisiti di giustificatezza, il Tribunale rigetta il ricorso proposto dal lavoratore, ritenendo non estendibile la tutela del blocco dei licenziamenti alla categoria dirigenziale.

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