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Categoria: News
NEWSLETTER n. 6/2024
Novita’ normative
Con la L. 29 aprile 2024, n. 56 (G.U. n. 100 del 30.4.2024, S.O. n. 19) viene convertito il D.L. 2 marzo 2024, n. 19, recante ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del PNRR. Sulle previsioni in materia di lavoro in sede di conversione sono state introdotte alcune novità.
Diverse modifiche sono state apportate in materia di appalti pubblici, al fine di contrastare il lavoro irregolare.
- È stato poi riscritto l’art. 27: dal 1° ottobre 2024 sono tenuti al possesso della “patente” le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili, ad esclusione di coloro che effettuano mere forniture o prestazioni di natura intellettuale. La patente è rilasciata in formato digitale dall’Ispettorato nazionale del lavoro subordinatamente al possesso dei seguenti requisiti:
a) iscrizione alla Camera di commercio;
b) adempimento, da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei preposti, dei lavoratori autonomi e dei prestatori di lavoro, degli obblighi formativi;
c) possesso del documento unico di regolarità contributiva in corso di validità;
d) possesso del documento di valutazione dei rischi;
e) possesso della certificazione di regolarità fiscale;
f) avvenuta designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
- È revocata in caso di dichiarazione non veritiera sulla sussistenza di uno o più requisiti, accertata in sede di controllo successivo al rilascio. Decorsi dodici mesi dalla revoca, l’impresa o il lavoratore autonomo possono richiederne il rilascio di una nuova.
- È dotata di un punteggio iniziale di trenta crediti e consente di operare nei cantieri temporanei o mobili con una dotazione pari o superiore a quindici crediti. Con apposito decreto saranno individuati i criteri di attribuzione di crediti ulteriori rispetto al punteggio iniziale nonché le modalità di recupero dei crediti decurtati. Il punteggio della patente subisce le decurtazioni correlate alle risultanze dei provvedimenti definitivi emanati nei confronti dei datori di lavoro, dirigenti e preposti delle imprese o dei lavoratori autonomi. Se nell’ambito del medesimo accertamento ispettivo sono contestate più violazioni, i crediti sono decurtati in misura non eccedente il doppio di quella prevista per la violazione più grave.
- Se nei cantieri si verificano infortuni da cui deriva la morte del lavoratore o un’inabilità permanente, assoluta o parziale, l’Ispettorato nazionale del lavoro può sospendere, in via cautelare, la patente fino a dodici mesi.
- La patente con punteggio inferiore a quindici crediti non consente alle imprese e ai lavoratori autonomi di operare nei cantieri temporanei o mobili, ma in tal caso è consentito il completamento delle attività oggetto di appalto o subappalto in corso di esecuzione, quando i lavori eseguiti sono superiori al 30% del valore del contratto.
- In mancanza della patente, alle imprese e ai lavoratori autonomi si applica una sanzione amministrativa pari al 10% del valore dei lavori e, comunque, non inferiore ad Euro 6.000, nonché l’esclusione dalla partecipazione ai lavori pubblici per sei mesi. Le stesse sanzioni si applicano alle imprese ed ai lavoratori autonomi che operano con una patente con punteggio inferiore a quindici crediti.
- Le informazioni relative alla patente sono annotate in un’apposita sezione del Portale nazionale del sommerso.
- Non sono tenute al possesso della patente le imprese in possesso dell’attestazione di qualificazione SOA, in classifica pari o superiore alla III.
- Un’ulteriore novità è contenuta nell’art. 29, in cui è stato inserito il comma 1-bis, secondo cui al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto
- Infine, una novità è stata introdotta in tema di somministrazione di lavoro. La L. n. 56/2024 specifica che l’importo delle pene pecuniarie proporzionali così come sinora previsto dall’art. 18 del D.Lgs. 276/2003 non potrà in ogni caso essere inferiore a euro 5.000 né superiore ad euro 50.000.
D.Lgs 62/2024: nuova terminologia in materia di disabilità.
Il 14 maggio 2024 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 111 il D.Lgs. n 62 del 3 maggio 2024 contenente la definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato.
La nuova terminologia in materia di disabilità, volta ad una valutazione congrua, trasparente ed agevole, prevede la sostituzione all’interno delle normative di legge delle parole:
- «handicap», ovunque ricorre, con: «condizione di disabilità»;
- «persona handicappata», «portatore di handicap», «persona affetta da disabilità», «disabile» e «diversamente abile», ovunque ricorrono, con: «persona con disabilità»;
- «con connotazione di gravità» e «in situazione di gravità», ove ricorrono, con: «con necessità di sostegno elevato o molto elevato»;
- «disabile grave», con: «persona con necessità di sostegno intensivo».
Il Decreto, composto da 40 articoli, contiene disposizioni sul procedimento volto al riconoscimento della condizione di disabilità (art. 5-17) e sul progetto di vita individuale personalizzato e partecipato delle persone con riconosciuta disabilità (artt. 18-32).
Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota 8 maggio 2024, n. 862.
Revoca delle dimissioni protette a seguito di convalida ai sensi dell’art. 55, comma 4, D.Lgs. n. 151/2001.
In base all’articolo 55, comma 4, del D.Lgs. n. 151/2001, la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate da una lavoratrice durante la gravidanza e da uno dei due genitori entro i primi tre anni di vita dei figli (o di ingresso in famiglia se adottati o affidati), devono essere obbligatoriamente convalidate dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro.
A fronte di questa disposizione normativa era sorto il dubbio se e come fosse possibile revocare tali dimissioni. Con la nota n. 862/2024, su conforme parere del Ministero del Lavoro, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro afferma che le dimissioni possono essere revocate prima dell’emanazione del provvedimento di convalida, ma anche successivamente allo stesso purché prima della decorrenza delle dimissioni e della effettiva risoluzione del rapporto. Tuttavia anche la decisione di revocare le dimissioni deve essere soggetta a verifica da parte dell’Ispettorato che, valutata attentamente la fondatezza delle motivazioni addotte, provvederà all’annullamento della convalida. Inoltre, se il funzionario riterrà che ci siano stati comportamenti illeciti o discriminatori del datore di lavoro potrà effettuare accertamenti ispettivi.
La revoca non è possibile se le dimissioni sono state convalidate e hanno prodotto effetto. In tal caso la ripresa del rapporto di lavoro può avvenire solo con il consenso del datore di lavoro.
Novita’ GIURISPRUDENZIALI
Corte di Cassazione, ordinanza 17 maggio 2024, n. 13764.
Licenziamento per giusta causa.
La Corte di Cassazione ha stabilito che il post denigratorio nei confronti dell’azienda pubblicato su Facebook dal lavoratore, dopo la reintegra di questi e prima della ripresa dell’attività lavorativa, costituisce giusta causa di licenziamento.
Nel caso di specie, il dipendente aveva impugnato il licenziamento intimatogli a causa del contenuto denigratorio pubblicato tramite social subito dopo la reintegrazione disposta dal Tribunale.
La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda, considerando la condotta tanto grave da ledere il rapporto di fiducia. Nel confermare la pronuncia di merito, i giudici sottolineano che un illecito commesso nel lasso temporale che intercorre tra la lettura del dispositivo della sentenza di reintegra e l’effettiva ripresa dell’attività lavorativa va valutata da un punto di vista disciplinare.
Corte di Cassazione, sentenza 14 maggio 2024, n. 13181.
Servizi pubblici essenziali: l’astensione dal lavoro con certificati medici falsi costituisce sciopero.
Nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, costituisce sciopero, come tale soggetto alla disciplina di cui alla legge n. 146 del 1990, l’astensione dal lavoro che si realizzi, a fini di rivendicazione collettiva, mediante presentazione di certificazioni mediche che, secondo l’accertamento del giudice del merito, risultino fittizie e finalizzate a giustificare solo formalmente la mancata presentazione al lavoro, senza reale fondamento in un sottostante stato patologico, ma in realtà siano da collegare ad uno stato di agitazione volto all’astensione collettiva dal lavoro nella sostanza proclamato dalle OO.SS. in modo “occulto”. Questo è quanto deciso dalla Sezione lavoro della Cassazione civile con la sentenza n. 13181/2024.
Corte di Cassazione, sentenza 9 maggio 2024, n. 12688.
Licenziamento del whistleblower: la giusta causa va valutata anche considerando le denunce di cui è autore.
Con tale sentenza la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del dirigente, ha cassato con rinvio la sentenza di appello che aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato.
Secondo la Cassazione la Corte territoriale aveva errato in quanto aveva mancato di considerare il contesto complessivo all’interno del quale si è inserito il provvedimento espulsivo: la tempistica del licenziamento rispetto all’avvenuta conoscenza da parte dei vertici aziendali delle denunce rese dal dirigente e il progressivo ridimensionamento delle sue attribuzioni.
Di conseguenza, seppur la condotta contestata al dirigente non era in sé direttamente collegabile alle denunce dallo stesso presentate, tuttavia, nel delineare l’effettiva responsabilità disciplinare del dirigente, la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto del whistelblowing di cui questo era autore, dell’esautoramento di attribuzioni a suo danno e delle tempistiche tra tali fatti e il relativo licenziamento.
Avendo la Corte territoriale mancato di considerare tali aspetti, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso del dirigente e cassa la sentenza con rinvio.
Corte di Cassazione, ordinanza 6 maggio 2024, n. 12152.
Ancora sul licenziamento disciplinare per uso improprio delle assenze per malattia.
Confermando la sentenza d’appello, che aveva reintegrato un lavoratore licenziato per utilizzo improprio delle assenze di malattia, in quanto le attività accertate non erano risultate incompatibili con lo stato di malattia o comunque tali da ritardare la ripresa del lavoro, la Cassazione ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in materia di licenziamento disciplinare per svolgimento di altra attività durante l’assenza per malattia, grava sul datore di lavoro la prova che la malattia sia simulata ovvero che l’attività svolta nei giorni di assenza sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio.
Corte di Cassazione, ordinanza 19 aprile 2024, n. 10679.
Un caso di patto di non concorrenza nullo per indeterminatezza del compenso.
Il patto, riguardante il dipendente di una banca con mansioni di private banker e incremento ordini, prevedeva la non concorrenza per 20 mesi dopo la cessazione del rapporto, con un compenso di 5.000 euro all’anno, peraltro non più spettanti in caso di mutamento di mansioni del lavoratore, il quale viceversa sarebbe restato comunque vincolato al patto per 12 mesi. Il bancario si era dimesso dopo sei mesi, passando a una banca concorrente. Da qui l’azione giudiziaria della prima banca per il risarcimento danni. Sia i giudici di merito che la Cassazione le danno torto, dichiarando la nullità del patto di non concorrenza per indeterminatezza del compenso, il cui ammontare effettivo dipendeva dal comportamento unilaterale della banca in ordine all’eventuale (imprevedibile al momento della stipula del patto) esercizio da parte sua dello ius variandi delle mansioni.
Corte di Cassazione, ordinanza 18 aprile 2024, n. 10571.
Pubblico impiego: si applica il limite di 36 mesi indipendentemente dalle modalità di assunzione.
La Corte di Cassazione ha stabilito che nel caso di successione di contratti a termine, il limite massimo di trentasei mesi di durata complessiva, oltre il quale la reiterazione è da considerarsi abusiva, trova applicazione indipendentemente dalle modalità attraverso cui avviene l’assunzione a termine. Ciò è giustificato dal concetto di “medesima occasione lavorativa” sancito dall’art. 5, comma 4-bis del D.Lgs. n. 368 del 2001, il quale si riferisce alla “mansione equivalente”, indipendentemente dalla modalità di selezione del lavoratore. Pertanto, la valutazione si basa sulla sostanziale identità dell’attività lavorativa svolta e non sulle modalità di assunzione.
Corte di Cassazione, ordinanza 15 aprile 2024, n. 10065.
Attenzione al luogo in cui si stipula una conciliazione sindacale.
Un dipendente aveva impugnato la conciliazione raggiunta in sede aziendale con l’assistenza del sindacato, con la quale, a fronte della rinuncia della datrice di lavoro a procedere ad un licenziamento collettivo, aveva rinunciato per due anni al 20% della retribuzione, come consentito dall’ultimo testo dell’art. 2103 c.c.
La Cassazione gli dà ragione, rilevando che la norma citata affida, nelle conciliazioni definitive (ex art. 2113, comma 4 c.c.) su diritti indisponibili, la protezione del lavoratore non solo all’assistenza del rappresentante sindacale e/o alla terzietà di chi vi presiede, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene (la sede giudiziale, le commissioni di conciliazione presso l’ispettorato del lavoro, le sedi sindacali e i collegi di conciliazione e arbitrato).
Si tratta di un elenco tassativo, sia perché si tratta di sedi collegate all’organo deputato alla conciliazione sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo all’influenza della controparte sindacale. Da qui la dichiarazione di nullità della conciliazione perché stipulata nella sede dell’azienda.
Corte di Cassazione, ordinanza 4 aprile 2024, n. 8956.
Assenze ingiustificate mai di domenica.
Un’insegnante statale di scuola primaria era stata licenziata per l’assenza ingiustificata di quattro giorni nel quadrimestre, in applicazione del D.Lgs. n. 165/2001 che prevede tale sanzione in caso di assenze ingiustificate anche non continuative per un numero di giornate superiore a tre in un biennio.
In giudizio, era risultato che una delle quattro giornate era caduta di domenica, che, unitamente al lunedì successivo, era stata considerata assenza ingiustificata perché la ricorrente aveva tardato due giorni dal chiedere la proroga del certificato di malattia dopo la sua scadenza. Pur riconoscendo che tale ritardo costituisce un inadempimento alla regola per cui la proroga di un certificato di malattia deve essere richiesta il giorno immediatamente successivo alla scadenza originaria, la Corte di Cassazione afferma che ciò non significa che, se il giorno di ritardo è una domenica, questa vada considerata come giorno di assenza ai fini disciplinari, proprio perché la domenica il dipendente non deve e non può effettuare la prestazione.
Tribunale di Bologna, 22 febbraio 2024.
Illegittimo il licenziamento del lavoratore agli arresti se l’impossibilità di svolgere la prestazione è temporanea e il datore può efficacemente sostituirlo.
Il Tribunale accoglie il ricorso del lavoratore sottoposto a provvedimenti restrittivi della libertà personale, che era stato licenziato dal datore di lavoro per giustificato motivo oggettivo, consistente nel venir meno dell’interesse a ricevere la prestazione lavorativa stante l’assenza forzata. Secondo il Giudice il recesso datoriale è illegittimo in quanto intimato dopo appena un mese di assenza del dipendente, senza peraltro attendere l’esito della richiesta di autorizzazione al lavoro avanzata dallo stesso al PM. Il Giudice ha tenuto in maggior considerazione il fatto che la società potesse agevolmente sopperire all’assenza avendo a disposizione vari dipendenti “jolly”, adibiti proprio alla sostituzione dei colleghi in caso di necessità. La società è stata quindi condannata a reintegrare in servizio il ricorrente e a corrispondergli un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione.
NEWSLETTER n. 5/2024
Novità GIURISPRUDENZIALI
Corte di Appello di Roma sentenza 2 aprile 2024, n. 1294.
La Corte di Appello di Roma ha applicato il principio di recente chiarito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 22 del 22.02.2024, affermando che anche il dirigente licenziato in violazione della procedura disciplinare ex art. 7 Statuto dei lavoratori non ha diritto alla reintegrazione ma solo all’indennità prevista dal CCNL.
Incorre in una violazione delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 dello Statuto il datore di lavoro che si rifiuta di convocare il dirigente il quale ha richiesto di essere ascoltato nell’ambito di una procedura disciplinare, anche se tale richiesta viene formulata dopo che erano già state rese le prime deduzioni scritte, ma prima che sia spirato il termine ultimo per le difese.
Ad ogni modo, non è prevista alcuna reintegrazione per i casi di violazione delle garanzie procedimentali di cui all’articolo 7 Statuto: in tali casi si profila esclusivamente un’ipotesi di nullità del licenziamento per violazione di norma imperativa.
Corte d’Appello di Trieste, 17 gennaio 2024
Le dimissioni telematiche ai sensi dell’art. 26 D.Lgs. n. 151/2015 non sono un atto delegabile e richiedono la presenza personale, anche se si svolgano con l’assistenza di un operatore sindacale.
La Corte triestina si pronuncia su una complessa vicenda che riguardava un dirigente che, in una situazione di forte tensione, era stato indotto a dimettersi delegando un soggetto terzo all’adempimento telematico previsto dall’art. 26 del D. Lgs. n. 151/2015, soggetto che a sua volta si era rivolto, per la trasmissione dei moduli, ad un operatore sindacale (comma 4° dell’art. 26). La Corte, a fronte della successiva contestazione della validità dell’atto, ritiene che, se pure in generale le dimissioni sarebbero un atto delegabile, ciò non vale nell’ambito della disciplina introdotta nel 2015, che richiede sempre un atto personale, o la presenza personale del dimissionario nel caso ci si avvalga degli operatori autorizzati dal comma 4 dell’art. 26.
Invece, la Corte ha ritenuto che sia delegabile l’atto risolutorio quando questo si svolga in una delle sedi protette ex art. 2113, 4° comma, c.c. (escluse dal campo di applicazione dell’art. 26), e che il presupposto dell’effettiva assistenza per la validità delle conciliazioni possa realizzarsi anche se il lavoratore è rappresentato da una terza persona.
Corte d’Appello di Napoli, 21 marzo 2024.
Ancora sul CCNL vigilanza privata: violata la retribuzione minima ex art. 36 Cost.
I Giudici accolgono il ricorso presentato da svariati lavoratori impiegati nell’ambito di un appalto, e che a seguito di una successione di appaltatore si erano visti applicare il CCNL per i dipendenti da Istituti ed Imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari – Sezione servizi fiduciari, con trattamento salariale base di 930,00 euro lordi, ritenuto non sufficiente a garantire agli stessi una vita libera e dignitosa. La Corte ha accolto la domanda – richiamando il più recente orientamento della Corte di cassazione e i vari indici utilizzabili per valutare la sufficienza o insufficienza della retribuzione, e ha dichiarato il diritto degli appellanti a percepire un trattamento salariale non inferiore a quello previsto dal CCNL per i dipendenti delle imprese di pulizia e integrati/multiservizi per i lavoratori di 2° livello (la cui declaratoria risulta comprendere anche le mansioni svolte dai ricorrenti).
Corte di Cassazione, ordinanza 8 marzo 2024, n. 6266
Nessuna decadenza se il dipendente licenziato dall’appaltatore rivendica giudizialmente il rapporto col committente.
Quattro anni dopo essere stato licenziato da una società appaltatrice di servizi, un lavoratore aveva proposto ricorso giudiziale nei confronti della sola società committente, deducendo l’inesistenza del licenziamento per interposizione fittizia di manodopera e quindi rivendicando l’esistenza del rapporto con la committente. In giudizio, la Cassazione, in contrasto con l’appello, nega l’intervenuta decadenza, ai sensi dell’art. 32, co. 4, lett. D della L. 183/10, dell’azione promossa dal lavoratore. In proposito, ricorda che secondo la propria costante giurisprudenza, l’ipotesi di decadenza in questione (prevista in “ogni altro caso in cui… si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”) necessita della presenza di un atto scritto da impugnare per ottenere il risultato perseguito. Poiché nell’ipotesi di appalto non genuino, l’eventuale licenziamento dell’appaltatore è inesistente, l’unico caso in cui l’azione per la costituzione del rapporto col committente sia soggetta alla decadenza è quello in cui il committente neghi la titolarità del rapporto con atto scritto, che nel caso pacificamente non esiste.
Corte di Cassazione, sentenza 13 marzo 2024, n. 6704
Forma del contratto di apprendistato e del relativo piano formativo.
Un’apprendista aveva impugnato giudizialmente il proprio contratto di apprendistato professionalizzante per mancanza in esso del piano formativo, sostenendo la conseguente nullità dello stesso contratto e quindi la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. In sede di ricorso per cassazione, proposto dalla lavoratrice avverso la sentenza d’appello che aveva respinto le sue domande (in base alla considerazione che la forma scritta stabilita dalla legge sia per il contratto che per il piano non fosse sanzionata sul piano della validità negoziale), la Corte, giudicando in base alle norme del D. Lgs. n. 167/2011 (abrogato dal D. Lgs. n. 81/2015) applicabile al caso esaminato ratione temporis, accoglie il ricorso, procedendo a un’analisi storico-sistematica delle norme per giungere alla conclusione che la forma scritta da esse prevista per il contratto, ma anche per il piano formativo dell’apprendistato è stabilita a pena di nullità (ancorché tale conseguenza non sia stata esplicitata), a protezione della parte più debole del rapporto.
Corte di Cassazione, sentenza 14 marzo 2024, n. 6898
Somministrazione nulla o elusiva e decadenza dell’azione.
Un lavoratore, avendo stipulato più di 400 contratti di somministrazione a termine col medesimo utilizzatore e per identiche mansioni nell’arco di sette anni, aveva dedotto in giudizio, dopo più di un anno dalla cessazione dell’ultimo rapporto, 1) la nullità dei contratti di lavoro a termine conseguente alla nullità di quelli di somministrazione tra agenzia e utilizzatore, in quanto privi di forma scritta; 2) la frode alla legge per elusione del necessario carattere temporaneo della somministrazione; chiedendo conseguentemente, per l’una o l’altra delle ragioni dedotte, l’istaurazione di un unitario rapporto di lavoro con l’utilizzatore. I giudici di merito avevano respinto le domande per intervenuta decadenza dell’azione ai sensi dell’art. 32, 4° comma, lett. d) della legge n. 183/2010 (relativa ai casi “in cui si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”). La cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore, ribadisce il proprio recente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale la decadenza in questione è sicuramente applicabile quando si impugna un atto scritto o un fatto tipicizzato, come ad es. la scadenza del contratto a termine, ma non è applicabile se si sostiene la frode alla legge per elusione delle norme comunitarie sulla necessaria temporaneità della somministrazione, perché in tal caso non viene impugnato un atto o più atti, ma la valutazione sub iudice investe una situazione complessa articolatasi nel corso del tempo. La sentenza impugnata viene quindi cassata perché ricorre quest’ultima situazione.
Corte di Cassazione, ordinanza 18 marzo 2024, n. 7181
L’indennità di mensa non rientra nella base di calcolo del TFR.
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso di una fondazione ospedaliera avverso la sentenza d’appello che l’aveva condannata a computare l’indennità di mensa nella base di calcolo del TFR di un infermiere, osserva che: (i) come già affermato da risalente giurisprudenza di legittimità, nella disciplina dettata dall’art. 6, co. 3, dl 333/92 (ritenuta di interpretazione autentica della disciplina previgente), il valore del servizio mensa e l’importo della prestazione sostitutiva percepita da chi non usufruisce del servizio aziendale non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro, salvo che la contrattazione collettiva disponga diversamente; (ii) non ha riscontro nell’interpretazione letterale della norma di legge indicata l’esclusiva delimitazione del suo ambito all’ipotesi in cui sia stata istituita in azienda la mensa, con esclusione di quella in cui essa manchi; una tale distinzione (sostenuta dalla sentenza impugnata) non è stata del resto mai affermata dalla giurisprudenza di legittimità.
Corte di Cassazione, ordinanza 18 marzo 2024, n. 7203
Unico il CCNL per vecchi e nuovi assunti.
La società di servizi in house di un Comune, non iscritta ad alcuna Associazione sindacale di datori di lavoro e che applicava di fatto ai propri dipendenti il CCNL terziario, decide a un certo punto di applicare ai nuovi assunti il diverso CCNL multiservizi, ritenuto più aderente alla propria attività. Nel conseguente giudizio promosso da due neo assunti per ottenere l’inquadramento in una qualifica prevista dal primo CCNL, la Cassazione, annullando la diversa sentenza dei giudici di merito e accogliendo le tesi dei lavoratori, ricorda che l’art. 2070 c.c. che collega l’inquadramento sindacale all’attività principale dell’impresa non è più applicabile perché contrastante col principio costituzionale di libertà sindacale, per cui il datore di lavoro applica il CCNL stipulato dal sindacato cui è iscritto o altro scelto volontariamente. In quest’ultimo caso (che è anche quello in esame), la costante applicazione di fatto di un determinato contratto a tutti i dipendenti assume nel tempo valore negoziale, imponendosi pertanto anche nei riguardi delle nuove assunzioni.
Corte di Cassazione, ordinanza 21 marzo 2024, n. 7642
Obbligo di indicare i motivi della mancata rotazione in CIGS a zero ore anche in caso di chiusura di un’unità produttiva.
Una società romana con più unità produttive nel territorio comunale, cessando l’attività in una di esse, aveva avviato la procedura di cui all’art. 1 della legge n. 223 del 1991 (prima delle modifiche apportate nel 2015), comunicando alle OO.SS., tra l’altro, che avrebbe messo in CIGS a zero ore tutto il personale dell’unità. Alcune dipendenti sospese a zero ore hanno impugnato giudizialmente la decisione, censurando l’assenza di indicazione, nella comunicazione relativa alla procedura, dei motivi della mancata rotazione con dipendenti di altre unità e dei criteri di scelta adottati in alternativa. Pervenuta la causa in cassazione, la Corte, confermando la decisione di accoglimento delle domande (di pagamento della retribuzione piena nel periodo di sospensione illegittima), ribadisce la propria giurisprudenza in materia, affermando l’obbligo, non adempiuto dalla società, di indicare nella comunicazione di avvio della procedura, le ragioni della mancata adozione della rotazione – e dei criteri di scelta -, quali, in ipotesi, la “non comunicabilità” tra le varie unità produttive o l’infungibilità delle mansioni e delle professionalità impiegate nell’unità rispetto alle altre (circostanze ambedue del resto smentite dall’esistenza di un precedente episodio di CIGS a zero ore nella medesima unità, in cui era stata adottata la rotazione con dipendenti di altre unità).
Corte di Cassazione, ordinanza 2 aprile 2024, n. 8642
Sul controllo di legittimità in ordine alla proporzionalità della sanzione disciplinare.
Il dirigente di un comune, impugnando la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per un mese, irrogatagli per aver omesso i necessari controlli sull’operato dei propri collaboratori, aveva tra l’altro sostenuto la sproporzione della sanzione rispetto all’addebito. Giunta la causa in Cassazione su ricorso del dirigente avverso la decisione sfavorevole dell’appello, la Corte, confermando quest’ultima, ribadisce in proposito le regole processuali vigenti, secondo cui il giudizio di proporzionalità della sanzione costituisce una valutazione di fatto, di competenza esclusiva del giudice di merito e pertanto incensurabile in Cassazione, salvo il caso in cui la motivazione sul punto manchi del tutto nella sentenza impugnata o sia contraddittoria o inconsistente ovvero sia viziata dall’omesso esame di un fatto decisivo, la cui valutazione avrebbe cioè condotto i giudici a una soluzione diversa della causa.
Corte di Cassazione, ordinanza 4 aprile 2024, n. 8898
Conciliazioni sindacali e diritti indisponibili.
Un lavoratore aveva promosso un primo giudizio nei confronti di tre società sostenendo di essere stato ad esse legato per alcuni anni da una complessa situazione di appalto illecito di manodopera e chiedendo l’accertamento che il suo rapporto era in realtà intercorso nei confronti di un unico utilizzatore. La causa era stata conciliata, prima a livello sindacale e poi giudiziale. In base ai medesimi presupposti, con separato ricorso, aveva poi chiesto all’”effettivo” datore di lavoro una somma a titolo di differenze retributive, a cui l’impresa aveva vittoriosamente opposto l’intervenuta conciliazione. La Cassazione, respingendo il ricorso del lavoratore che aveva impugnato la conciliazione in quanto incidente su suoi diritti indisponibili, ribadisce che se è vero che l’art. 2113 c.c., considera invalide (e da impugnare entro sei mesi) le rinunce e le transazioni che dispongono dei diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge e di contratto collettivo, questa regola, secondo l’ultimo comma dell’articolo, non vale nel caso delle conciliazioni di cui agli artt. 185, 410 e 411 c.p.c, tra le quali appunto quella giudiziale, in quanto il pericolo di una volontà non genuina della parte debole del rapporto di lavoro viene superato dalla presenza garantista dell’organo pubblico o sindacale.
Corte di Cassazione, ordinanza 9 aprile 2024, n. 9444
Risarcimento danni se il contratto di lavoro stagionale non menziona il diritto di precedenza del dipendente nelle nuove assunzioni.
Com’è noto, l’art. 24 del D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce per i lavoratori stagionali (ma anche in genere per quelli a termine, sia pure a diverse condizioni) il diritto di precedenza nelle nuove assunzioni per le stesse mansioni, effettuate entro un determinato arco temporale a partire dalla cessazione del rapporto. E prescrive che tale diritto, da esercitare entro un termine di decadenza, debba essere richiamato nell’atto scritto di apposizione del termine al contratto. Due lavoratori stagionali avevano fatto causa all’ex datore di lavoro, chiedendo (tra l’altro) la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto per mancanza di menzione del diritto di precedenza e il risarcimento danni per non aver potuto esercitare tempestivamente tale diritto a causa della mancata indicazione dello stesso nel contratto di assunzione. Mentre la Corte d’Appello aveva negato il risarcimento in quanto non sarebbe previsto dalla legge e aveva riconosciuto ai lavoratori la possibilità di esercitare il diritto di precedenza anche tardivamente, la Cassazione, cassando la decisione impugnata dai due dipendenti, nega anzitutto che alla violazione dell’obbligo da parte del datore di lavoro consegua la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, ma riconosce ai lavoratori, secondo i principi generali, il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento di tale preciso obbligo contrattuale.
Tribunale di Padova, 15 febbraio 2024
Competenza territoriale e foro del contratto in un caso di addetta ad appalto: decisivo il fatto che la lavoratrice, alla data della sottoscrizione, fosse già impiegata nell’appalto in una città diversa da quella indicata nel contratto.
Il Tribunale respinge il ricorso e conferma il decreto ingiuntivo con cui una lavoratrice aveva fatto valere i propri crediti da lavoro in via solidale nei confronti della società committente di un appalto presso il quale era stata impiegata. Secondo il giudice è stato rispettato il criterio di competenza per territorio: nonostante il fatto che il contratto indicasse come luogo della stipula un’altra città, la lavoratrice al momento della firma era già impiegata presso l’appalto nel distretto del Tribunale adito: si può presumere che il contratto, predisposto altrove, sia poi stato trasmesso e sottoscritto nel luogo effettivo di lavoro della lavoratrice.
Tribunale di Napoli, 21 marzo 2024
In materia di indennità per ferie non godute, la società “in house” è soggetta alle ordinarie regole dei rapporti di lavoro privati.
La società per azioni con partecipazione pubblica non muta la propria natura di soggetto di diritto privato solo perché un ente pubblico ne possegga, in tutto o in parte, le azioni. L’utilizzo di denaro pubblico per il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori della partecipata non sottrae i rapporti di lavoro in questione dalla disciplina di cui all’art. 2019 c.c. La società in house non può invocare a suo favore, in maniera utilitaristica, ora l’applicazione della disciplina privatistica ora l’applicazione della disciplina pubblicistica.
Tribunale di Tivoli, 27 marzo 2024
Nullo il licenziamento dei lavoratori che avevano rifiutato il trasferimento alla nuova sede, privo di effettiva giustificazione.
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da due lavoratori, licenziati dopo aver rifiutato un trasferimento a 400 km di distanza e, dichiarato nullo il licenziamento, ordina la loro reintegrazione nel posto di lavoro. Secondo il Giudice, il datore di lavoro non ha dimostrato la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e il nesso tra queste e il trasferimento, e ha pertanto violato i principi di buona fede e correttezza. Il rifiuto dei lavoratori si qualifica quindi come legittima eccezione di inadempimento, facendo venire meno la pretesa giusta causa di licenziamento.
NEWSLETTER n. 4/2024
Novità normative e giurisprudenziali
CCNL Terziario, distribuzione e servizi – Confcommercio: le novità del rinnovo
Per i dipendenti del settore terziario, distribuzione e servizi, Confcommercio Imprese per l’Italia con Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil hanno sottoscritto in data 22 marzo 2024 l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL. Indicate le fattispecie per le quali è ampliato il campo di applicazione di alcune aree di attività. Introdotti nuovi profili professionali, eliminati alcuni profili esistenti, insieme alla nuova classificazione per i dipendenti dalle imprese elencate nell’accordo. Ridefiniti gli importi dei minimi tabellari e corrisposto un importo forfettario una tantum. Aumentata la contribuzione per l’assistenza integrativa. Inserite nuove causali contrattuali per i contratti a termine. Recepito il Protocollo 7 dicembre 2021 sul lavoro agile. Il CCNL decorre dal 1° aprile 2023 per la parte economica e dal 1° aprile 2024 per la parte normativa e scadrà il 31 marzo 2027.
Di seguito una sintesi delle principali novità.
- Classificazione del personale.
Con riferimento alle assunzioni effettuate a decorrere dalla sottoscrizione dell’accordo 22 marzo 2024, in tutte le aree esistenti, compresa l’area dell’ICT, vengono introdotti nuovi profili professionali ed eliminati alcuni profili esistenti.
Viene inoltre introdotta la classificazione per i dipendenti dalle imprese elencate nell’accordo di rinnovo.
Vengono infine previste apposite Commissioni tecniche che disciplineranno nuovi profili professionali con riferimento alle imprese culturali e creative e alle agenzie di pubblicità e comunicazione.
Nel settore distribuzione del farmaco, l’inquadramento e la permanenza al liv. 5 dell’allestitore di commissioni nei magazzini di ingrosso medicinali con l’ausilio di supporti informatici saranno disciplinati entro il 31 dicembre 2025.
- Lavoro a termine
Vengono introdotte le causali contrattuali di apponibilità del termine al contratto superiore a 12 mesi e non eccedente i 24 mesi per proroghe o rinnovi di contratti oltre i 12 mesi o per il rinnovo di un contratto indipendentemente dalla durata.
Nello specifico, a norma dell’arti. 19 del D. Lgs. n. 81/2015, al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a 12 mesi.
Il rapporto può eccedere i 12 mesi citati, nel rispetto comunque della durata complessiva di 24 mesi, solo nei casi previsti dai contratti collettivi (articolo 19, comma 1, lettera a).
In attuazione della previsione di legge, il nuovo art. 71-bis del CCNL o definisce quali causali di legittima apposizione del termine al contratto individuale di lavoro, le seguenti ipotesi:
- Saldi;
- Fiere;
- Festività natalizie;
- Riduzione dell’impatto ambientale;
- Terziario avanzato;
- Digitalizzazione;
- Nuove aperture;
- Incremento temporaneo.
Le suddette causali, in conformità con quanto previsto dalla normativa potranno “essere legittimamente apposte ai contratti di durata superiore ai 12 e non eccedenti i 24 per proroghe o rinnovi di contratti oltre i 12 mesi o per il rinnovo di un contratto (indipendentemente dalla durata)” (articolo 71-bis).
Da ultimo, la contrattazione di secondo livello potrà:
- individuare nuove causali;
- concordare percorsi di stabilizzazione dei tempi determinati;
- verificare che le opportunità di lavoro nei casi previsti dal Ccnl possano anche essere finalizzate ad incrementare l’orario dei dipendenti part-time presenti nelle unità produttive;
- individuare manifestazioni / fiere / eventi rilevanti per il contesto territoriale “tali da giustificare assunzioni di lavoratori nei periodi interessati da manifestazioni / fiere / eventi compresi tra sette giorni precedenti e sette giorni successivi la manifestazione / fiera / l’evento” (art. 71-bis).
Gli accordi territoriali sulla stagionalità che individuano le località a prevalente vocazione turistica, definiscono anche le connesse attività e i relativi periodi.
- Lavoro a tempo parziale
Per il lavoro a tempo parziale, dal 1° gennaio 2025 è elevata l’indennità annuale in caso di applicazione di clausole elastiche.
- Lavoro agile
Le Parti recepiscono il Protocollo 7 dicembre 2021 sul lavoro agile.
- Minimi tabellari
In relazione agli aumenti stabiliti dall’accordo, sono ridefiniti gli importi dei minimi tabellari, per livello e con diverse decorrenze.
Gli importi al 1° aprile 2023 derivano dall’assorbimento nei minimi dell’acconto, stabilito dall’accordo 12 dicembre 2022, in base alle previsioni contenute all’art. 216 del CCNL secondo il quale gli aumenti corrisposti a titolo diverso di aumenti di merito e scatti di anzianità, possono essere assorbiti in tutto o in parte, nel caso di aumento tabellare, solo se l’assorbimento è stato previsto a livello sindacale o espressamente stabilito all’atto della concessione a titolo di acconto o anticipazione su futuri aumenti contrattuali erogati dal 1° gennaio 2022.
- Una tantum. Ad integrazione di quanto già stabilito con l’accordo 12 dicembre 2022 in materia di acconto su futuri aumenti contrattuali ed a completamento della copertura della carenza contrattuale, ai lavoratori in forza alla sottoscrizione dell’accordo 22 marzo 2024 viene corrisposto un importo forfettario una tantum, suddivisibile in 15 quote mensili o frazioni e determinato in proporzione alla durata del rapporto ed all’effettivo servizio prestato nel periodo 1° gennaio 2022-31 marzo 2023.
L’una tantum è erogata in 2 tranche uguali con la retribuzione di luglio 2024 e di luglio 2025, in base al livello di appartenenza.
Agli apprendisti in forza alla data di sottoscrizione dell’accordo 22 marzo 2024 l’importo sarà riproporzionato in base al trattamento economico di cui al CCNL 30 luglio 2019, con le stesse decorrenze.
L’importo sarà inoltre ridotto proporzionalmente per i casi di assenze o aspettative non retribuite, part time, sospensioni e/o riduzioni dell’orario di lavoro concordate con accordo sindacale, instaurazioni e cessazioni di rapporti di lavoro durante il periodo suddetto.
L’importo forfettario non è utile ai fini del computo di alcun istituto contrattuale incluso il t.f.r.
Gli importi eventualmente già corrisposti a titolo di futuri aumenti contrattuali /o miglioramenti contrattuali vanno considerati a tutti gli effetti anticipazioni dell’una tantum: pertanto tali importi erogati dal 1° gennaio 2022 dovranno essere considerati assorbiti dalla stessa una tantum fino a concorrenza.
Con l’erogazione dell’una tantum e tenuto conto di quanto previsto dall’accordo 12 dicembre 2022, le Parti dichiarano assolta ogni spettanza economica riferita o riferibile all’intero periodo di carenza contrattuale 1° gennaio 2020-31 marzo 2023, a qualsiasi titolo.
- Indennità di vacanza contrattuale In assenza di accordo, dopo 6 mesi dalla scadenza del CCNL oppure dopo 6 mesi dalla data di presentazione della piattaforma di rinnovo se successiva alla scadenza del CCNL sarà corrisposta un’indennità di vacanza contrattuale in percentuale dell’Ipca al netto degli energetici importati applicato ai minimi retributivi contrattuali vigenti, inclusa l’ex indennità di contingenza, per 14 mensilità.
Al protrarsi della suddetta situazione verranno riconosciuti di anno in anno nuovi importi a titolo di i.v.c. nelle medesime modalità, anche alla luce dell’eventuale scostamento avvenuto tra dato previsionale e realizzato nell’ultimo anno comunicato dall’Istat.
L’importo potrà essere assorbito fino a concorrenza esclusivamente da somme concesse in acconto o anticipazione su futuri aumenti contrattuali successivamente al 31 marzo 2027.
Nell’accordo di rinnovo successivo all’accordo 22 marzo 2024 le Parti definiranno tempi e modalità di cessazione dell’i.v.c. eventualmente erogata.
- Bilateralità. Viene specificato che il contributo in favore dell’Ente bilaterale territoriale, va computato per 14 mensilità ed è comprensivo del contributo a sostegno delle attività delle commissioni paritetiche bilaterali.
Viene altresì confermato che l’E.d.r. sostitutivo va corrisposto per 14 mensilità.
- Maternità. Per i periodi di congedo parentale è dovuta a carico Inps, per 3 mesi non trasferibili, ai lavoratori fino al 12° anno di vita del bambino, un’indennità in percentuale della retribuzione elevata, in alternativa tra i genitori, in base alla durata massima complessiva.
I genitori hanno diritto, in alternativa tra loro, ad un ulteriore periodo di congedo della durata complessiva di 3 mesi per i quali spetta un’indennità in percentuale della retribuzione.
Per i periodi di congedo parentale ulteriori è dovuta un’indennità in percentuale della retribuzione a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione obbligatorio.
I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi, mensilità aggiuntive ad eccezione degli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio.
Il preavviso scritto ai fini dell’esercizio del congedo parentale è fissato in 5 giorni.
- Permessi
Vengono disciplinati i congedi per le donne vittime di violenza di genere.
- Assistenza integrativa
Dal 1° aprile 2025 è elevato il contributo mensile obbligatorio a carico azienda al Fondo sanitario EST e quello a favore della Qu.A.S..
Tutti i suddetti contributi a carico azienda e lavoratore comprendono il contributo per assicurare le funzioni di tutela e esistenza comprese quelle di diffusione e consolidamento dell’assistenza sanitaria di categoria.
Il contributo a carico azienda e lavoratore al Quadrifor è comprensivo del contributo per assicurare le funzioni di tutela e esistenza comprese quelle di diffusione e consolidamento della formazione dei quadri.
No del Garante Privacy all’uso del riconoscimento facciale per controllo presenze
Sanzionate cinque società che trattavano illecitamente dati biometrici
Il riconoscimento facciale per controllare le presenze sul posto di lavoro viola la privacy dei dipendenti. Non esiste al momento alcuna norma che consenta l’uso di dati biometrici, come prevede il Regolamento, per svolgere una tale attività. Per questo motivo il Garante privacy ha sanzionato cinque società – impegnate a vario titolo presso lo stesso sito di smaltimento dei rifiuti – con sanzioni rispettivamente di 70mila, 20mila, 6mila, 5mila e 2mila euro, per aver trattato in modo illecito i dati biometrici di un numero elevato di lavoratori.
L’Autorità, intervenuta a seguito dei reclami di diversi dipendenti, ha anche evidenziato i particolari rischi per i diritti dei lavoratori connessi all’uso dei sistemi di riconoscimento facciale, alla luce delle norme e delle garanzie previste sia nell’ordinamento nazionale che in quello europeo.
Dall’attività ispettiva del Garante, svolta in collaborazione con il Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza, sono emerse anche ulteriori violazioni da parte delle società. In particolare l’Autorità ha accertato che tre aziende avevano condiviso per più di un anno lo stesso sistema di rilevazione biometrica, oltretutto senza aver adottato misure tecniche e di sicurezza adeguate. Inoltre il medesimo “sistema”, ritenuto illecito dall’Autorità, era utilizzato presso altre nove sedi dove operava una delle società sanzionate. Le aziende, infine, non avevano fornito una informativa chiara e dettagliata ai lavoratori né avevano effettuato la valutazione d’impatto prevista dalla normativa privacy.
Le aziende, ad avviso del Garante, avrebbero dovuto più opportunamente utilizzare sistemi meno invasivi per controllare la presenza dei propri dipendenti e collaboratori sul luogo di lavoro (come ad es. il badge). Oltre al pagamento delle sanzioni il Garante ha ordinato la cancellazione dei dati raccolti illecitamente.
Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 26.03.2024, n. 12326.
Datore responsabile anche se la vittima ha compiuto un’attività vietata.
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna emessa dal Tribunale, con la quale un datore di lavoro era stato ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo per aver cagionato la morte di un dipendente, caduto dalla scala di un silos durante l’esecuzione di un’operazione di manutenzione, la Corte di Cassazione penale – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui nessuna responsabilità era da attribuirsi al datore di lavoro, essendovi verificato l’infortunio mortale a causa di un comportamento abnorme del lavoratore – ha ribadito il principio secondo cui qualora l’evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall’area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto l’inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall’ inerzia del datore di lavoro.
Consiglio di Stato, sentenza 21.03.2024, n. 2778.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2778 del 2024, estende il potere di disposizione, in capo all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, a “tutti i casi di irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale”, tra i quali rientrano anche le violazioni dei contratti e accordi collettivi di lavoro. Inoltre, secondo il C.d.S., l’utilizzo del provvedimento di disposizione incentrato sulla sollecitazione di una attività collaborativa da parte del datore di lavoro, che può concludersi con l’eliminazione spontanea delle irregolarità riscontrate, può svolgere anche un’importante funzione preventiva e deflattiva del contenzioso giuslavoristico.
Con sentenza n. 2778/2024, la terza sezione del Consiglio di Stato estende il potere di disposizione degli Ispettori del Lavoro anche a violazioni dei contratti e accordi collettivi di lavoro, in quanto il provvedimento esprime una valutazione dell’ordinamento di rilevanza pubblicistica dell’esigenza di una piena ed effettiva applicazione degli stessi, tale da meritare attenzione a livello amministrativo anche indipendentemente dalle reazioni e iniziative civilistiche dei singoli lavoratori interessati.
È evidente – continua il Consiglio di Stato – che il meccanismo di cui all’art. 14, D.Lgs. n. 124 del 2004, incentrato sulla sollecitazione di una attività “collaborativa” da parte del datore di lavoro, che può concludersi con l’eliminazione spontanea delle irregolarità riscontrate, può svolgere anche un’importante funzione preventiva e deflattiva del contenzioso giuslavoristico.
È fondamentale – conclude il Consiglio di Stato – che vi sia una valida ed evidente motivazione alla base del provvedimento degli ispettori del lavoro. Ciò in quanto il Provvedimento di disposizione è motivato ob relationem con il richiamo alla documentazione di lavoro ed alle “dichiarazioni acquisite”. È possibile motivare con riferimento ad atti o fatti non riportati nello stesso provvedimento, criterio questo ritenuto sufficiente ad assolvere il precetto introdotto dall’art. 3, L. n. 241/1990. È noto, infatti, che ove il provvedimento amministrativo sia preceduto da atti istruttori o da pareri, l’obbligo della motivazione può ritenersi adeguatamente assolto anche con il mero richiamo ad essi, giacché sottintende l’intenzione dell’Autorità emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottata. Condizione indefettibile di tale operazione, sovente giustificata anche da esigenze di economia e celerità procedimentali, è che essi risultino menzionati nel testo del provvedimento e resi accessibili al privato, in modo da consentirgli di prenderne visione anche in ossequio alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi.
Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza 19.03.2024, n. 7272.
Accessi non autorizzati alla banca dati informatica dell’INPS. I cd. controlli difensivi.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7272/2024, dichiara legittimo il licenziamento di un dipendente dell’Inps che ha effettuato illegittimamente l’accesso alla banca dati per conoscere conti e posizioni degli iscritti.
I giudici, nell’esprimersi, affrontano alcune questioni relative al controllo a distanza dell’attività dei lavoratori: tra questi l’importanza di assicurare un bilanciamento corretto tra le esigenze di protezione degli interessi e dei beni aziendali e le tutele imprescindibili della dignità e della riservatezza del lavoratore.
A riguardo viene affermato il principio per cui il controllo difensivo in senso stretto del datore di lavoro deve essere mirato e “attuato ex post” e dunque a seguito del comportamento illecito da parte di uno o più dipendenti “del cui avvenuto compimento il datore abbia avuto il fondato sospetto”.
Nel caso in questione, però, i controlli preventivi dell’Inps non erano finalizzati né al controllo dell’adempimento della prestazione del lavoratore né alla protezione di interessi e beni aziendali: come gestore e responsabile della banca dati che racchiude informazioni sugli iscritti, l’ente ha effettuato i controlli preventivi a tutela delle persone interessate. La privacy soggetta a tutela non era quella del lavoratore, di cui non sono stati attinti dati personali se non quello relativo all’accesso non autorizzato.
Cassazione Civile, Sez. Lav., 19.03.2024, n. 7272.
La violazione di norme e procedure interne, qualora esponga la società a danni economici e la renda passibile di sanzioni, legittima il licenziamento.
Due lavoratori impugnano giudizialmente il licenziamento irrogatogli per aver caricato, su un automezzo destinato ad un cliente, merce di significativo valore commerciale non corrispondente ai documenti di trasporto.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo provata la responsabilità disciplinare di entrambi i lavoratori per avere operato, per la parte di rispettiva competenza, in maniera gravemente difforme rispetto alla prassi e alle regole aziendali.
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che non può che ritenersi grave la condotta dei lavoratori che, con il loro comportamento, espongano la società ad un rischio concreto di danno economico, anche in relazione alla comminazione di sanzioni amministrative.
Invero, continua la sentenza, è fondamentale il rispetto delle procedure aziendali e della correttezza nelle operazioni di trasporto, in modo da garantire l’integrità delle operazioni commerciali e da prevenire condotte lesive per l’azienda.
Secondo i Giudici di legittimità, la violazione delle predette procedure, compromettendo l’integrità e la sicurezza delle operazioni aziendali, lede il vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro e legittima il licenziamento.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dai dipendenti e conferma la legittimità dell’impugnata sanzione espulsiva.
Corte di Cassazione, sentenza 18.03.2024, n. 7203.
CCNL uguale per tutti i lavoratori dell’azienda
Con ordinanza n. 7203 del 18 marzo 2024, la Corte di Cassazione ha affermato che “La reiterata e costante applicazione di fatto del CCNL all’interno di una medesima impresa (nei confronti di centinaia di lavoratori assunti reiteratamente con contratti regolati dallo stesso CCNL) configura un comportamento concludente con valore negoziale, con insorgenza a carico del datore di lavoro di rispettare il medesimo CCNL nei confronti dei nuovi assunti i quali ne abbiano chiesto l’applicazione”.
Corte di Cassazione, sentenza 5.01.2024, n. 378.
Cassazione: assenza di DVR e mancata trasformazione del contratto intermittente
La Corte di Cassazione ha affermato che, in mancanza di DVR, non è possibile procedere alla trasformazione di un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato in un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato, in quanto la norma non prevede specificatamente che la mancata adozione del DVR comporti la trasformazione sopra indicata. Infatti, non si va ad incidere su alcuna clausola contrattuale, determinandone la deviazione dal tipo legale, né sussiste alcuna deviazione dalla causale legale.
Risulta, pertanto, inconferente il richiamo alle sentenze della Cassazione n. 8385/2029 e n. 24330/2009.
L’unico caso in cui il Legislatore ha previsto la conversione in contratto a tempo pieno ed indeterminato è quelle legato al superamento delle 400 giornate nel triennio solare (con l’eccezione di alcuni settori) previsto dal comma 3 dell’art. 13 del D.L.vo n. 81/2015.
La sentenza in oggetto conferma la decisione presa dalla Corte di Appello di Venezia nel procedimento n. 597/2017 che, a sua volta, confermava la sentenza di primo grado.
NEWSLETTER n. 4/2024
Novità normative e giurisprudenziali
CCNL Terziario, distribuzione e servizi – Confcommercio: le novità del rinnovo
Per i dipendenti del settore terziario, distribuzione e servizi, Confcommercio Imprese per l’Italia con Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil hanno sottoscritto in data 22 marzo 2024 l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL. Indicate le fattispecie per le quali è ampliato il campo di applicazione di alcune aree di attività. Introdotti nuovi profili professionali, eliminati alcuni profili esistenti, insieme alla nuova classificazione per i dipendenti dalle imprese elencate nell’accordo. Ridefiniti gli importi dei minimi tabellari e corrisposto un importo forfettario una tantum. Aumentata la contribuzione per l’assistenza integrativa. Inserite nuove causali contrattuali per i contratti a termine. Recepito il Protocollo 7 dicembre 2021 sul lavoro agile. Il CCNL decorre dal 1° aprile 2023 per la parte economica e dal 1° aprile 2024 per la parte normativa e scadrà il 31 marzo 2027.
Di seguito una sintesi delle principali novità.
- Classificazione del personale.
Con riferimento alle assunzioni effettuate a decorrere dalla sottoscrizione dell’accordo 22 marzo 2024, in tutte le aree esistenti, compresa l’area dell’ICT, vengono introdotti nuovi profili professionali ed eliminati alcuni profili esistenti.
Viene inoltre introdotta la classificazione per i dipendenti dalle imprese elencate nell’accordo di rinnovo.
Vengono infine previste apposite Commissioni tecniche che disciplineranno nuovi profili professionali con riferimento alle imprese culturali e creative e alle agenzie di pubblicità e comunicazione.
Nel settore distribuzione del farmaco, l’inquadramento e la permanenza al liv. 5 dell’allestitore di commissioni nei magazzini di ingrosso medicinali con l’ausilio di supporti informatici saranno disciplinati entro il 31 dicembre 2025.
- Lavoro a termine
Vengono introdotte le causali contrattuali di apponibilità del termine al contratto superiore a 12 mesi e non eccedente i 24 mesi per proroghe o rinnovi di contratti oltre i 12 mesi o per il rinnovo di un contratto indipendentemente dalla durata.
Nello specifico, a norma dell’arti. 19 del D. Lgs. n. 81/2015, al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a 12 mesi.
Il rapporto può eccedere i 12 mesi citati, nel rispetto comunque della durata complessiva di 24 mesi, solo nei casi previsti dai contratti collettivi (articolo 19, comma 1, lettera a).
In attuazione della previsione di legge, il nuovo art. 71-bis del CCNL o definisce quali causali di legittima apposizione del termine al contratto individuale di lavoro, le seguenti ipotesi:
- Saldi;
- Fiere;
- Festività natalizie;
- Riduzione dell’impatto ambientale;
- Terziario avanzato;
- Digitalizzazione;
- Nuove aperture;
- Incremento temporaneo.
Le suddette causali, in conformità con quanto previsto dalla normativa potranno “essere legittimamente apposte ai contratti di durata superiore ai 12 e non eccedenti i 24 per proroghe o rinnovi di contratti oltre i 12 mesi o per il rinnovo di un contratto (indipendentemente dalla durata)” (articolo 71-bis).
Da ultimo, la contrattazione di secondo livello potrà:
- individuare nuove causali;
- concordare percorsi di stabilizzazione dei tempi determinati;
- verificare che le opportunità di lavoro nei casi previsti dal Ccnl possano anche essere finalizzate ad incrementare l’orario dei dipendenti part-time presenti nelle unità produttive;
- individuare manifestazioni / fiere / eventi rilevanti per il contesto territoriale “tali da giustificare assunzioni di lavoratori nei periodi interessati da manifestazioni / fiere / eventi compresi tra sette giorni precedenti e sette giorni successivi la manifestazione / fiera / l’evento” (art. 71-bis).
Gli accordi territoriali sulla stagionalità che individuano le località a prevalente vocazione turistica, definiscono anche le connesse attività e i relativi periodi.
- Lavoro a tempo parziale
Per il lavoro a tempo parziale, dal 1° gennaio 2025 è elevata l’indennità annuale in caso di applicazione di clausole elastiche.
- Lavoro agile
Le Parti recepiscono il Protocollo 7 dicembre 2021 sul lavoro agile.
- Minimi tabellari
In relazione agli aumenti stabiliti dall’accordo, sono ridefiniti gli importi dei minimi tabellari, per livello e con diverse decorrenze.
Gli importi al 1° aprile 2023 derivano dall’assorbimento nei minimi dell’acconto, stabilito dall’accordo 12 dicembre 2022, in base alle previsioni contenute all’art. 216 del CCNL secondo il quale gli aumenti corrisposti a titolo diverso di aumenti di merito e scatti di anzianità, possono essere assorbiti in tutto o in parte, nel caso di aumento tabellare, solo se l’assorbimento è stato previsto a livello sindacale o espressamente stabilito all’atto della concessione a titolo di acconto o anticipazione su futuri aumenti contrattuali erogati dal 1° gennaio 2022.
- Una tantum. Ad integrazione di quanto già stabilito con l’accordo 12 dicembre 2022 in materia di acconto su futuri aumenti contrattuali ed a completamento della copertura della carenza contrattuale, ai lavoratori in forza alla sottoscrizione dell’accordo 22 marzo 2024 viene corrisposto un importo forfettario una tantum, suddivisibile in 15 quote mensili o frazioni e determinato in proporzione alla durata del rapporto ed all’effettivo servizio prestato nel periodo 1° gennaio 2022-31 marzo 2023.
L’una tantum è erogata in 2 tranche uguali con la retribuzione di luglio 2024 e di luglio 2025, in base al livello di appartenenza.
Agli apprendisti in forza alla data di sottoscrizione dell’accordo 22 marzo 2024 l’importo sarà riproporzionato in base al trattamento economico di cui al CCNL 30 luglio 2019, con le stesse decorrenze.
L’importo sarà inoltre ridotto proporzionalmente per i casi di assenze o aspettative non retribuite, part time, sospensioni e/o riduzioni dell’orario di lavoro concordate con accordo sindacale, instaurazioni e cessazioni di rapporti di lavoro durante il periodo suddetto.
L’importo forfettario non è utile ai fini del computo di alcun istituto contrattuale incluso il t.f.r.
Gli importi eventualmente già corrisposti a titolo di futuri aumenti contrattuali /o miglioramenti contrattuali vanno considerati a tutti gli effetti anticipazioni dell’una tantum: pertanto tali importi erogati dal 1° gennaio 2022 dovranno essere considerati assorbiti dalla stessa una tantum fino a concorrenza.
Con l’erogazione dell’una tantum e tenuto conto di quanto previsto dall’accordo 12 dicembre 2022, le Parti dichiarano assolta ogni spettanza economica riferita o riferibile all’intero periodo di carenza contrattuale 1° gennaio 2020-31 marzo 2023, a qualsiasi titolo.
- Indennità di vacanza contrattuale In assenza di accordo, dopo 6 mesi dalla scadenza del CCNL oppure dopo 6 mesi dalla data di presentazione della piattaforma di rinnovo se successiva alla scadenza del CCNL sarà corrisposta un’indennità di vacanza contrattuale in percentuale dell’Ipca al netto degli energetici importati applicato ai minimi retributivi contrattuali vigenti, inclusa l’ex indennità di contingenza, per 14 mensilità.
Al protrarsi della suddetta situazione verranno riconosciuti di anno in anno nuovi importi a titolo di i.v.c. nelle medesime modalità, anche alla luce dell’eventuale scostamento avvenuto tra dato previsionale e realizzato nell’ultimo anno comunicato dall’Istat.
L’importo potrà essere assorbito fino a concorrenza esclusivamente da somme concesse in acconto o anticipazione su futuri aumenti contrattuali successivamente al 31 marzo 2027.
Nell’accordo di rinnovo successivo all’accordo 22 marzo 2024 le Parti definiranno tempi e modalità di cessazione dell’i.v.c. eventualmente erogata.
- Bilateralità. Viene specificato che il contributo in favore dell’Ente bilaterale territoriale, va computato per 14 mensilità ed è comprensivo del contributo a sostegno delle attività delle commissioni paritetiche bilaterali.
Viene altresì confermato che l’E.d.r. sostitutivo va corrisposto per 14 mensilità.
- Maternità. Per i periodi di congedo parentale è dovuta a carico Inps, per 3 mesi non trasferibili, ai lavoratori fino al 12° anno di vita del bambino, un’indennità in percentuale della retribuzione elevata, in alternativa tra i genitori, in base alla durata massima complessiva.
I genitori hanno diritto, in alternativa tra loro, ad un ulteriore periodo di congedo della durata complessiva di 3 mesi per i quali spetta un’indennità in percentuale della retribuzione.
Per i periodi di congedo parentale ulteriori è dovuta un’indennità in percentuale della retribuzione a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione obbligatorio.
I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi, mensilità aggiuntive ad eccezione degli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio.
Il preavviso scritto ai fini dell’esercizio del congedo parentale è fissato in 5 giorni.
- Permessi
Vengono disciplinati i congedi per le donne vittime di violenza di genere.
- Assistenza integrativa
Dal 1° aprile 2025 è elevato il contributo mensile obbligatorio a carico azienda al Fondo sanitario EST e quello a favore della Qu.A.S..
Tutti i suddetti contributi a carico azienda e lavoratore comprendono il contributo per assicurare le funzioni di tutela e esistenza comprese quelle di diffusione e consolidamento dell’assistenza sanitaria di categoria.
Il contributo a carico azienda e lavoratore al Quadrifor è comprensivo del contributo per assicurare le funzioni di tutela e esistenza comprese quelle di diffusione e consolidamento della formazione dei quadri.
No del Garante Privacy all’uso del riconoscimento facciale per controllo presenze
Sanzionate cinque società che trattavano illecitamente dati biometrici
Il riconoscimento facciale per controllare le presenze sul posto di lavoro viola la privacy dei dipendenti. Non esiste al momento alcuna norma che consenta l’uso di dati biometrici, come prevede il Regolamento, per svolgere una tale attività. Per questo motivo il Garante privacy ha sanzionato cinque società – impegnate a vario titolo presso lo stesso sito di smaltimento dei rifiuti – con sanzioni rispettivamente di 70mila, 20mila, 6mila, 5mila e 2mila euro, per aver trattato in modo illecito i dati biometrici di un numero elevato di lavoratori.
L’Autorità, intervenuta a seguito dei reclami di diversi dipendenti, ha anche evidenziato i particolari rischi per i diritti dei lavoratori connessi all’uso dei sistemi di riconoscimento facciale, alla luce delle norme e delle garanzie previste sia nell’ordinamento nazionale che in quello europeo.
Dall’attività ispettiva del Garante, svolta in collaborazione con il Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza, sono emerse anche ulteriori violazioni da parte delle società. In particolare l’Autorità ha accertato che tre aziende avevano condiviso per più di un anno lo stesso sistema di rilevazione biometrica, oltretutto senza aver adottato misure tecniche e di sicurezza adeguate. Inoltre il medesimo “sistema”, ritenuto illecito dall’Autorità, era utilizzato presso altre nove sedi dove operava una delle società sanzionate. Le aziende, infine, non avevano fornito una informativa chiara e dettagliata ai lavoratori né avevano effettuato la valutazione d’impatto prevista dalla normativa privacy.
Le aziende, ad avviso del Garante, avrebbero dovuto più opportunamente utilizzare sistemi meno invasivi per controllare la presenza dei propri dipendenti e collaboratori sul luogo di lavoro (come ad es. il badge). Oltre al pagamento delle sanzioni il Garante ha ordinato la cancellazione dei dati raccolti illecitamente.
Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 26.03.2024, n. 12326.
Datore responsabile anche se la vittima ha compiuto un’attività vietata.
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna emessa dal Tribunale, con la quale un datore di lavoro era stato ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo per aver cagionato la morte di un dipendente, caduto dalla scala di un silos durante l’esecuzione di un’operazione di manutenzione, la Corte di Cassazione penale – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui nessuna responsabilità era da attribuirsi al datore di lavoro, essendovi verificato l’infortunio mortale a causa di un comportamento abnorme del lavoratore – ha ribadito il principio secondo cui qualora l’evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall’area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto l’inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall’ inerzia del datore di lavoro.
Consiglio di Stato, sentenza 21.03.2024, n. 2778.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2778 del 2024, estende il potere di disposizione, in capo all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, a “tutti i casi di irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale”, tra i quali rientrano anche le violazioni dei contratti e accordi collettivi di lavoro. Inoltre, secondo il C.d.S., l’utilizzo del provvedimento di disposizione incentrato sulla sollecitazione di una attività collaborativa da parte del datore di lavoro, che può concludersi con l’eliminazione spontanea delle irregolarità riscontrate, può svolgere anche un’importante funzione preventiva e deflattiva del contenzioso giuslavoristico.
Con sentenza n. 2778/2024, la terza sezione del Consiglio di Stato estende il potere di disposizione degli Ispettori del Lavoro anche a violazioni dei contratti e accordi collettivi di lavoro, in quanto il provvedimento esprime una valutazione dell’ordinamento di rilevanza pubblicistica dell’esigenza di una piena ed effettiva applicazione degli stessi, tale da meritare attenzione a livello amministrativo anche indipendentemente dalle reazioni e iniziative civilistiche dei singoli lavoratori interessati.
È evidente – continua il Consiglio di Stato – che il meccanismo di cui all’art. 14, D.Lgs. n. 124 del 2004, incentrato sulla sollecitazione di una attività “collaborativa” da parte del datore di lavoro, che può concludersi con l’eliminazione spontanea delle irregolarità riscontrate, può svolgere anche un’importante funzione preventiva e deflattiva del contenzioso giuslavoristico.
È fondamentale – conclude il Consiglio di Stato – che vi sia una valida ed evidente motivazione alla base del provvedimento degli ispettori del lavoro. Ciò in quanto il Provvedimento di disposizione è motivato ob relationem con il richiamo alla documentazione di lavoro ed alle “dichiarazioni acquisite”. È possibile motivare con riferimento ad atti o fatti non riportati nello stesso provvedimento, criterio questo ritenuto sufficiente ad assolvere il precetto introdotto dall’art. 3, L. n. 241/1990. È noto, infatti, che ove il provvedimento amministrativo sia preceduto da atti istruttori o da pareri, l’obbligo della motivazione può ritenersi adeguatamente assolto anche con il mero richiamo ad essi, giacché sottintende l’intenzione dell’Autorità emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottata. Condizione indefettibile di tale operazione, sovente giustificata anche da esigenze di economia e celerità procedimentali, è che essi risultino menzionati nel testo del provvedimento e resi accessibili al privato, in modo da consentirgli di prenderne visione anche in ossequio alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi.
Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza 19.03.2024, n. 7272.
Accessi non autorizzati alla banca dati informatica dell’INPS. I cd. controlli difensivi.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7272/2024, dichiara legittimo il licenziamento di un dipendente dell’Inps che ha effettuato illegittimamente l’accesso alla banca dati per conoscere conti e posizioni degli iscritti.
I giudici, nell’esprimersi, affrontano alcune questioni relative al controllo a distanza dell’attività dei lavoratori: tra questi l’importanza di assicurare un bilanciamento corretto tra le esigenze di protezione degli interessi e dei beni aziendali e le tutele imprescindibili della dignità e della riservatezza del lavoratore.
A riguardo viene affermato il principio per cui il controllo difensivo in senso stretto del datore di lavoro deve essere mirato e “attuato ex post” e dunque a seguito del comportamento illecito da parte di uno o più dipendenti “del cui avvenuto compimento il datore abbia avuto il fondato sospetto”.
Nel caso in questione, però, i controlli preventivi dell’Inps non erano finalizzati né al controllo dell’adempimento della prestazione del lavoratore né alla protezione di interessi e beni aziendali: come gestore e responsabile della banca dati che racchiude informazioni sugli iscritti, l’ente ha effettuato i controlli preventivi a tutela delle persone interessate. La privacy soggetta a tutela non era quella del lavoratore, di cui non sono stati attinti dati personali se non quello relativo all’accesso non autorizzato.
Cassazione Civile, Sez. Lav., 19.03.2024, n. 7272.
La violazione di norme e procedure interne, qualora esponga la società a danni economici e la renda passibile di sanzioni, legittima il licenziamento.
Due lavoratori impugnano giudizialmente il licenziamento irrogatogli per aver caricato, su un automezzo destinato ad un cliente, merce di significativo valore commerciale non corrispondente ai documenti di trasporto.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo provata la responsabilità disciplinare di entrambi i lavoratori per avere operato, per la parte di rispettiva competenza, in maniera gravemente difforme rispetto alla prassi e alle regole aziendali.
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che non può che ritenersi grave la condotta dei lavoratori che, con il loro comportamento, espongano la società ad un rischio concreto di danno economico, anche in relazione alla comminazione di sanzioni amministrative.
Invero, continua la sentenza, è fondamentale il rispetto delle procedure aziendali e della correttezza nelle operazioni di trasporto, in modo da garantire l’integrità delle operazioni commerciali e da prevenire condotte lesive per l’azienda.
Secondo i Giudici di legittimità, la violazione delle predette procedure, compromettendo l’integrità e la sicurezza delle operazioni aziendali, lede il vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro e legittima il licenziamento.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dai dipendenti e conferma la legittimità dell’impugnata sanzione espulsiva.
Corte di Cassazione, sentenza 18.03.2024, n. 7203.
CCNL uguale per tutti i lavoratori dell’azienda
Con ordinanza n. 7203 del 18 marzo 2024, la Corte di Cassazione ha affermato che “La reiterata e costante applicazione di fatto del CCNL all’interno di una medesima impresa (nei confronti di centinaia di lavoratori assunti reiteratamente con contratti regolati dallo stesso CCNL) configura un comportamento concludente con valore negoziale, con insorgenza a carico del datore di lavoro di rispettare il medesimo CCNL nei confronti dei nuovi assunti i quali ne abbiano chiesto l’applicazione”.
Corte di Cassazione, sentenza 5.01.2024, n. 378.
Cassazione: assenza di DVR e mancata trasformazione del contratto intermittente
La Corte di Cassazione ha affermato che, in mancanza di DVR, non è possibile procedere alla trasformazione di un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato in un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato, in quanto la norma non prevede specificatamente che la mancata adozione del DVR comporti la trasformazione sopra indicata. Infatti, non si va ad incidere su alcuna clausola contrattuale, determinandone la deviazione dal tipo legale, né sussiste alcuna deviazione dalla causale legale.
Risulta, pertanto, inconferente il richiamo alle sentenze della Cassazione n. 8385/2029 e n. 24330/2009.
L’unico caso in cui il Legislatore ha previsto la conversione in contratto a tempo pieno ed indeterminato è quelle legato al superamento delle 400 giornate nel triennio solare (con l’eccezione di alcuni settori) previsto dal comma 3 dell’art. 13 del D.L.vo n. 81/2015.
La sentenza in oggetto conferma la decisione presa dalla Corte di Appello di Venezia nel procedimento n. 597/2017 che, a sua volta, confermava la sentenza di primo grado.
NEWSLETTER n. 3/2024
Novità normative e giurisprudenziali
Legge 23 febbraio 2024 n. 18, in G.U. n. 49 del 28 febbraio 2024 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, recante disposizioni urgenti in materia di termini normativi.
Nella Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28.02.2024 è stata pubblicata la legge n. 18/2024, di conversione del decreto-legge n. 215/2023 (c.d. decreto Milleproroghe).
Il 30 dicembre 2023 era stato infatti pubblicato il d.l. n. 215/2023. Per quel che concerne l’ambito giuslavoristico e previdenziale, si segnala che il decreto:
• estende al 30 giugno 2024 la validità delle convenzioni stipulate dal Ministero del lavoro con le regioni per l’utilizzazione di lavoratori socialmente utili, e proroga alla medesima data anche la possibilità per le pubbliche amministrazioni di stabilizzare, tramite assunzioni a tempo indeterminato, anche in deroga, i lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità;
• proroga sino al 31 dicembre 2024 la sospensione dei termini prescrizionali per gli obblighi contributivi in favore dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche e dei collaboratori coordinati
e continuativi e figure assimilate;
• estende al 31 dicembre 2024 la temporanea deroga all’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 116, co. 8 e 9, l. n.388/00, nei confronti dei soggetti che non provvedano, entro il termine stabilito, al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, in riferimento alle fattispecie contributive di cui ai co. 10-bis e 10-ter dell’art. 3, l. n. 335/95;
• proroga al 31 dicembre 2024 la possibilità per i laureati in medicina e chirurgia abilitati di assumere incarichi provvisori in sostituzione di medici di medicina generale, nonché la possibilità per i medici iscritti al corso di specializzazione in pediatria, durante il percorso formativo, di assumere incarichi provvisori o di sostituzione di pediatri di libera scelta convenzionati con il SSN;
• proroga, sino al 31 dicembre 2024, l’applicazione delle misure straordinarie per il conferimento di incarichi semestrali di lavoro autonomo ai medici specializzandi e di incarichi a tempo determinato al personale delle professioni sanitarie, agli operatori socio-sanitari e ai medici specializzandi iscritti regolarmente all’ultimo e al penultimo anno di corso della scuola di specializzazione;
• estende al 31 dicembre 2024 l’applicazione delle disposizioni relative al conferimento di incarichi di lavoro autonomo ai laureati in medicina e chirurgia, abilitati e iscritti agli ordini professionali anche se privi della specializzazione, nonché il termine relativo alla proroga degli incarichi semestrali di
lavoro autonomo per dirigenti medici e personale del ruolo sanitario, collocati in quiescenza, anche
non iscritti al competente albo professionale;
• proroga fino alla pubblicazione dell’elenco nazionale aggiornato e, comunque, non oltre il 31
dicembre 2024, il termine di validità dell’iscrizione nell’elenco nazionale dei soggetti idonei alla
nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale;
• prevede che l’aggiornamento delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze per i bienni 2024/25 –2025/26 sia disciplinato con Ordinanza Ministeriale e che le graduatorie siano sottoposte a rinnovi biennali;
• prevede che, per il solo anno scolastico 2024/2025, le Regioni provvedono al dimensionamento della rete scolastica, entro e non oltre il 5 gennaio 2024, e hanno la possibilità di attivare un ulteriore numero di autonomie scolastiche in misura non superiore al 2,5% del contingente dei corrispondenti posti di dirigente scolastico e di direttore dei servizi generali ed amministrativi; alle autonomie
attivate potranno essere attribuite solo reggenze, senza incremento delle facoltà assunzionali; dette autonomie, inoltre, non rilevano ai fini della mobilità e delle nomine in ruolo dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi;
• prevede che, a decorrere dall’anno scolastico 2024/2025, la possibilità di richiedere la concessione dell’esonero o del semi esonero dall’insegnamento sia estesa anche alle istituzioni scolastiche oggetto di accorpamento a seguito del dimensionamento della rete scolastica;
• proroga al 31 dicembre 2024 il termine per lo svolgimento degli esami di Stato di abilitazione
all’esercizio di alcune professioni;
• rinvia all’anno accademico 2025/2026 l’attuazione del regolamento recante le procedure e le modalità per la programmazione e il reclutamento del personale docente e tecnico del comparto AFAM;
• proroga all’anno accademico 2024/2025 le disposizioni transitorie che consentono il reclutamento di docenti AFAM mediante concorsi, nelle more dell’entrata in vigore del nuovo regolamento in materia di reclutamento, prevedendo, altresì, che al personale in questo modo reclutato, si applichi l’obbligo di permanenza nella sede di prima destinazione per cinque anni;
• riassegna al Comitato previdenza Italia le funzioni e i fondi relativi alla promozione e allo sviluppo
della previdenza complementare, che, con il dl 75/23 (PA2), erano stati assegnati ad Assoprevidenza.
• consente fino al 31 dicembre 2024 l’utilizzo temporaneo di un contingente di segretari comunali e provinciali da parte del Dipartimento della funzione pubblica;
• prevede che le procedure semplificate per l’accesso alla carriera di segretario comunale e provinciale possono essere applicate ai bandi di concorso per il reclutamento dei segretari comunali e provinciali fino al 31 dicembre 2024;
• proroga fino al 31 dicembre 2024 l’autorizzazione alle assunzioni a tempo indeterminato nell’ambito del comparto sicurezza-difesa e presso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché quelle connesse alle cessazioni del personale di ruolo verificatesi nel periodo 2013-2022, quelle a
valere su apposito Fondo e, per il Ministero dell’interno, quelle relative a determinate unità di
personale, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste nell’ambito della vigente dotazione organica;
• proroga al 31 dicembre 2024 la validità della graduatoria della procedura speciale di reclutamento nella qualifica di vigile del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, riservata la personale volontario del medesimo Corpo, approvata con decreto n. 310 del 2019;
• prevede che le procedure concorsuali del Ministero dell’Interno già autorizzate per il triennio 2018-2020, per il triennio 2019-2021, per gli anni 2020 e 2021, per il triennio 2021-2023 e per l’anno 2022, possono essere espletate fino al 31 dicembre 2024;
• proroga al 30 giugno 2026 la durata massima di 36 mesi dei contratti del personale assunto a tempo determinato addetto all’ufficio per il processo e la durata massima di 36 mesi dei contratti del personale assunto a tempo determinato per il supporto alle linee progettuali per la giustizia del PNRR;
• prevede che le procedure concorsuali già autorizzate e relative al reclutamento di personale dirigenziale e non dirigenziale del ruolo Agricoltura e del ruolo dell’Ispettorato centrale della tuteladella qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) possono essere espletate fino al 31 dicembre 2024.
Di seguito si propone una scheda, nella quale vengono illustrate le sole novità e modifiche intervenute in materia di lavoro e previdenza rispetto all’iniziale decreto.
- Articolo 14, commi da 2-bis a 2-quinquies Lavoro sportivo
La legge di conversione ha disposto significativi interventi e differimenti di alcuni termini nel settore sportivo dilettantistico. Viene sostituito il comma 6-quater dell’articolo 25 del D.lgs n. 36/2021, prorogando dal 30 gennaio 2024 al 31 marzo 2024 il termine per l’invio delle comunicazioni al centro per l’impiego dei rapporti di lavoro con direttori di gara e lavoratori sportivi che sono preposti a garantire il regolare svolgimento delle competizioni sportive. Lo slittamento dei termini, senza applicazione di sanzioni, riguarda esclusivamente il periodo luglio[1]dicembre 2023. Vengono inoltre riaperti i termini, dal 31 dicembre 2023 al 30 giugno 2024, per l’esercizio del diritto d’opzione per gli istruttori presso impianti e circoli sportivi, direttori tecnici e istruttori presso società sportive. Chi risultava infatti, alla data del 1° luglio 2023, iscritto al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo aveva la possibilità di esercitare entro il 31 dicembre 2023 (ora entro il 30 giugno 2024) il diritto a mantenere l’iscrizione al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo. Nel caso di mancato esercizio del diritto di opzione, a decorrere dal 1° luglio 2023, i suddetti lavoratori “migrano” in base alla natura del rapporto di lavoro e del settore in cui operavano: a) al Fondo pensione dei lavoratori sportivi se lavoratori sportivi subordinati, autonomi o co.co.co del settore professionistico o lavoratori subordinati sportivi del settore dilettantistico; b) alla Gestione separata Inps se autonomi o co.co.co del settore dilettantistico. La legge n. 18/2024 dispone che fino al 31 dicembre 2024, sui premi ad atleti partecipanti a manifestazioni sportive dilettantistiche, non si applica la ritenuta alla fonte del 20% entro il limite di 300 euro di somme percepite. Qualora l’ammontare dei premi versati dal 29 febbraio 2024 al 31 dicembre 2024 dal medesimo ente/sodalizio dovesse superare l’importo complessivo di 300 euro, le somme sono interamente assoggettate alla ritenuta alla fonte.
- Articoli 18, comma 4-bis Contratti a tempo determinato. Una importante novità, introdotta in sede di conversione, riguarda la proroga al 31 dicembre 2024 del termine entro il quale, in assenza di previsioni o causali individuate dai contratti collettivi stipulati a tutti i livelli dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, al contratto di lavoro subordinato individuale potrà essere apposto un termine di durata superiore ai 12 mesi, comunque non eccedente il limite dei ventiquattro mesi. Entro il 31 dicembre 2024, pertanto, le parti (datore di lavoro e lavoratore) potranno individuare, oltre all’ipotesi di sostituzione di altri lavoratori, esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustifichino l’apposizione del termine oltre il perimetro relativamente libero della acausalità.
- Articolo 18, commi 4-ter e 4-quater Incentivi per il lavoro delle persone con disabilità La legge n. 18/2024 modifica la disciplina transitoria introdotta dall’art. 28 del decreto-legge n. 48/2023 che prevede un incentivo all’assunzione, da parte di enti del Terzo settore e di altri enti ad essi assimilabili, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, di soggetti con disabilità e di età inferiore a trentacinque anni per lo svolgimento di attività conformi allo statuto. Viene in particolare sostituito il termine iniziale del periodo entro il quale, al fine del beneficio in oggetto, le assunzioni possono essere o essere state effettuate, ponendo tale decorrenza al 1° agosto 2020, anziché al 1° agosto 2022; il successivo comma 4-quater differisce dal 31 dicembre 2023 al 30 settembre 2024 il termine finale entro cui devono essere effettuate, sempre al fine in oggetto, le assunzioni.
Pubblicato in Gazzetta il 2 marzo2024, il DL 19/2024 (PNRR-bis) che contiene al suo interno anche norme per la prevenzione e contrasto alle irregolarità in ambito lavorativo e contributivo.
Le principali novità riguardano, in sintesi:
- 𝗗𝘂𝗿𝗰 𝗲 𝗮𝗴𝗲𝘃𝗼𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 – Il Decreto apporta modifiche alla norme che stabiliscono i pre-requisiti per il riconoscimento dei benefici normativi e contributivi in favore del datore di lavoro;
- 𝗘𝘀𝘁𝗲𝗿𝗻𝗮𝗹𝗶𝘇𝘇𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗺𝗮𝗻𝗼𝗱𝗼𝗽𝗲𝗿𝗮 𝗶𝗿𝗿𝗲𝗴𝗼𝗹𝗮𝗿𝗶 – Inasprite le sanzioni per appalti, somministrazione, distacchi di manodopera irregolari;
- 𝗟𝗶𝘀𝘁𝗮 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗼𝗿𝗺𝗶𝘁𝗮̀ 𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗹’𝗜𝗡𝗟 – Istituita presso l’Ispettorato, consente il rilascio di un attestato di conformità della durata di 12 mesi che esonera il datore di lavoro da eventuali accertamenti ispettivi ;
- 𝗖𝗼𝗻𝗴𝗿𝘂𝗶𝘁𝗮̀ 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗺𝗮𝗻𝗼𝗱𝗼𝗽𝗲𝗿𝗮 – Verifica obbligatoria della congruità per il responsabile di progetto o per il committente prima del saldo dei lavori;
- 𝗣𝗮𝘁𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗮 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗶 𝗻𝗲𝗶 𝗰𝗮𝗻𝘁𝗶𝗲𝗿𝗶 – Limitatamente ai cantieri temporanei e mobili per garantire maggiori standard di sicurezza sul lavoro;
- 𝗖𝗼𝗻𝘁𝗿𝗮𝘀𝘁𝗼 𝗮𝗹𝗹𝗲 𝘃𝗶𝗼𝗹𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗶𝗯𝘂𝘁𝗶𝘃𝗲 – Modifica l’apparato sanzionatorio, in materia contributiva è prevista per agevolare l’emersione omissioni e evasioni contributive.
ll D.L. n. 19 del 2024 ha reintrodotto il reato di somministrazione illecita di manodopera, che punisce il somministratore e l’utilizzatore con la pena dell’arresto fino a un mese o l’ammenda di euro 60 per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione. L’apparato sanzionatorio in tema di esternalizzazioni illecite e fraudolente prevede, inoltre, delle circostanze aggravanti e dei limiti entro i quali determinare le sanzioni che vanno applicate.
Quali sono? Nel complesso come è cambiata la disciplina sanzionatoria in materia di appalti? Ripristino delle sanzioni penali in caso di esternalizzazioni illecite e inasprimento delle pene. Sono queste alcune delle novità contenute nell’art. 29 del D.L. n. 19/2024 recante “Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”.
Per contrastare l’ormai dilagante fenomeno dell’interposizione illecita di manodopera (somministrazione di lavoro abusiva, utilizzazione illecita, appalto e distacco illeciti) e sull’onda emotiva dei tragici infortuni sul lavoro verificatisi recentemente, il Governo ha introdotto alcune misure che tendono ad inasprire le conseguenze a carico dei datori di lavoro.
In assenza degli elementi sostanziali e formali dell’appalto si configura un’ipotesi di somministrazione abusiva a carico dello pseudo appaltatore ed una conseguente utilizzazione illecita a carico dello pseudo committente.
Sotto il profilo civilistico il lavoratore interessato può richiedere, mediante ricorso giudiziale ex art. 414 c.p.c., la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dello pseudo committente.
Per l’appalto “non genuino”, inoltre, dal 2 marzo 2024 è previsto l’arresto fino a un mese o l’ammenda di 60 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro a carico tanto dell’utilizzatore quanto dello pseudo appaltatore.
Si fa presente che alle medesime conseguenze sanzionatorie va incontro anche chi trasgredisce le norme sul distacco di personale (art. 30, D.Lgs. n. 276/2003).
In pratica, dunque, a prescindere dallo schema giuridico formalmente adottato, si concretizza il reato di somministrazione illecita tutte le volte che viene effettuata una mera fornitura di manodopera da parte di soggetti non preventivamente autorizzati dal Ministero del lavoro.
L’art. 29, co. 4, del D.L. n. 19/2024, nell’abrogare l’art. 38-bis del D.Lgs. n. 81/2015, ha modificato le conseguenze sanzionatorie della c.d. “somministrazione fraudolenta“ e ha riportato la fattispecie all’interno della sede originaria rappresentata dal Decreto Biagi.
In pratica, per effetto di questa modifica, all’art. 18 del D.Lgs. 276/2003 è stato aggiunto il comma 5-ter secondo cui “Quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, il somministratore e l’utilizzatore sono puniti con la pena dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda di euro 100 per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione”.
Per mezzo della circolare n. 3/2019 l’INL ha già in passato avuto modo di fornire, al proprio personale ispettivo, alcune rilevanti indicazioni operative (che si ritengono tutt’ora valide) in merito a questo reato. In particolare, l’Agenzia ha puntualizzato che:
– vi sono degli elementi sintomatici del reato in questione che, una volta accertati, sono idonei a dimostrare la condotta fraudolenta. Difatti, il ricorso all’appalto illecito costituisce, di per sé, elemento sintomatico di una finalità fraudolenta, che il Legislatore ha inteso individuare nell’elusione di “norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore”. Fra queste norme, ad esempio, possono esservi quelle che stabiliscono la determinazione degli imponibili contributivi (art. 1, co. 1, D.L. 338/1989), o quelle che introducono divieti alla somministrazione di lavoro (art. 32, D.Lgs. n. 81/2015), ovvero che prevedono determinati requisiti per la stipula del contratto (art. 32, D.Lgs. n. 81/2015) o, ancora, specifici limiti alla somministrazione (artt. 31 e 33, D.Lgs. n. 81/2015).
Nell’ambito di un appalto “il conseguimento di effettivi risparmi sul costo del lavoro derivanti dalla applicazione del trattamento retributivo previsto dal CCNL dall’appaltatore e dal connesso minore imponibile contributivo, così come una accertata elusione dei divieti posti dalle disposizioni in materia di somministrazione, risulta sicuramente sufficiente a dimostrare quell’idoneità dell’azione antigiuridica che disvela l’intento fraudolento”. La presenza di tali circostanze dovrà comunque essere supportata con l’acquisizione, da parte del personale ispettivo, di idonei elementi istruttori che si possono desumere anche dalla consultazione delle banche dati degli istituti previdenziali (verifica della correntezza contributiva) o dello stesso Ispettorato (es. pregresso ricorso al lavoro nero);
– oltre che per mezzo dello schema negoziale dell’appalto, il reato di somministrazione fraudolenta può concretizzarsi anche per mezzo della somministrazione effettuata da parte di agenzie autorizzate (art. 4 D.Lgs. n. 276/2003 e artt. 31, co.1 e 2, 32 e 33, co.1, lett.a), b), c) e d), del D.Lgs. 81/2015), tramite pseudo distacchi (art. 30, D.Lgs. n. 276/2003) o per mezzo di distacchi transnazionali illeciti (art. 3, D.Lgs. n. 136/2016).
L’apparato sanzionatorio in tema di esternalizzazioni illecite e fraudolente prevede delle circostanze aggravanti: gli importi di tutte le sanzioni previste dall’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003 siano aumentati del 20% nel caso che, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni penali per i medesimi illeciti. Al fine di punire chi viola abitualmente queste norme, il nuovo comma 5-quater dell’art. 18 introduce – anche all’interno di questo apparato sanzionatorio – il concetto di “recidiva specifica” già previsto per altre violazioni (es. raddoppio delle maggiorazioni delle sanzioni previsto dall’art. 1, co. 445, lett. e) Legge n. 145/2018 o delle somme aggiuntive da versare per la revoca del provvedimento di sospensione dell’attività patrimoniale previsto dall’art. 14, del TUSL).
In caso di accertato sfruttamento di lavoratori minori, inoltre, è prevista la pena dell’arresto fino a diciotto mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo.
Il nuovo comma 5-quinqies dell’art. 18, D.Lgs. n. 276/2003 prevede dei limiti entro i quali determinare le sanzioni. In particolare, l’importo di tutte le sanzioni contemplate in quell’articolo non possa comunque essere inferiore a 5.000 euro, né superiore a 50.000 euro. Al riguardo va evidenziato come, il congelamento della soglia massima di 50 mila euro già prevista in passato per la sanzione amministrativa depenalizzata ex D.Lgs. n. 8/2016, ineluttabilmente ridurrà in maniera sensibile l’effetto deterrente prodotto dalla condivisibile reintroduzione dei reati. Difatti, ipotizzando che i contravventori adempiano al provvedimento di prescrizione obbligatoria impartita (v. paragrafo successivo), nella peggiore delle ipotesi potranno estinguere la violazione penale col pagamento della somma di 12.500 euro (un quarto della soglia massima di 50 mila euro). Peraltro, come pure da altro commentatore già sottolineato, la previsione di un tetto massimo di queste sanzioni sembrerebbe porsi anche in contrasto coi principi generali contenuti nell’art. 27 C.p. secondo cui “Le pene pecuniarie proporzionali non hanno limite massimo”.
Si precisa, infine, che in presenza di appalto illecito che coinvolga più soggetti (es. committente e più imprese appaltatrici), il limite di 50 mila euro trova applicazione in riferimento a ciascun appalto (cfr. MLPS nota n. 15764 del 09/08/2016).
In presenza di violazioni di carattere penale punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ovvero con la sola ammenda, l’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004 prevede che il personale ispettivo impartisca ai contravventori un’apposita prescrizione obbligatoria ai sensi degli
articoli 20 e 21 del D.Lgs. n. 758/1994, e per gli effetti degli articoli 23 e 24 e 25, comma 1, dello stesso decreto. Si fa presente che, trattandosi di violazione penalmente rilevante, l’adozione del provvedimento potrà avvenire anche in presenza di un eventuale contratto certificato, senza alcuna necessità, quindi, che venga seguita la preventiva procedura conciliativa innanzi alla commissione postulata dall’art. 80 del D.Lgs. n. 276/2003.
Il personale ispettivo – in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria – dovrà inoltre osservare le norme del Codice di procedura penale e, fra queste, anche l’art. 347 col conseguente obbligo di informare tempestivamente la Procura della Repubblica territorialmente competente.
Essendo la somministrazione illecita un reato di tipo permanente, l’offesa al bene giuridico si protrae per tutta la durata della somministrazione illecita, coincidendo la sua consumazione con la cessazione della condotta, la quale assume rilevanza sia ai fini della individuazione della norma applicabile, sia ai fini della decorrenza del termine di prescrizione (cfr. INL Circ. n. 3/2019).
Pertanto, si ritiene che, relativamente alle condotte iniziate prima della data di entrata in vigore della DL n. 19/2024 e che si protraggono successivamente a tale data, il reato in questione possa configurarsi soltanto a decorrere dal 2 marzo 2024, con conseguente commisurazione della relativa sanzione penale soltanto per le giornate che partono da quella data (per il periodo antecedente, invece, resta applicabile unicamente la sanzione amministrativa di cui al previgente art. 18, co. 5-bis, del D.Lgs. n. 276/2003).
Legge 24 febbraio 2024 n. 15, in G.U. n. 46 del 24 febbraio 2024.
Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2022-2023.
All’interno della legge n. 15/2024, recante delega al Governo per il recepimento di direttive e atti europei emanati nel biennio 2022-2023, si segnalano due disposizioni rilevanti in materia di lavoro:
- princìpi e criteri direttivi per il recepimento della Direttiva (UE) 2022/431, che modifica la Direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro;
- princìpi e criteri direttivi per il recepimento della Direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interpello n. 1 del 6 febbraio 2024.
Sorveglianza sanitaria a seguito di assenza superiore a 60 gg. per motivi di salute.
In tema di salute e sicurezza sul lavoro il Ministero del Lavoro, con l’Interpello n. 1/2024 in risposta a un quesito presentato a fronte delle differenti applicazioni della disposizione di cui all’art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008 nei vari ambiti della pubblica amministrazione, ha sottolineato che la visita medica precedente la ripresa del lavoro per verificare l’idoneità alla mansione, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore a sessanta giorni continuativi, va eseguita solo se per la mansione sussiste l’obbligo della sorveglianza sanitaria.
Garante per la Protezione dei Dati Personali, provvedimento del 21 dicembre 2023.
Programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica nel contesto lavorativo e trattamento dei metadati.
La gestione dei messaggi di posta elettronica dei lavoratori con modalità cloud può dare luogo a un trattamento dei dati personali, con la conseguente necessità di applicare tutte le garanzie e le procedure previste dalla legge. Il Garante Privacy, con il provvedimento n. 642 del 21 dicembre 2023, pubblicato sulla newsletter n. 517 del 6 febbraio 2024, comunica di aver adottato un documento di indirizzo contenente regole per la gestione da parte dei datori di lavoro (pubblici e privati) della posta elettronica dei propri dipendenti e collaboratori, utili a prevenire trattamenti di dati in contrasto con la disciplina sulla protezione dei dati personali e le norme che tutelano la libertà e la dignità dei lavoratori.
Il Provvedimento nasce dalla finalità dichiarata di prevenire il rischio che programmi e servizi informatici utilizzati dai datori di lavoro per la gestione della posta elettronica, forniti da soggetti terzi in modalità cloud, possano raccogliere, in modo preventivo e generalizzato, i metadati relativi all’utilizzo degli account di posta elettronica in uso ai dipendenti (ad esempio, giorno, ora, mittente, destinatario, oggetto e dimensione dell’email), conservando gli stessi per un periodo troppo esteso.
Il Garante ribadisce, in linea con il proprio consolidato indirizzo, che il contenuto dei messaggi di posta elettronica – come pure i dati esteriori delle comunicazioni e i file allegati – sono forme di corrispondenza assistite da garanzie di segretezza, tutelate anche costituzionalmente. Ciò comporta che, anche nel contesto lavorativo pubblico e privato, sussista una legittima aspettativa di riservatezza in relazione ai messaggi oggetto di corrispondenza. Anche in tale ambito, pertanto, il datore di lavoro deve sempre verificare la sussistenza dei presupposti di liceità stabiliti dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Tale norma, secondo il Garante, essendo di natura eccezionale, consente di usare gli strumenti di controllo a distanza, senza preventivo accordo sindacale o senza autorizzazione amministrativa, solo se servono alla «registrazione degli accessi
e delle presenze» oppure sono necessari allo «svolgimento della prestazione». In questa ultima nozione va inclusa solo l’attività di raccolta e conservazione dei cosiddetti metadati necessari ad assicurare il funzionamento delle infrastrutture del sistema della posta elettronica, per un tempo di poche ore o giorni.
I datori di lavoro che per esigenze organizzative e produttive o di tutela del patrimonio anche informativo del titolare avessero necessità di trattare i metadati per un periodo di tempo più esteso rispetto a quanto indicato dal Garante possono, quindi, farlo solo dopo aver espletato le procedure di garanzia previste dallo Statuto dei lavoratori (accordo sindacale o autorizzazione dell’ispettorato del lavoro). Senza tale passaggio, l’impiego dei programmi e servizi di gestione della posta elettronica in modalità cloud si porrebbe in contrasto non solo con le disposizioni contenute nello Statuto dei Lavoratori, ma altresì con la normativa in materia di protezione dei dati personali.
Corte di Cassazione, ordinanza 20 febbraio 2024, n. 4458.
Ancora sui comportamenti extralavorativi e la giusta causa di licenziamento.
Tribunale e Corte d’appello avevano annullato il licenziamento per giusta causa di un addetto alla raccolta dei rifiuti, intimatogli dalla società datrice per essere stato condannato in via definitiva, prima dell’assunzione, per il delitto di associazione mafiosa, ex art. 416 bis c.p. in relazione a fatti di 20 anni prima. In sede di legittimità, la Corte, rigettando il ricorso della datrice di lavoro, osserva che: (i) per consolidato orientamento giurisprudenziale, condotte costituenti reato realizzate a rapporto lavorativo non ancora iniziato possono integrare giusta causa di licenziamento (non disciplinare) solo allorché la condotta extralavorativa per la quale sia intervenuta condanna irrevocabile risulti incompatibile con l’essenziale elemento fiduciario del rapporto di lavoro; (ii) nel caso di specie, i giudici di merito hanno correttamente osservato che la condanna, pur essendo teoricamente infamante, non ha però compromesso l’affidamento del datore di lavoro sui futuri adempimenti, anche in considerazione delle mansioni del dipendente (autista di mezzi utilizzati per la raccolta rifiuti), prive di qualsivoglia potere gerarchico o decisionale, il che esclude qualsivoglia rischio di infiltrazioni mafiose nella società.
Corte di Cassazione, ordinanza 5 febbraio 2024, n. 3264.
Reintegrazione giudiziale e termine per la ripresa del servizio.
Un lavoratore illegittimamente licenziato e quindi reintegrato con sentenza, si era rifiutato di aderire all’invito del datore di lavoro di riprendere servizio entro 8 giorni, sostenendone la nullità, in quanto il termine di legge sarebbe stabilito in 30 giorni. Viceversa, il datore di lavoro, affermando la legittimità dell’invito, aveva ritenuto il dipendente dimissionario. Nel conseguente giudizio, la Cassazione, confermando il rigetto del ricorso del lavoratore, osserva che: (i) l’art. 18, co. 5, l. 300/70 (nella formulazione vigente all’epoca dei fatti, risalenti al 2014) non impone al datore di lavoro di fissare al lavoratore il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’invito per la ripresa del servizio, ma si limita a stabilire che la produzione dell’effetto della risoluzione di diritto del rapporto è fissata al trentesimo giorno successivo al ricevimento dell’invito, sempre che il lavoratore, come nel caso di specie, non abbia esercitato il diritto di opzione per l’indennità; (ii) ciò significa che il datore di lavoro può indicare per la ripresa del servizio anche una data anteriore allo scadere dei 30 giorni, ma, in tal caso, il rapporto di lavoro sarà risolto di diritto solo allo scadere del trentesimo giorno dal ricevimento di detto invito, rimanendo sino a tale termine dovuta la retribuzione.
Corte di Cassazione, sentenza 26 gennaio 2024, n. 2516.
Ancora sul licenziamento del dipendente che lavora durante l’assenza per malattia.
Nel caso di un dipendente licenziato per avere prestato attività lavorativa per due giorni presso l’attività commerciale della moglie durante un periodo di assenza per malattia protrattosi per una settimana, la Cassazione, nel confermare il rigetto dell’impugnazione, ribadisce che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la stessa attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.
Corte di cassazione penale, sentenza 22 gennaio 2024, n. 2557.
La formazione del lavoratore su uno specifico rischio non sostituisce l’obbligo di trattarne specificatamente nel documento di valutazione rischi.
Un’impresa di verniciatura di manufatti era stata condannata dal Tribunale a un’ammenda perché nel documento di valutazione dei rischi non aveva indicato la procedura necessaria a consentire ai dipendenti di svolgere in sicurezza le operazioni d’imbracature dei carichi. In sede di giudizio di cassazione, era stato tra l’altro rilevato dall’impresa che i suoi dipendenti avevano ricevuto una specifica formazione in ordine alle operazioni in questione, che erano pertanto in grado di svolgere in tutta sicurezza, con la corretta scelta dei ganci necessario per il tipo, il peso e la forma del carico. A questo riguardo la Corte, confermando la decisione del Tribunale, ribadisce che l’eventuale formazione del lavoratore in ordine a uno specifico rischio lavorativo non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di specificare nel documento di valutazione dei rischi la procedura necessaria ad evitare ogni tipo di rischio presente e quindi anche quello su cui si sia svolta la formazione.
Corte di Cassazione, ordinanza n. 1472/2024.
La Corte di Cassazione ritiene legittimo il licenziamento della dipendente che, durante il periodo di malattia, ha svolto un’attività altrove.
Nello specifico, i giudici di merito aveva ritenuto che la condotta della lavoratrice fosse tale da ledere il vincolo fiduciario con il datore di lavoro in modo grave, dimostrando scarsa correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro: l’attività eseguita in periodo di congedo violava i suoi doveri di cura e di sollecita guarigione.
La ricorrente ha lamentato la contraddittorietà della pronuncia che giudicava contrario a tali doveri la sua condotta, dal momento che era stato dimostrato il suo rientro in servizio subito dopo aver svolto l’attività altrove.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e rileva che quanto indicato dalla Corte d’Appello è conforme alla giurisprudenza di legittimità e che il lavoratore deve astenersi da comportamenti che ledono l’inteesse datoriale alla corretta esecuzione dell’obbligazione dedotta in contratto.
Corte d’appello di Milano, 15 novembre 2023.
Discriminatoria la sospensione sine die del lavoratore affetto da disabilità per asserita impossibilità di adottare accomodamenti ragionevoli.
Il Collegio accoglie il ricorso del lavoratore, riconosciuto invalido civile nella misura del 67%, il quale era stato dichiarato dal medico competente permanentemente inidoneo alla mansione e, in forza di ciò, era stato sospeso cautelarmente dal servizio e dalla retribuzione in attesa di valutazione da parte della Commissione medica dell’azienda sanitaria territoriale (sospensione per peraltro durava da lungo tempo). Non avendo il datore di lavoro fornito la prova, né tantomeno allegato, di aver compiuto uno sforzo diligente per trovare una soluzione organizzativa al fine di consentire al lavoratore di svolgere attività lavorativa su mansioni compatibili (come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità e dalla normativa europea), la Corte meneghina ha ritenuto sussistente una discriminazione per motivi di disabilità e, pertanto, ha dichiarato nulla la sospensione, condannando la società a ripristinare il rapporto in mansioni compatibili con lo stato di salute del ricorrente e a risarcire il danno in misura corrispondente a tutte le retribuzioni maturate dalla data della sospensione a quella della riammissione in servizio.
NEWSLETTER n. 2/2024
Novità normative e giurisprudenziali
Novità Normative
INPS, messaggio n. 30 del 4 gennaio 2024
“Criteri di computo del rateo della tredicesima e della quattordicesima mensilità nel calcolo dell’indennità per il congedo straordinario di cui all’articolo 42, commi 5 e seguenti, del Decreto legislativo n. 151/2001, in favore dei lavoratori dipendenti del settore privato. Precisazioni”.
Con messaggio n. 30/2024 l’INPS fornisce indicazioni in ordine ai criteri di computo del rateo della tredicesima e della quattordicesima mensilità nel calcolo dell’indennità per il congedo straordinario.
Il congedo straordinario, disciplinato dall’art. 42 del D.lgs. 151/2001, come modificato dall’articolo 4 del D.lgs. n. 119/2011, stabilisce che: “5-ter. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa […]”. Tale comma, nell’indicare la misura dell’indennità, la lega all’ultima retribuzione, limitandola alle voci fisse e continuative del trattamento e escludendo gli elementi variabili connessi alla presenza.
Sul punto l’Istituto Nazionale di Previdenza, riprendendo la Circolare n. 64 del 15 marzo 2001, precisa che l’indennità deve includere il rateo della tredicesima mensilità e altre mensilità aggiuntive.
La tredicesima mensilità trova la propria base normativa nel Decreto Legislativo n. 263 del 25 ottobre 1946. Questa “gratificazione”, secondo l’Istituto, è diventata un emolumento fisso e ricorrente, corrisposto a fine anno a tutti i dipendenti pubblici e privati, come confermato dalla giurisprudenza amministrativa e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Pertanto, in virtù della previsione dell’art. 5-ter dell’articolo 42, il quale include nei criteri di computo del congedo straordinario, oltre all’ultima retribuzione, “le voci fisse e continuative del trattamento”, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità calcolata sull’ultima retribuzione precedente al congedo, includendo le voci fisse e continuative del trattamento, quali il rateo della tredicesima mensilità e altre mensilità aggiuntive, escludendo gli emolumenti variabili.
DECRETO LEGISLATIVO 30 dicembre 2023, n. 216
“Attuazione del primo modulo di riforma delle imposte sul reddito delle persone fisiche e altre misure in tema di imposte sui redditi”.
Tra le principali novità della Legge di Bilancio 2024 sono state previste le nuove aliquote e i nuovi scaglioni di reddito da impiegare per il calcolo dell’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche per l’anno 2024.
A norma dell’art. 1, comma 1 del D.lgs. 30.12.2023, n. 216, per l’anno 2024, nella determinazione dell’IRPEF, l’imposta lorda è calcolata applicando le seguenti aliquote per scaglioni di reddito:
- fino a 28.000,00 euro, 23%;
- oltre 28.000,00 euro e fino a 50.000 euro, 35%;
- oltre 50.000,00 euro, 43%.
Sempre per l’anno 2024, inoltre, la detrazione per lavoro dipendente è innalzata da 1.880 euro (se il reddito complessivo non supera 15 mila euro) a 1.955 euro (art.1, comma secondo).
Tra le altre novità, la legge di bilancio ha previsto:
- l’innalzamento a 1.955,00 euro della detrazione prevista per i redditi di lavoro dipendente – esclusi i redditi di pensione – e di taluni redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente;
- la modifica del requisito per la corresponsione della somma a titolo di trattamento integrativo;
- la diminuzione di un importo pari a 260 euro ai fini dell’IRPEF, per i contribuenti titolari di un reddito complessivo superiore a euro 50.000, l’ammontare della detrazione dall’imposta lorda spettante in relazione a taluni oneri;
- la maggiorazione, nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, per i titolari di reddito d’impresa e per gli esercenti arti e professioni, del costo del personale di nuova assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ai fini della determinazione del reddito, di un importo pari al 20% del costo riferibile all’incremento occupazionale.
NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI
Corte di giustizia UE, sentenza 18 gennaio 2024 in causa n. C-218/22
Bocciata la legge italiana che vieta al dipendente pubblico la monetizzazione delle ferie in caso di dimissioni.
Oggetto del giudizio incidentale della Corte è l’art. 5 D.L. italiano del 6 luglio 2012 n. 95, il quale, nella versione vigente all’epoca dei fatti (ottobre 2016), vieta per i dipendenti pubblici la corresponsione di un’indennità sostitutiva delle ferie anche in caso di dimissioni, risoluzione del rapporto, mobilità etc. Il rinvio incidentale della questione alla Corte di giustizia era stato effettuato in una causa in cui un dipendente comunale aveva chiesto, al momento delle sue dimissioni volontarie, il pagamento di una indennità in sostituzione delle ferie non godute nel corso del rapporto. Avanti alla Corte di giustizia la questione della conformità del divieto al diritto comunitario era stata difesa dal governo italiano con ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative della pubblica amministrazione. Inoltre era stato sottolineato che il lavoratore avrebbe potuto correttamente esercitare il diritto alle ferie prima di dimettersi. La Corte spazza via ogni obiezione dell’Italia, ribadendo la propria costante giurisprudenza sul carattere fondamentale del diritto incondizionato alle ferie nonché a un’indennità finanziaria sostitutiva di esse nel solo caso in cui al momento della cessazione del rapporto di lavoro, anche per dimissioni volontarie, queste non siano state godute. Né ragioni organizzative o attinenti al contenimento della spesa pubblica possono giustificare, secondo la Corte, il rifiuto dell’indennità sostitutiva (come invece ritenuto dalla Corte costituzionale italiana, che aveva respinto la questione di costituzionalità della norma di legge in esame). La Corte di giustizia ricorda infine che il dipendente, per fruire, nelle condizioni date, dell’indennità finanziaria sostitutiva, non ha l’onere di provare di non aver potuto godere delle ferie per fatto a lui non imputabile, ma è il datore di lavoro che deve dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria per fargliele fruire.
Corte di Cassazione, ordinanza 22 dicembre 2023, n. 35922
Quando il licenziamento del sindacalista che critica su Facebook l’azienda è legittimo.
Un rappresentante sindacale aziendale, licenziato per avere pubblicato sulla propria bacheca Facebook, visibile alla generalità degli utenti, reiterati commenti ritenuti gravemente lesivi dell’immagine dell’azienda e di persone a essa collegate, aveva impugnato il licenziamento, sostenendo la violazione dell’art. 7 S.L., (non avendo avuto riscontro la sua richiesta di audizione orale), la natura illecita dell’atto e comunque la sua ingiustificatezza. I giudici di merito avevano
respinto il ricorso, accertando che la richiesta di audizione comunicata per PEC non era stata ricevuta dalla società e rilevando il carattere diffamatorio dei messaggi pubblicati dal dipendente che travalicavano altresì i limiti di continenza verbale, eccedendo il perimetro di liceità dell’esercizio del diritto di critica nell’ambito delle relazioni sindacali. La Cassazione, nel confermare la decisione di merito, osserva che: (i) in ordine al tema della richiesta di audizione, il sistema di posta elettronica ordinaria è privo delle caratteristiche che consentono di attestare con certezza, alla stregua della disciplina codicistica, l’avvenuta ricezione della comunicazione da parte del destinatario, sul quale quindi grava l’onere probatorio relativo, nel caso di specie non assolto; (ii) quanto all’esercizio del diritto di critica sindacale, garantito dagli artt . 21 e 39 della Costituzione, esso incontra i limiti della correttezza formale e sostanziale che sono imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita (art. 2 Cost.) di tutela della persona, con la conseguenza che, ove tali limiti siano, come nel caso di specie, superati con l’attribuzione all’impresa datoriale o ai suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli, con riferimenti denigratori non certi, il comportamento del lavoratore
Corte di cassazione, ordinanza 19 dicembre 2023 n. 35527
Divieto di licenziamento della lavoratrice madre e cessazione dell’attività dell’azienda.
Licenziata dal fallimento dell’impresa datrice di lavoro, una lavoratrice madre aveva impugnato il licenziamento, sostenendo che l’impresa fallita aveva continuato a svolgere una pur ridotta attività e quindi invocando la legge che vieta il licenziamento economico delle lavoratrici dall’inizio della gestazione al compimento di un anno di età del figlio, salvo il caso di cessazione dell’attività di impresa. In giudizio era poi risultato che il fallimento, sebbene non autorizzato all’esercizio provvisorio dell’azienda, aveva in corso un’attività di conservazione, in vista di una possibile cessione, per la quale era anche in corso la selezione del personale da mantenere in servizio. Posta davanti al dilemma interpretativo se privilegiare, in ordine al significato di cessazione dell’attività ai fini della tutela della maternità, una lettura meramente formale della legge (il fallimento senza esercizio provvisorio la determina giuridicamente) o viceversa valorizzarne la sostanza, la situazione di fatto, la Corte, ricordando l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale in materia, ampiamente ispirata a principi di rilievo costituzionale e del diritto comunitario, opta per l’interpretazione sostanziale, affermando che per escludere la possibilità di licenziamento economico della lavoratrice madre è sufficiente la continuazione o la persistenza dell’impresa, a qualsiasi titolo essa avvenga.
Corte di Cassazione, Sez. Un., sentenza del 28 dicembre 2023 n. 36197.
La prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato decorre sempre – tanto in caso di rapporto a tempo indeterminato, tanto di rapporto a tempo determinato– in costanza di rapporto.
L’istituto della prescrizione è tornato di grande attualità dopo la frammentazione del regime sanzionatorio dei licenziamenti e la graduazione delle tutele derivanti dalle riforme del 2012 e del 2015, riaccendendo il dibattito in ordine alla decorrenza della prescrizione dei crediti dei lavoratori e rimettendo in discussione i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale.
La sentenza della Cassazione prende le mosse da un contenzioso instaurato da dipendente stabilizzato di un ente pubblico, volto ad ottenere il riconoscimento dell’anzianità pregressa per gli scatti stipendiali, maturata nel periodo antecedente alla stabilizzazione.
La Sezione lavoro della Corte di Cassazione individuava nel caso di specie la dirimente questione, sottoposta successivamente alle Sezioni Unite, della decorrenza nel pubblico impiego contrattualizzato della prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori assunti a seguito di procedura di stabilizzazione, dopo lo svolgimento di rapporti di lavoro regolari e dotati di stabilità reale. L’ordinanza di remissione sottolineava la necessità di riconsiderare l’attuale orientamento giurisprudenziale in ragione dell’evoluzione socioeconomica dei rapporti di lavoro, di significativi mutamenti normativi che hanno interessato la materia del pubblico impiego e per effetto della sua contrattualizzazione.
Le Sezioni Unite, pronunciatesi sul tema, hanno ribadito il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, confermando che nel pubblico impiego, anche contrattualizzato e a tempo determinato, la prescrizione dei diritti retributivi ha inizio durante il rapporto di lavoro, seguendo l’insorgenza progressiva dei diritti o la cessazione del rapporto per i diritti originati da essa. La conferma della decorrenza della prescrizione in corso di rapporto si basa su considerazioni che attribuiscono maggior stabilità al rapporto pubblico rispetto a quello privato. Tale stabilità deriva principalmente dall’obbligo della Pubblica Amministrazione, imposto dalla legge e dalla Costituzione, di rispettare principi e vincoli che attenuano il timore del lavoratore rispetto a possibili ritorsioni in caso di difesa dei propri diritti. Inoltre, la presenza di una giurisdizione efficace di tutela del dipendente nel caso di atti illegittimi contribuisce a consolidare la maggiore sicurezza del rapporto di lavoro nel contesto pubblico.
Tribunale di Milano, 09.05.2023
Illegittimo, in assenza di causali, il ricorso a più contratti a termine e missioni nell’ambito di una somministrazione a tempo indeterminato, anche se contenuti nel limite massimo di 24 mesi, se la prestazione svolta non è realmente temporanea.
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da dei lavoratori che hanno svolto per l’impresa convenuta successivi periodo di lavoro assunti a termine e poi inviati in missione nell’ambito di una somministrazione a tempo indeterminato, e dichiara la sussistenza tra questi e la società utilizzatrice di un rapporto di lavoro diretto, in quanto si sono succeduti più rapporti di lavoro privi di specifica causale, per un periodo superiore ai 12 mesi. secondo il giudice, infatti, va valorizzata la giurisprudenza della corte di giustizia dell’unione europea, secondo la quale i rapporti di somministrazione devono avere un carattere necessariamente temporaneo, ed è compito dei giudici nazionali stabilire caso per caso una durata massima (sentenze c-681/2018 e c-232/20). nel caso specifico, deve essere applicato il limite di 12 mesi in assenza di specifiche cause giustificative: limite che il principio di temporaneità consente di applicare anche se non sia raggiunto il limite dei 24 mesi per sommatoria di rapporti a termine e somministrati.
Tribunale di Milano, 16 gennaio 2024, Tribunale di Trieste, 14 novembre 2023.
Si consolida l’orientamento sulla necessaria temporaneità nell’utilizzo di lavoratori somministrati, e sull’applicazione dei limiti dei rinnovi dei contratti a tempo determinato.
I Tribunali di Milano e Trieste accolgono le domande presentate da lavoratori somministrati e accertano la sussistenza di un rapporto di lavoro alle dirette dipendenze della società utilizzatrice, per carenza del requisito dell’effettiva temporaneità. infatti, anche in base alle recenti pronunce della corte di giustizia, la temporaneità del rapporto è ritenuta caratteristica essenziale della somministrazione di manodopera. di conseguenza, ai rapporti di somministrazione si applicano gli stessi limiti vigenti ratione temporis per i contratti a tempo determinato, il superamento dei quali può portare all’instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato.
Tribunale di Trieste, Sez. Lavoro, sentenza del 21 dicembre 2023
Il diritto al Lavoro Agile per i Lavoratori fragili deve conciliarsi con le esigenze e necessità organizzative aziendali.
Una lavoratrice presentava un ricorso d’urgenza assumendo di essere affetta da artrite reumatoide e invalida al 50%. Dopo aver lavorato in modalità agile per 5 giorni a settimana, il datore di lavoro le comunicava il passaggio al lavoro in presenza giustificandolo sulla base di esigenze organizzative aziendali. La lavoratrice denunciava quindi l’incompatibilità del suo stato di salute con il lavoro in presenza, affermando che l’azione del datore di lavoro si poneva in violazione dell’art. 2087 c.c., in virtù della compatibilità delle proprie mansioni con il lavoro agile, già espletato in precedenza presso il suo domicilio negli ultimi 3 anni. Nel valutare la questione, il giudice ha esaminato il quadro normativo vigente, confermando che il lavoro agile non costituisce un diritto assoluto, ma dipende dalla compatibilità delle mansioni. La sentenza del Tribunale ha riconosciuto la legittimità delle ragioni organizzative e produttive della convenuta, stabilendo che la lavoratrice aveva ottenuto il lavoro agile per due giorni a settimana in un compromesso tra le esigenze “meritevoli” di entrambe le parti. Nel respingere il ricorso, il Tribunale di Trieste ha inoltre affermato che la lavoratrice non aveva dimostrato il fumus boni iuris (la fondatezza del diritto) e che in ogni caso la decisione deve tener conto del potere del datore di lavoro di poter organizzare l’impresa, sottolineando che tale potere non è assoluto e può essere sindacato in caso di violazione del principio di buona fede e della reale compatibilità delle mansioni con il lavoro agile.
La sentenza rappresenta un importante precedente che bilancia il diritto del datore di organizzare l’azienda con l’obbligo di rispettare i diritti dei lavoratori, specialmente quelli riconosciuti per particolari condizioni di salute.
Corte di Cassazione, sentenza 14 dicembre 2023, n. 35066.
In tema di licenziamento per giusta causa, il lavoratore deve astenersi dal realizzare non solo comportamenti espressamente vietati ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con l’osservanza dei doveri di correttezza e di buona fede anche nei comportamenti extralavorativi.
La controversia in esame riguarda il licenziamento, per giusta causa, di un dipendente bancario che rivestiva la posizione di team leader. Tale decisione è scaturita dalla condotta ripetutamente molesta del dipendente nei confronti di due colleghe, comportamento che si è verificato al di fuori dell’ambiente lavorativo, causando notevoli danni sia alle dipendenti coinvolte sia alla banca datrice di lavoro. Nel corso del giudizio in Cassazione, la Corte Suprema ha respinto il ricorso avanzato dal lavoratore, qualificando le azioni del dipendente come veri e propri atti di molestia sul luogo di lavoro, nonostante siano fossero stati commessi in contesti estranei all’ambito lavorativo.
Secondo la giurisprudenza consolidata, affinchè possa configurarsi una giusta causa di recesso è necessario che il comportamento assunto dal dipendente costituisca una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento della fiducia che deve necessariamente sussistere tra le parti.
La giusta causa deve inoltre essere riferibile a un comportamento del lavoratore che non deve necessariamente sostanziarsi in un inadempimento, ma può anche riguardare fatti estranei alla prestazione lavorativa. L’elemento fiduciario che è fattore condizionante la permanenza del rapporto, può essere compromessa, non solo in conseguenza di specifici inadempimenti contrattuali, ma anche in ragione di condotte extralavorative che, seppure tenute al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione, nondimeno possono essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti qualora abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulle aspettative di un futuro e puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa.
Nel caso di specie la Corte ha elaborato il proprio ragionamento tenendo conto che le azioni extralavorative assumono rilevanza all’interno del rapporto di lavoro qualora comportino la violazione di obblighi e doveri correlati all’effettiva integrazione dell’autore nell’organizzazione aziendale. Inoltre la Cassazione ha ritenuto che l’onere di dimostrare l’irrimediabile lesività del vincolo fiduciario derivante dal comportamento extralavorativo del dipendente grava sul datore di lavoro. Quest’ultimo deve allegare in modo specifico il fatto in sé, quando tale comportamento si rifletta, anche solo potenzialmente ma in maniera oggettiva, sulla funzionalità del rapporto di lavoro, compromettendo le aspettative di un futuro adempimento puntuale. Nel caso specifico, la banca datrice di lavoro ha legittimamente tratto un allert particolare e giustificato dalle condotte extralavorative del dipendente team leader, mostrandosi eccezionalmente molesto e addirittura violento nei confronti di altre due dipendenti.
Tribunale di Roma, Sez. Lavoro, sentenza del 12 dicembre 2023, n. 9303
Il procedimento logico giuridico “trifasico” diretto alla determinazione dell’inquadramento contrattuale corretto.
Un lavoratore promuoveva ricorso davanti al Tribunale di Roma, in qualità di Giudice del Lavoro, volto ad accertare l’errato inquadramento contrattuale subito dall’ottobre del 2009 e, per l’effetto condannare la società datrice convenuta a inquadrare correttamente il lavoratore e corrispondere a quest’ultimo la somma dovuta a titolo di differenze retributive per l’errato inquadramento contrattuale. La società convenuta costituitasi in giudizio rilevava come il lavoratore in realtà non avesse svolto le mansioni come indicate nel ricorso introduttivo, eccependo in ogni caso l’inammissibilità per mancanza di allegazioni in sede istruttoria. In seguito all’integrazione del contraddittorio disposta d’ufficio dal Giudice, il Tribunale di Roma riteneva meritevole di accoglimento le ragioni di fatto e diritto poste a fondamento delle domande del ricorrente, sulla base di un procedimento logico-giuridico trifasico, diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato.
Il Giudice del Lavoro sottolinea infatti come l’art. 2103 del Codice civile, come modificato dal decreto legislativo n. 81/15, prevede che il lavoratore debba essere adibito alle mansioni corrispondenti alla categoria superiore acquisita successivamente o a mansioni equivalenti a quelle ultimamente svolte, senza diminuzione della retribuzione. Nell’articolo 2103, comma 1, infatti, possono distinguersi due ipotesi di acquisizione dell’inquadramento superiore rappresentate: l’una dalla promozione definitiva derivante dalla stabile assegnazione alla categoria superiore, l’altra dalla promozione automatica, vale a dire dalla assegnazione a mansioni superiori che, inizialmente temporanea, diventa definitiva una volta trascorsi sei mesi o il diverso termine previsto dalla contrattazione collettiva.
Il Tribunale evidenziava inoltre che è precipuo onere della parte interessata provare l’effettivo svolgimento di mansioni inquadrabili nel livello superiore richiesto, in virtù del principio di corrispondenza tra inquadramento e mansioni, secondo il cd. “giudizio trifasico”. Dunque, ai fini della determinazione dell’inquadramento spettante al lavoratore alla stregua delle qualifiche previste dalla disciplina collettiva di diritto comune, il giudice del merito deve dapprima identificare le qualifiche o categorie, interpretando le disposizioni collettive secondo i criteri di cui agli art. 1362 ss. c.c. e poi accertare le mansioni di fatto esercitate, confrontando infine le categorie o qualifiche così identificate con le mansioni svolte in concreto. In altre parole, occorre accertare le attività effettivamente svolte dal lavoratore, individuare la qualifica rivendicata e verificare che le prime corrispondano alle seconde secondo le disposizioni della contrattazione collettiva.
Tribunale di Milano, 6 dicembre 2023
L’INPS è il solo legittimato passivo in controversie relative alle prestazioni previdenziali che dovrebbero essere anticipate dal datore di lavoro, tra cui indennità di malattia e di maternità, ma non erogate.
Il Tribunale accoglie il ricorso di una lavoratrice promosso (anche) verso l’Inps, per ottenere il pagamento delle indennità di malattia e di maternità, non corrisposte dal datore di lavoro. Il Giudice ha anzitutto respinto le eccezioni di improponibilità sollevate dall’Istituto previdenziale per presunta assenza di domanda amministrativa, rilevando che parte ricorrente ha provato di aver trasmesso all’INPS i certificati relativi allo stato di malattia e di maternità. Inoltre, alla luce della giurisprudenza di legittimità, è stata ribadita la titolarità in capo al solo INPS del lato passivo del rapporto obbligatorio nelle ipotesi di prestazioni previdenziali di cui il datore di lavoro sia chiamato ad anticipare gli importi al lavoratore, a prescindere dall’avvenuto conguaglio tra tali somme e i contributi dovuti dallo stesso datore all’Istituto.
NEWSLETTER n. 1/2024
Novità normative e giurisprudenziali
Novità Normative
INPS, messaggio n. 4143 del 22 novembre 2023
“Riconoscimento del congedo straordinario e dei permessi di cui all’articolo 33 della legge n. 104/1992 in favore di più richiedenti per assistere lo stesso soggetto con disabilità grave”.
Con messaggio n. 4143/2023 l’INPS fornisce indicazioni circa il congedo straordinario ex art. 42 del D.Lgs. n. 151/2001 (riposi e permessi per i figli con handicap grave) e dei permessi di cui all’art. 33 della L. n. 104/1992 per quanto concerne la fruizione degli stessi da più richiedenti per assistere lo stesso soggetto con disabilità in situazione di gravità.
In particolare l’istituto segnala che è possibile autorizzare sia la fruizione del congedo straordinario che la fruizione dei permessi ex art. 33 a più lavoratori per l’assistenza allo stesso soggetto con disabilità grave, alternativamente e purché non negli stessi giorni. i suddetti benefici, infatti, non possono essere fruiti nelle medesime giornate, trattandosi di istituti rispondenti alle medesime finalità di assistenza al disabile in situazione di gravità e devono, quindi, intendersi alternativi.
NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI
Corte di Cassazione, Sez. 4 Penale, sentenza 25 settembre 2023, n. 38914
Anche il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza può, omettendo di svolgere i propri compiti, cooperare colposamente a un infortunio mortale.
Un impiegato tecnico, adibito alle mansioni di magazziniere senza aver ricevuto al riguardo alcuna formazione, era deceduto in azienda, travolto da una serie di pesanti tubi in acciaio da lui trasportati col carrello, mentre tentava di collocarli in apposita scaffalatura, difettosa. confermando la valutazione dei giudici di merito, la Cassazione ha ritenuto responsabile dell’omicidio il datore di lavoro (per la mancata formazione del dipendente, comprensiva dell’addestramento all’uso del carrello elevatore, per aver consentito l’utilizzo di una scaffalatura inadeguata etc.), ma anche (per la prima volta, a quanto consta) il rappresentante per la sicurezza dei lavoratori, per la sua cooperazione colposa nel delitto, realizzata consentendo, senza intervenire, che l’impiegato tecnico venisse assegnato a mansioni di magazziniere senza adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo il datore di lavoro ad adottare modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori, con ciò omettendo di svolgere i compiti a lui attribuiti dalla legge.
Corte di cassazione, ordinanza 13 novembre 2023, n. 31561
Sull’onere di repêchage nel caso in cui siano disponibili mansioni del medesimo livello.
Il ricorso avverso il licenziamento di una cassiera per soppressione del posto era stato respinto dalla Corte d’appello sulla base della considerazione, quanto all’impossibilità di repêchage, che, sebbene fossero state contestualmente effettuate dall’impresa assunzioni di camerieri, addetti al banco e aiuti di cucina, appartenenti allo stesso livello contrattuale della cassiera, tuttavia si sarebbe trattato all’evidenza di professionalità diverse, tra di loro non equivalenti. La decisione è cassata dalla Cassazione, la quale rileva che a seguito della modifica dell’art. 2103 del cod. civ, che rende ora esigibili a vantaggio dell’impresa, anche previa formazione, mansioni comunque appartenenti alla categoria legale e al livello contrattuale di quelle in precedenza svolte dal dipendente, si è d’altra parte reso più stringente, a vantaggio della stabilità del rapporto di lavoro, l’onere gravante sul datore di lavoro di provare l’oggettiva impossibilità di assegnare al dipendente, in caso di soppressione del suo posto di lavoro, mansioni diverse incluse nel medesimo livello contrattuale.
Corte di Cassazione, ordinanza 14 novembre 2023, n. 31660
Il risparmio non basta a giustificare, di per sé, il licenziamento di un determinato dipendente.
La parte che non abbia chiesto la ricusazione del giudice non può, in sede d’impugnazione della sentenza, chiederne la nullità per la mancata astensione obbligatoria di questi.
Una fondazione artistica aveva licenziato per giustificato motivo oggettivo un lavoratore svolgente la mansione di sesto violoncello, sostenendo che la soppressione della sua posizione lavorativa si rendeva necessaria a causa del deficit di bilancio. Il provvedimento era stato dichiarato legittimo da Tribunale e dalla Corte d’Appello, secondo i quali la scelta datoriale risultava insindacabile, essendo stata dettata da effettive ragioni di risparmio di spesa. la valutazione dei giudici di merito non è condivisa dalla Cassazione, la quale osserva che (i) allorché sia ipotizzata una generale necessità di attuare una politica di contenimento dei costi, al fine di valutare l’effettività della ragione economica “comunque addotta” a fondamento del g.m.o. è sempre necessario approfondire (ed è onere del datore di lavoro indicare) le ragioni per le quali la scelta è ricaduta su quel determinato lavoratore, e non su altre posizioni di lavoro comparabili; (ii) tale approfondimento non determina alcuna indebita interferenza con la discrezionalità delle scelte datoriali, dato che l’ineffettività della ragione economica addotta incide sulla stessa legittimità del recesso non per un sindacato su di un presupposto in astratto estraneo alla fattispecie del g.m.o., bensì per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità o sulla pretestuosità della ragione addotta dal datore.
Tribunale di Napoli Nord, 21 novembre 2023
Nullo il licenziamento intimato nel periodo di gravidanza, anche se i suoi effetti sono stati sospesi.
Il Tribunale accoglie il ricorso di una lavoratrice e dichiara nullo il licenziamento intimatole durante il periodo di gravidanza e poi sospeso, con efficacia rinviata al compimento di un anno di età del figlio della ricorrente. Secondo il giudice, anche il licenziamento con efficacia differita è incompatibile con il divieto di licenziamento della lavoratrice in gravidanza (art. 54 D.Lgs. 151/2001), al fine di tutelarne la salute psico-fisica. di conseguenza, nel periodo coperto da tale divieto non possono essere portati a termine non solo i licenziamenti, ma anche tutte le attività preparatorie, tra cui rientra la comunicazione del licenziamento.
Corte di cassazione, sentenza 22 novembre 2023 n. 32412
Anche nell’appalto di servizi non genuino, il licenziamento dell’appaltatore non si trasferisce al committente datore di lavoro effettivo ed è inesistente.
Con la sentenza del 7 novembre 2023 n. 30945, la Corte aveva affermato che, in materia di somministrazione irregolaredi lavoro, a seguito della norma di cui all’art. 80 bis D.L. n. 34/2020, d’interpretazione autentica dell’art. 38 D. Lgs. n. 81/2015, il licenziamento effettuato dal somministratore non è da intendersi riferibile, come invece gli atti di costituzione e gestione del rapporto di lavoro, all’utilizzatore e deve ritenersi inesistente in quanto proveniente da soggetto diverso dal datore di lavoro effettivo. Con la sentenza in esame, la Corte estende analogicamente la regola, in ragione “dell’identità di ratio e di tutela”, all’interposizione fittizia di manodopera in un caso in cui in giudizio era stato accertato che una lavoratrice, fittiziamente dipendente di una impresa appaltatrice di una serie di servizi di logistica, era in realtà fin dall’inizio alle dipendenze dell’impresa committente. Conseguentemente, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva accertato la titolarità in capo al committente del dissimulato rapporto di lavoro della lavoratrice, simulato con l’appaltatore e aveva dichiarato inesistente il licenziamento effettuato da quest’ultimo.
Corte di cassazione, sentenza 22 novembre 2023 n. 32418
La reperibilità come orario di lavoro.
Alcuni vigili del fuoco, addetti al servizio antincendio presso la base USA di Napoli, svolgenti turni di 24 ore, di cui le 8 ore notturne in alloggio di servizio, a disposizione per eventuali rari interventi (retribuiti a parte), avevano chiesto la condanna del datore di lavoro a pagar loro, per le ore notturne, le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario, con detrazione dell’indennità di pernottamento percepita. Le domande erano state respinte dai giudici di merito, sulla base della valutazione delle ore notturne come ore di riposo e non di lavoro. La Corte non condivide tale valutazione, ricordando che secondo il diritto dell’UE i periodi di reperibilità del lavoratore in azienda (ma anche al di fuori, quando la reperibilità comprime in maniera significativa la facoltà del lavoratore di gestire il proprio tempo libero) costituiscono sicuramente orario di lavoro e non di riposo. Tuttavia il diritto comunitario non impone un trattamento economico della reperibilità in maniera identica al lavoro attivo; sicché, conclude la Corte, è legittimo retribuire il lavoro di mera attesa, come nella specie, con un’indennità.
Corte di Giustizia UE, sentenza 28 novembre 2023, in causa C-148/22
Legittimo vietare ai dipendenti pubblici di indossare il velo sul luogo di lavoro.
La dipendente di un comune belga con ruolo di responsabile d’ufficio, svolto principalmente senza contatto col pubblico, avendo visto respinta la propria domanda di indossare il velo durante il servizio – in base alla regola interna, adottata dal comune, di “neutralità esclusiva”, comportante il divieto per tutti i dipendenti di indossare sul luogo di lavoro qualsiasi segno visibile idoneo a rivelare le loro convinzioni personali, in particolare religiose o filosofiche, a prescindere dal fatto che tali dipendenti fossero o meno a contatto con il pubblico – si era rivolta al locale tribunale, il quale aveva chiesto l’intervento della Corte di giustizia. Questa ha osservato che: (i) una norma interna che vieta di indossare sul luogo di lavoro qualsiasi segno visibile di convinzioni personali, in particolare filosofiche e religiose, non costituisce una discriminazione diretta ove riguardi indifferentemente qualsiasi manifestazione di tali convinzioni e tratti in maniera identica tutti i dipendenti dell’impresa; (ii) una norma siffatta non costituisce neanche una discriminazione indiretta se sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima, quale lo scopo di assicurare un ambiente amministrativo pubblico totalmente neutro e i mezzi impiegati per il suo perseguimento siano appropriati e necessari.
NEWSLETTER N. 12/2023
Novità normative e giurisprudenziali
NOVITÀ NORMATIVE
Legge 27 ottobre 2023, n. 160 recante “Delega al Governo in materia di revisione del sistema degli incentivi alle imprese e disposizioni di semplificazione delle relative procedure nonché in materia di termini di delega per la semplificazione dei controlli sulle attività economiche.” (GU n. 267 del 15.11.2023). Vigente al: 30.11.2023
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15.11.2023 la L. n. 160/2023, di delega al Governo per la revisione del sistema degli incentivi alle imprese e disposizioni di semplificazione delle relative procedure nonché in materia di termini di delega per la semplificazione dei controlli sulle attività economiche.
La legge di delega entra in vigore a partire dal 30.11.2023.
Da tale data il Governo avrà due anni di tempo per adottare i decreti legislativi di definizione di un sistema organico per l’attivazione del sostegno pubblico mediante incentivi alle imprese.
Nell’esercizio della delega, anche mediante l’abrogazione e la modifica di disposizioni vigenti il Governo dovrà provvedere a:
• razionalizzare l’offerta di incentivi, individuando un insieme definito, limitato e ordinato di modelli di agevolazioni, ad esclusione delle misure di incentivazione in favore dei settori agricolo e forestale nonchè della pesca e dell’acquacoltura. Resta ferma l’autonomia delle regioni nell’individuazione di ulteriori modelli per l’attuazione di specifici interventi mirati tenuto conto delle diverse realtà territoriali;
• armonizzare la disciplina di carattere generale in materia di incentivi alle imprese, coordinandola in un testo normativo principale, denominato “codice degli incentivi”. Nell’ambito del codice degli incentivi, il Governo dovrà provvedere alla ridefinizione di principi comuni per regolare i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di incentivazione alle imprese.
La Legge delega individua i seguenti principi e criteri direttivi ai quali attenersi:
• definizione dei contenuti minimi dei bandi, delle direttive o dei provvedimenti comunque denominati per l’attivazione delle misure di incentivazione alle imprese, inclusi i motivi generali di esclusione delle imprese, l’individuazione della base giuridica di riferimento, i profili procedurali per l’accesso e il mantenimento delle agevolazioni e l’individuazione degli oneri a carico delle imprese beneficiarie nonchè la disciplina del cumulo delle agevolazioni nel rispetto dei massimali fissati dalla normativa europea;
• revisione e aggiornamento dei procedimenti amministrativi concernenti la concessione e l’erogazione di incentivi alle imprese;
• rafforzamento delle attività di valutazione sull’efficacia degli interventi di incentivazione mediante controlli ex ante, in itinere ed ex post;
• implementazione di soluzioni tecnologiche, anche basate sull’intelligenza artificiale, dirette a facilitare la piena conoscenza dell’offerta di incentivi, nonchè a fornire supporto alla pianificazione degli interventi, alle attività di valutazione e al controllo e al monitoraggio sullo stato di attuazione delle misure e sugli aiuti concessi;
• conformità con la normativa europea in materia di aiuti di Stato, anche rafforzando le funzioni preposte al coordinamento tra le amministrazioni centrali e tra queste e le amministrazioni regionali già esistenti;
• attribuzione di natura privilegiata ai crediti derivanti dalla revoca dei finanziamenti e degli incentivi pubblici;
• previsione di premialità, nell’ambito delle valutazioni di ammissione agli interventi di incentivazione, per le imprese che assumano persone con disabilità;
• previsione di premialità, nell’ambito delle valutazioni di ammissione agli incentivi, per le imprese che valorizzino la quantità e la qualità del lavoro giovanile e del lavoro femminile, nonchè il sostegno alla natalità;
• coinvolgimento delle associazioni di categoria comparativamente più rappresentative a livello nazionale, al fine di promuovere azioni di informazione sull’offerta di incentivi e di accompagnamento all’accesso agli stessi da parte del numero più ampio possibile di imprese.
Decreto Legislativo 18 ottobre 2023, n. 152 recante “Attuazione della direttiva (UE) 2021/1883 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2021, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, e che abroga la direttiva 2009/50/CE del Consiglio.” (GU n. 256 del 2.11.2023). Vigente al: 17.11.2023
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 256 del 2.11.2023 è stato pubblicato il D.Lgs n. 152/2023, che attua nell’ordinamento nazionale la Direttiva (UE) 2021/1883 sulle condizioni di ingresso e soggiorno di lavoratori stranieri altamente qualificati.
Il provvedimento, in vigore dal 17.11.2023, modifica gli artt. 22 e 27-quater del D.Lgs n. 286/1998, cd. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione (TUI).
Le nuove disposizioni, in particolare, ampliano notevolmente la platea di lavoratori stranieri altamente qualificati che possono entrare e soggiornare in Italia (art. 27-quater, comma 1). L’ingresso e il soggiorno, per periodi superiori a 3 mesi, sono ora consentiti, al di fuori delle quote di cui all’art. 3, comma 4, agli stranieri altamente qualificati, che intendono svolgere prestazioni lavorative retribuite per conto o sotto la direzione o il coordinamento di un’altra persona fisica o giuridica e che sono alternativamente in possesso:
• del titolo di istruzione superiore di livello terziario rilasciato dall’autorità competente nel Paese dove è stato conseguito, che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale o di una qualificazione professionale di livello post secondario di durata almeno triennale;
• dei requisiti previsti dal D.Lgs n. 206/2007, limitatamente all’esercizio di professioni regolamentate;
• di una qualifica professionale superiore attestata da almeno 5 anni di esperienza professionale di livello paragonabile ai titoli d’istruzione superiori di livello terziario, pertinenti alla professione o al settore specificato nel contratto di lavoro o all’offerta vincolante;
• di una qualifica professionale superiore attestata da almeno 3 anni di esperienza professionale pertinente acquisita nei 7 anni precedenti la presentazione della domanda di Carta blu UE, per quanto riguarda dirigenti e specialisti nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione di cui alla classificazione ISCO-08, nn. 133 e 25.
Vengono inoltre abrogate le lettere d) e g), comma 3 dell’art. 27-quater del TUI, le quali prevedevano che le disposizioni sui lavoratori altamente qualificati non si applicassero agli stranieri familiari di cittadini dell’UE che hanno esercitato o esercitano il loro diritto alla libera circolazione in conformità alla Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, così come recepita dal D.Lgs n. 30/2007 e a quelli che soggiornano in qualità di lavoratori stagionali.
INPS, Circolare n. 89 del 7 novembre 2023 “Compatibilità e cumulabilità delle indennità di disoccupazione NASpI e DIS-COLL con le prestazioni agricole di lavoro subordinato occasionale (LOAgri) a tempo determinato di cui all’articolo 1, comma 344, della legge 29 dicembre 2022, n. 197.”.
Con la circolare n. 89/2023 l’Inps chiarisce quali siano i limiti di compatibilità e cumulabilità delle indennità di disoccupazione NASpI e DIS-COLL con il reddito derivante da prestazioni agricole di lavoro subordinato occasionale a tempo determinato di cui all’articolo 1, comma 344, della L. n. 197/2022.
In particolare, il beneficiario delle indennità di disoccupazione NASpI e DIS-COLL può svolgere prestazioni di lavoro occasionale in agricoltura entro il limite di quarantacinque giornate di prestazione per anno civile, senza obbligo di comunicazione all’INPS del compenso derivante dalle stesse.
Nel rispetto di suddetto limite, i compensi derivanti dalle prestazioni occasionali sono interamente cumulabili con le richiamate indennità di disoccupazione che non saranno, quindi, soggette a sospensione, abbattimento o decadenza.
Si ricorda, inoltre, che la contribuzione versata dal datore di lavoro e dal lavoratore per lo svolgimento delle prestazioni lavorative occasionali in agricoltura è da considerare utile ai fini di eventuali successive prestazioni di disoccupazione, anche agricola.
NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI
Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sez. 1 – 9 novembre 2023, n. 271 -C-271/22/UE
Riporto dei diritti alle ferie annuali retribuite in caso di malattia di lunga durata.
Il lavoratore assente per lunghi periodi per malattia, anche consecutivi, non ha diritto assoluto a fruire delle ferie al momento del rientro in servizio: vengono meno infatti le finalità delle ferie stesse, vale a dire contribuire a riposarsi e beneficiare di un periodo di distensione.
Lo sottolinea la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza relativa alla causa C-271/22 del 9 novembre 2023, richiamando l’art. 7 della direttiva 2003/88 su alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, in particolare sulle ferie annuali.
I giudici europei affermano che l’art. 7 non osta a norme o prassi nazionali che limitano il diritto alla fruizione delle ferie annuali retribuite una volta che il dipendente è rientrato in servizio dopo un lungo periodo di inabilità, prevedendo un periodo di riporto allo scadere del quale il diritto alle ferie si estingue.
Corte di Cassazione, sentenza 7 novembre 2023, n. 30945
Un caso singolare d’interposizione fittizia di manodopera.
Avendo accertato che un lavoratore somministrato aveva in realtà prestato la propria attività alle dipendenze dell’azienda utilizzatrice, Tribunale e Corte d’appello avevano affermato l’inesistenza giuridica del licenziamento intimatogli nel 2008 dall’azienda somministratrice e ordinato all’utilizzatore il ripristino del rapporto di lavoro.
La decisione era stata successivamente annullata dalla Cassazione, che, nel rinviare ad altro giudice per una nuova valutazione del caso, aveva enunciato il principio di diritto secondo cui il licenziamento rientra tra gli atti di gestione del rapporto che, seppur realizzati dal somministratore, producono gli effetti nei confronti dell’utilizzatore, ai sensi dell’art. 27, co. 2 del D.lgs. n. 276/2003 – disposizione vigente all’epoca dei fatti, poi integralmente sostituita dall’art. 38 del D.lgs. n. 81/2015 –, con conseguente onere per il lavoratore irregolarmente somministrato di impugnare il provvedimento espulsivo nei confronti di quest’ultimo nel rispetto dei termini di decadenza stabiliti dalla legge.
Il giudice del rinvio, tuttavia, non si era uniformato a tale principio, in quanto, nelle more del giudizio, il legislatore, con l’art. 80-bis del D.L. n. 34/2020, aveva espressamente escluso il licenziamento dal novero degli atti di gestione del rapporto imputabili all’utilizzatore; in ragione di ciò, la Corte d’appello aveva ribadito l’inesistenza giuridica del licenziamento irrogato dal somministratore e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra lavoratore e azienda utilizzatrice, col diritto del primo alle retribuzioni dal momento della messa in mora della seconda.
La valutazione del giudice di merito è condivisa dalla Cassazione, la quale osserva che: (i) come già evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, l’art. 80-bis del D.L. n. 34/2020, deve qualificarsi come norma di interpretazione autentica, in quanto tale destinata a operare sia nelle controversie già avviate, sia in quelle future; (ii) è vero che tale norma è espressamente riferita all’art. 38, co. 3 del D.lgs. n. 81/2015, mentre nella fattispecie oggetto di causa trova applicazione, ratione temporis, l’art. 27, co. 2 del D.lgs. n. 276/2003, tuttavia, vista la completa sovrapponibilità dei due testi normativi, deve ritenersi che l’art. 80 bis cit., sebbene privo di portata vincolante rispetto alla disciplina previgente, costituisca criterio ermeneutico decisivo per giungere a identica conclusione anche in riferimento alla disposizione dettata dall’art. 27 cit.
Corte di Cassazione, ordinanza 13 novembre 2023, n. 31561
Cassazione: imprescindibile la valutazione delle declaratorie del CCNL ai fini del repechage.
Con l’ordinanza n. 31561 del 13.11.2023, la Cassazione afferma che, ai fini della prova del corretto adempimento dell’obbligo di repechage, è rilevante verificare se le assunzioni avvenute dopo il recesso per g.mo. siano riconducibili (o meno) allo stesso livello in cui era inquadrato il dipendente licenziato.
La lavoratrice, impiegata come cassiera in un bar, impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per giustificato motivo oggettivo a seguito della soppressione della sua posizione lavorativa.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo, da un lato, provata la reale soppressione del posto di lavoro della ricorrente e, dall’altro lato, la mancanza di competenze della stessa per essere adibita alle altre mansioni rimaste dopo la riorganizzazione aziendale.
La Cassazione – ribaltando la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che il datore, nell’assolvere all’obbligo di repechage sullo stesso gravante in caso di licenziamento per g.m.o., non può prescindere da una attenta valutazione delle declaratorie contrattualcollettive.
Invero, per i Giudici di legittimità, nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alla luce del novellato art. 2103 c.c., il riferimento ai livelli di inquadramento predisposti dalla contrattazione collettiva non è affatto una circostanza muta di significato.
Secondo la sentenza, infatti, l’inquadramento contrattuale costituisce un elemento che il giudice deve valutare per accertare in concreto se chi è stato licenziato fosse o meno in grado – sulla base di circostanze oggettivamente verificabili addotte dal datore ed avuto riguardo alla specifica formazione ed alla intera esperienza professionale del dipendente – di espletare le mansioni di chi è stato assunto ex novo, sebbene inquadrato nello stesso livello o in livello inferiore.
Non rinvenendo tale valutazione nell’impugnata pronuncia di merito, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dalla dipendente.
Corte di Cassazione, ordinanza 13 novembre 2023, n. 31471
La ridotta produttività del dipendente per ragioni di salute non giustifica il licenziamento.
Un collaudatore di piatti doccia, al quale il medico competente aveva riconosciuto l’idoneità al lavoro con prescrizioni, era stato licenziato per sopravvenuta inidoneità fisica che avrebbe ridotto eccessivamente la sua produttività (all’incirca del 40%), facendo venir meno l’interesse alla prosecuzione del rapporto.
La Corte d’appello aveva dichiarato l’illegittimità del provvedimento espulsivo, rilevando come le misure indicate dal medico competente – l’effettuazione di un maggior numero di pause e l’uso della mascherina respiratoria per le operazioni comportanti maggiore dispersione di polveri – rientravano nella categoria degli “accomodamenti ragionevoli”, nel senso di tecnicamente possibili e non eccessivamente costosi, che, secondo la normativa nazionale ed eurounitaria di protezione dei lavoratori in condizione di handicap, il datore di lavoro è tenuto ad adottare al fine di consentire al dipendente divenuto disabile di continuare a svolgere le proprie mansioni.
La Cassazione, nel rigettare il ricorso del datore di lavoro, osserva che, quand’anche la conservazione del rapporto di lavoro comporti costi aggiuntivi in considerazione di una ridotta produttività dovuta a ragioni di salute, ciò non è di per sé sufficiente a escludere la possibilità di adottare accomodamenti ragionevoli (che possono consistere anche nell’adibizione del lavoratore a diverse mansioni, pure inferiori), la quale viene meno solo laddove essi comportino un sacrificio economico sproporzionato del datore di lavoro.
Corte di cassazione, ordinanza 13 novembre 2023 n. 31451
Ancora sull’obbligo di repechage nel licenziamento per g.m.o.
In un caso di licenziamento di un lavoratore per soppressione del posto, la Cassazione ripercorre la propria più recente e consolidata giurisprudenza, ricordando anzitutto come in tal caso non è sufficiente al datore di lavoro dimostrare l’effettività della sua scelta, ma è anche necessario provare di aver offerto al lavoratore una posizione equivalente disponibile o, in mancanza, inferiore, senza limitarsi (come fatto nel caso esaminato dall’impresa) al livello immediatamente inferiore a quello ricoperto dal dipendente; libero poi questi di accettare o meno le nuove mansioni di cui si riveli capace, in caso negativo correndo il rischio del licenziamento.
La Corte ha infine ribadito che “l’insussistenza del fatto” addotto in questi casi a fondamento di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, si realizza anche solo per mancanza di uno dei due elementi di cui esso si compone, la soppressione del posto e l’impossibilità o il rifiuto di repechage, dando comunque ingresso alla tutela reintegratoria (che nel caso in esame era stata viceversa negata dai giudici di merito).
Corte di Cassazione, ordinanza 6 novembre 2023, n. 30866
Ancora sui limiti della critica nei confronti del datore di lavoro.
In una vicenda relativa a un lavoratore licenziato per avere denunciato in sede penale il datore di lavoro per appropriazione indebita del TFR, rappresentando in maniera dolosa fatti pacificamente non veri, la Cassazione, nel confermare la valutazione di legittimità del provvedimento espulsivo espressa dai giudici di merito, osserva che: (i) se l’esercizio del potere di denuncia (e in generale del diritto di critica) nei confronti del datore di lavoro non può essere di per sé fonte di responsabilità, esso può tuttavia divenire tale qualora il privato faccia ricorso ai pubblici poteri in maniera strumentale e distorta, ossia agendo nella piena consapevolezza dell’insussistenza dell’illecito o dell’estraneità allo stesso dell’incolpato; (ii) la condotta di strumentalizzazione della denuncia è senz’altro atta a integrare un illecito disciplinare, alla luce del dovere di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., letto in rapporto ai più generali canoni di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., perché contraria ai doveri derivanti dall’inserimento del lavoratore nell’organizzazione imprenditoriale e comunque idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.
Corte di Cassazione, sentenza 2 novembre 2023, n. 30469
Cassazione: reintegra se fatto, pur sussistente, non è illecito.
Con l’ordinanza n. 30469 del 02.11.2023, la Cassazione afferma che, anche per il Jobs Act, in caso di licenziamento irrogato in presenza di un fatto sussistente ma non disciplinarmente rilevante, il lavoratore ha diritto alla reintegra.
La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole per essersi rivolta in modo scortese nei confronti di una cliente, alzando la voce in presenza di altri avventori.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda e dispone la reintegra della ricorrente, a fronte della insussistenza del carattere illecito della condotta alla stessa addebitata.
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che la fattispecie dell’insussistenza del fatto si integra anche nell’ipotesi in cui la condotta contestata al lavoratore pur esistente nella sua materialità, non presenta profili di illiceità.
In tali ipotesi, continua la sentenza, deve trovare applicazione la tutela reintegratoria c.d. attenuata.
Secondo la giurisprudenza ormai consolidatasi, infatti, la reintegrazione trova applicazione non solo nel caso in cui il fatto non sia dimostrato nella sua materialità, ma altresì nel caso in cui il fatto, pur sussistente nella sua materialità, sia privo di quella connotazione di illiceità, offensività o antigiuridicità tale e necessaria da renderne apprezzabile la rilevanza disciplinare.
Rinvenendo quest’ultima circostanza nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società e conferma l’illegittimità del recesso dalla stessa irrogato.
Corte di Cassazione, sentenza 2 novembre 2023, n. 30418
Sul licenziamento per falsa attestazione della presenza in servizio.
La collaboratrice amministrativa di un istituto scolastico pubblico era stata licenziata per essersi allontanata in cinque diverse occasioni dal luogo di lavoro, durante la pausa pranzo, senza strisciare il badge né in uscita né al rientro.
Il provvedimento espulsivo irrogato dal MIUR era stato dichiarato legittimo da Tribunale e Corte d’appello, secondo i quali il comportamento della lavoratrice integra la fattispecie prevista dall’art. 55-quater del D.lgs. n. 165/2001.
La Cassazione, nel rigettare il ricorso della lavoratrice, osserva che: (i) con l’introduzione, nel 2009, dell’art. 55-quater, il legislatore ha inteso tipizzare alcune ipotesi di infrazione particolarmente gravi e, come tali, ritenute idonee a fondare un licenziamento, tra cui la condotta di falsa attestazione di presenza in servizio; (ii) nel concetto di falsa attestazione, anche alla luce dell’interpretazione fornita dal co. 1-bis dell’art. 55-quater, rientra non solo l’alterazione/manomissione del sistema di rilevazione delle presenze, ma anche il non registrare le uscite interruttive del servizio; (iii) con riguardo al caso di specie, i giudici di merito hanno correttamente rilevato che le condotte tenute dalla lavoratrice non possono essere giustificate o comunque valutate con minor rigore solo perché poste in essere in coincidenza dell’orario della pausa pranzo, dal momento che tutto il personale scolastico aveva ben chiara l’esistenza dell’obbligo di procedere alla timbratura anche in caso di assenza per recarsi fuori a pranzo.
Corte di cassazione, ordinanza 18 ottobre 2023 n. 28862
Contratto di lavoro a tempo pieno e sospensioni concordate.
Con due distinti ricorsi, poi riuniti, il dipendente di una discoteca, assunto verbalmente a metà degli anni ’90, chiese la condanna della società datrice di lavoro a pagargli per un periodo di otto mesi dell’anno 2016 le differenze retributive tra l’orario pieno del suo rapporto e quello minore di fatto retribuito.
In giudizio, è poi risultato che il ricorrente aveva sempre osservato un orario largamente minore, legato all’apertura della discoteca; che nel 2009, con accordo aziendale, era stata comunque garantita ai dipendenti la retribuzione per 120 giornate all’anno, ridotte a 105 con altro accordo del 2016, a seguito di disdetta del precedente. La Corte ha qualificato la vicenda nei seguenti termini: 1) il rapporto di lavoro, in assenza di un accordo scritto (allora necessario ad sustantiam), era nato a tempo pieno, ma immediatamente seguito da una sospensione concordata tacitamente tra le parti di alcuni giorni lavorativi, riducendosi pertanto quelli di prestazione dovuta alle giornate di apertura della discoteca; 2) successivamente, con accordo aziendale, era stata comunque garantita ai lavoratori una retribuzione piena per 120 giorni all’anno; 3) tale accordo, anch’esso convenzionalmente entrato tra le clausole del contratto di lavoro, era però unilateralmente immodificabile a danno dei lavoratori dissenzienti, in particolare dalle pretese datoriali conseguenti al successivo accordo del 2016; 4) concludendo, alla stregua della ricostruzione indicata, il ricorrente ha diritto, previa costituzione in mora, alle differenze retributive tra il regime orario convenzionale descritto e quello minore di fatto osservato e retribuito.
Corte di cassazione, ordinanza 26 settembre 2023 n. 27331
Dimissioni e risoluzione consensuale solo seguendo la procedura di legge.
In una vicenda giudiziaria in cui il lavoratore ricorrente sosteneva di essere stato licenziato verbalmente, mentre il datore di lavoro gli opponeva che si era dimesso, la Corte d’appello, applicando una giurisprudenza datata, aveva respinto le domande di impugnazione del licenziamento per mancanza di prova dello stesso, di cui sarebbe stato onerato il lavoratore.
La Cassazione annulla la decisione, rilevando che la vicenda sostanziale si era svolta nella vigenza del D. Lgs. n. 151/2015, il quale all’art. 26 subordina l’efficacia delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro all’osservanza di una precisa procedura scritta, a garanzia sia della certezza della data che della genuinità della relativa decisione da parte del lavoratore.
Corte d’appello di Milano, 11 ottobre 2023
Costituisce una discriminazione diretta computare le assenze dovute alla malattia del “lavoratore fragile” nel periodo di comporto.
La Corte dichiara nullo il recesso per superamento del periodo di comporto intimato a una lavoratrice socio-sanitaria affetta da disabilità, soccombente in primo grado per non aver provato (secondo il Tribunale) la sussistenza della condizione di “fragilità” tramite le certificazioni prescritte dall’art. 26 del D.L. n. 18/2020, condizione volta a neutralizzare le assenze per malattia dal calcolo del periodo di conservazione del posto di lavoro.
Il Collegio, in riforma dell’ordinanza di primo grado, non soltanto ha ritenuto sussistenti nel caso concreto due dei quattro requisiti alternativi previsti dalla menzionata normativa (esito di patologia oncologica e terapie salvavita, entrambi ignorati da parte del datore di lavoro, per l’asserita mancanza delle certificazioni di legge) ma ha rilevato anche un comportamento direttamente discriminatorio tenuto dallo stesso datore e consistente nel non aver adottato i ragionevoli accomodamenti che avrebbero facilitato la lavoratrice negli adempimenti di legge utili allo scopo di influire sul trascorrere del periodo di comporto.
La Corte ha quindi dichiarato nullo il licenziamento e ha condannato il datore di lavoro a reintegrare la lavoratrice discriminata.
Corte d’Appello Milano, 18 ottobre – 30 maggio 2023
Accomodamenti ragionevoli e demansionamento: la Corte condanna il datore di lavoro ad assegnare il lavoratore reintegrato a specifiche mansioni.
Una società era stata condannata a reintegrare il lavoratore a seguito di un licenziamento per superamento del periodo di comporto di soggetto disabile, e lo aveva reinserito in servizio assegnandogli mansioni di addetto alle pulizie, senza adottare i ragionevoli accomodamenti che avrebbero consentito la tutela della professionalità acquisita dal prestatore.
All’esito di una successiva azione il Tribunale aveva accertato la natura discriminatoria della condotta datoriale.
La Corte d’appello va oltre la sentenza di primo grado, ritenendo che in assenza della prova da parte dell’Azienda di avere compiuto un’idonea ricerca di una mansione alternativa, il giudice possa indicare le specifiche mansioni e il reparto a cui deve essere adibito il lavoratore, al fine di garantire l’effettività della condanna.
NEWSLETTER n. 11/2023
Novità normative e giurisprudenziali
D.L. 18.10.2023, n. 145 recante “Misure urgenti in materia economica e fiscale, in favore degli enti territoriali, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili “. Vigente al 19.10.2023.
Il D.L. n. 145/2023, c.d. “decreto Anticipi” collegato alla manovra finanziaria, prevede principalmente misure di carattere fiscale, ma reca anche alcuni provvedimenti in materia di lavoro e previdenziale, che di seguito sintetizziamo:
Con il D.L. n. 132/2023 è stato ulteriormente prorogato fino al 31.12.2023, il diritto al lavoro agile dei dipendenti (pubblici e privati) c.d. super fragili, ovvero affetti da patologie croniche con scarso compenso clinico e con particolare connotazione di gravità, specificamente individuate nel decreto Ministero della Salute 4.02.2022.
Per questi lavoratori, il diritto non è condizionato alla compatibilità delle mansioni con il lavoro agile.
Anzi, è espressamente previsto dalla norma oggetto di proroga (articolo 1, comma 306, della L. n. 197/2022) che il datore di lavoro assicuri lo svolgimento della prestazione in modalità agile “anche attraverso l’adibizione a diversa mansione compresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi di lavoro vigenti, senza alcuna decurtazione della retribuzione in godimento”.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Circolare n. 9 del 9.10.2023 “Decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48”, recante “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”, convertito, con modificazioni, dalla L. 3.07.2023, n. 85. Art. 24, in materia di modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a termine.”.
A mesi di distanza dalla pubblicazione del D. L. n. 48/2023, nonché dalla sua conversione con L. n. 85/2023, il Ministero del Lavoro fornisce prime indicazioni, condivise con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, in merito alle novità contenute nell’art. 24 del suddetto decreto relative alla disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato, inclusi quelli stipulati in regime di somministrazione.
Nel ricordare che il c.d. Decreto Lavoro lascia inalterato il limite massimo di durata dei rapporti a tempo determinato, il numero massimo di proroghe consentite e il regime delle interruzioni tra un contratto e l’altro (cosiddetto stop and go), la circolare analizza le condizioni modificate dal decreto in merito a: a) disciplina delle causali; b) proroghe e rinnovi; c) neutralizzazione dei rapporti acausali antecedenti al 5 maggio 2023 ai fini del raggiungimento del limite massimo di dodici mesi; d) computo dei limiti percentuali dei lavoratori in somministrazione.
La causale.
Fino al 30.04.2024 le parti del rapporto di lavoro possono individuare “Esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva”, idonee a legittimare contratti a termine, rinnovi e proroghe oltre la franchigia di 12 mesi; tale facoltà può essere esercitata solo in assenza di condizioni pattizie previste dai CCNL applicabili; contratti e proroghe stipulati prima del 30.04.2024 sono validi anche se la loro durata supererà tale data.
I CCNL che già prevedono causali di assunzione a termine.
Le ipotesi pattizie restano valide, anche se stipulate prima dell’entrata in vigore del c.d. Decreto Lavoro, purchè non si tratti di un mero rinvio alle ipotesi legislative previste dal vecchio “Decreto Dignità”; in quest’ultimo caso, le disposizioni dei CCNL devono ritenersi decadute in ragione dell’abrogazione delle vecchie fattispecie legali.
Le Pubbliche Amministrazioni.
Per i contratti di lavoro a termine stipulati dalle pubbliche amministrazioni, da università private (incluse le filiazioni di università straniere), da istituti pubblici di ricerca, da società pubbliche che promuovono la ricerca e l’innovazione ovvero da enti privati di ricerca con lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how, di supporto all’innovazione, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa non si applicano né il termine massimo complessivo di ventiquattro mesi, né le nuove causali indicate dal D.L. n. 48/2023, restando ferme quelle previste dall’articolo 36 del D.Lgs. n. 165/2001, che consente l’utilizzo di tale tipologia contrattuale solo in presenza di “comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale”.
Tale indicazione è pertanto sempre necessaria, indipendentemente dalla durata del contratto di lavoro.
Il regime transitorio.
In particolare in merito al regime transitorio introdotto in sede di conversione, che prevede la possibilità per i datori di lavoro di utilizzare il contratto a termine per un ulteriore periodo di 12 mesi senza ricorrere alle causali per “contratti stipulati” a decorrere dal 5.05.2023 (data di entrata in vigore del decreto), la circolare specifica che il riferimento ai contratti stipulati si riferisce sia al rinnovo di precedenti contratti che alle proroghe di contratti in essere, sempre nel rispetto della durata massima prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato.
In primo luogo, viene adesso previsto che ai fini del rispetto del limite del 20 per cento nelle nuove assunzioni, non rilevano i lavoratori somministrati assunti dall’agenzia di somministrazione con contratto di apprendistato.
Inoltre, viene esclusa espressamente l’applicabilità di limiti quantitativi per la somministrazione a tempo indeterminato di alcune categorie di lavoratori, tassativamente individuate, tra cui i soggetti disoccupati che fruiscono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dell’articolo 2, numeri 4 e 99, del Regolamento (UE) n. 651/2014, come individuati dal decreto ministeriale del 17 ottobre 2017.
INPS, messaggio n. 3510 del 6 ottobre 2023 “Gestione delle prestazioni del Reddito di cittadinanza sospese per completata fruizione delle sette mensilità ai sensi dell’articolo 13, comma 5, del decreto-legge n. 48/2023.”
Con Messaggio n. 3510 del 6.10.2023 l’INPS torna a fornire chiarimenti in merito alla fruizione del reddito di cittadinanza. Si ricorda infatti che dal mese di luglio 2023 l’Istituto sta procedendo, mensilmente, a sospendere l’erogazione del beneficio per i nuclei che non hanno i requisiti per continuare a fruire della misura nel 2023 oltre le 7 mensilità. Per proseguire la fruizione del beneficio, senza incorrere nella sospensione, i nuclei familiari devono avere al loro interno uno dei seguenti componenti: a) persone con disabilità; b) minorenni; c) persone con almeno 60 anni; d) percettori che risultino presi in carico dai servizi sociali in quanto non attivabili al lavoro.
Corte di Giustizia UE, sentenza 12 ottobre 2023, in causa n. C-57/22.
Il lavoratore ha diritto alle ferie maturate dalla data del licenziamento annullato fino alla reintegra.
Un cittadino ceco, illegittimamente licenziato e successivamente reintegrato nel posto di lavoro a seguito dell’annullamento in sede giudiziale del provvedimento espulsivo, si era visto negare dal proprio datore di lavoro la fruizione delle ferie annuali non godute nel periodo compreso tra la data del licenziamento e quella della sua reintegrazione, in quanto, in tale periodo, non aveva lavorato.
Nel giudizio conseguentemente istaurato dal dipendente, il giudice aveva chiesto l’intervento incidentale della Corte di giustizia, la quale, nel formulare il principio sopra riportato, osserva che: (i) il diritto alle ferie annuali retribuite persegue la finalità di consentire al lavoratore sia di riposare in relazione all’esecuzione dei compiti che gli incombono in forza del contratto di lavoro, sia di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione; (ii) tale finalità è certamente fondata sulla premessa che il lavoratore abbia effettivamente lavorato durante il periodo di riferimento, ma se egli non è stato posto nelle condizioni di svolgere la propria attività, il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere subordinato all’effettivo espletamento della prestazione lavorativa; (iii) ciò vale tanto più nelle ipotesi in cui l’impossibilità di svolgere il proprio lavoro sia conseguenza di un atto illegittimo del datore di lavoro – come nel caso di specie.
Corte di Cassazione, ordinanza 23 ottobre 2023, n. 29337
Il rifiuto di passare al full time è giustificato motivo di licenziamento se il lavoro parziale è insufficiente.
Con l’ordinanza n. 29337 del 23.10.2023, la Cassazione afferma che il lavoratore che non accetta di trasformare il suo rapporto da tempo parziale a tempo pieno può essere licenziato, ma non a causa di detto rifiuto, bensì a causa della impossibilità di utilizzo della prestazione part-time.
La dipendente impugnava giudizialmente il licenziamento irrogatole per soppressione della propria posizione lavorativa. A fondamento della predetta domanda, la medesima deduce che la vera ragione sottesa al recesso era da individuarsi nel suo rifiuto alla proposta della società di trasformare il rapporto da part-time a full-time, considerando anche che, poco prima del licenziamento, era stato assunto un dipendente con mansioni analoghe.
La Corte d’Appello accoglie il ricorso, ritenendo pretestuosa la motivazione formalmente addotta da parte datoriale e, conseguentemente, illegittimo il licenziamento irrogato per il rifiuto di trasformare il rapporto di lavoro a tempo pieno.
La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che l’art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015 prevede che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Secondo i Giudici di legittimità, tuttavia, tale principio generale soffre di un’eccezione, laddove il datore riesca a dimostrare:
– le effettive esigenze economiche ed organizzative tali da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo parziale, ma solo con l’orario differente richiesto;
– l’avvenuta proposta al dipendente di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno ed il rifiuto del medesimo;
– l’esistenza di un nesso causale tra le esigenze di aumento dell’orario ed il licenziamento.
Per la sentenza, ai fini del recesso, è necessaria, dunque, non solo la prova della effettività delle ragioni addotte per il cambiamento dell’orario, ma anche quella della impossibilità dell’utilizzo altrimenti della prestazione con modalità orarie differenti, quale elemento costitutivo del giustificato motivo oggettivo.
Ritenendo assolto il predetto onere probatorio nel caso di specie, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dalla società e dichiara legittimo il licenziamento.
Corte di Cassazione, ordinanza 18.10.2023, n. 28862
Contratto di lavoro: le variazioni dell’orario vanno concordate con il lavoratore.
Il contratto di lavoro si deve considerare full time ab origine se non c’è stata una contrattazione per il part time.
Le modifiche dell’orario di lavoro vanno concordate con il lavoratore, non potendo essere disposte unilateralmente dal datore di lavoro.
Un lavoratore aveva chiesto ed ottenuto dal Tribunale un decreto ingiuntivo per il pagamento della somma quale differenza tra la retribuzione mensile spettanti per il lavoro full time e quanto percepito, parametrato a 72 ore di lavoro.
La società proponeva opposizione, con cui chiedeva in via riconvenzionale l’accertamento della sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro part time, secondo i giorni e gli orari specificamente indicati; il lavoratore, a sua volta, si costituiva in giudizio, chiedendo in via riconvenzionale subordinata l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno.
Il Giudice di prime cure ha accolto la domanda del dipendente, dichiarando sussistente fra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed ha condannato la società a pagare le conseguenti differenze retributive.
Avverso tale pronuncia, il dipendente ha proposto gravame e gravame incidentale la società; la Corte territoriale accoglieva parzialmente quello incidentale e per l’effetto rigettava la domanda del lavoratore, il quale proponeva ricorso in cassazione in quanto il giudice di merito aveva ritenuto inesistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno pur in assenza di un contratto con forma scritta e nonostante la messa in mora, in cui egli aveva dichiarato di mettere a disposizione le proprie energie lavorative per il full time.
Innanzitutto, la Suprema Corte ha ribadito che il rapporto di lavoro subordinato si presume costituito full time e così va qualificato sul piano giuridico qualora il part time non risulti da un patto scritto, forma richiesta ad substantiam.
Non essendo stato prodotto nel processo il contratto di lavoro con forma scritta o almeno un patto scritto relativo all’orario di lavoro asseritamente part time, secondo la Cassazione il rapporto di lavoro del ricorrente si intende costituito full time. Pertanto, sotto tale aspetto, la diversa conclusione affermata dalla Corte territoriale è in parte errata e pertanto va cassata. Inoltre, nel caso in esame, il datore di lavoro avrebbe dovuto provare che vi sono state sospensioni concordate di prestazioni lavorative e di retribuzione, in relazione ad un orario giornaliero oppure a giorni di lavoro. Dagli atti di causa e da quanto accertato dalla Corte territoriale, si ritiene provato che il rapporto di lavoro si è svolto consensualmente a tempo parziale verticale da moltissimi anni, per cui risulta che ab initio il contratto di lavoro subordinato, pur stipulato senza forma scritta, va qualificato come full time. Invero, per la riduzione di quel numero minimo di giornate retribuite non basta l’unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma è necessario un ulteriore consenso del lavoratore, previsto da un successivo accordo sindacale aziendale.
Ciò è opportuno, anche in relazione a una modifica in melius, in quanto il dipendente può aver riposto legittimo affidamento su quella sospensione concordata per compiere altre scelte, lavorative, personali o familiari, che potrebbero rivelarsi incompatibili con una modifica di quel rapporto lavorativo.
Per tali ragioni, la Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviato alla Corte territoriale, la quale si dovrà attenere ai seguenti principi di diritto:
1) pur in presenza di un rapporto di lavoro subordinato full time, il datore di lavoro può provare sospensioni concordate delle prestazioni lavorative e delle correlative retribuzioni anche per facta concludentia;
2) una volta raggiunta la prova di tali sospensioni, esse si traducono in clausole tacite integrative del contratto individuale di lavoro full time;
3) una volta integrato in tal modo il contratto, eventuali modifiche successive di quelle sospensioni concordate richiedono un nuovo consenso del lavoratore e quindi non possono essere disposte né imposte unilateralmente dal datore di lavoro.
Corte di cassazione, sentenze 2.10.2023 n. 27711 e 27769.
Salario minimo e dignitoso per via giudiziaria in due sentenze gemelle della Cassazione.
L’occasione delle pronunce in esame è rappresentata dalle cause promosse da alcuni lavoratori soci di una cooperativa di lavoro per ottenere l’adeguamento della retribuzione percepita in applicazione del CCNL Servizi fiduciari, ritenuta insufficiente; adeguamento negato dalla Corte d’appello sulla base della considerazione che essa sarebbe stata, seppur lievemente, superiore alla soglia di povertà (tra l’altro errando nell’indicare un lordo di retribuzione a fronte del netto della soglia di povertà).
Le pronunce non superano il vaglio di legittimità della Cassazione, la quale invoca il precetto di cui all’art. 36 Cost. per affermare che la retribuzione dovuta non è quella non povera, ma quella proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque sufficiente ad assicurare al lavoratore un’esistenza libera e dignitosa.
In proposito, la Corte ricorda il dovere del giudice, di fronte alla domanda di adeguamento della retribuzione, di procedere al raffronto della retribuzione percepita anzitutto con quella prevista dal CCNL applicato e, in caso di ritenuta insufficienza di quest’ultima, anche in base ad altri parametri, quali i CCNL di categorie limitrofi o relativi a mansioni analoghe, dati statistici, etc. Funzione giudiziaria da sempre ritenuta dalla giurisprudenza della Corte e tanto più necessaria oggi, sia a fronte del proliferare di numerosissimi contratti collettivi applicabili alla medesima categoria, alcuni dei quali (c.d. contratti pirati) stipulati da associazioni poco rappresentative, sia in ragione della possibile insufficienza anche di contratti collettivi stipulati da OO.SS rappresentative, a causa della forte inflazione degli ultimi due anni o altro.
Questa ricerca della richiesta giusta retribuzione minima costituzionale è necessaria anche nei casi (come quelli di specie) delle cooperative, per le quali la legge stabilisce il trattamento economico complessivo del CCNL di settore o limitrofo stipulati dalla OO.SS. maggiormente rappresentative, che appunto può rivelarsi in alcuni casi insufficiente.
Corte di Cassazione, sentenza 10.10.2023, n. 28320.
La retribuzione feriale deve tenere conto del lavoro straordinario se esso costituisce tratto tipico del rapporto.
In una vicenda analoga a quella trattata dalle due sentenze gemelle sul salario minimo e dignitoso nn. 27711 e 27769/2023 e relativa ad alcuni lavoratori svolgenti mansioni di portierato con turni di lavoro giornaliero, svolti per lo più in orario notturno, della durata di oltre 11 ore consecutive, la Corte, oltre a ribadire i principi già affermati nelle due sentenze precedenti, esamina l’ulteriore domanda di commisurazione del compenso feriale giornaliero al numero di ore effettivamente svolte in ogni giornata di lavoro (ore 11 e 10 minuti), con le maggiorazioni di legge per le ore successive all’ottava.
Nel confermare l’accoglimento anche di questa domanda, i giudici di legittimità osservano che una clausola del contratto collettivo che – come l’art. 86 CCNL Servizi fiduciari – preveda una nozione restrittiva di retribuzione utile ai fini delle ferie, con esclusione di determinate voci legate al lavoro notturno o straordinario, è legittima solo se il lavoro notturno o straordinario rappresentano mere modalità di esecuzione della prestazione, che potrebbero cioè venire meno in qualsiasi momento, e non invece allorché – come nel caso di specie – essi costituiscano un tratto tipico ed ontologicamente intrinseco al rapporto di lavoro.
Corte di Cassazione, ordinanza 4.10.2023, n. 27940.
Il dipendente deve risarcire al datore il danno provocato dalla sua negligenza anche in assenza di azione disciplinare.
Il direttore di una filiale bancaria era stato condannato a risarcire il danno che aveva provocato omettendo di conservare la documentazione contrattuale attestante il prestito e la fideiussione prestata a una società cliente, così impedendo alla banca di insinuarsi al passivo fallimentare di quest’ultima, che aveva mancato di restituire il prestito accordato.
La Corte d’appello aveva ritenuto sussistente la responsabilità del dirigente, sebbene la banca non avesse poi coltivato l’azione disciplinare promossa nei suoi confronti.
La decisione regge il vaglio della Cassazione, la quale osserva che (i) l’azione disciplinare e quella di risarcimento del danno si pongono su due piani distinti, indipendenti l’uno dall’altro; (ii) l’esistenza di fatti accertati, anche se non censurati sotto il profilo disciplinare, può comunque determinare il diritto al risarcimento del danno provocato, poiché l’interesse perseguito dal datore di lavoro è costituito dal ripristino della situazione patrimoniale lesa; (iii) in tale prospettiva la scelta di non far conseguire provvedimenti disciplinari è legittimamente assunta dal datore di lavoro.
Corte di cassazione, sentenza 3.10.2023 n. 27882
Nel pubblico impiego, non sempre l’offerta di stabilizzazione sana l’abuso dei contratti a termine.
Dopo avere lavorato per oltre dieci anni presso un comune, in forza di plurimi contratti a termine, un’insegnante di scuola dell’infanzia si era dimessa, essendo stata assunta a tempo indeterminato dal MIUR e aveva quindi agito giudizialmente nei confronti del comune per il risarcimento del danno derivante dall’illecita reiterazione dei contratti a termine.
La domanda era stata respinta dalla Corte d’appello, che aveva ritenuto pienamente satisfattiva e idonea a sanare l’abuso l’offerta di assunzione a tempo indeterminato formulata dal comune in corso di causa e rifiutata dalla lavoratrice perché ormai assunta dal MIUR.
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso della lavoratrice, osserva che: (i) la stabilizzazione del rapporto di lavoro, per potersi considerare sanante del pregiudizio subito dal lavoratore, deve essere la causa diretta del superamento della situazione di prolungata e illegittima precarietà in cui il lavoratore viene a trovarsi a causa dell’abuso dei contratti a termine; (ii) se, nel momento in cui viene offerta la stabilizzazione, il lavoratore ha nel frattempo già risolto da solo, per altra via, la situazione di precarietà, l’illecito rimane e l’offerta tardiva di stabilizzazione, ormai inidonea a rimediare al precariato, risulta pertanto irrilevante ai fini della rimozione del danno, il cui risarcimento per equivalente è necessario per garantire effettiva tutela al lavoratore e assicurare la compatibilità del diritto interno al diritto dell’Unione.
Corte di cassazione, sentenza 2 ottobre 2023 n. 27806.
La mancanza di rappresentatività del sindacato stipulante l’accordo di prossimità non è sostituita dal consenso dei lavoratori.
A fronte di un accordo aziendale che aveva ridotto l’orario di lavoro di tutto il personale in part time di 32 ore settimanali, un lavoratore dissenziente aveva agito per ottenere il ripristino dell’orario pieno.
In giudizio, la società datrice di lavoro aveva invocato l’applicazione della disciplina di legge relativa al c.d. accordo di prossimità, sostenendo che, seppure il sindacato stipulante l’accordo in questione non avesse i requisiti di rappresentatività stabiliti, tuttavia questi potevano ritenersi sostituiti dalla volontà successivamente espressa dai lavoratori.
La Corte, ricordando la disciplina degli accordi di prossimità e il suo carattere eccezionale, come tale circondato da una serie di cautele a tutela dei dipendenti, in particolare per quanto riguarda la qualità del sindacato stipulante, in considerazione dell’applicabilità dell’accordo a tutti i dipendenti dell’azienda anche in deroga alla legge, esclude che i requisiti richiesti possano essere sostituiti dalla volontà dei lavoratori con effetto su coloro che dissentono dall’accordo.
Corte di cassazione, ordinanza 26.10.2023 n. 27331.
Dimissioni e risoluzione consensuale solo seguendo la procedura di legge.
In una vicenda giudiziaria in cui il lavoratore ricorrente sosteneva di essere stato licenziato verbalmente, mentre il datore di lavoro gli opponeva che si era dimesso, la Corte d’appello, applicando una giurisprudenza datata, aveva respinto le domande di impugnazione del licenziamento per mancanza di prova dello stesso, di cui sarebbe stato onerato il lavoratore.
La Cassazione annulla la decisione, rilevando che la vicenda sostanziale si era svolta nella vigenza del D. Lgs. n. 151/2015, il quale all’art. 26 subordina l’efficacia delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro all’osservanza di una precisa procedura scritta, a garanzia sia della certezza della data che della genuinità della relativa decisione da parte del lavoratore.
Corte di cassazione penale, sentenza 26.10.2023 n. 38914
Anche il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza può, omettendo di svolgere i propri compiti, cooperare colposamente a un infortunio mortale.
Un impiegato tecnico, adibito alle mansioni di magazziniere senza aver ricevuto al riguardo alcuna formazione, era deceduto in azienda, travolto da una serie di pesanti tubi in acciaio da lui trasportati col carrello, mentre tentava di collocarli in apposita scaffalatura, difettosa. Confermando la valutazione dei giudici di merito, la Cassazione ha ritenuto responsabile dell’omicidio il datore di lavoro (per la mancata formazione del dipendente, comprensiva dell’addestramento all’uso del carrello elevatore, per aver consentito l’utilizzo di una scaffalatura inadeguata etc.), ma anche il rappresentante per la sicurezza dei lavoratori, per la sua cooperazione colposa nel delitto, realizzata consentendo, senza intervenire, che l’impiegato tecnico venisse assegnato a mansioni di magazziniere senza adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo il datore di lavoro ad adottare modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori, con ciò omettendo di svolgere i compiti a lui attribuiti dalla legge.
Corte di Cassazione, ordinanza 12.09.2023, n. 26343.
Diritto del dipendente al trasferimento anche se la sede più vicina al parente disabile risulti coperta.
Il caso riguardava una dipendente che si era vista respingere la richiesta di trasferimento a una delle sedi più vicine al padre portatore di handicap, in ragione della copertura dell’organico delle stesse. La Cassazione, nel confermare l’accoglimento della domanda, osserva che: (i) il diritto al trasferimento di cui all’art. 33, co. 5, L. n. 104/92 non si configura come assoluto e illimitato, in quanto l’inciso “ove possibile” contenuto nella disposizione postula un adeguato bilanciamento con le esigenze del datore di lavoro; (ii) tale bilanciamento implica la possibilità per il datore di lavoro di negare il trasferimento, provando il pericolo di grave lesione delle sue esigenze economiche, organizzative e produttive; prova nel caso di specie mancata, essendo anzi risultato in giudizio che la società datrice di lavoro aveva proceduto ad assegnazioni anche in esubero nelle sedi in questione.
Corte di Cassazione, ordinanza 7.09.2023, n. 26043.
Immutabilità della contestazione disciplinare e diversa qualificazione dei fatti contestati.
Nel rigettare il ricorso del lavoratore, la Cassazione osserva anzitutto che il mutamento “in corsa” della qualificazione data dal datore di lavoro ai fatti contestati al lavoratore non ha comportato alcuna violazione del principio di immutabilità della contestazione, dal momento che il fatto materiale contestato è rimasto il medesimo.
I giudici di legittimità ritengono altresì corretta la qualificazione del fatto come rissa sul luogo di lavoro, ribadendo sul punto l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la nozione “civilistica” di rissa individua una contesa, anche tra due sole persone, idonea a determinare una situazione di pericolo per i protagonisti e per altre persone e, comunque, ove la lite si svolga nel contesto lavorativo, un grave turbamento del normale svolgimento della vita collettiva nell’ambito della comunità aziendale; essa risulta più lata di quella “penalistica”, nella quale assume invece primario rilievo la tutela dell’incolumità personale e in cui è presupposta come dimensione minima del conflitto la partecipazione di almeno tre persone.
Tribunale di Milano, 28.09.2023.
I rider sono lavoratori dipendenti: Uber Eats condannata per condotta antisindacale, per avere esercitato il recesso verso tutti i propri rider senza avviare la procedura dei licenziamenti collettivi della L. n. 223/1991.
Il Tribunale accoglie il ricorso ex art. 28 della L. n. 300/1970 presentato da Nidil-Cgil Milano, Filcams-Cgil Milano e Filt-Cgil Milano e condanna per condotta antisindacale la nota società di consegne tramite piattaforma, ordinandole di riassumere tutti i riders licenziati.
Secondo il Giudice, infatti, i riders che prestavano la propria opera in maniera continuata e personale vanno considerati lavoratori subordinati a tutti gli effetti, avendo riscontrato già su base documentale la presenza di caratteristiche tipiche di debolezza contrattuale e dipendenza economica connotanti il lavoro subordinato (e, comunque, l’applicabilità della disciplina del lavoro subordinato anche a sensi dell’art. 2 del D.lgs. n. 81/2015).
Di conseguenza l’impresa, in vista dell’uscita dal mercato italiano e della conseguente risoluzione dei rapporti di lavoro in essere, avrebbe dovuto applicare la procedura di consultazione in materia di licenziamenti collettivi prevista dalla L. n. 223/1991.
Tribunale di Ravenna, 27.09.2023.
Sollevata una nuova questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del D. Lgs. n. 23/2015: va garantita la reintegrazione nel posto di lavoro anche per i licenziamenti economici in cui il fatto non sussiste?
Il Tribunale di Ravenna ritiene non manifestamente infondata la questione, che rimette alla Corte costituzionale, di legittimità dell’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015 (c.d. Jobs Act), con riferimento in particolare ai casi in cui sia accertata l’insussistenza del fatto posto alla base di un licenziamento per motivi economici.
Secondo il Giudice, la norma che esclude l’applicazione della tutela reintegratoria per questi casi potrebbe essere incostituzionale, in quanto, tra le molte questioni, comporterebbe un trattamento ingiustificatamente differenziato rispetto ai casi di licenziamento disciplinare e rispetto ai casi di lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del decreto in questione.
Tribunale di Ferrara, 26.09.2023.
Insegnanti di religione precari: risarcito il danno da reiterazione abusiva dei contratti a termine. Esclusa l’applicabilità del termine di decadenza dall’impugnazione, per effetto dell’esclusione di cui all’art. 29, c. 2, lett. c) del D.Lgs. n. 81/2015.
Il Tribunale di Ferrara ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno a favore di un docente di religione cattolica assunto con reiterati contratti a termine su posti vacanti e disponibili, riconoscendo il c.d. danno comunitario in relazione alla abusiva reiterazione per dodici anni, quantificato in 10 mensilità di retribuzione.
Il Giudice esclude che operi nel caso l’onere di impugnazione dei contratti a tempo determinato previsto dall’art. 28 del D.lgs. n. 81/2015, per via dell’espressa esclusione dell’applicazione della disciplina del decreto ai contratti a tempo determinato stipulati con il personale docente ed ATA per il conferimento delle supplenze.
Tribunale di Lecce, 5.09.2023.
Tumore da fumo passivo in carcere: condannato il Ministero per non aver preso le necessarie precauzioni.
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato dalla vedova di un ispettore di polizia penitenziaria, morto per un carcinoma polmonare, e condanna il Ministero della Giustizia a risarcire il danno biologico e il danno patrimoniale da perdita del reddito.
Secondo il Giudice, l’esposizione prolungata al fumo passivo all’interno dell’istituto penitenziario, sovraffollato e male areato, ha causato la malattia e quindi la morte del lavoratore. Il Ministero è responsabile per non aver adottato le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell’evento dannoso.
NEWSLETTER n. 10/2023
Novità normative e giurisprudenziali
Ministero del Lavoro, Interpello n. 1 del 15 settembre 2023 “Interpello ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 124/2004. Diritti sindacali ex articolo 36 del decreto legislativo n. 81/2015 – Applicabilità del CCNL dell’azienda utilizzatrice”.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato l’interpello n. 1 del 15 settembre 2023, con il quale risponde ad un quesito del sindacato UGL Agroalimentare, in merito all’esercizio dei diritti sindacali da parte dei lavoratori somministrati.
In particolare, se trovi applicazione il contratto collettivo nazionale di lavoro dell’agenzia di somministrazione o quello dell’utilizzatore.
Di seguito la risposta del Ministero del Lavoro: “Come è noto, il rapporto di somministrazione coinvolge tre soggetti (agenzia di somministrazione, lavoratore somministrato ed impresa utilizzatrice), legati da due distinti rapporti contrattuali: il contratto commerciale, concluso tra l’utilizzatore e il somministratore, ed il contratto di lavoro individuale stipulato tra l’agenzia di somministrazione e il lavoratore somministrato. Datore di lavoro del lavoratore somministrato è dunque formalmente l’agenzia di somministrazione, anche se la prestazione lavorativa – nel periodo della missione – viene svolta nell’interesse dell’utilizzatore, sotto il controllo e la direzione dello stesso. La struttura contrattuale della somministrazione di lavoro comporta, quindi, una particolare ripartizione dei poteri e degli obblighi connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro, in considerazione della scissione tra la titolarità giuridica del rapporto e l’effettiva utilizzazione della prestazione. Pertanto, in linea generale, il contratto collettivo che regola il rapporto di lavoro è, in primo luogo, quello applicato dall’agenzia di somministrazione, in quanto datore di lavoro. Tuttavia, è necessario che, per il periodo della missione, la disciplina in concreto applicabile al lavoratore somministrato sia integrata dalle previsioni del CCNL applicato dall’utilizzatore. Ciò al preciso fine di garantire effettività al principio di parità in ordine alle condizioni di lavoro e di occupazione dei lavoratori somministrati, che non devono essere complessivamente inferiori a quelle applicate ai dipendenti di pari livello dell’utilizzatore (art. 35, comma 1, del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81). Tali conclusioni devono
ritenersi valide anche con riferimento ai diritti sindacali dei lavoratori somministrati, rispetto ai quali l’articolo 36 del citato decreto legislativo n. 81/2015 dispone, al comma 1, che trovino applicazione, in primo luogo, i diritti sindacali previsti dallo Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300). Al comma successivo, si afferma inoltre il diritto del lavoratore somministrato ad esercitare presso l’utilizzatore, per tutta la durata della missione, i diritti di libertà e di attività sindacale, nonché a partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici. Anche in questo caso, dunque, si dovrà far riferimento, in prima istanza, al contratto collettivo di lavoro applicato dall’agenzia di somministrazione, in qualità di datore di lavoro, consentendo inoltre al lavoratore somministrato, durante la missione, di esercitare all’interno del contesto lavorativo ove concretamente è inserito tutti i diritti sindacali allo stesso riconosciuti dall’ordinamento e dal CCNL applicato dall’impresa utilizzatrice, in modo da garantire la concreta effettività di tali diritti in costanza di svolgimento della prestazione di lavoro presso l’utilizzatore.”
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, decreto 8 agosto 2023 recante “ Supporto per la formazione e il lavoro”.
E’ stato pubblicato il decreto del Ministro del Lavoro 8 agosto 2023, riguardante il “Supporto per la formazione e il lavoro”, misura istituita dal D.L. n. 48/2023 (convertito con modificazioni dalla L. n. 85/2023) e operativa dal 1° settembre 2023. Al fine di favorire l’attivazione nel mondo del lavoro delle persone a rischio di esclusione sociale e lavorativa, il decreto stabilisce le modalità di attuazione del beneficio nella misura pari a 350 euro mensili. Tale importo verrà erogato dall’INPS entro un limite massimo di 12 mesi.
Con circolare n. 77 del 29 agosto 2023 l’INPS ha fornito le prime indicazioni in merito alle modalità di accesso e di fruizione del SFL.
L’Istituto approfondisce, in particolare, i relativi requisiti ed incompatibilità, la decorrenza e gli importi del beneficio, gli obblighi in capo ai beneficiari nonché i relativi controlli e le sanzioni previste.
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 giugno 2023 recante “Linee guida volte a favorire le pari opportunità generazionali e di genere, nonché l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità nei contratti riservati.” (GU n. 173 del 26.7.2023)
E’ stato pubblicato il DPCM 20 giugno 2023, contenente le linee guida volte a favorire le pari opportunità generazionali e di genere, e l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità negli appalti, per i contratti riservati.
Si tratta dei contratti che possono essere riservati dalle stazioni appaltanti o dagli enti concedenti a operatori economici che hanno come scopo l’inclusione lavorativa delle persone disabili o svantaggiate (articolo 61 del D.Lgs. n. 36/2023, cd. nuovo Codice appalti).
Il decreto si rivolge in via esclusiva ai contratti d’appalto pubblici e disciplina le disposizioni dirette all’inserimento di criteri orientati a promuovere l’inclusione lavorativa dei giovani sotto i 36 anni e dei disabili, nonché l’occupazione femminile.
Corte di Cassazione, sentenza 14 settembre 2023, n. 26532.
Nessun termine per impugnare il licenziamento ingiustificato del dirigente.
Con sentenza n. 26532 del 14 settembre 2023 la Suprema Corte di Cassazione interviene a dirimere una vicenda dagli interessanti profili dogmatici, in riferimento alla questione delle conseguenze connesse alla ingiustificatezza del recesso dal rapporto dirigenziale ed al criterio interpretativo del concetto di “invalidità” di cui all’art. 32 della L. n. 183 del 2010 (“Collegato lavoro”), in relazione al termine decadenziale di cui all’art. 6 della L. n. 604/66.
La Corte di appello di Firenze, confermando la sentenza di prime cure, ha respinto le domande del lavoratore volte ad ottenere il calcolo del benefit auto negli istituti indiretti, la liquidazione della corretta indennità sostitutiva del preavviso, l’accertamento della ingiustificatezza del licenziamento e, conseguentemente, il pagamento dell’indennità supplementare di cui all’art. 19 del CCNL Dirigenti Aziende Industriali.
La Corte territoriale, precisato che il ricorso introduttivo del giudizio proposto dal dirigente conteneva una impugnativa del licenziamento intimato con lettera del 3.8.2012 ossia una domanda di accertamento della ingiustificatezza dell’atto di recesso, ha ritenuto la parte decaduta da tale azione, rilevando che le disposizioni dettate dal novellato art. 6 della L. n. 604/1966 riguardano tutti i casi di invalidità del licenziamento, compresi quelli tipici della categoria del dirigente che presuppongono la ingiustificatezza del recesso e trovano fondamento nelle previsioni contrattuali.
La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, è tornata ad affermare il principio secondo cui il dirigente che intenda impugnare il licenziamento intimatogli perché ritenuto ingiustificato non è soggetto ai termini di decadenza fissati dall’art. 6 della L. n. 604/66 in quanto il concetto di “ingiustificatezza” del recesso non può coincidere con quello di invalidità.
Corte di Cassazione, ordinanza 12 settembre 2023, n. 26343.
ll trasferimento è legittimo se l’azienda non prova le ragioni preclusive.
Il trasferimento del lavoratore nella sede più vicina al familiare con handicap convivente è legittimo se l’azienda non prova una lesione consistente delle esigenze economiche, organizzative e produttive. Lo prevede l’ordinanza n. 26343/2023 della Corte di Cassazione.
Secondo i giudici, anche il lavoratore che non è in graduatoria ha diritto al trasferimento nella sede più vicina al familiare a cui presta assistenza, in quanto titolare dei benefici della legge 104, nell’ambito del pubblico impiego.
Il diritto al trasferimento deve comunque essere bilanciato con le esigenze aziendali.
A tal proposito, il datore di lavoro deve dimostrare chiaramente che detto trasferimento potrebbe avere effetti negativi sull’organizzazione e sulla produzione aziendale per opporsi.
Corte di Cassazione, sentenza 7 settembre 2023, n. 26042.
Assoluzione da reato e licenziamento illegittimo.
Con ordinanza n. 26042 del 7 settembre 2023, la Corte di Cassazione ha affermato che pur in assenza dei requisiti in materia di efficacia nel giudizio civile del giudizio assolutorio penale, mancando una norma di chiusura sulla tassativa tipologia dei mezzi di prova, il giudice può tenere conto della assoluzione avvenuta in sede penale per il fatto rientrante nella contestazione disciplinare come prova atipica da utilizzare nel proprio convincimento, se ed in quanto non smentita dal raffronto critico (Cass. n. 9507/2023), ai fini della condotta del lavoratore e della prova della giusta causa del licenziamento.
Corte di Cassazione, sentenza 7 settembre 2023, n. 26043
Per la rissa sul luogo di lavoro bastano due persone.
La nozione “civilistica” di rissa, prevista da numerosi contratti collettivi, individua una contesa, anche tra due sole persone, idonea a determinare, per le modalità dell’azione e la sua capacità espansiva, una situazione di pericolo per i protagonisti e per altre persone e, comunque, ove la lite si svolga nel contesto lavorativo, un grave turbamento del normale svolgimento della vita collettiva nell’ambito della comunità aziendale.
Si tratta di una nozione più lata di quella “penalistica”, nella quale primeggia la tutela dell’incolumità personale e in cui è presupposta come dimensione minima del conflitto la partecipazione di almeno tre persone.
A tratteggiare la definizione di rissa sul luogo di lavoro è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 26043 del 7 settembre 2023.
I fatti di causa riguardano l’impugnazione di un licenziamento disciplinare con preavviso intimato al lavoratore da una Società Cooperativa di produzione e lavoro a seguito di contestazione disciplinare collegata a un episodio di rifiuto di sottoscrizione di un ordine di servizio relativo alle postazioni e agli orari di lavoro e contestuale aggressione verbale dei responsabili di cantiere con ingiurie e minacce.
La società in prima battuta aveva contestato al lavoratore la fattispecie della grave insubordinazione prevista dal CCNL e comportante il licenziamento senza preavviso, e poi, in sede di irrogazione del licenziamento, la fattispecie della rissa sul luogo di lavoro, sempre prevista dall’art. 48 del CCNL applicato al rapporto, comportante il licenziamento con preavviso.
La modifica, secondo la Cassazione, e contrariamente a quanto lamentato dal lavoratore nel ricorso, non viola il principio di immutabilità della contestazione disciplinare in quanto, spiegano i Supremi giudici, “il fatto materiale (rifiuto di sottoscrivere un ordine di servizio e aggressione verbale dei responsabili di cantiere con ingiurie e minacce) è rimasto il medesimo”.
Né per la Cassazione possono essere accolte le censure del lavoratore relative all’affermata erronea sussunzione dei fatti contestati nella nozione di rissa: per la Suprema Corte, in ogni caso, emerge chiaramente dalla motivazione della sentenza impugnata che il licenziamento intimato è stato ritenuto legittimo per la gravità della condotta, essendosi trattato di uso di parole offensive e minacciose e di rifiuto degli ordini lavorativi dei responsabili, ossia di gesto violento con minaccia di aggressione che ha ingenerato un clima di paura e ha turbato l’attività lavorativa e l’intero ambiente circostante (con intervento delle Forze dell’ordine).
Corte di Cassazione, ordinanza 6 settembre 2023, n. 25969.
Il disvalore ambientale della condotta rileva ai fini del licenziamento.
Con l’ordinanza n. 25969 del 06.09.2023, la Cassazione afferma che, ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa di licenziamento, rileva anche il disvalore ambientale che assume la condotta contestata al lavoratore, soprattutto se questo ha un ruolo di responsabilità e, come tale, è capace di influenzare i colleghi.
La lavoratrice, responsabile di un punto vendita, impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole a fronte di una serie di condotte disciplinarmente rilevanti.
La Corte di Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo che i comportamenti addebitati alla ricorrente apparivano tanto più gravi a fronte del ruolo di responsabilità dalla stessa ricoperto.
La Cassazione rileva, preliminarmente, che la valutazione circa la legittimità di un licenziamento per giusta causa non può limitarsi all’analisi del contenuto obiettivo della condotta disciplinarmente rilevante, ma deve approfondire anche la sua portata soggettiva.
In particolare, per la sentenza, ai fini della valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione contestata, è necessario esaminare la condotta del lavoratore anche alla luce del “disvalore ambientale” che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere, per gli altri dipendenti, a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto di detti obblighi di diligenza e fedeltà.
Secondo i Giudici di legittimità, detta circostanza assume un valore decisivo nel caso di specie, a fronte del ruolo di responsabilità ricoperto dalla lavoratrice.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso dalla stessa proposto, confermando la legittimità del recesso irrogatole.
Corte di Cassazione, ordinanza 1° settembre 2023, n. 25603.
Transazione sui danni da infortunio e aggravamento sopravvenuto degli stessi.
In una vicenda in cui, successivamente alla transazione tra le parti relativamente alle conseguenze dannose di un infortunio sul lavoro, il dipendente aveva chiesto ulteriori danni a seguito del sopravvenuto aggravamento delle conseguenze dell’infortunio, la Cassazione conferma la decisione dei giudici di merito di rigetto della sua domanda, ribadendo che anche nel caso in cui la transazione abbia fatto riferimento a danni futuri derivanti dall’infortunio, il lavoratore, per poter ottenere i danni conseguenti all’aggravamento, ha l’onere di dedurre e provare l’imprevedibilità di quest’ultimo al momento della transazione; deduzione e prova da parte del dipendente che nel caso esaminato erano del tutto mancate.
Corte di Cassazione, ordinanza 24 agosto 2023, n. 25191
Ancora sul danno morale da infortunio o malattia professionale.
In un caso di malattia professionale da superlavoro, comportante per il dipendente un’inabilità assoluta al lavoro attribuita alla responsabilità del datore di lavoro, la Corte d’appello aveva riconosciuto al lavoratore il danno differenziale, ma non il danno morale, motivando in ragione della pretesa assenza di prove al riguardo.
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso incidentale del lavoratore, osserva che: (i) il danno morale consente di dare rilievo ai pregiudizi che attengono alla dignità e al dolore soggettivi della vittima, ovvero a quei pregiudizi interiori quali il dolore, la vergogna, la disistima di sé, la paura etc., differenti e autonomamente apprezzabili sul piano risarcitorio rispetto agli effetti dell’illecito che incidono sul piano dinamico-relazionale e accertabili in giudizio con ogni mezzo di prova, compresi fatti notori, regole di esperienza e presunzioni; (ii) nel caso di specie, è difficile negare che il lavoratore abbia provato sofferenze, paure e turbamenti dal punto di vista morale, essendosi visto praticare tre interventi di by pass ed essendo stato dichiarato inidoneo a svolgere qualsiasi altra attività lavorativa.
Corte di cassazione, ordinanza 24 luglio 2023, n. 22077.
La condotta extralavorativa giustifica il licenziamento solo se incide sulla funzionalità del rapporto lavorativo.
A seguito della denuncia per maltrattamenti, ingiurie e lesioni personali sporta dalla propria convivente, cui aveva fatto seguito l’avvio di un procedimento penale e l’applicazione di una misura cautelare, un operaio era stato licenziato per giusta causa dall’impresa datrice di lavoro.
A seguito dell’impugnazione giudiziale del licenziamento, la Corte di cassazione, confermando la pronuncia di accoglimento delle domande della Corte d’appello, osserva che: (i) la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento anche in presenza di condotte extralavorative, a condizione però che abbiano un riflesso anche solo potenziale, ma comunque oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro, in termini di compromissione dell’aspettativa datoriale circa un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa in relazione alle specifiche mansioni svolte dal dipendente licenziato; (ii) nel caso di specie, non vi è prova che le condotte del lavoratore, pur deprecabili, abbiano avuto alcuna incidenza, neppure riflessa, sul rapporto lavorativo, in considerazione della sua pluridecennale anzianità lavorativa presso la medesima azienda, senza mai alcun episodio di violenza e alcun procedimento disciplinare.
Corte di cassazione penale, sentenza 12 luglio 2023 n. 30167.
In materia di infortuni sul lavoro, anche il datore di lavoro meramente formale assume gli obblighi di garanzia gravanti su quello effettivo.
In un caso di infortunio mortale di un operaio dovuto alla mancata adozione di misure di sicurezza imposte dalla legge, erano stati coimputati per omicidio colposo, in particolare, il legale rappresentante dell’impresa e il gestore di fatto della stessa.
In giudizio, il primo aveva sostenuto la sua estraneità ai fatti, affermando di essere solo formalmente il titolare dell’impresa, della quale esclusivo gestore sarebbe stato il secondo.
La Corte, richiamando gli artt. 2 e 299 del D. Lgs. n. 81/2008, disattende tale assunto difensivo, ribadendo l’irrilevanza, nella materia degli infortuni sul lavoro, dell’eventuale interposizione fittizia nella titolarità dell’impresa datrice di lavoro e affermando pertanto la permanenza, oltre che nel datore di lavoro effettivo, anche nel datore di lavoro formale degli obblighi in cui si sostanzia la garanzia di sicurezza del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell’impresa.
Corte di cassazione, sentenza 7 luglio 2023 n. 19355.
Il danneggiato che perde il lavoro a causa del sinistro ha diritto al risarcimento integrale.
Quando un danneggiato perde un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, deve essere liquidato considerando tutte le retribuzioni, compresi tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici, che la persona avrebbe potuto ragionevolmente ottenere basandosi sullo specifico rapporto di lavoro, in misura integrale.
Questa decisione è stata presa dalla Corte di Cassazione, sezione III civile, con l’ordinanza n. 19355 del 7 luglio 2023.
La Suprema Corte ha invece escluso che il danno potesse essere liquidato in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica attestata come risultato delle lesioni permanenti subite, salvo nel caso in cui il responsabile sostenga e dimostri che la vittima abbia effettivamente ottenuto un nuovo impiego retribuito, o che avrebbe potuto farlo e non lo ha fatto a causa di una sua negligenza.
In questa situazione, il danno potrebbe essere liquidato esclusivamente come differenza tra le retribuzioni perse e quelle effettivamente ottenute o ottenibili grazie al nuovo lavoro.
Nel caso di specie, un uomo aveva perso il suo lavoro a causa dell’invalidità causata da un incidente stradale.
Il giudice di merito, nell’esaminare il caso, aveva erroneamente attribuito un peso decisivo, non alla perdita in sé del preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma alla successiva e persistente condizione di disoccupazione del danneggiato.
Di qui la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello affinché provveda a rinnovare la liquidazione dei danni subiti dall’odierno ricorrente, basandosi sui principi di diritto enunciati.
Corte di Cassazione, sentenza 23 marzo 2023, n. 8308
Sì alla reintegra dell’operaio licenziato perché trovato addormentato nel turno di notte a distanza di un’ora dalla pausa stabilita.
La Corte di Cassazione conferma la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto sproporzionato il licenziamento intimato al lavoratore allontanatosi dal posto di lavoro per schiacciare un pisolino – lontano dagli occhi del datore di lavoro – disponendo l’applicazione della tutela indennitaria di cui all’art. 18 comma 5 della L. n. 300/1970.
Sul punto, la Suprema Corte specificava che “il giudice di rinvio…ha compiuto il nuovo accertamento richiesto in termini strettamente aderenti a quello che era stato specificato da questa Corte a riguardo, segnatamente “tenendo conto delle tipizzazioni espresse dalla contrattazione collettiva e utilizzando la discrezionalità che deriva dalla nozione legale di tali giustificazioni” (cfr. in extenso le pagg. 13-15 dell’impugnata sentenza). In particolare, ma in sintesi, ha operato una riconsiderazione di quanto contestato, ponendo tra l’altro in luce il <difetto di ogni riferimento all’effettivo verificarsi di un “grave nocumento morale o materiale” – all’evidenza non contenuta nella contestazione disciplinare ->, in rapporto ad una più ampia ricognizione delle previsioni del CCNL applicabile che venivano in considerazione (non solo del suo art. 9). E, come premesso, ha motivatamente ritenuto che: “Pur non potendo, pertanto, la condotta contestata essere sussunta in una delle ipotesi espressamente previste dall’art. 9 C.C.N.L. Industria Meccanica, a margine di tali considerazioni il disvalore ad essa attribuibile deve nondimeno ritenersi proporzionato a quello che caratterizza le mancanze “di maggior rilievo”, come tali meritevoli della sanzione della “sospensione dal lavoro e della retribuzione fino ad un (omissis) di tre giorni” (art. 8, lett. d)”. Infine, ha concluso che: <Vertendosi in un caso di sproporzione della sanzione espulsiva, in sede di valutazione del regime sanzionatorio deve dunque trovare necessariamente applicazione, come rilevato dalla S.C., “il regime generale della tutela risarcitoria dettato dal comma 5”.
La pronuncia, oltre che per la valutazione sopra indicata, che lascia spazio a qualche dubbio per la valutazione dell’elemento soggettivo, si segnala anche per alcune questioni processuali, tra cui una interessante lettura dell’interesse ad agire, inteso dalla Cassazione in una prospettiva prognostica e legata ai possibili e successivi sviluppi della vicenda processuale: “Vero è, inoltre, che l’istante, in relazione a quanto richiesto, era risultato comunque vittorioso nel merito all’esito della fase di reclamo, perché – essendo equipollenti dal punto di vista della tutela reintegratoria (c.d. debole) di cui all’art. 18, comma quarto, L. n. 300/1970, l’ipotesi dell’ “insussistenza del fatto contestato” e quella in cui il fatto (sussistente) “rientra tra le condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili” -, il suo reclamo incidentale era stato dichiarato inammissibile solo per carenza d’interesse circa il profilo dell’insussistenza del fatto perché detta tutela era stata in ogni caso da lui conseguita. Nondimeno egli era munito di certo interesse a proporre a questa Corte ricorso incidentale condizionato circa la questione della sussistenza del fatto addebitatogli per il caso in cui fosse accolto in tutto o in parte il ricorso per cassazione avverso (come poi avvenuto) che, dando per accertato il fatto stesso, contestava la sua riconducibilità ad ipotesi di sanzione conservativa. 3.7. Va da sé, perciò, che non è riscontrabile alcuna omessa pronuncia nell’impugnata sentenza, la quale, da un lato, ha spiegato perché non potesse essere più investita della questione dell’insussistenza del fatto materiale riproposta dal lavoratore in sede di riassunzione, e, dall’altro, era tenuta ad uniformarsi a quanto statuito in sede rescindente da questa Corte.”
Tribunale di Messina, 22 luglio 2023, n. 1485.
Anche il turnista ha diritto ai buoni pasto se non può utilizzare il servizio mensa.
La sentenza del Tribunale di Messina, Sezione lavoro, 22 luglio 2023, n. 1485 in commento ricostruisce il quadro sistematico di norme che disciplinano il diritto alla mensa con modalità sostitutive di quei lavoratori che, per le particolari modalità con cui rendono la prestazione lavorativa, non possono fruire del servizio mensa.
Il Giudice messinese tenta di dare una risposta all’impasse creata dalla contrattazione collettiva del comparto sanità che, a differenza di altri comparti, non contiene la specifica disciplina del diritto alla mensa per ciascuna tipologia di lavoratore, osservando che è datore a stabilire in quale momento della giornata il dipendente può fare la pausa pranzo, in base all’organizzazione del lavoro. Pertanto “l’impossibilità di usufruire della mensa, per la particolare strutturazione dell’orario di lavoro e per l’esigenza di continuità della prestazione lavorativa effettuata dal personale turnista, non fa decadere il diritto di detto personale alla mensa, ma, al contrario, fa sorgere in capo allo stesso il diritto alla mensa con modalità sostitutive: il diritto ai buoni pasto”.
Tribunale di Milano, 4 luglio 2023.
Tempo tuta: il diritto a indossare la divisa al lavoro, e non a casa, e il pagamento del relativo tempo sono una questione di dignità
Il Tribunale accoglie il ricorso presentato da alcune lavoratrici addette alle pulizie e condanna la datrice di lavoro al pagamento della retribuzione per il c.d. “tempo tuta”.
Nel richiamare la giurisprudenza sui tempi di vestizione e svestizione della divisa di lavoro, che afferma il diritto al pagamento quando risulti che il datore di lavoro impone di indossare la divisa nei locali dove si svolge l’attività lavorativa, il Giudice va oltre, ritenendo che elemento qualificante del diritto sia il fatto stesso che l’impresa imponga l’utilizzo di una divisa.
Né, aggiunge la sentenza, assume rilievo in contrario il fatto che il dipendente possa scegliere di indossare la divisa prima di uscire di casa, perché questi ha diritto alla libera espressione della propria personalità, vestendo abiti di sua scelta nel percorso per e dal luogo di lavoro.