NEWSLETTER N. 12/2023


Novità normative e giurisprudenziali

NOVITÀ NORMATIVE

Legge 27 ottobre 2023, n. 160 recante “Delega al Governo in materia di revisione del sistema degli incentivi alle imprese e disposizioni di semplificazione delle relative procedure nonché in materia di termini di delega per la semplificazione dei controlli sulle attività economiche.” (GU n. 267 del 15.11.2023). Vigente al: 30.11.2023
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15.11.2023 la L. n. 160/2023, di delega al Governo per la revisione del sistema degli incentivi alle imprese e disposizioni di semplificazione delle relative procedure nonché in materia di termini di delega per la semplificazione dei controlli sulle attività economiche.
La legge di delega entra in vigore a partire dal 30.11.2023.
Da tale data il Governo avrà due anni di tempo per adottare i decreti legislativi di definizione di un sistema organico per l’attivazione del sostegno pubblico mediante incentivi alle imprese.
Nell’esercizio della delega, anche mediante l’abrogazione e la modifica di disposizioni vigenti il Governo dovrà provvedere a:
• razionalizzare l’offerta di incentivi, individuando un insieme definito, limitato e ordinato di modelli di agevolazioni, ad esclusione delle misure di incentivazione in favore dei settori agricolo e forestale nonchè della pesca e dell’acquacoltura. Resta ferma l’autonomia delle regioni nell’individuazione di ulteriori modelli per l’attuazione di specifici interventi mirati tenuto conto delle diverse realtà territoriali;
• armonizzare la disciplina di carattere generale in materia di incentivi alle imprese, coordinandola in un testo normativo principale, denominato “codice degli incentivi”. Nell’ambito del codice degli incentivi, il Governo dovrà provvedere alla ridefinizione di principi comuni per regolare i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di incentivazione alle imprese.
La Legge delega individua i seguenti principi e criteri direttivi ai quali attenersi:
• definizione dei contenuti minimi dei bandi, delle direttive o dei provvedimenti comunque denominati per l’attivazione delle misure di incentivazione alle imprese, inclusi i motivi generali di esclusione delle imprese, l’individuazione della base giuridica di riferimento, i profili procedurali per l’accesso e il mantenimento delle agevolazioni e l’individuazione degli oneri a carico delle imprese beneficiarie nonchè la disciplina del cumulo delle agevolazioni nel rispetto dei massimali fissati dalla normativa europea;
• revisione e aggiornamento dei procedimenti amministrativi concernenti la concessione e l’erogazione di incentivi alle imprese;
• rafforzamento delle attività di valutazione sull’efficacia degli interventi di incentivazione mediante controlli ex ante, in itinere ed ex post;
• implementazione di soluzioni tecnologiche, anche basate sull’intelligenza artificiale, dirette a facilitare la piena conoscenza dell’offerta di incentivi, nonchè a fornire supporto alla pianificazione degli interventi, alle attività di valutazione e al controllo e al monitoraggio sullo stato di attuazione delle misure e sugli aiuti concessi;
• conformità con la normativa europea in materia di aiuti di Stato, anche rafforzando le funzioni preposte al coordinamento tra le amministrazioni centrali e tra queste e le amministrazioni regionali già esistenti;
• attribuzione di natura privilegiata ai crediti derivanti dalla revoca dei finanziamenti e degli incentivi pubblici;
• previsione di premialità, nell’ambito delle valutazioni di ammissione agli interventi di incentivazione, per le imprese che assumano persone con disabilità;
• previsione di premialità, nell’ambito delle valutazioni di ammissione agli incentivi, per le imprese che valorizzino la quantità e la qualità del lavoro giovanile e del lavoro femminile, nonchè il sostegno alla natalità;
• coinvolgimento delle associazioni di categoria comparativamente più rappresentative a livello nazionale, al fine di promuovere azioni di informazione sull’offerta di incentivi e di accompagnamento all’accesso agli stessi da parte del numero più ampio possibile di imprese.

Decreto Legislativo 18 ottobre 2023, n. 152 recante “Attuazione della direttiva (UE) 2021/1883 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2021, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, e che abroga la direttiva 2009/50/CE del Consiglio.” (GU n. 256 del 2.11.2023). Vigente al: 17.11.2023
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 256 del 2.11.2023 è stato pubblicato il D.Lgs n. 152/2023, che attua nell’ordinamento nazionale la Direttiva (UE) 2021/1883 sulle condizioni di ingresso e soggiorno di lavoratori stranieri altamente qualificati.
Il provvedimento, in vigore dal 17.11.2023, modifica gli artt. 22 e 27-quater del D.Lgs n. 286/1998, cd. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione (TUI).
Le nuove disposizioni, in particolare, ampliano notevolmente la platea di lavoratori stranieri altamente qualificati che possono entrare e soggiornare in Italia (art. 27-quater, comma 1). L’ingresso e il soggiorno, per periodi superiori a 3 mesi, sono ora consentiti, al di fuori delle quote di cui all’art. 3, comma 4, agli stranieri altamente qualificati, che intendono svolgere prestazioni lavorative retribuite per conto o sotto la direzione o il coordinamento di un’altra persona fisica o giuridica e che sono alternativamente in possesso:
• del titolo di istruzione superiore di livello terziario rilasciato dall’autorità competente nel Paese dove è stato conseguito, che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale o di una qualificazione professionale di livello post secondario di durata almeno triennale;
• dei requisiti previsti dal D.Lgs n. 206/2007, limitatamente all’esercizio di professioni regolamentate;
• di una qualifica professionale superiore attestata da almeno 5 anni di esperienza professionale di livello paragonabile ai titoli d’istruzione superiori di livello terziario, pertinenti alla professione o al settore specificato nel contratto di lavoro o all’offerta vincolante;
• di una qualifica professionale superiore attestata da almeno 3 anni di esperienza professionale pertinente acquisita nei 7 anni precedenti la presentazione della domanda di Carta blu UE, per quanto riguarda dirigenti e specialisti nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione di cui alla classificazione ISCO-08, nn. 133 e 25.
Vengono inoltre abrogate le lettere d) e g), comma 3 dell’art. 27-quater del TUI, le quali prevedevano che le disposizioni sui lavoratori altamente qualificati non si applicassero agli stranieri familiari di cittadini dell’UE che hanno esercitato o esercitano il loro diritto alla libera circolazione in conformità alla Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, così come recepita dal D.Lgs n. 30/2007 e a quelli che soggiornano in qualità di lavoratori stagionali.

INPS, Circolare n. 89 del 7 novembre 2023 “Compatibilità e cumulabilità delle indennità di disoccupazione NASpI e DIS-COLL con le prestazioni agricole di lavoro subordinato occasionale (LOAgri) a tempo determinato di cui all’articolo 1, comma 344, della legge 29 dicembre 2022, n. 197.”.
Con la circolare n. 89/2023 l’Inps chiarisce quali siano i limiti di compatibilità e cumulabilità delle indennità di disoccupazione NASpI e DIS-COLL con il reddito derivante da prestazioni agricole di lavoro subordinato occasionale a tempo determinato di cui all’articolo 1, comma 344, della L. n. 197/2022.
In particolare, il beneficiario delle indennità di disoccupazione NASpI e DIS-COLL può svolgere prestazioni di lavoro occasionale in agricoltura entro il limite di quarantacinque giornate di prestazione per anno civile, senza obbligo di comunicazione all’INPS del compenso derivante dalle stesse.
Nel rispetto di suddetto limite, i compensi derivanti dalle prestazioni occasionali sono interamente cumulabili con le richiamate indennità di disoccupazione che non saranno, quindi, soggette a sospensione, abbattimento o decadenza.
Si ricorda, inoltre, che la contribuzione versata dal datore di lavoro e dal lavoratore per lo svolgimento delle prestazioni lavorative occasionali in agricoltura è da considerare utile ai fini di eventuali successive prestazioni di disoccupazione, anche agricola.

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI

Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sez. 1 – 9 novembre 2023, n. 271 -C-271/22/UE
Riporto dei diritti alle ferie annuali retribuite in caso di malattia di lunga durata.
Il lavoratore assente per lunghi periodi per malattia, anche consecutivi, non ha diritto assoluto a fruire delle ferie al momento del rientro in servizio: vengono meno infatti le finalità delle ferie stesse, vale a dire contribuire a riposarsi e beneficiare di un periodo di distensione.
Lo sottolinea la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza relativa alla causa C-271/22 del 9 novembre 2023, richiamando l’art. 7 della direttiva 2003/88 su alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, in particolare sulle ferie annuali.
I giudici europei affermano che l’art. 7 non osta a norme o prassi nazionali che limitano il diritto alla fruizione delle ferie annuali retribuite una volta che il dipendente è rientrato in servizio dopo un lungo periodo di inabilità, prevedendo un periodo di riporto allo scadere del quale il diritto alle ferie si estingue.

Corte di Cassazione, sentenza 7 novembre 2023, n. 30945
Un caso singolare d’interposizione fittizia di manodopera.
Avendo accertato che un lavoratore somministrato aveva in realtà prestato la propria attività alle dipendenze dell’azienda utilizzatrice, Tribunale e Corte d’appello avevano affermato l’inesistenza giuridica del licenziamento intimatogli nel 2008 dall’azienda somministratrice e ordinato all’utilizzatore il ripristino del rapporto di lavoro.
La decisione era stata successivamente annullata dalla Cassazione, che, nel rinviare ad altro giudice per una nuova valutazione del caso, aveva enunciato il principio di diritto secondo cui il licenziamento rientra tra gli atti di gestione del rapporto che, seppur realizzati dal somministratore, producono gli effetti nei confronti dell’utilizzatore, ai sensi dell’art. 27, co. 2 del D.lgs. n. 276/2003 – disposizione vigente all’epoca dei fatti, poi integralmente sostituita dall’art. 38 del D.lgs. n. 81/2015 –, con conseguente onere per il lavoratore irregolarmente somministrato di impugnare il provvedimento espulsivo nei confronti di quest’ultimo nel rispetto dei termini di decadenza stabiliti dalla legge.
Il giudice del rinvio, tuttavia, non si era uniformato a tale principio, in quanto, nelle more del giudizio, il legislatore, con l’art. 80-bis del D.L. n. 34/2020, aveva espressamente escluso il licenziamento dal novero degli atti di gestione del rapporto imputabili all’utilizzatore; in ragione di ciò, la Corte d’appello aveva ribadito l’inesistenza giuridica del licenziamento irrogato dal somministratore e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra lavoratore e azienda utilizzatrice, col diritto del primo alle retribuzioni dal momento della messa in mora della seconda.
La valutazione del giudice di merito è condivisa dalla Cassazione, la quale osserva che: (i) come già evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, l’art. 80-bis del D.L. n. 34/2020, deve qualificarsi come norma di interpretazione autentica, in quanto tale destinata a operare sia nelle controversie già avviate, sia in quelle future; (ii) è vero che tale norma è espressamente riferita all’art. 38, co. 3 del D.lgs. n. 81/2015, mentre nella fattispecie oggetto di causa trova applicazione, ratione temporis, l’art. 27, co. 2 del D.lgs. n. 276/2003, tuttavia, vista la completa sovrapponibilità dei due testi normativi, deve ritenersi che l’art. 80 bis cit., sebbene privo di portata vincolante rispetto alla disciplina previgente, costituisca criterio ermeneutico decisivo per giungere a identica conclusione anche in riferimento alla disposizione dettata dall’art. 27 cit.

Corte di Cassazione, ordinanza 13 novembre 2023, n. 31561
Cassazione: imprescindibile la valutazione delle declaratorie del CCNL ai fini del repechage.
Con l’ordinanza n. 31561 del 13.11.2023, la Cassazione afferma che, ai fini della prova del corretto adempimento dell’obbligo di repechage, è rilevante verificare se le assunzioni avvenute dopo il recesso per g.mo. siano riconducibili (o meno) allo stesso livello in cui era inquadrato il dipendente licenziato.
La lavoratrice, impiegata come cassiera in un bar, impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per giustificato motivo oggettivo a seguito della soppressione della sua posizione lavorativa.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo, da un lato, provata la reale soppressione del posto di lavoro della ricorrente e, dall’altro lato, la mancanza di competenze della stessa per essere adibita alle altre mansioni rimaste dopo la riorganizzazione aziendale.
La Cassazione – ribaltando la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che il datore, nell’assolvere all’obbligo di repechage sullo stesso gravante in caso di licenziamento per g.m.o., non può prescindere da una attenta valutazione delle declaratorie contrattualcollettive.
Invero, per i Giudici di legittimità, nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alla luce del novellato art. 2103 c.c., il riferimento ai livelli di inquadramento predisposti dalla contrattazione collettiva non è affatto una circostanza muta di significato.
Secondo la sentenza, infatti, l’inquadramento contrattuale costituisce un elemento che il giudice deve valutare per accertare in concreto se chi è stato licenziato fosse o meno in grado – sulla base di circostanze oggettivamente verificabili addotte dal datore ed avuto riguardo alla specifica formazione ed alla intera esperienza professionale del dipendente – di espletare le mansioni di chi è stato assunto ex novo, sebbene inquadrato nello stesso livello o in livello inferiore.
Non rinvenendo tale valutazione nell’impugnata pronuncia di merito, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dalla dipendente.

Corte di Cassazione, ordinanza 13 novembre 2023, n. 31471
La ridotta produttività del dipendente per ragioni di salute non giustifica il licenziamento.
Un collaudatore di piatti doccia, al quale il medico competente aveva riconosciuto l’idoneità al lavoro con prescrizioni, era stato licenziato per sopravvenuta inidoneità fisica che avrebbe ridotto eccessivamente la sua produttività (all’incirca del 40%), facendo venir meno l’interesse alla prosecuzione del rapporto.
La Corte d’appello aveva dichiarato l’illegittimità del provvedimento espulsivo, rilevando come le misure indicate dal medico competente – l’effettuazione di un maggior numero di pause e l’uso della mascherina respiratoria per le operazioni comportanti maggiore dispersione di polveri – rientravano nella categoria degli “accomodamenti ragionevoli”, nel senso di tecnicamente possibili e non eccessivamente costosi, che, secondo la normativa nazionale ed eurounitaria di protezione dei lavoratori in condizione di handicap, il datore di lavoro è tenuto ad adottare al fine di consentire al dipendente divenuto disabile di continuare a svolgere le proprie mansioni.
La Cassazione, nel rigettare il ricorso del datore di lavoro, osserva che, quand’anche la conservazione del rapporto di lavoro comporti costi aggiuntivi in considerazione di una ridotta produttività dovuta a ragioni di salute, ciò non è di per sé sufficiente a escludere la possibilità di adottare accomodamenti ragionevoli (che possono consistere anche nell’adibizione del lavoratore a diverse mansioni, pure inferiori), la quale viene meno solo laddove essi comportino un sacrificio economico sproporzionato del datore di lavoro.

Corte di cassazione, ordinanza 13 novembre 2023 n. 31451
Ancora sull’obbligo di repechage nel licenziamento per g.m.o.
In un caso di licenziamento di un lavoratore per soppressione del posto, la Cassazione ripercorre la propria più recente e consolidata giurisprudenza, ricordando anzitutto come in tal caso non è sufficiente al datore di lavoro dimostrare l’effettività della sua scelta, ma è anche necessario provare di aver offerto al lavoratore una posizione equivalente disponibile o, in mancanza, inferiore, senza limitarsi (come fatto nel caso esaminato dall’impresa) al livello immediatamente inferiore a quello ricoperto dal dipendente; libero poi questi di accettare o meno le nuove mansioni di cui si riveli capace, in caso negativo correndo il rischio del licenziamento.
La Corte ha infine ribadito che “l’insussistenza del fatto” addotto in questi casi a fondamento di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, si realizza anche solo per mancanza di uno dei due elementi di cui esso si compone, la soppressione del posto e l’impossibilità o il rifiuto di repechage, dando comunque ingresso alla tutela reintegratoria (che nel caso in esame era stata viceversa negata dai giudici di merito).
Corte di Cassazione, ordinanza 6 novembre 2023, n. 30866
Ancora sui limiti della critica nei confronti del datore di lavoro.
In una vicenda relativa a un lavoratore licenziato per avere denunciato in sede penale il datore di lavoro per appropriazione indebita del TFR, rappresentando in maniera dolosa fatti pacificamente non veri, la Cassazione, nel confermare la valutazione di legittimità del provvedimento espulsivo espressa dai giudici di merito, osserva che: (i) se l’esercizio del potere di denuncia (e in generale del diritto di critica) nei confronti del datore di lavoro non può essere di per sé fonte di responsabilità, esso può tuttavia divenire tale qualora il privato faccia ricorso ai pubblici poteri in maniera strumentale e distorta, ossia agendo nella piena consapevolezza dell’insussistenza dell’illecito o dell’estraneità allo stesso dell’incolpato; (ii) la condotta di strumentalizzazione della denuncia è senz’altro atta a integrare un illecito disciplinare, alla luce del dovere di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., letto in rapporto ai più generali canoni di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., perché contraria ai doveri derivanti dall’inserimento del lavoratore nell’organizzazione imprenditoriale e comunque idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

Corte di Cassazione, sentenza 2 novembre 2023, n. 30469
Cassazione: reintegra se fatto, pur sussistente, non è illecito.
Con l’ordinanza n. 30469 del 02.11.2023, la Cassazione afferma che, anche per il Jobs Act, in caso di licenziamento irrogato in presenza di un fatto sussistente ma non disciplinarmente rilevante, il lavoratore ha diritto alla reintegra.
La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole per essersi rivolta in modo scortese nei confronti di una cliente, alzando la voce in presenza di altri avventori.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda e dispone la reintegra della ricorrente, a fronte della insussistenza del carattere illecito della condotta alla stessa addebitata.
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che la fattispecie dell’insussistenza del fatto si integra anche nell’ipotesi in cui la condotta contestata al lavoratore pur esistente nella sua materialità, non presenta profili di illiceità.
In tali ipotesi, continua la sentenza, deve trovare applicazione la tutela reintegratoria c.d. attenuata.
Secondo la giurisprudenza ormai consolidatasi, infatti, la reintegrazione trova applicazione non solo nel caso in cui il fatto non sia dimostrato nella sua materialità, ma altresì nel caso in cui il fatto, pur sussistente nella sua materialità, sia privo di quella connotazione di illiceità, offensività o antigiuridicità tale e necessaria da renderne apprezzabile la rilevanza disciplinare.
Rinvenendo quest’ultima circostanza nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società e conferma l’illegittimità del recesso dalla stessa irrogato.

Corte di Cassazione, sentenza 2 novembre 2023, n. 30418
Sul licenziamento per falsa attestazione della presenza in servizio.
La collaboratrice amministrativa di un istituto scolastico pubblico era stata licenziata per essersi allontanata in cinque diverse occasioni dal luogo di lavoro, durante la pausa pranzo, senza strisciare il badge né in uscita né al rientro.
Il provvedimento espulsivo irrogato dal MIUR era stato dichiarato legittimo da Tribunale e Corte d’appello, secondo i quali il comportamento della lavoratrice integra la fattispecie prevista dall’art. 55-quater del D.lgs. n. 165/2001.
La Cassazione, nel rigettare il ricorso della lavoratrice, osserva che: (i) con l’introduzione, nel 2009, dell’art. 55-quater, il legislatore ha inteso tipizzare alcune ipotesi di infrazione particolarmente gravi e, come tali, ritenute idonee a fondare un licenziamento, tra cui la condotta di falsa attestazione di presenza in servizio; (ii) nel concetto di falsa attestazione, anche alla luce dell’interpretazione fornita dal co. 1-bis dell’art. 55-quater, rientra non solo l’alterazione/manomissione del sistema di rilevazione delle presenze, ma anche il non registrare le uscite interruttive del servizio; (iii) con riguardo al caso di specie, i giudici di merito hanno correttamente rilevato che le condotte tenute dalla lavoratrice non possono essere giustificate o comunque valutate con minor rigore solo perché poste in essere in coincidenza dell’orario della pausa pranzo, dal momento che tutto il personale scolastico aveva ben chiara l’esistenza dell’obbligo di procedere alla timbratura anche in caso di assenza per recarsi fuori a pranzo.

Corte di cassazione, ordinanza 18 ottobre 2023 n. 28862
Contratto di lavoro a tempo pieno e sospensioni concordate.
Con due distinti ricorsi, poi riuniti, il dipendente di una discoteca, assunto verbalmente a metà degli anni ’90, chiese la condanna della società datrice di lavoro a pagargli per un periodo di otto mesi dell’anno 2016 le differenze retributive tra l’orario pieno del suo rapporto e quello minore di fatto retribuito.
In giudizio, è poi risultato che il ricorrente aveva sempre osservato un orario largamente minore, legato all’apertura della discoteca; che nel 2009, con accordo aziendale, era stata comunque garantita ai dipendenti la retribuzione per 120 giornate all’anno, ridotte a 105 con altro accordo del 2016, a seguito di disdetta del precedente. La Corte ha qualificato la vicenda nei seguenti termini: 1) il rapporto di lavoro, in assenza di un accordo scritto (allora necessario ad sustantiam), era nato a tempo pieno, ma immediatamente seguito da una sospensione concordata tacitamente tra le parti di alcuni giorni lavorativi, riducendosi pertanto quelli di prestazione dovuta alle giornate di apertura della discoteca; 2) successivamente, con accordo aziendale, era stata comunque garantita ai lavoratori una retribuzione piena per 120 giorni all’anno; 3) tale accordo, anch’esso convenzionalmente entrato tra le clausole del contratto di lavoro, era però unilateralmente immodificabile a danno dei lavoratori dissenzienti, in particolare dalle pretese datoriali conseguenti al successivo accordo del 2016; 4) concludendo, alla stregua della ricostruzione indicata, il ricorrente ha diritto, previa costituzione in mora, alle differenze retributive tra il regime orario convenzionale descritto e quello minore di fatto osservato e retribuito.

Corte di cassazione, ordinanza 26 settembre 2023 n. 27331
Dimissioni e risoluzione consensuale solo seguendo la procedura di legge.
In una vicenda giudiziaria in cui il lavoratore ricorrente sosteneva di essere stato licenziato verbalmente, mentre il datore di lavoro gli opponeva che si era dimesso, la Corte d’appello, applicando una giurisprudenza datata, aveva respinto le domande di impugnazione del licenziamento per mancanza di prova dello stesso, di cui sarebbe stato onerato il lavoratore.
La Cassazione annulla la decisione, rilevando che la vicenda sostanziale si era svolta nella vigenza del D. Lgs. n. 151/2015, il quale all’art. 26 subordina l’efficacia delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro all’osservanza di una precisa procedura scritta, a garanzia sia della certezza della data che della genuinità della relativa decisione da parte del lavoratore.

Corte d’appello di Milano, 11 ottobre 2023
Costituisce una discriminazione diretta computare le assenze dovute alla malattia del “lavoratore fragile” nel periodo di comporto.
La Corte dichiara nullo il recesso per superamento del periodo di comporto intimato a una lavoratrice socio-sanitaria affetta da disabilità, soccombente in primo grado per non aver provato (secondo il Tribunale) la sussistenza della condizione di “fragilità” tramite le certificazioni prescritte dall’art. 26 del D.L. n. 18/2020, condizione volta a neutralizzare le assenze per malattia dal calcolo del periodo di conservazione del posto di lavoro.
Il Collegio, in riforma dell’ordinanza di primo grado, non soltanto ha ritenuto sussistenti nel caso concreto due dei quattro requisiti alternativi previsti dalla menzionata normativa (esito di patologia oncologica e terapie salvavita, entrambi ignorati da parte del datore di lavoro, per l’asserita mancanza delle certificazioni di legge) ma ha rilevato anche un comportamento direttamente discriminatorio tenuto dallo stesso datore e consistente nel non aver adottato i ragionevoli accomodamenti che avrebbero facilitato la lavoratrice negli adempimenti di legge utili allo scopo di influire sul trascorrere del periodo di comporto.
La Corte ha quindi dichiarato nullo il licenziamento e ha condannato il datore di lavoro a reintegrare la lavoratrice discriminata.

Corte d’Appello Milano, 18 ottobre – 30 maggio 2023
Accomodamenti ragionevoli e demansionamento: la Corte condanna il datore di lavoro ad assegnare il lavoratore reintegrato a specifiche mansioni.
Una società era stata condannata a reintegrare il lavoratore a seguito di un licenziamento per superamento del periodo di comporto di soggetto disabile, e lo aveva reinserito in servizio assegnandogli mansioni di addetto alle pulizie, senza adottare i ragionevoli accomodamenti che avrebbero consentito la tutela della professionalità acquisita dal prestatore.
All’esito di una successiva azione il Tribunale aveva accertato la natura discriminatoria della condotta datoriale.
La Corte d’appello va oltre la sentenza di primo grado, ritenendo che in assenza della prova da parte dell’Azienda di avere compiuto un’idonea ricerca di una mansione alternativa, il giudice possa indicare le specifiche mansioni e il reparto a cui deve essere adibito il lavoratore, al fine di garantire l’effettività della condanna.

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