NEWSLETTER n. 10/2023

Novità normative e giurisprudenziali

Novità NORMATIVE

Ministero del Lavoro, Interpello n. 1 del 15 settembre 2023 “Interpello ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 124/2004. Diritti sindacali ex articolo 36 del decreto legislativo n. 81/2015 – Applicabilità del CCNL dell’azienda utilizzatrice”.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato l’interpello n. 1 del 15 settembre 2023, con il quale risponde ad un quesito del sindacato UGL Agroalimentare, in merito all’esercizio dei diritti sindacali da parte dei lavoratori somministrati.

In particolare, se trovi applicazione il contratto collettivo nazionale di lavoro dell’agenzia di somministrazione o quello dell’utilizzatore.

Di seguito la risposta del Ministero del Lavoro: “Come è noto, il rapporto di somministrazione coinvolge tre soggetti (agenzia di somministrazione, lavoratore somministrato ed impresa utilizzatrice), legati da due distinti rapporti contrattuali: il contratto commerciale, concluso tra  l’utilizzatore e il somministratore, ed il contratto di lavoro individuale stipulato tra l’agenzia di somministrazione e il lavoratore somministrato. Datore di lavoro del lavoratore somministrato è dunque formalmente l’agenzia di somministrazione, anche se la prestazione lavorativa – nel periodo della missione – viene svolta nell’interesse dell’utilizzatore, sotto il controllo e la direzione dello stesso. La struttura contrattuale della somministrazione di lavoro comporta, quindi, una particolare ripartizione dei poteri e degli obblighi connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro, in considerazione della scissione tra la titolarità giuridica del rapporto e l’effettiva utilizzazione della prestazione. Pertanto, in linea generale, il contratto collettivo che regola il rapporto di lavoro è, in primo luogo, quello applicato dall’agenzia di somministrazione, in quanto datore di lavoro. Tuttavia, è necessario che, per il periodo della missione, la disciplina in concreto applicabile al lavoratore somministrato sia integrata dalle previsioni del CCNL applicato dall’utilizzatore. Ciò al preciso fine di garantire effettività al principio di parità in ordine alle condizioni di lavoro e di occupazione dei lavoratori somministrati, che non devono essere complessivamente inferiori a quelle applicate ai dipendenti di pari livello dell’utilizzatore (art. 35, comma 1, del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81). Tali conclusioni devono

ritenersi valide anche con riferimento ai diritti sindacali dei lavoratori somministrati, rispetto ai quali l’articolo 36 del citato decreto legislativo n. 81/2015 dispone, al comma 1, che trovino applicazione, in primo luogo, i diritti sindacali previsti dallo Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300). Al comma successivo, si afferma inoltre il diritto del lavoratore somministrato ad esercitare presso l’utilizzatore, per tutta la durata della missione, i diritti di libertà e di attività sindacale, nonché a partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici. Anche in questo caso, dunque, si dovrà far riferimento, in prima istanza, al contratto collettivo di lavoro applicato dall’agenzia di somministrazione, in qualità di datore di lavoro, consentendo inoltre al lavoratore somministrato, durante la missione, di esercitare all’interno del contesto lavorativo ove concretamente è inserito tutti i diritti sindacali allo stesso riconosciuti dall’ordinamento e dal CCNL applicato dall’impresa utilizzatrice, in modo da garantire la concreta effettività di tali diritti in costanza di svolgimento della prestazione di lavoro presso l’utilizzatore.”

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, decreto 8 agosto 2023 recante “ Supporto per la formazione e il lavoro”.

E’ stato pubblicato il decreto del Ministro del Lavoro 8 agosto 2023, riguardante il “Supporto per la formazione e il lavoro”, misura istituita dal D.L. n. 48/2023 (convertito con modificazioni dalla L. n. 85/2023) e operativa dal 1° settembre 2023. Al fine di favorire l’attivazione nel mondo del lavoro delle persone a rischio di esclusione sociale e lavorativa, il decreto stabilisce le modalità di attuazione del beneficio nella misura pari a 350 euro mensili. Tale importo verrà erogato dall’INPS entro un limite massimo di 12 mesi.

Con circolare n. 77 del 29 agosto 2023 l’INPS ha fornito le prime indicazioni in merito alle modalità di accesso e di fruizione del SFL.

L’Istituto approfondisce, in particolare, i relativi requisiti ed incompatibilità, la decorrenza e gli importi del beneficio, gli obblighi in capo ai beneficiari nonché i relativi controlli e le sanzioni previste.

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 giugno 2023 recante “Linee guida volte a favorire le pari opportunità generazionali e di genere, nonché l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità nei contratti riservati.” (GU n. 173 del 26.7.2023)

E’ stato pubblicato il DPCM 20 giugno 2023, contenente le linee guida volte a favorire le pari opportunità generazionali e di genere, e l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità negli appalti, per i contratti riservati.

Si tratta dei contratti che possono essere riservati dalle stazioni appaltanti o dagli enti concedenti a operatori economici che hanno come scopo l’inclusione lavorativa delle persone disabili o svantaggiate (articolo 61 del D.Lgs. n. 36/2023, cd. nuovo Codice appalti).

Il decreto si rivolge in via esclusiva ai contratti d’appalto pubblici e disciplina le disposizioni dirette all’inserimento di criteri orientati a promuovere l’inclusione lavorativa dei giovani sotto i 36 anni e dei disabili, nonché l’occupazione femminile.

Novità GIURISPRUDENZIALI

Corte di Cassazione, sentenza 14 settembre 2023, n. 26532.

Nessun termine per impugnare il licenziamento ingiustificato del dirigente.

Con sentenza n. 26532 del 14 settembre 2023 la Suprema Corte di Cassazione interviene a dirimere una vicenda dagli interessanti profili dogmatici, in riferimento alla questione delle conseguenze connesse alla ingiustificatezza del recesso dal rapporto dirigenziale ed al criterio interpretativo del concetto di “invalidità” di cui all’art. 32 della L. n. 183 del 2010 (“Collegato lavoro”), in relazione al termine decadenziale di cui all’art. 6 della L. n. 604/66.

La Corte di appello di Firenze, confermando la sentenza di prime cure, ha respinto le domande del lavoratore volte ad ottenere il calcolo del benefit auto negli istituti indiretti, la liquidazione della corretta indennità sostitutiva del preavviso, l’accertamento della ingiustificatezza del licenziamento e, conseguentemente, il pagamento dell’indennità supplementare di cui all’art. 19 del CCNL Dirigenti Aziende Industriali.

La Corte territoriale, precisato che il ricorso introduttivo del giudizio proposto dal dirigente conteneva una impugnativa del licenziamento intimato con lettera del 3.8.2012 ossia una domanda di accertamento della ingiustificatezza dell’atto di recesso, ha ritenuto la parte decaduta da tale azione, rilevando che le disposizioni dettate dal novellato art. 6 della L. n. 604/1966 riguardano tutti i casi di invalidità del licenziamento, compresi quelli tipici della categoria del dirigente che presuppongono la ingiustificatezza del recesso e trovano fondamento nelle previsioni contrattuali.

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, è tornata ad affermare il principio secondo cui il dirigente che intenda impugnare il licenziamento intimatogli perché ritenuto ingiustificato non è soggetto ai termini di decadenza fissati dall’art. 6 della L. n. 604/66 in quanto il concetto di “ingiustificatezza” del recesso non può coincidere con quello di invalidità.

Corte di Cassazione, ordinanza 12 settembre 2023, n. 26343.

ll trasferimento è legittimo se l’azienda non prova le ragioni preclusive.

Il trasferimento del lavoratore nella sede più vicina al familiare con handicap convivente è legittimo se l’azienda non prova una lesione consistente delle esigenze economiche, organizzative e produttive. Lo prevede l’ordinanza n. 26343/2023 della Corte di Cassazione.

Secondo i giudici, anche il lavoratore che non è in graduatoria ha diritto al trasferimento nella sede più vicina al familiare a cui presta assistenza, in quanto titolare dei benefici della legge 104, nell’ambito del pubblico impiego.

Il diritto al trasferimento deve comunque essere bilanciato con le esigenze aziendali.

A tal proposito, il datore di lavoro deve dimostrare chiaramente che detto trasferimento potrebbe avere effetti negativi sull’organizzazione e sulla produzione aziendale per opporsi.

Corte di Cassazione, sentenza 7 settembre 2023, n. 26042.

Assoluzione da reato e licenziamento illegittimo.

Con ordinanza n. 26042 del 7 settembre 2023, la Corte di Cassazione ha affermato che pur in assenza dei requisiti in materia di efficacia nel giudizio civile del giudizio assolutorio penale, mancando una norma di chiusura sulla tassativa tipologia dei mezzi di prova, il giudice può tenere conto della assoluzione avvenuta in sede penale per il fatto rientrante nella contestazione disciplinare come prova atipica da utilizzare nel proprio convincimento, se ed in quanto non smentita dal raffronto critico (Cass. n. 9507/2023), ai fini della condotta del lavoratore e della prova della giusta causa del licenziamento.

Corte di Cassazione, sentenza 7 settembre 2023, n. 26043

Per la rissa sul luogo di lavoro bastano due persone.

La nozione “civilistica” di rissa, prevista da numerosi contratti collettivi, individua una contesa, anche tra due sole persone, idonea a determinare, per le modalità dell’azione e la sua capacità espansiva, una situazione di pericolo per i protagonisti e per altre persone e, comunque, ove la lite si svolga nel contesto lavorativo, un grave turbamento del normale svolgimento della vita collettiva nell’ambito della comunità aziendale.

Si tratta di una nozione più lata di quella “penalistica”, nella quale primeggia la tutela dell’incolumità personale e in cui è presupposta come dimensione minima del conflitto la partecipazione di almeno tre persone.

A tratteggiare la definizione di rissa sul luogo di lavoro è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 26043 del 7 settembre 2023.

I fatti di causa riguardano l’impugnazione di un licenziamento disciplinare con preavviso intimato al lavoratore da una Società Cooperativa di produzione e lavoro a seguito di contestazione disciplinare collegata a un episodio di rifiuto di sottoscrizione di un ordine di servizio relativo alle postazioni e agli orari di lavoro e contestuale aggressione verbale dei responsabili di cantiere con ingiurie e minacce.

La società in prima battuta aveva contestato al lavoratore la fattispecie della grave insubordinazione prevista dal CCNL e comportante il licenziamento senza preavviso, e poi, in sede di irrogazione del licenziamento, la fattispecie della rissa sul luogo di lavoro, sempre prevista dall’art. 48 del CCNL applicato al rapporto, comportante il licenziamento con preavviso.

La modifica, secondo la Cassazione, e contrariamente a quanto lamentato dal lavoratore nel ricorso, non viola il principio di immutabilità della contestazione disciplinare in quanto, spiegano i Supremi giudici, “il fatto materiale (rifiuto di sottoscrivere un ordine di servizio e aggressione verbale dei responsabili di cantiere con ingiurie e minacce) è rimasto il medesimo”.

Né per la Cassazione possono essere accolte le censure del lavoratore relative all’affermata erronea sussunzione dei fatti contestati nella nozione di rissa: per la Suprema Corte, in ogni caso, emerge chiaramente dalla motivazione della sentenza impugnata che il licenziamento intimato è stato ritenuto legittimo per la gravità della condotta, essendosi trattato di uso di parole offensive e minacciose e di rifiuto degli ordini lavorativi dei responsabili, ossia di gesto violento con minaccia di aggressione che ha ingenerato un clima di paura e ha turbato l’attività lavorativa e l’intero ambiente circostante (con intervento delle Forze dell’ordine).

Corte di Cassazione, ordinanza 6 settembre 2023, n. 25969.

Il disvalore ambientale della condotta rileva ai fini del licenziamento.

Con l’ordinanza n. 25969 del 06.09.2023, la Cassazione afferma che, ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa di licenziamento, rileva anche il disvalore ambientale che assume la condotta contestata al lavoratore, soprattutto se questo ha un ruolo di responsabilità e, come tale, è capace di influenzare i colleghi.

La lavoratrice, responsabile di un punto vendita, impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole a fronte di una serie di condotte disciplinarmente rilevanti.

La Corte di Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo che i comportamenti addebitati alla ricorrente apparivano tanto più gravi a fronte del ruolo di responsabilità dalla stessa ricoperto.

La Cassazione rileva, preliminarmente, che la valutazione circa la legittimità di un licenziamento per giusta causa non può limitarsi all’analisi del contenuto obiettivo della condotta disciplinarmente rilevante, ma deve approfondire anche la sua portata soggettiva.

In particolare, per la sentenza, ai fini della valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione contestata, è necessario esaminare la condotta del lavoratore anche alla luce del “disvalore ambientale” che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere, per gli altri dipendenti, a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto di detti obblighi di diligenza e fedeltà.

Secondo i Giudici di legittimità, detta circostanza assume un valore decisivo nel caso di specie, a fronte del ruolo di responsabilità ricoperto dalla lavoratrice.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso dalla stessa proposto, confermando la legittimità del recesso irrogatole.

Corte di Cassazione, ordinanza 1° settembre 2023, n. 25603.

Transazione sui danni da infortunio e aggravamento sopravvenuto degli stessi.

In una vicenda in cui, successivamente alla transazione tra le parti relativamente alle conseguenze dannose di un infortunio sul lavoro, il dipendente aveva chiesto ulteriori danni a seguito del sopravvenuto aggravamento delle conseguenze dell’infortunio, la Cassazione conferma la decisione dei giudici di merito di rigetto della sua domanda, ribadendo che anche nel caso in cui la transazione abbia fatto riferimento a danni futuri derivanti dall’infortunio, il lavoratore, per poter ottenere i danni conseguenti all’aggravamento, ha l’onere di dedurre e provare l’imprevedibilità di quest’ultimo al momento della transazione; deduzione e prova da parte del dipendente che nel caso esaminato erano del tutto mancate.

Corte di Cassazione, ordinanza 24 agosto 2023, n. 25191

Ancora sul danno morale da infortunio o malattia professionale.

In un caso di malattia professionale da superlavoro, comportante per il dipendente un’inabilità assoluta al lavoro attribuita alla responsabilità del datore di lavoro, la Corte d’appello aveva riconosciuto al lavoratore il danno differenziale, ma non il danno morale, motivando in ragione della pretesa assenza di prove al riguardo.

La Cassazione, nell’accogliere il ricorso incidentale del lavoratore, osserva che: (i) il danno morale consente di dare rilievo ai pregiudizi che attengono alla dignità e al dolore soggettivi della vittima, ovvero a quei pregiudizi interiori quali il dolore, la vergogna, la disistima di sé, la paura etc., differenti e autonomamente apprezzabili sul piano risarcitorio rispetto agli effetti dell’illecito che incidono sul piano dinamico-relazionale e accertabili in giudizio con ogni mezzo di prova, compresi fatti notori, regole di esperienza e presunzioni; (ii) nel caso di specie, è difficile negare che il lavoratore abbia provato sofferenze, paure e turbamenti dal punto di vista morale, essendosi visto praticare tre interventi di by pass ed essendo stato dichiarato inidoneo a svolgere qualsiasi altra attività lavorativa.

Corte di cassazione, ordinanza 24 luglio 2023, n. 22077.

La condotta extralavorativa giustifica il licenziamento solo se incide sulla funzionalità del rapporto lavorativo.

A seguito della denuncia per maltrattamenti, ingiurie e lesioni personali sporta dalla propria convivente, cui aveva fatto seguito l’avvio di un procedimento penale e l’applicazione di una misura cautelare, un operaio era stato licenziato per giusta causa dall’impresa datrice di lavoro.

A seguito dell’impugnazione giudiziale del licenziamento, la Corte di cassazione, confermando la pronuncia di accoglimento delle domande della Corte d’appello, osserva che: (i) la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento anche in presenza di condotte extralavorative, a condizione però che abbiano un riflesso anche solo potenziale, ma comunque oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro, in termini di compromissione dell’aspettativa datoriale circa un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa in relazione alle specifiche mansioni svolte dal dipendente licenziato; (ii) nel caso di specie, non vi è prova che le condotte del lavoratore, pur deprecabili, abbiano avuto alcuna incidenza, neppure riflessa, sul rapporto lavorativo, in considerazione della sua pluridecennale anzianità lavorativa presso la medesima azienda, senza mai alcun episodio di violenza e alcun procedimento disciplinare.

Corte di cassazione penale, sentenza 12 luglio 2023 n. 30167.

In materia di infortuni sul lavoro, anche il datore di lavoro meramente formale assume gli obblighi di garanzia gravanti su quello effettivo.

In un caso di infortunio mortale di un operaio dovuto alla mancata adozione di misure di sicurezza imposte dalla legge, erano stati coimputati per omicidio colposo, in particolare, il legale rappresentante dell’impresa e il gestore di fatto della stessa.

In giudizio, il primo aveva sostenuto la sua estraneità ai fatti, affermando di essere solo formalmente il titolare dell’impresa, della quale esclusivo gestore sarebbe stato il secondo.

La Corte, richiamando gli artt. 2 e 299 del D. Lgs. n. 81/2008, disattende tale assunto difensivo, ribadendo l’irrilevanza, nella materia degli infortuni sul lavoro, dell’eventuale interposizione fittizia nella titolarità dell’impresa datrice di lavoro e affermando pertanto la permanenza, oltre che nel datore di lavoro effettivo, anche nel datore di lavoro formale degli obblighi in cui si sostanzia la garanzia di sicurezza del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell’impresa.

Corte di cassazione, sentenza 7 luglio 2023 n. 19355.

Il danneggiato che perde il lavoro a causa del sinistro ha diritto al risarcimento integrale.

Quando un danneggiato perde un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, deve essere liquidato considerando tutte le retribuzioni, compresi tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici, che la persona avrebbe potuto ragionevolmente ottenere basandosi sullo specifico rapporto di lavoro, in misura integrale.

Questa decisione è stata presa dalla Corte di Cassazione, sezione III civile, con l’ordinanza n. 19355 del 7 luglio 2023.

La Suprema Corte ha invece escluso che il danno potesse essere liquidato in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica attestata come risultato delle lesioni permanenti subite, salvo nel caso in cui il responsabile sostenga e dimostri che la vittima abbia effettivamente ottenuto un nuovo impiego retribuito, o che avrebbe potuto farlo e non lo ha fatto a causa di una sua negligenza.

In questa situazione, il danno potrebbe essere liquidato esclusivamente come differenza tra le retribuzioni perse e quelle effettivamente ottenute o ottenibili grazie al nuovo lavoro.

Nel caso di specie, un uomo aveva perso il suo lavoro a causa dell’invalidità causata da un incidente stradale.

Il giudice di merito, nell’esaminare il caso, aveva erroneamente attribuito un peso decisivo, non alla perdita in sé del preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma alla successiva e persistente condizione di disoccupazione del danneggiato.

Di qui la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello affinché provveda a rinnovare la liquidazione dei danni subiti dall’odierno ricorrente, basandosi sui principi di diritto enunciati.

Corte di Cassazione, sentenza 23 marzo 2023, n. 8308

Sì alla reintegra dell’operaio licenziato perché trovato addormentato nel turno di notte a distanza di un’ora dalla pausa stabilita.

La Corte di Cassazione conferma la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto sproporzionato il licenziamento intimato al lavoratore allontanatosi dal posto di lavoro per schiacciare un pisolino – lontano dagli occhi del datore di lavoro – disponendo l’applicazione della tutela indennitaria di cui all’art. 18 comma 5 della L. n. 300/1970.

Sul punto, la Suprema Corte specificava che “il giudice di rinvio…ha compiuto il nuovo accertamento richiesto in termini strettamente aderenti a quello che era stato specificato da questa Corte a riguardo, segnatamente “tenendo conto delle tipizzazioni espresse dalla contrattazione collettiva e utilizzando la discrezionalità che deriva dalla nozione legale di tali giustificazioni” (cfr. in extenso le pagg. 13-15 dell’impugnata sentenza). In particolare, ma in sintesi, ha operato una riconsiderazione di quanto contestato, ponendo tra l’altro in luce il <difetto di ogni riferimento all’effettivo verificarsi di un “grave nocumento morale o materiale” – all’evidenza non contenuta nella contestazione disciplinare ->, in rapporto ad una più ampia ricognizione delle previsioni del CCNL applicabile che venivano in considerazione (non solo del suo art. 9). E, come premesso, ha motivatamente ritenuto che: “Pur non potendo, pertanto, la condotta contestata essere sussunta in una delle ipotesi espressamente previste dall’art. 9 C.C.N.L. Industria Meccanica, a margine di tali considerazioni il disvalore ad essa attribuibile deve nondimeno ritenersi proporzionato a quello che caratterizza le mancanze “di maggior rilievo”, come tali meritevoli della sanzione della “sospensione dal lavoro e della retribuzione fino ad un (omissis) di tre giorni” (art. 8, lett. d)”. Infine, ha concluso che: <Vertendosi in un caso di sproporzione della sanzione espulsiva, in sede di valutazione del regime sanzionatorio deve dunque trovare necessariamente applicazione, come rilevato dalla S.C., “il regime generale della tutela risarcitoria dettato dal comma 5”.

La pronuncia, oltre che per la valutazione sopra indicata, che lascia spazio a qualche dubbio per la valutazione dell’elemento soggettivo, si segnala anche per alcune questioni processuali, tra cui una interessante lettura dell’interesse ad agire, inteso dalla Cassazione in una prospettiva prognostica e legata ai possibili e successivi sviluppi della vicenda processuale: “Vero è, inoltre, che l’istante, in relazione a quanto richiesto, era risultato comunque vittorioso nel merito all’esito della fase di reclamo, perché – essendo equipollenti dal punto di vista della tutela reintegratoria (c.d. debole) di cui all’art. 18, comma quarto, L. n. 300/1970, l’ipotesi dell’ “insussistenza del fatto contestato” e quella in cui il fatto (sussistente) “rientra tra le condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili” -, il suo reclamo incidentale era stato dichiarato inammissibile solo per carenza d’interesse circa il profilo dell’insussistenza del fatto perché detta tutela era stata in ogni caso da lui conseguita. Nondimeno egli era munito di certo interesse a proporre a questa Corte ricorso incidentale condizionato circa la questione della sussistenza del fatto addebitatogli per il caso in cui fosse accolto in tutto o in parte il ricorso per cassazione avverso (come poi avvenuto) che, dando per accertato il fatto stesso, contestava la sua riconducibilità ad ipotesi di sanzione conservativa. 3.7. Va da sé, perciò, che non è riscontrabile alcuna omessa pronuncia nell’impugnata sentenza, la quale, da un lato, ha spiegato perché non potesse essere più investita della questione dell’insussistenza del fatto materiale riproposta dal lavoratore in sede di riassunzione, e, dall’altro, era tenuta ad uniformarsi a quanto statuito in sede rescindente da questa Corte.”

Tribunale di Messina, 22 luglio 2023, n. 1485.

Anche il turnista ha diritto ai buoni pasto se non può utilizzare il servizio mensa.

La sentenza del Tribunale di Messina, Sezione lavoro, 22 luglio 2023, n. 1485 in commento ricostruisce il quadro sistematico di norme che disciplinano il diritto alla mensa con modalità sostitutive di quei lavoratori che, per le particolari modalità con cui rendono la prestazione lavorativa, non possono fruire del servizio mensa.

Il Giudice messinese tenta di dare una risposta all’impasse creata dalla contrattazione collettiva del comparto sanità che, a differenza di altri comparti, non contiene la specifica disciplina del diritto alla mensa per ciascuna tipologia di lavoratore, osservando che è datore a stabilire in quale momento della giornata il dipendente può fare la pausa pranzo, in base all’organizzazione del lavoro. Pertanto “l’impossibilità di usufruire della mensa, per la particolare strutturazione dell’orario di lavoro e per l’esigenza di continuità della prestazione lavorativa effettuata dal personale turnista, non fa decadere il diritto di detto personale alla mensa, ma, al contrario, fa sorgere in capo allo stesso il diritto alla mensa con modalità sostitutive: il diritto ai buoni pasto”.

Tribunale di Milano, 4 luglio 2023.

Tempo tuta: il diritto a indossare la divisa al lavoro, e non a casa, e il pagamento del relativo tempo sono una questione di dignità

Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da alcune lavoratrici addette alle pulizie e condanna la datrice di lavoro al pagamento della retribuzione per il c.d. “tempo tuta”.

Nel richiamare la giurisprudenza sui tempi di vestizione e svestizione della divisa di lavoro, che afferma il diritto al pagamento quando risulti che il datore di lavoro impone di indossare la divisa nei locali dove si svolge l’attività lavorativa, il Giudice va oltre, ritenendo che elemento qualificante del diritto sia il fatto stesso che l’impresa imponga l’utilizzo di una divisa.

Né, aggiunge la sentenza, assume rilievo in contrario il fatto che il dipendente possa scegliere di indossare la divisa prima di uscire di casa, perché questi ha diritto alla libera espressione della propria personalità, vestendo abiti di sua scelta nel percorso per e dal luogo di lavoro.

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